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view post Posted: 17/1/2024, 13:13 by: Milea     +1L’ora fatidica alle dodici meno un quarto - Paul Klee - Klee

Klee_Schicksalstunde_um_dreiviertel_-zwolfP

Paul Klee
L’ora fatidica alle dodici meno un quarto
(Schicksalstunde um dreiviertel zwölf)
1922
firmato, datato e numerato ‘Klee 1922 // 184’ (in alto a sinistra)
olio su mussola preparata con gesso montato su pannello nella cornice dell’artista
40,8 x 48 cm.
Collezione privata


Nel novembre del 1920, Klee ricevette da Walter Gropius l’invito a diventare docente presso la neo-fondata Bauhaus di Weimar; due mesi dopo lasciò Monaco per unirsi a questa dinamica comunità di artisti, architetti, designer e artigiani, con il suo prestigioso curriculum multidisciplinare. Weimar offriva a Klee grandi vantaggi: un reddito fisso, un grande studio ad uso esclusivo e un ambiente gratificante per discutere e perfezionare le sue idee. Sebbene le responsabilità di insegnamento al Bauhaus occupassero solo un limitato numero di ore settimanali, lo costrinsero a formulare una teoria convincente e condivisibile sull’uso degli elementi pittorici.

“I dieci anni di Klee al Bauhaus, prima a Weimar e dopo il 1925 a Dessau, segnano l’apice della sua produzione artistica... La sua versatilità creativa rende impossibile identificare uno specifico stile “Bauhaus” nell'opera di Klee; piuttosto, la continuità nel suo lavoro degli anni Venti dipende non tanto dallo stile o dal motivo, quanto dall’integrazione di una componente teorica più profonda. Costretto dalle sue responsabilità di insegnante ad analizzare e articolare a fondo la sua pratica artistica per la prima volta, Klee creava ora un’arte che entrava in dialogo con la sua stessa teoria: l’intuizione incontrava la ragione, l’analisi diventava ispirazione, l’idea trovava una nuova struttura” (Christina Thomson, The Klee Universe, Neue Nationalgalerie, Berlino, 2008).



“Schicksalstunde um dreiviertel zwölf” fa parte di un gruppo di composizioni stravaganti che Klee eseguì a Weimar, in cui delicati disegni al tratto, spesso infantili, sono inseriti in una struttura indipendente in cui delicati disegni al tratto, spesso infantili, sono inseriti in una struttura indistinta di elementi di colore o (come in questo caso) all’interno di un campo di tinte colorate e traslucide. Queste giocose fantasie poetiche erano spesso tratte dal mondo del teatro, del balletto, dell'opera e delle fiabe;
Queste giocose fantasie poetiche erano spesso tratte dal mondo del teatro, del balletto, della lirica e delle fiabe; Klee amava le opere buffe di Mozart ed era anche affascinato dalle storie magiche dell’autore romantico E.T.A.Hoffmann, le cui opere erano molto apprezzate al Bauhaus nei primi anni Venti.

Sebbene il presente esempio non sembri avere un riferimento specifico al mondo del palcoscenico, presenta lo stesso carattere onirico e semi-narrativo dei dipinti esplicitamente operistici di Klee. All’estrema destra, un orologio segna le 11:45 e il suo pendolo conta i minuti che mancano alla mezzanotte, quando presumibilmente l’incantesimo sarà spezzato; l’orologio funge da presagio di sventura, come chiarisce il titolo del dipinto (L’ora fatidica alle dodici meno un quarto). La forma conica con due sfere nella zona superiore del dipinto ripete il movimento oscillante del pendolo, mentre la luna alla sua destra riprende la forma del quadrante luminoso dell’orologio, suggerendo un parallelo tra il tempo cosmico e quello terreno. La fluida colata di rossi e gialli sullo sfondo conferisce alla scena un aspetto inquietante e misterioso, come se il cielo notturno fosse illuminato artificialmente.


In basso a sinistra della composizione, una ragazza si allontana di corsa, passando davanti a una casa che sembra sul punto di crollare; forse è appena fuggita dall’edificio accanto alla torre dell’orologio, con il suo evidente sentiero rosso che porta da una parte all’altra. Klee esplorò molti di questi stessi motivi pittorici in altre due composizioni del 1922, che sostituiscono l’ambientazione notturna del quadro attuale con quella del mezzogiorno, o meglio, delle 11:45 del mattino. L’anno precedente, Klee aveva creato opere sul tema del destino, che aveva occupato molti artisti dopo la prima guerra mondiale. In “Giorno d’inverno, poco prima di mezzogiorno”, si profila una catastrofe cosmica: un corpo celeste infuocato appare basso sopra la casa; la lancetta a freccia dell’orologio della torre indica che manca poco a mezzogiorno, l’ora del destino. Il motivo della freccia era un elemento che Klee utilizzò nei suoi quadri fino al 1924 per indicare la direzione dell’azione; divenne un segno ineluttabile del fato e simbolo del potere magico.



Paul Klee
Giorno di inverno poco prima di mezzogiorno
(Wintertag Kurz vor Mittag)
1922
olio su carta montato su cartone - 29,8 x 45,9 cm.
Kunsthalle Bremen (Germania)


Will Grohmann ha scritto: “Non sapremo mai esattamente quali o quante opere di Klee alludono all’opera lirica. In Klee, il processo di metamorfosi è così intenso che le origini sono raramente evidenti, tanto più che nel suo metodo di lavoro gli elementi associativi entrano spesso solo dopo che il quadro è stato iniziato. I titoli da soli non sono un indizio sufficiente. Le esperienze operistiche furono senza dubbio l’ispirazione di molte altre figure simili a balletti, innamorati e dolenti, mascherati e smascherati; e molti paesaggi con luna e stelle discendono certamente dal regno del Flauto magico e di altre opere fiabesche”.

Il contesto teatrale del presente dipinto è rafforzato dall’inclusione di notazioni musicali nella composizione: le linee di uno spartito musicale sulla montagna alberata in primo piano, che stabilisce un’ambientazione vagamente alpina per l’episodio drammatico; il numero “3/4” nel cielo, che potrebbe fare riferimento non solo all’ora portentosa, ma anche al ritmo di tre quarti (la nota di tempo di un valzer). La musica è stata parte integrante della vita di Klee fin dalla prima infanzia. Suo padre era un insegnante di musica, sua madre una cantante professionista e lui stesso un abile violinista. In effetti, la decisione di Klee di diventare un artista visivo piuttosto che un musicista fu presa solo con grande sofferenza alla fine della scuola secondaria. Egli arrivò a considerare la musica come un modello per la sua arte e cercò costantemente di tradurre le qualità temporali della musica in forma visiva. Molte delle sue lezioni al Bauhaus erano incentrate sui parallelismi tra la musica e la teoria del colore, in particolare sulla capacità dei motivi lineari e delle griglie di creare ritmi strutturali.


In dipinti come questo, i ruoli indipendenti svolti dal disegno e dal colore sono stati paragonati al rapporto tra il libretto e la partitura di un’opera, che sono collegati ma mantengono le proprie identità separate; così come il libretto viene elevato dalla messa in musica, allo stesso modo il fondo astratto e colorato infonde ai disegni giocosi e rappresentativi di Klee una nuova forza (A. Kagan, Paul Klee: Art and Music, Ithaca, New York, 1983).

Questa tecnica permise a Klee sia di preservare il carattere delicato e idiosincratico del suo tratto, sia di sostenere in sé lo spirito di gioco di un bambino. Andrew Kagan spiega: “Il capriccio, la fantasia e la giocosità non erano per Klee solo un’indulgenza personale, ma rappresentavano anche un ideale estetico. Nella sua valutazione dei capolavori di Mozart, Klee deve aver dedotto che la comprensione e l’occasionale presa in prestito dell’estetica del bambino è un fattore critico per raggiungere il massimo nell’arte”.(Paul Klee at the Guggenheim Museum, Soho, New York, 1993).


Un’altra caratteristica fondamentale del dipinto in esame è l’esplorazione creativa delle forme architettoniche. Klee è stato affascinato dagli studi architettonici fin dai primi giorni della sua carriera; nel 1902 scriveva nel suo diario: “Dappertutto vedo solo architettura, ritmi lineari, ritmi assiali”. L’esperienza al Bauhaus, il cui nome stesso identificava a livello programmatico l’architettura come principio artistico d’avanguardia, intensificò le linee costruttive del suo lavoro. In “Schicksalstunde um dreiviertel zwölf”, la torre dell’orologio allude all’architettura tradizionale delle chiese, mentre i due edifici più piccoli hanno le forme cubiche e ridotte degli edifici del Bauhaus. La montagna al centro assomiglia a una struttura costruita dall’uomo nella sua regolarità, con le partiture musicali che fungono da sentieri o gradini che conducono alla cima; l’edificio simile a una ziggurat all’estrema sinistra della composizione è coronato dallo stesso abete spinoso della montagna stessa, suggerendo il modo in cui gli esseri umani imitano la natura e adottano le sue leggi strutturali come proprie.


Il primo proprietario del dipinto fu il mercante Daniel-Henry Kahnweiler, unico rappresentante dell’opera di Klee in Europa a partire dal 1933. Il quadro fu incluso in una grande mostra alla Kunsthalle di Berna nel febbraio-marzo 1935, poco più di un anno dopo la fuga di Klee dalla Germania e il suo ritorno nella natia Svizzera, dove sarebbe rimasto fino alla morte. Nel 1938, Kahnweiler concesse i diritti esclusivi di rappresentanza di Klee in America al mercante Karl Nierendorf, emigrato a New York da Berlino l’anno precedente. La tela in questione passò da Kahnweiler a Nierendorf in questo periodo e poco dopo fu acquistata da Phillips (Collezione Phillips, Washington, D.C.), che aveva iniziato a collezionare le opere di Klee nel 1930. Il dipinto fu anche inserito in una monografia su Klee, riccamente illustrata, che Nierendorf pubblicò in inglese nel 1941 e che rappresentò un passaggio importante per l’affermazione di Klee in America.(M.@rt)



view post Posted: 16/1/2024, 17:18 by: Milea     +1La bionda con gli orecchini (La blonde aux boucles d’oreille) - Modì

Amedeo_modigliani_la_blonde_aux_boucles_doreilleP

Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 - Parigi, 1920)
La bionda con gli orecchini (La blonde aux boucles d’oreille)
1918 - 1919 circa
firmato ‘Modigliani’ in alto a destra
olio su tela - 46 x 29,8 cm.
Collezione privata


Non si conosce l’identità della donna che Modigliani ritrae ne “La blonde aux boucles d'oreille”, ed è inevitabile essere particolarmente incuriositi da lei, poiché, mentre i dipinti di rosse e brune abbondano nell’opera di Modigliani, le donne bionde compaiono solo occasionalmente. Innegabilmente la ragazza è eccezionalmente bella; in nessun altro dipinto dell’artista livornese si può trovare una modella con occhi grigio-azzurri così scintillanti, ciglia vistose (un tocco seducente raramente visto nei suoi ritratti) e lineamenti di una simmetria così piacevolmente equilibrata, incastonati in un viso perfettamente ovale.
I suoi lineamenti reali avrebbero potuto essere ben confacenti alla superficie appiattita a mo' di maschera che Modigliani era solito imporre al volto delle sue protagoniste. La carnagione rosea irradia salute e benessere, incoronata da una caratteristica e radiosa aureola di capelli biondo-rossastri; sembra in tutto e per tutto una giovane donna affermata e attraente, assolutamente elegante e moderna. Anche il bagliore della luce dei suoi orecchini di perle, i piccoli accessori che danno il titolo al dipinto, emana un fascino vivace. Lanthemann ha lodato questo quadro come un “Portrait d’une grande pureté et d’une grande maestria”.


Nelle loro biografie di Modigliani, sia Pierre Sichel (1967) che Meryle Secrest (2011) raccontano di una relazione che Modigliani ebbe nel 1916 con Simone Thiroux, una giovane donna canadese nata in una famiglia benestante, che soggiornava a Parigi presso una zia per motivi di studio. Sichel dice che aveva “occhi azzurri e capelli chiari” e per questo motivo potrebbe essere lei la modella del presente dipinto. Tuttavia, quando Simone si legò a Modigliani, dopo la rottura con Beatrice Hastings e prima dell’incontro con Jeanne Hèbuterne, aveva sperperato la maggior parte dell’eredità, appena acquisita, in uno stile di vita bohémien a Montparnasse. Sichel ha scritto che “era una ragazza malaticcia e, come Modì, tubercolotica fin dalla più tenera età... Non sembrava rendersi conto dell’importanza delle cose, soprattutto della sua salute. Non si prendeva affatto cura di sé, e fino alla fine fu negligente all’estremo”.

Rimase incinta di Modigliani ma il sentimento della giovane, a tratti adorante e asfissiante, finì per infastidire l’artista al punto da non riconoscere il figlio. Simone, ripudiata dalla famiglia e logorata dalla malattia, darà in adozione il bimbo, Serge Gerard, che diventerà sacerdote e solo da adolescente scoprirà chi era suo padre. Questa descrizione non si confà all’impressione suscitata dalla giovane donna vestita in modo sobrio, piena di salute, nel presente dipinto realizzato nel 1917, forse dopo che Modigliani aveva già rotto con Simone. E’ probabile che quest’opera sia un secondo ritratto di una modella nota solo come Renée (da non confondere con Renée, moglie Moïse Kisling, che Modigliani ritrasse più volte), una persona descritta come bionda anche nel titolo del primo quadro, dipinto nel 1916.

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Amedeo Modigliani
Lolotte (Femme au chapeau)
giugno 1917
olio su tela - 55 x 35,5 cm.
Centre Pompidou, Parigi






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Modigliani dipinse un nudo biondo in piedi nel 1917; potrebbe trattarsi della stessa modella, vista con i capelli lunghi, prima che li avesse raccolti? C’è anche un nudo seduto del 1918, in cui la modella ha i capelli ricci e biondi rossicci, tagliati molto corti; inoltre si nota anche la traccia di una perla all’estremità del lobo dell’orecchio destro.



Amedeo Modigliani
Nudo seduto con le mani in grembo
1918
olio su tela - 100 x 65 cm.
Honolulu Museum of Art, Honolulu, Hawaii



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Che fossero nate in un ambiente di classe, che possedessero autentiche credenziali avanguardistiche o bohémien, o che fossero semplici lavoratrici che posavano per artisti di passaggio, molte delle donne ritratte da Modigliani erano senza dubbio molto belle, ognuna a modo suo. I tratti individuali, la personalità e lo stato d’animo del momento emergono quasi sempre in questi ritratti, nonostante i caratteristici tratti che caratterizzeranno lo stile maturo del pittore. L’aspetto più rilevante di questa modella bionda sono i suoi corti capelli, all’epoca un look insolito per le donne francesi, la maggior parte delle quali prediligeva ancora le tradizionali acconciature lunghe.




Amedeo Modigliani
Nudo biondo in piedi con la camicia abbassata
1917
olio su tela - 92 x 64,8 cm.
Collezione privata



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Modigliani dipinse “La blonde aux boucles d’oreille” nei mesi in cui si stava preparando per la sua prima mostra personale alla galleria di Berthe Weill, prevista per il dicembre 1917. L’artista era conosciuto nella sua cerchia quasi esclusivamente come ritrattista e fu su sollecitazione di Léopold Zborowski, il suo nuovo agente e mercante, che intraprese una serie di nudi per ampliare il suo appeal tra i potenziali collezionisti. L’artista ne dipinse una ventina in tutto, sette o otto dei quali costituirono il nucleo della sua imminente mostra, insieme ad alcuni dei suoi ritratti più belli. Anticipando il successo che sentiva di aver meritato da tempo, Modigliani perfezionò in questo periodo cruciale tutti i tratti del viso caratteristici del suo stile maturo: il viso ovale allungato, il collo aggraziato da cigno, le labbra sensuali e gli occhi impenetrabili a mandorla. In questo periodo Modigliani aveva assimilato pienamente nella sua arte una serie di fonti disparate, che andavano dalla ritrattistica rinascimentale italiana, alla scultura africana e oceanica. I ritratti che l’artista dipinge in questa fase sono tra i più sensibili e caratterizzanti di tutta la sua carriera. La superficie pittorica, inoltre, come si vede in questo dipinto, è squisitamente tattile; in seguito l’artista adottò un approccio più semplice nel trattamento dei colori sulla tela.


Modigliani ha saputo bilanciare con abilità e apparentemente senza sforzo la tradizione e la novità, il volume illusionistico e la piattezza modernista, per creare un’immagine individuale che esprimesse la sua personale concezione della bellezza. Jean Cocteau ha scritto all’artista, suo amico di lunga data, il seguente omaggio: “Non è stato Modigliani a distorcere e allungare il volto, a stabilirne l’asimmetria, a far fuori uno degli occhi, ad allungare il collo. Tutto questo avveniva nel suo cuore. Ed è così che ci disegnava ai tavoli del Café de la Rotonde; è così che ci vedeva, ci amava, ci sentiva, era in disaccordo o in polemica con noi. Il suo disegno era una conversazione silenziosa, un dialogo tra le sue linee e le nostre... Eravamo tutti subordinati al suo stile, a un modello che portava dentro di sé, e lui cercava automaticamente dei volti che assomigliassero alla configurazione che richiedeva, sia all’uomo che alla donna. La somiglianza, in realtà, non è altro che un pretesto che permette al pittore di confermare l’immagine che ha in mente. E con questo non si intende un’immagine reale, fisica, ma il mistero del proprio genio” (D. Krystof, Amedeo Modigliani 1884-1920: The Poetry of Seeing, Colonia, 2000, p. 54).



Il successo di Modigliani nella formulazione di una tipologia di ritratto dipinto è ancora più significativo dopo lo sviluppo e la diffusione della fotografia, che avrebbe dovuto rendere obsoleta l’immagine pittorica, e la distruzione dell’immagine coerente e integrale del volto e della figura umana intrapresa dai cubisti e dagli espressionisti. Modigliani si è mosso con un proprio percorso distintivo: fedele alla realtà e a se stesso, ha tratto e conservato una somiglianza essenziale e caratteriale della persona che gli stava davanti, descrivendo il suo personaggio con un linguaggio pittorico soggettivo, intuitivo e tutto suo. In parte classicista, in parte manierista, Modigliani creò quello che è forse il look più famoso e riconoscibile della ritrattistica del XX secolo, una quintessenza della modernità nell’uso selettivo delle fonti e dello stile, che, nonostante abbia riscosso un successo limitato durante la sua vita, ha continuato a manifestare un fascino quasi universale. (M.@rt)





Edited by Milea - 17/1/2024, 09:59
view post Posted: 13/1/2024, 21:06 by: Lottovolante     +1PAESAGGIO CON MULINO AD ACQUA - François Boucher - ARTISTICA




François Boucher
Paesaggio con mulino ad acqua
(Landscape with a Watermill)
1755
Olio su tela
57.2 × 73 cm
Londra, National Gallery


Un mulino ad acqua, logoro ma pittoresco, si trova in un paesaggio che comprende diversi contadini idealizzati impegnati in attività come la pesca, la raccolta dell'acqua e il lavaggio dei panni. Sebbene questo paesaggio abbia un'aria di artificiosità decorativa, persino di teatralità, Boucher include sufficienti dettagli per suggerire che possa avere una qualche base nella sua osservazione diretta di un luogo reale. Questi dettagli includono una rete appesa a sinistra della porta del mulino, una latrina improvvisata all'aperto a destra della porta e una piccola torre alla fine del ponte che sembra essere una colombaia o un casello.


Altri dettagli che aumentano la sensazione che si tratti di una scena reale sono le erbacce che pendono dalla ruota del mulino e una bassa diga che si intravede più a monte attraverso le arcate del ponte, le cui arcate centrali incorniciano anche due pali che potrebbero sostenere delle reti da pesca, rafforzando l'impressione che si tratti di un paesaggio di lavoro. Colombe bianche si radunano intorno a una colombaia nel tetto di paglia del mulino.





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Molti di questi elementi compaiono anche in un disegno di Boucher conservato al Museum of Fine Arts di Boston. Pur essendo firmato, questo disegno non è datato e non è possibile sostenere se sia stato realizzato prima o dopo il dipinto, che Boucher ha firmato e datato (sulla barca a sinistra del quadro). Anche se è improbabile che il disegno sia stato realizzato sul posto, potrebbe essere basato su uno studio o uno schizzo di un luogo che Boucher aveva visitato. Un potenziale indizio è fornito da un'incisione realizzata nel 1772 dopo il disegno, con il titolo "Moulin près de Chatou" (Mulino vicino a Chatou). Sulla riva destra della Senna, a pochi chilometri a ovest di Parigi, Chatou sarebbe diventato uno dei luoghi preferiti dai pittori intorno al 1900.


Il suo mulino ad acqua fu sostituito da un mulino a vento nel 1684 e per tutto il XVIII secolo il suo ponte fu realizzato in legno anziché in pietra. Se, come suggerisce il titolo della stampa, il mulino nel disegno di Boucher si trovava vicino a Chatou e non a Chatou stessa, la scena potrebbe essere basata su una frazione vicina. Una possibilità è Mauport, sempre sulla riva destra, che alla fine del XVII secolo aveva un mulino ad acqua e una rete di pali. È possibile che questi esistessero ancora nel 1750. I mulini compaiono in altri paesaggi di Boucher, tra cui quello di Quinquengrogne, vicino a Charenton, nella periferia sud-orientale di Parigi. Il mulino di questo quadro presenta caratteristiche architettoniche simili a quello di Quinquengrogne, ma ha una struttura più semplice e non ha la suggestiva posizione elevata del sito di Charenton.


I mulini ad acqua erano un soggetto popolare tra gli artisti francesi del XVIII secolo, che guardavano in particolare alle immagini di pittori olandesi del secolo precedente come Jacob van Ruisdael. Boucher possedeva un grande disegno a gesso di Ruisdael che raffigurava dei cottage e un mulino ad acqua. Ma anche qui ci sono echi di Claude, in particolare nell'uso che Boucher fa degli alberi ad alto fusto per incorniciare la scena come se fosse una scenografia. In un cielo pallido, l'intero paesaggio è soffuso di toni verdi-argentei che l'artista francese controbilancia con aree di colore più vivace, in particolare con gli abiti rossi; il dipinto mostra la sua caratteristica gestione fluida della pittura. (Mar L8v)



view post Posted: 13/1/2024, 15:52 by: Milea     +1Davanti alla veranda (Dans la véranda) - Morisot

Morisot_Dans_la_verandaP

Berthe Morisot
Davanti alla veranda (Dans la véranda)
Bougival, estate 1884
Firmato ‘Berthe Morisot’ (in basso a sinistra)
olio su tela - 81,2 x 100,2 cm.
Collezione privata


Berthe Morisot realizzò questo squisito ritratto della figlia Julie Manet, la più grande gioia e il fulcro della sua vita personale, nonché il soggetto al centro della sua rivoluzionaria attività artistica, durante l’estate del 1884, quando la bambina aveva cinque anni e mezzo. Dipinto su una scala di grandezza quasi mai vista nell’opera dell’ artista, “Dans la véranda” ritrae Julie seduta nella luminosa terrazza della casa di famiglia a Bougival, mentre esamina, o più probabilmente sistema, alcuni fiori appena recisi. Una grande distesa di vegetazione, resa con tratti eccezionalmente liberi e materici, è visibile attraverso le finestre del loggiato, che si estendono per tutta la larghezza della tela. I tetti delle case vicine emergono al di sopra degli alberi, mentre la finestra a destra riflette una debole immagine dell’interno stesso, dando vita a un complesso gioco di distanze e vicinanze. La luce del sole di mezzogiorno entra in scena, facendo luccicare la vetrata a macchie, catturando i contorni a spirale della brocca di cristallo e facendo risplendere la chioma ramata di Julie di un colore oro pallido.


Gli accostamenti audaci di tinte complementari opposte, i capelli arancioni contro il paesaggio verde ad esempio, sottolineano e aumentano l’illusione dello spazio, mentre il gioco di toni strettamente correlati, come i verdi, i blu e i gialli delicatamente mescolati del giardino, produce l’effetto opposto. “Diviso come un Piet Mondrian dall’inquadratura della finestra e dal piano rettangolare del tavolo, la tela è una delle composizioni più calibrate di Morisot”. (Charles Stuckey)

I dipinti di Morisot che ritraggono la sua unica figlia (quasi cinquanta tele al compimento del dodicesimo anno di età) costituiscono il progetto pittorico più ampio e innovativo di tutta la sua carriera. “La figlia divenne l’ossatura, l’architettura stessa di tutta la sua produzione artistica. La presenza costante di Julie divenne la sostanza e il leitmotiv della sua opera” . (Delphine Montalant)

Piuttosto che affidare l’educazione di Julie alle scuole, Morisot curò il suo sviluppo intellettuale e creativo a casa, assumendo insegnanti di pianoforte e violino per promuovere il suo talento musicale, incaricando Mallarmé di istruirla in letteratura e composizione e insegnandole lei stessa disegno, pittura e storia dell’arte. “Eravamo sempre insieme, io e la mamma” , ricorderà in seguito Julie. “Dipingeva a casa durante il giorno e, quando uscivamo, portava con sé dei quaderni per farmi degli schizzi”.



Nell’opera di Morisot, si vede Julie crescere come in un album fotografico, un effetto di intimità pittorica che riproduce l’esperienza soggettiva dell’artista di coinvolgimento materno nella crescita dell’amata figlia. Non appena Julie superò l’infanzia, Morisot iniziò a ritrarla impegnata in ogni forma di attività creativa indipendente, sviluppando una vita intellettuale e artistica che riecheggiava quella della madre, ma che era in gran parte sua. Da bambina, realizzava Torte di sabbia (Les Pâtés de Sable - Bibi et son tonneau) nel giardino di Bougival; crescendo, leggeva, scriveva, disegnava, cuciva e faceva musica, rimanendo sempre radicata nel calore e nell’intimità della casa. “Davanti alla veranda”trasmette questa nuova capacità creativa in modo sottile ma particolarmente toccante.

L’intensa concentrazione di Julie nell’atto puramente estetico di disporre i fiori, con la testa rivolta verso l’osservatore per sottolineare il suo tranquillo raccoglimento, fa da parallelo al lavoro artistico della stessa Morisot. L’uso del telaio della finestra per strutturare la composizione sottolinea nel contempo il momento preciso dell’atto, mentre la superficie straordinariamente movimentata della tela, senza dubbio ineguagliata fino al tardo Monet o addirittura all'Espressionismo astratto, costituisce un vero e proprio registro del processo pittorico. “L’opera di Berthe legava Julie sempre di più a lei, non solo come prodotto della sua creazione e oggetto del suo sguardo amorevole, ma anche come una sorta di partner nell’arte, l’unica persona con cui poteva condividere al meglio le proprie idee e convinzioni artistiche. L’arte diventa un modo per costruire la propria identità, per coltivare quella di Julie e per unire le due cose in quello che per Morisot è l’essenziale legame familiare”. (Greg Thomas)


Morisot scelse di esporre “Dans la véranda” in tre diverse occasioni, più di qualsiasi altro dipinto della sua opera, a testimonianza dell’alta e duratura stima di cui godeva questa bella e audace composizione. Anche il magnifico “Après le déjeuner”, il più importante contributo di Morisot alla Settima Esposizione Impressionista, (che raffigura una giovane donna seduta sulla stessa veranda di Bougival e allo stesso tavolo di bambù), non fu mai più esposto durante la vita di Morisot. Il quadro fu uno dei cinque dipinti che Morisot presentò all’Exposition Internationale della Galerie Georges Petit nel 1887; lo ripropose nuovamente cinque anni dopo da Boussod & Valadon, nella sua prima mostra personale. La tela fu venduta durante quell’esposizione al noto compositore Ernest Chausson per la straordinaria cifra di tremila franchi: un prezzo record per Morisot all’epoca, che sarebbe stato superato solo una volta nella sua vita, quando lo Stato francese acquistò “Jeune Femme en toilette de bal” nel 1894 per il prestigioso Musée du Luxembourg. Su richiesta di Morisot, Chausson prestò “Dans la véranda” al Salon de la Libre Esthétique di Bruxelles del 1894, al quale l’artista partecipò insieme all’adolescente Julie, e il quadro rimase nella collezione della sua famiglia per più di quarant'anni.


Nel 1896, l’anno successivo alla morte prematura di Morisot, che lasciò Julie orfana a soli sedici anni, “Dans la véranda” fu presentato in una vasta retrospettiva commemorativa presso Durand-Ruel che Julie organizzò con l’assistenza di Degas, Monet, Renoir e Mallarmé. Non meno di ventisei collezionisti prestarono dei dipinti alla mostra, rivelando la dimensione pubblica del successo di Morisot e la visione privata che aveva informato il suo lavoro. Nella sua recensione della mostra pubblicata su Le Mercure de France, il critico Camille Mauclair ha scelto il quadro in questione per un plauso particolare: “Pochi capolavori – ‘Dans la véranda’ (di proprietà di Monsieur Ernest Chausson) e la ‘Jeune femme en robe de bal’ - bastano a garantire che il nome di Madame Berthe Morisot vivrà per le generazioni future, anche se queste dovranno rinunciare al privilegio di apprezzare in prima persona la bellezza e il calore di questa artista e di questa donna straordinaria”. (M.@rt)



view post Posted: 13/1/2024, 15:07 by: Milea     +1Dopo pranzo (Après le déjeuner) - Morisot

Berthe_morisot_apres_le_dejeunerP

Berthe Morisot
Dopo pranzo (Après le déjeuner)
1881
olio su tela - 81 x 100 cm.
Collezione privata


La tela è un dipinto emblematico di Berthe Morisot, considerata da molti suoi contemporanei “l’impressionista per eccellenza”. Questa opinione fu espressa in una delle recensioni della Settima Esposizione Impressionista, tenutasi nel 1882, l’anno successivo alla realizzazione di “Après le déjeuner”; sembra che questo quadro sia stato il più rilevante dei lavori di Morisot a quella mostra, dove figurava con il titolo “A la campagne” e aveva suscitato le lodi di diversi recensori. In seguito, il quadro fu inserito nella retrospettiva postuma dell’opera di Morisot, organizzata dalla giovane figlia Julie Manet.



Appartenuto a un importante collezionista francese, Henri Vever, fu poi acquistato da Joshua Montgomery Sears, membro di una delle famiglie note come “bramini di Boston” e sostenitore dell’Impressionismo; “Après le déjeuner” passò poi per le mani di diversi suoi discendenti prima di essere acquistato dalla signora Albert D. Lasker, terza moglie di uno dei padri della pubblicità moderna, che fu determinante nell’incoraggiare sia la filantropia che le abitudini collezionistiche delle sue figliastre, avute dal marito durante il primo matrimonio, una delle quali sposò Leigh B. Block e l’altra Sidney Brody, la cui collezione arrivò a comprendere “Nu au plateau de sculpteur” di Pablo Picasso (noto anche come “Nudo, foglie verdi e busto”), un quadro del 1932 della sua amante Marie-Thérèse Walter, venduto per 106.482.500 dollari da Christies nel 2010.



Nu au plateau de sculpteur (Nude, Green Leaves and Bust)
1932
olio su tela - 162 × 130 cm.
Collezione privata (in prestito a lungo termine alla Tate Modern, Londra)


“Après le déjeuner” è stato dipinto a Bougival, dove Morisot e il marito Eugène Manet, fratello del celebre pittore Edouard, avevano affittato una casa. Si trovava in una posizione comoda, non distante da Parigi e anche a molti altri impressionisti e artisti dell’epoca, non ultimo il cognato Edouard, che soggiornava a Versailles. Anche Pierre-Auguste Renoir si trovava nelle vicinanze; infatti, quell’anno dipinse “En déjeuner à Bougival”, meglio conosciuto come “Le djeuner des canotiers”, il capolavoro oggi conservato presso la Phillips Collection, Washington D.C. Circondata da un ampio giardino, la casa al numero 4 di rue de la Princesse era un ambiente perfetto per la pittura di Berthe e la casa sufficientemente spaziosa per la famiglia, a cui si era aggiunta la figlia Julie, nata tre anni prima. I Manet torneranno a Bougival in questo periodo dell’anno per diverse volte di seguito, a partire dal 1881, dove l’artista dipinse una serie di opere, molte delle quali raffigurano sua figlia o la sua domestica, o altre figure come il marito e una donna di nome “Marie”. Sembra che sia proprio quest’ultima ad essere raffigurata in “Après le déjeuner”, secondo una lettera di Eugène in cui sembra riferirsi al quadro come “il tuo quadro di Marie sulla veranda”.


I quadri di Berthe Morisot di questo periodo combinano una gestione pittorica apparentemente libera, ottenendo la ricca variazione di pennellate alla prima stesura, così rivoluzionaria per Manet, con una sofisticata padronanza del colore e del tono, qui visibile nell’uso sapiente dei grigi, dei verdi e dei viola. Tutti questi elementi si completano a vicenda e contribuiscono anche a mettere in risalto la vivacità dei fiori sullo sfondo e i delicati toni della pelle del soggetto, che sembra quasi coinvolgere l’osservatore e, a sua volta, il pittore, con uno sguardo pensieroso che ricorda la donna de “Le bar aux Folies-Bergères” di Manet, dipinto nello stesso periodo. Il quadro è caratterizzato da una straordinaria vitalità, accentuata dai guizzi di colore con cui Morisot costruisce questo ricco repertorio cromatico.

Bougival sarà l’ambientazione di numerosi e acclamati quadri di Morisot. Una nota contemplativa simile a quella ottenuta in questa vibrante immagine è presente nel dipinto della governante “Pasie cousant dans le jardin de Bougival”, ora al Musée des Beaux-Arts di Pau. Nel frattempo, l’eleganza di “Après le déjeuner” assume una connotazione domestica nel quadro del marito e della figlia, “Eugène Manet et sa fille dans le jardin de Bougival”, uno dei suoi pochi ritratti maschili dello stesso anno, oggi conservato al Musée Marmottan di Parigi.


“Après le déjeuner” fu inclusa nella settima mostra degli impressionisti, organizzata da Paul Durand-Ruel. All’epoca dei preparativi per l’esposizione, Morisot si trovava a Nizza, mentre Eugène era tornato a Parigi poiché aveva un incarico nell’amministrazione pubblica. Era quindi in grado di gestire il contributo di Morisot e si accorse che gli altri impressionisti avevano già iniziato l’allestimento Alla tela in esami si aggiunsero solo in seguito altre che egli recuperò dai magazzini di Bougival o dal suo mercante Alphonse Portier, che gliela fornì. Eugène scrisse ripetutamente alla moglie, descrivendo i diversi modi in cui “Après le déjeuner”, o “Marie”, come lo chiamava lui, era stato appeso, dato che la collocazione iniziale aveva una scarsa illuminazione. Alla fine riuscì a inviare il tanto desiderato parere del fratello da condividere con Berthe: “Edouard che è venuto alla mostra questa mattina dice che i vostri quadri sono tra i migliori”. Nella stessa lettera, spiega che anche Duret si era congratulato con lui per i quadri della moglie, prima di stabilire i prezzi che richiedeva, indicando quest’opera come la più costosa, segno della sua qualità.


Nel 1896, “Après le déjeuner” fu una delle tele selezionate per la retrospettiva postuma delle opere della Morisot che si tenne l’anno successivo alla sua morte nelle gallerie Durand-Ruel, organizzata in parte dalla figlia adolescente Julie, abilmente assistita da alcuni amici della madre, tra cui Degas, Renoir e Claude Monet; la prefazione del catalogo fu scritta da Stéphane Mallarmé. Nel suo diario, Julie scrisse dei litigi di Degas con gli altri durante l’allestimento della mostra, che non era destinata al pubblico ma agli amici. Monet e Renoir, tuttavia, ebbero la meglio e Julie rimase incantata dal risultato: “È un paradiso, con la delicatezza femminile unita alla potenza del disegno. Ah, Maman, che talento! La tua opera non mi è mai sembrata così bella come oggi; è il riflesso di un’anima pura.... Che differenza fa per me piangere Maman circondata da tutte queste cose che ha creato e che incarnano lei stessa” (J. Manet, Crescere con gli impressionisti: Il diario di Julie Manet). (M.@rt)




view post Posted: 13/1/2024, 12:24 by: Milea     +1Giovane donna in abito da ballo (Jeune Femme en toilette de bal) - Morisot

Morisot_Jeune-Femme-en-toilette-de-balP

Berthe Morisot
Giovane donna in abito da ballo
(Young Girl in a Ball Gown - Jeune Femme en toilette de bal)
1879
olio su tela - 71,5 x 54 cm.
Musée d'Orsay, Parigi (non in vista)


Questa eccezionale e semplice evocazione di una giovane donna sconosciuta in abito da ballo è l'esatto contrario del ritratto mondano o ufficiale realizzato dai pittori abituali del Salon. In quest’opera l’impressionismo incontra l’arte di Édouard Manet, cognato di Berthe. Tuttavia, nonostante la modernità del suo stile, la critica aveva sempre sostenuto Morisot.


Così, quando l'artista presentò una quindicina di quadri alla quinta mostra impressionista del 1880, tra cui questo, Charles Ephrussi, nella Gazette des Beaux-Arts, scrisse una recensione poetica e un'analisi sensibile dei dipinti: “Berthe Morisot è molto francese nella sua distinzione, eleganza, allegria e disinvoltura. Ama la pittura gioiosa e vivace; macina petali di fiori sulla tavolozza, per spargerli poi sulla tela con tocchi ariosi e spiritosi, gettati un po’ a casaccio. Questi si armonizzano, si fondono e finiscono per produrre qualcosa di vitale, fine e affascinante”.





Queste osservazioni, benché generali, si applicano perfettamente a questo quadro in cui una modella siede tra fiori e piante che trovano un’eco, tanto nelle forme quanto nel trattamento, nelle guarnizioni del suo abito. Berthe Morisot gode anche del riconoscimento degli artisti e vende subito la sua “Ragazza in abito da ballo” a Giuseppe de Nittis (1846-1884), pittore italiano che partecipa alla prima Esposizione degli Impressionisti. Il quadro passò poi nella collezione del critico d’arte Théodore Duret (1838-1927) che, grazie alle pressioni del poeta Stéphane Mallarmé (1842-1898), accettò nel 1894 di venderlo allo Stato. (M.@rt)







view post Posted: 12/1/2024, 22:05 by: Lottovolante     +1L'ELÈVE INTERÉSSANTE - Marguerite Gérard - ARTISTICA


Non è più morale la libera unione di due amanti che si amano,
che l’unione legittima di due esseri senza amore?





Marguerite Gérard
con la collaborazione di Jean-Honoré Fragonard
L'Élève intéressante
1787
Olio su tela
64,6 x 55 cm
Parigi, Musée du Louvre


Solo di recente il nome di Marguerite Gérard è riemerso dalla lunga ombra gettata dal cognato Jean-Honoré Fragonard. È stato necessario un lungo e paziente processo di riabilitazione prima che l'artista trovasse finalmente il suo meritato posto nella storia della pittura francese tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. La graduale ricostruzione della sua opera, grazie al lavoro di Sally Welles-Robertson, Jean-Pierre Cuzin e più recentemente di Carole Blumenfeld, ci ha permesso di riscoprire questa importante artista femminile.


Nata nel 1761, Marguerite Gérard lasciò Grasse nel 1775 per Parigi, dove raggiunse la sorella Marie-Anne, che aveva sposato Fragonard. Quest'ultimo prese subito la cognata sotto la sua ala protettrice e la formò, dapprima nel disegno e successivamente nella stampa. Nel 1778 la giovane firmò la sua prima stampa, "Il gatto in fasce", ma il suo talento di pittrice crebbe rapidamente e in breve tempo fu in grado di collaborare con Fragonard stesso, contribuendo in varia misura ai dipinti che realizzarono insieme. Nel frattempo, il suo stile artistico individuale si evolse, distinguendosi presto dall'arte del cognato. Sviluppò temi e linguaggi propri, che le assicurarono il successo fino ai primi decenni del XIX secolo.


Il dipinto presenta una delle composizioni più riuscite della giovane Marguerite Gérard, se non la più riuscita, nonostante l'inizio della carriera dell'artista. Negli anni successivi la pittrice raggiunse raramente una tale felicità nella composizione e una tale raffinatezza nella tecnica. Per questo dipinto Marguerite si ispirò a varie fonti, ma la sua influenza principale fu la pittura olandese del Secolo d'Oro, in particolare quella dei fijnschilders, i pittori della vita quotidiana e degli interni intimi, ammirati per la loro tecnica pittorica estremamente precisa e dettagliata, nonché per la resa quasi ossessivamente illusionistica di tessuti e superfici. Emulando lo sviluppo dell'arte del cognato negli anni 1770-1780, Marguerite Gérard rivolse il suo sguardo a pittori come Gerard ter Borch, Gabriel Metsu e Frans van Mieris il Vecchio, traendo dai loro esempi la sua tecnica delicata e precisa e il suo gusto per le scene di interni. Insieme a Louis-Léopold Boilly, suo esatto contemporaneo, fu una delle prime a incoraggiare la moda di questi temi.


Marguerite aveva solo ventisei anni quando dipinse "L'élève intéressante", la sua prima tela importante, ma in essa dimostrò di aver acquisito una completa padronanza della tecnica pittorica. Il trattamento delicato dei tessuti, la fluidità delle loro pieghe e la lucentezza dell'abito di raso della giovane donna, così come la resa delle superfici e la lucentezza del metallo, sono tutti eseguiti con il più perfetto occhio per i dettagli. La composizione è arricchita dalla presenza dominante di una profusione di opere d'arte - sculture, stampe, dipinti - e di oggetti della vita domestica: dalla sfera metallica in basso a sinistra della tela alle due statuette sul tavolo, dal cappello della giovane donna appoggiato con disinvoltura sul gruppo scultoreo al supporto su cui è collocato. Molti di questi elementi si ritrovano nelle opere successive dell'artista, come ad esempio il tavolo a tre gambe su cui poggia la scultura. Questo interessante dettaglio, raffigurante due amorini che si contendono un cuore (o forse Amore e amicizia) riprende una composizione a suo tempo celebre, a lungo considerata un'invenzione di Falconet, ma in realtà attribuibile ai fratelli Nicolas e Joseph Broche.


Il titolo dell'opera, "L'élève intéressante", è noto dall'iscrizione su di una nota incisione di Géraud Vidal. Sebbene si possa essere tentati di vedere Marguerite Gérard stessa nella giovane donna assorta nella contemplazione di una stampa, sembra che tale ipotesi debba essere scartata: Vidal dedicò la sua stampa a "Mlle Chéreau" e il monogramma "AC" appare al centro dell'iscrizione, circondato da una corona di fiori. Questi elementi suggeriscono che la giovane donna ritratta è in realtà Anne Louise Chéreau, nata nel 1771 e proveniente da una famiglia di incisori e editori di stampe. A prima vista, il soggetto del dipinto è molto semplice, ma è possibile che nasconda un significato più profondo. Attraverso il titolo, "L'élève intéressante", gli elementi disposti nella stanza e la sfera metallica in basso a sinistra, Marguerite Gérard sembra presentare allo spettatore un enigma da decifrare. La stampa che Anne Louise Chéreau tiene in mano non è di poco conto: si tratta di una stampa della "Fontana dell'amore" di Fragonard, eseguita da Regnault nel 1785, che fu molto ammirata; il tema dell'amore è evocato anche nel gruppo scultoreo dei fratelli Broche. Infine, la sfera di acciaio levigato posta a terra sopra una stampa accartocciata, il cui modello è difficile da identificare, funge da specchio nel dipinto, riflettendo l'immagine del resto della stanza e di quattro figure tra cui la stessa Marguerite Gérard, seduta al suo cavalletto con alle spalle il suo maestro e mentore Fragonard. Le altre due figure sono state identificate come Marie Anne Fragonard e Henri Gérard o forse lo stesso incisore Géraud Vidal.


Al di là delle sue qualità puramente tecniche, l'opera solleva ancora una volta la questione del rapporto artistico tra Marguerite Gérard e suo cognato e maestro Fragonard. Tralasciando la possibilità, talvolta suggerita, di una relazione intima tra il maestro e la sua giovane e affascinante cognata, è stata spesso proposta la teoria che i due pittori abbiano collaborato a molti dei primi dipinti di Marguerite. Sembra ormai assodato che Fragonard, nei primi dipinti realizzati dalla giovane cognata e allieva, debba aver spesso collaborato alla progettazione della composizione, oltre a fornire uno o più dettagli. In un'ottica maliziosa, Fragonard è responsabile del gatto bianco (che aveva già aggiunto a un precedente dipinto di Gérard, "Il gatto d'angora") che stuzzica il cane sdraiato su uno sgabello ricoperto di velluto blu. È forse un'allusione a una marcata complicità che andava oltre la semplice collaborazione artistica? (Mar L8v)



view post Posted: 11/1/2024, 21:34 by: Lottovolante     +1IL RITROVAMENTO DI MOSÈ - Orazio Gentileschi - ARTISTICA




Orazio Gentileschi
Il ritrovamento di Mosè
(The Finding of Moses)
1630 circa
Olio su tela
257 × 301 cm
Londra, National Gallery


In questa vasta tela Orazio Gentileschi raffigura la storia dell'Antico Testamento del ritrovamento di Mosè (Esodo 2, 2-10). Quando il Faraone decretò che tutti i neonati figli di ebrei dovevano essere uccisi, il piccolo Mosè fu messo dalla madre in una cesta e nascosto tra i giunchi per garantire la sua sicurezza. Miriam, la sorella di Mosè, si nascose nelle vicinanze e osservò la figlia del Faraone che veniva a fare il bagno nel fiume Nilo, accompagnata dalle sue dame di compagnia. Quando trovò la cesta e il bambino al suo interno, la figlia del Faraone propose di portarlo a palazzo. Miriam si fece avanti e, dopo essersi offerta di trovare qualcuno che aiutasse ad allattare il bambino, andò a prendere la propria madre - e quella di Mosè. La figlia del faraone chiamò il bambino Mosè, che significa "estratto dall'acqua", poiché lo aveva salvato dalle esse.





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Questo dipinto monumentale è composto da nove figure femminili a grandezza naturale che si affollano intorno alla cesta al centro della composizione. Appena strappato dall'acqua, è in questa cesta che vediamo Mosè, grassoccio e guizzante, su un lenzuolo bianco stropicciato. Diverse donne si chinano in avanti per osservare questa sorprendente scoperta: due a destra fanno un gesto verso il fiume, indicando il punto in cui è stata trovata la cesta. La donna con il magnifico abito giallo impreziosito da gioielli è la figlia del faraone. La figura minuta inginocchiata rispettosamente in basso a sinistra è Miriam, e accanto a lei - vestita di rosso e bianco e con un braccio protettivo intorno a sé - c'è sua madre.





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Dopo una carriera internazionale che lo portò a lavorare in città come Roma, Genova, Torino e Parigi, Orazio arrivò a Londra nel 1626 per assumere un incarico alla corte del neo-incoronato re Carlo I. Fu qui che, all'inizio degli anni Trenta del Cinquecento, gli fu commissionato il dipinto Il ritrovamento di Mosè per la moglie di Carlo, la regina Henrietta Maria. Il dipinto era quasi certamente destinato a celebrare la nascita del loro figlio ed erede, il futuro Carlo II. "Il ritrovamento di Mosè" ebbe certamente un significato speciale per Henrietta Maria, che lo rivendicò come sua proprietà personale dopo la Restaurazione e lo conservò nei suoi appartamenti privati. Una variante strettamente correlata, oggi conservata al Museo del Prado di Madrid, fu inviata da Orazio in dono a Filippo IV di Spagna nel 1633, probabilmente per commemorare la nascita dell'erede di Filippo nel 1629.





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Orazio Gentileschi
Il ritrovamento di Mosè
(The Finding of Moses)
1633
Olio su tela
242 x 281 cm
Madrid, Museo del Prado


Insieme ad Anthony van Dyck e Peter Paul Rubens, Orazio fu uno dei principali pittori internazionali che vennero a lavorare alla corte di Carlo I in Inghilterra. I dipinti che realizzò a Londra si distinguono per la ricchezza dei colori, l'abile resa dei tessuti lussuosi e l'eleganza di corte. Di tutte le sue commissioni reali, Il ritrovamento di Mosè è la più ambiziosa e mostra una raffinatezza e una bellezza senza pari. In effetti, gli abiti delle donne sono così squisitamente rappresentati che quasi eclissano il contenuto narrativo del dipinto. Il paesaggio idilliaco sulla destra, con i suoi dolci pendii e gli alberi verdeggianti, evoca più la campagna inglese che l'Egitto, dove è ambientata la storia di Mosè. Si tratta di una decisione deliberata da parte di Orazio, poiché il dipinto era originariamente appeso nella Queen's House di Greenwich, sulle rive del Tamigi, dove l'artista decorò anche il soffitto della Great Hall (forse con la figlia Artemisia, che lo raggiunse brevemente a Londra alla fine degli anni Trenta del XVI secolo). (Mar L8v)





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view post Posted: 11/1/2024, 15:58 by: Milea     +1Giovanni Fattori - Lo staffato - I Macchiaioli

Giovanni_Fattori_lo_StaffatoP

Giovanni Fattori (1825-1908)
Lo staffato
1880
firmato in basso a destra: “G.Fattori di Livorno”
olio su tela - 90 x 130 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Il tema militare aveva rappresentato per Fattori negli anni sessanta, un canale attraverso il quale aderire alla realtà degli eventi contemporanei e degli ideali nazionali. A partire dagli anni settanta tuttavia, e ancor più in vecchiaia, emerge dalle lettere e dagli appunti scritti dal pittore, l’amara constatazione che i sogni quarantotteschi e risorgimentali, ai quali molti artisti aveva profondamente creduto, si erano infranti nei compromessi della politica: “Entrai nel mondo amando e credendo: finirò scoraggiato maledicendo” scriverà ai primi del Novecento.

Tale ripiegamento porta l’artista livornese a isolarsi nel proprio lavoro, che appare scevro da facili soluzioni e da qualsiasi forma di “abbellimento” in una sorta di severo disincanto; si pensi alla sua pittura di scene agrestri, di paesaggi e alle sue figure di contadini. Specchio di questo mutato atteggiamento nei confronti della vita del paese, è proprio la sua pittura di soggetto militare, attraverso una numerosa serie di tavole e disegni dedicati principalmente alla routine della vita marziale: soldati a riposo, bivacchi, pattuglie in esplorazione intenti in manovre o in esercitazione, sono studiati con interesse sincero e resi attraverso una pittura cruda, sintetica, capace di rendere con esattezza i dettagli e il contesto paesistico e ambientale, e, talvolta, un’atmosfera di attesa o di desolata rassegnazione.



Giovanni Fattori
Soldati abbandonati
1873 circa
Collezione privata


In alcune opere traspare addirittura una vena di amara denuncia e la trasposizione della realtà si accompagna a una cupa riflessione sulla guerra e sui suoi orrori, come in “Soldati abbandonati” in cui il pittore ne svela gli aspetti disumani e tragici, raffigurando i corpi di due caduti sconosciuti che giacciono su una strada desolata, in putrefazione sotto il sole, con “nient’altro che venga a violare il silenzio terribile del loro perduto orizzonte, se non le macchie scure di qualche pino lontano, oppresse da un vuoto cielo di gesso”. Non più quindi le grandi battaglie risorgimentali della giovinezza. In età matura Fattori si concentra su singoli anonimi episodi, che rivelano il dramma della guerra, vista ora sempre più come un fatto distruttivo e portatore di morte. Al posto degli scontri in armi, l’esito tragico di quegli eventi. Il messaggio è chiaro: non si deve morire per la patria, ma vivere per essa.

Così nello “Staffato”, il soldato disarcionato dal suo cavallo, non raffigura solo un cruento incidente ma vuole rappresentare, in tutta la sua drammaticità, quella realtà, simbolo della tragedia universale, a cui il mondo va incontro. L’idea per il quadro gli fu suggerita dall’amico Renato Fucini, come lo stesso scrittore ricorderà in “Acqua Passata”: “Il quadro lo fece per mio suggerimento. Stando un giorno a dipingere una scena di guerra dove era un folto gruppo di soldati a cavallo, in fuga, gli domandai: ‘O l’idea di fare uno staffato, in queste cariche, in queste fughe, non t’è mai venuta?’ Mi guardò meravigliato, in aria interrogativa. Sempre lui! Non sapeva cosa era uno staffato. Lo illuminai, gli piacque e fece subito il quadro che destò ammirazione e fu sollecitamente e bene comprato da un ricco intelligente amatore”.



Giovanni Fattori
Studio per lo “Staffato” (recto)
disegno a china
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze




Giovanni Fattori
Studio per lo “Staffato” (verso)
disegno a china
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Prima di realizzare il definitivo dipinto su tela, Fattori aveva eseguito un disegno preparatorio con tecnica a china su supporto cartaceo (applicata con due tratti differenti: più leggero nel paesaggio, più marcato in corrispondenza delle due figure), firmato in basso a destra. Sul retro, lo stesso artista ha indicato la tavolozza dei pigmenti, cioè i colori utilizzati nelle varie versioni su tela con tecnica ad olio eseguiti dal Maestro fino ad arrivare al dipinto definitivo. Le pennellate fluide tracciano le figure senza conoscere momenti di sosta, dividendo la tela in due fasce distinte: l’ocra della strada sterrata e il bianco livido di una giornata senza sole, che si incontrano nella linea dell’orizzonte, nella desolazione di un paesaggio arido e spoglio. Un cavallo nero in fuga trascina tra la polvere e i sassi il corpo di un soldato, rimasto impigliato con un piede nella staffa; la coda e la criniera del morello sono rese con due macchie di colore sfumate, per dare il senso del movimento. Nella sostanziale monocromia dell’insieme, spicca la scia di sangue lasciata dal corpo dell’uomo, le cui mani sembrano ormai inutilmente cercare appiglio nel terreno.


Alla presentazione dell’opera alla Mostra della Società Donatello (Firenze, 1880) e durante altre occasioni espositive di poco successive, la crudezza del soggetto stupì il pubblico e determinò le lodi da parte della critica di indirizzo “naturalista”, che apprezzò la capacità di restituire l’esattezza del vero, coinvolgendo lo spettatore; qualche voce più rara criticava la “scena triste da rabbrividire, che ispira un senso di orrore e ripugnanza”. Persino la regina Margherita di Savoia, secondo un episodio narrato dallo scrittore Romualdo Pantini, si commosse fino alle lacrime dinanzi al dipinto, esclamando:“E’ così straziante che nessuno potrà soffrirne la vista in un salotto”. In realtà negli anni successivi l’opera, insieme ad altre appartenenti alla tarda attività di Fattori, incontrò una relativa sfortuna critica: forse troppo asciutta, drammatica e veritiera era la riflessione su quanto fosse costato il Risorgimento all’Italia, e quanto fosse difficile, nel presente, continuare a meritare tanto sacrificio. (M.@rt)



view post Posted: 9/1/2024, 12:39 by: *Vanilla*     +1Golden Globe 2024, l’abito di Gillian Anderson è un trionfo di…vagine - TV, CINEMA & TEATRO


Beh... dopo centocinquanta ore di ricamo
dieci minuti per rifinire l’orlo inferiore non li hanno trovati?





view post Posted: 8/1/2024, 21:33 by: Milea     +1CAMICIE ROSSE (Garibaldini) - Umberto Coromaldi - ARTISTICA

Umberto_coromaldi_camicie_rosseP

Umberto Coromaldi (Roma 1879 - 1948)
Camicie rosse (Garibaldini)
1898
Firmato e datato in basso a sinistra: “Coromaldi 98”
olio su tela - 185 x 160 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


In una luminosa giornata di sole un gruppo di anziani veterani garibaldini, vestiti con le camicie rosse e con una grande bandiera tricolore in spalla, incontra una giovane mamma coi due figli. Sullo sfondo del paesaggio si vedono il colle Gianicolo, dove il 20 settembre del 1895 era stato inaugurato il monumento equestre a Garibaldi, Ponte Garibaldi e il quartiere di Trastevere. Incuriosito, il bambino più grande si è avvicinato; uno dei veterinari gli appoggia confidenzialmente una spalla sulla spalla. La bimba, invece, intimidita forse dalle barbe bianche, che tanto spiccano sul rosso delle camicie, si ritrae, nonostante le parole rassicuranti della donna. Il dipinto, conosciuto anche col titolo “Garibaldini”, fu presentato da Coromaldi come saggio finale del Pensionato di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, vinto dall’artista, quattro anni prima, con l’opera Il “Ritorno dei naufraghi”.


Fausto Vagnetti in un articolo pubblicato nel 1918 su Emporium ne spiegava così l’iconografia: “…immaginò dei vecchi Garibaldini che attraversano il Ponte Cestio in vista del Monumento dell’Eroe. Hanno una bandiera, un giovanetto del popolo segue i gloriosi rimasti e ne sente il fascino, una madre con la creatura in braccio si ferma al passaggio”. In quest’opera, datata in iscrizione al 1898, Coromaldi, futuro pittore di paesaggi della campagna romana, ha abbandonato del tutto la consueta retorica patriottica. Gli ideali risorgimentali sono ormai trascorsi ed il soggetto storico è trasformato in un episodio quotidiano. Le lotte di liberazione sono solo un ricordo, conservato nella memoria dal racconto degli anziani. Un bozzetto del 1897 documenta l’originaria idea della composizione, che si sarebbe dovuta sviluppare in orizzontale, lasciando maggiore spazio alla veduta del paesaggio romano alle spalle dei personaggi.


La realizzazione del quadro “en plein air” comportò un lungo studio da parte dell’artista, tanto che nel maggio del 1898, al momento del giudizio della Giunta, il dipinto non era ancora ultimato a causa delle condizioni meteorologiche, che ritardavano la resa dal vero dell’illuminazione solare della scena. La tela rappresenta, attraverso una scena al forte impatto realistico, l’ideale passaggio di consegne tra vecchie e nuove generazioni: gli anziani, stanchi combattenti trovano nella curiosità del ragazzo il futuro della memoria e dell’esempio, mentre raccontano le glorie passate.


Il bianco e il rosso delle vecchie divise contrasta con la quotidianità degli abiti della madre e dei bambini, dai colori sobri e dall’aspetto modesto, come il passato di lotta e sacrifici, tinto di sangue e di eroismo, in contrasto con un mite presente di pace. Umberto Coromaldi, futuro pittore di visioni campestri e marine su modello verista, dipinge qui una scena di gusto “deamicisiano”, edificante; la potente vena espressiva trasforma però l’evidente retorica patriottica in un vivo episodio quotidiano, in un commovente richiamo agli ideali del Risorgimento nazionale.


In realtà questa immagine affettuosa e nostalgica non corrisponde pienamente alla realtà politica del momento e dello spirito garibaldino, che proprio a fine secolo (nel 1898, la “Società di Mutuo Soccorso fra Garibaldini” fondata dallo stesso generale, divenne “Società Reduci dalle Patrie Battaglie”, da cui deriva la tuttora esistente “Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini”) dimostra ancora la sua vitalità e combattività. Le associazioni garibaldine, organizzate dal figlio del generale, Ricciotti, che era stato accanto al padre nelle battaglie di Bezzecca e Mentana, continuavano e continuarono infatti a operare in nome della libertà dei popoli. Il 17 maggio 1897 volontari garibaldini combatterono in Grecia, a Domokos, sul fronte tessalico della lotta di indipendenza per la liberazione di Creta, che era sotto il dominio dell’Impero turco. Mentre l’esercito greco era ormai in rotta, i garibaldini, molti dei quali caduti sul campo, combatterono gloriosamente indossando le camicie rosse. (M.@rt)




view post Posted: 8/1/2024, 21:08 by: Lottovolante     +1GIUDITTA NELLA TENDA DI OLOFERNE - Johann Liss - ARTISTICA


"Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,
siede Rachel di sotto da costei
con Bëatrice, sì come tu vedi.

Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
che fu bisava al cantor che per doglia
del fallo disse ’Miserere mei’"

(Dante Alighieri, Paradiso, XXXII Canto XXXII)





Johann Liss
Giuditta nella tenda di Oloferne
(Judith in the Tent of Holofernes)
1622 circa
Olio su tela
128.5 × 99 cm
Londra, National Gallery


Il coraggio e la bellezza dell'eroina ebrea Giuditta sono celebrati in questo dipinto, che esprime sia la sensualità che il sangue della sua leggenda. Quando la sua città natale, Betulia, fu assediata dalle forze assire, Giuditta si infiltrò nel campo nemico. Disarmati dal suo aspetto, i soldati le credettero quando offrì loro assistenza. Riuscì a entrare nella tenda del generale assiro Oloferne e, quando questi era ubriaco dopo un banchetto, afferrò la sua spada e gli tagliò la testa.


Liss mostra il momento immediatamente successivo, con Giuditta che depone la testa di Oloferne in un sacco tenuto aperto dalla sua ancella; il bianco del suo bulbo oculare destro rovesciato è appena visibile. Lo sguardo di Giuditta è fermo e risoluto quando si volta a guardare lo spettatore, ma le sue guance sono arrossate, la pelle lucida di sudore e le labbra carnose e lucide. I capelli a spirale sono sfuggiti al turbante e si appoggiano alla carne liscia del collo. Il corpo di Giuditta è parzialmente nudo: lo sforzo ha allentato la chemise, scoprendo la schiena e le spalle. Oloferne è seminudo, con solo le lenzuola stropicciate che coprono la parte inferiore del corpo. Questi accenni di sensualità riflettono l'intimità dell'omicidio, avvenuto quando i due erano soli di notte nella tenda: Oloferne credeva che Giuditta stesse cercando di sedurlo, non di ucciderlo.


È impossibile evitare i rivoli di sangue, così densi da catturare la luce, che sgorgano senza sosta dal collo mutilato di Oloferne, raffigurato più squadrato del volto di Giuditta. Il torso muscoloso di lui è in parte messo in ombra dal corpo di lei, evidenziando la giustapposizione delle loro braccia sinistre illuminate. Ai muscoli di lui fanno eco le pieghe svolazzanti delle voluminose maniche di lei, sottolineando la vittoria dell'astuzia femminile sulla forza maschile.


Le loro membra e i loro corpi sono posizionati in modo da creare un cerchio continuo che sale attraverso l'ampia curva del corpo di Giuditta, attraverso le tre teste - quella di Giuditta, della serva e di Oloferne - e scende fino alla ferita insanguinata di Oloferne, lungo il suo braccio destro e di nuovo verso Giuditta. Gli spessi drappeggi di seta e la consistenza cremosa del turbante dipinto contrastano con la lucentezza gialla del cadavere di Oloferne e con il luccichio della sua armatura fredda nella parte inferiore del quadro.


Gli spettatori contemporanei avrebbero saputo che, secondo il Libro di Giuditta, la donna rimase pura e senza macchia, e che la castità della sua conquista rese la sua vittoria ancora più giusta. Questa composizione e la varietà della tessitura esaltano la narrazione, contrapponendo il piacere all'orrore e ingannando lo spettatore proprio come Giuditta ingannò Oloferne. La drammaticità della composizione, la forza dei gesti e l'uso di forti contrasti di luce e ombra sono tipici del periodo barocco e riflettono in particolare l'opera del pittore italiano Caravaggio, di cui Liss deve aver visto i dipinti durante la sua permanenza a Roma negli anni Venti del XVI secolo. (Mar L8v)

view post Posted: 8/1/2024, 10:26 by: Macinino     +1TRASTEVERINA UCCISA DA UNA BOMBA - Gerolamo Induno - ARTISTICA


Ecce Agnus dei




Nella... Aylan... e tanti altri. TROPPI!
Tragedie antiche e moderne, ma sempre tragedie.

Dopo quanti morti scatta la pietà?


view post Posted: 7/1/2024, 20:37 by: Lottovolante     +1RITRATTO DI MADAME DE L'HORNE E SUO FIGLIO - Henri-Pierre Danloux - ARTISTICA




Henri-Pierre Danloux
Ritratto di Madame de l'Horme e suo figlio
(Portrait of Madame de l'Horme and her son)
1801
Olio su tela
101.6 x 83.8 cm
Collezione privata


I protagonisti di questo tenero ritratto di una madre e del suo bambino sono Madame Barthélémy Fleury de l'Horme (1774-1835) e il suo quarto figlio, Jean-Louis-Ernest (1800-1878). Tra il 1791 e il 1816, lei e il marito, originario di Lione, ebbero nove figli - sette maschi e due femmine - due dei quali morirono in tenera età. Danloux ritrae Madame de l'Horme mentre accoccola il figlio piccolo sulle ginocchia, momentaneamente distratta da qualcosa che vede dalla finestra a sinistra.





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Quando la donna solleva la tenda, la luce entra irrompe illuminando il suo abito bianco e il tessuto di raso giallo pallido drappeggiato sul lato della culla. L'intimità e la spontaneità della scena ricordano il ritratto che Danloux fece della moglie e del figlio un decennio prima, in cui fece anche uso di suggestivi effetti di chiaroscuro. Il presente dipinto è rimasto nella famiglia degli autori fino al 1987.


Danloux si formò inizialmente con Nicolas-Bernard Lépicie e Joseph-Marie Vien, che seguì in Italia nel 1775 dopo la nomina di Vien a direttore dell'Accademia di Francia a Roma. Dopo il suo ritorno in Francia, Danloux visse per un breve periodo a Lione; tornò a Parigi nel 1785 dove si affermò come noto ritrattista con l'aiuto della Baronnessa d'Etigny, di cui sposò la figlia adottiva nel 1787.


La Rivoluzione costrinse Danloux e la sua famiglia a fuggire a Londra nel 1792. Durante il suo soggiorno decennale in Inghilterra, conobbe e subì l'influenza di ritrattisti inglesi alla moda come Thomas Lawrence, John Hoppner e, in particolare, George Romney. Espone regolarmente alla Royal Academy tra il 1792 e il 1800 e riceve numerose commissioni in Inghilterra e Scozia. Nonostante il successo ottenuto all'estero, tornò in Francia con la famiglia nel 1801, anno in cui eseguì il "Ritratto di Madame de l'Horme". (Mar L8v)





Edited by Jeanne Hebuterne - 7/1/2024, 21:01
view post Posted: 7/1/2024, 17:40 by: Milea     +1TRASTEVERINA UCCISA DA UNA BOMBA - Gerolamo Induno - ARTISTICA

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Gerolamo Induno (Milano 1825-1890)
Trasteverina uccisa da una bomba
firmato e datato in alto al centro: “G. Induno.1850”
olio su tela - 114,5 x 158 cm.
Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma


“E’ un quadro che ti imprime nella memoria e ti comanda la meditazione intorno ai fatti più tremendi della vita pubblica, ottenendo così tutto intero l’intento della pittura storica”. Con queste parole il critico milanese Giuseppe Rovani lodava il dipinto, presentato alla mostra annuale di Brera del 1850. L’autore Gerolamo Induno, allora venticinquenne, era reduce dalla cruenta ed eroica difesa della Repubblica Romana. Qui si era guadagnato il soprannome di tutta una vita, diventando “quello delle baionette del casino Barberini”: barbaramente assalito dai francesi, era infatti sopravvissuto a un numero imprecisato di colpi, saliti negli anni da quindici fino a diventare ventisette. Abbandonata Roma e rifugiatosi in Svizzera prima di rientrare a Milano, Induno era dunque un rivoluzionario; il fatto che questo suo dipinto, evidentemente legato all’esperienza romana appia potuto raggiungere le sale della prima esposizione “di restaurazione” dopo il ritorno dell’ordine austriaco, ha dell’incredibile.


Raffigura l’interno di una povera stanza dove giace una giovane, poco più di una bambina, vestita con costume popolare romano, uccisa dallo scoppio di una bomba penetrata attraverso la parete. Probabilmente stava cucendo presso la finestra e il tavolo su cui sedeva è stato ribaltato dalla forza dell’esplosione; dal muro crollato penetra la luce chiara di un giorno di sole. Il riferimento al tragico assedio francese è evidente e con tutta probabilità il soggetto è tratto da un episodio realmente accaduto; esiste infatti una serie di quattro disegni preparatori, che mostrano la figura ritratto da più angoli, che lasciano intendere uno studio approfondito e dal vivo.


Le cronache contemporanee, inoltre, avevano riportato con insistenza il dramma del popolo trasteverino, il più colpito dal tradimento francese, che aveva proposto una tregua, poi non rispettata. Al realismo descrittivo Induno sovrappone una serie di riferimenti pittorici, una parte da ricercarsi nella coeva pittura di genere europea, principalmente francese che per prima aveva dato origine al tema popolare, e principalmente al “soggetto romano”, in opere che restituivano la semplicità della vita quotidiana come ultimo epico riflesso dell’antico sangue romano; caposcuola del genere era a Roma lo svizzero Louis Léopold Robert, fra i primi a tradurre il soggetto di costume nella grande dimensione, in composizioni di matrice classica e cinquecentesca.

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Louis Léopold Robert
(La Chaux-de-Fonds, 1794 - Venezia, 1835)
Giovane ragazza di Sezze (Jeune Fille de Sezze - Young girl from Sezze)
1831
olio su tela - 62,5 x 50,5 cm
Musée des Beaux-Arts, La Chaux-de-Fonds (Svizzera)



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La seconda e non meno importante serie di riferimenti è data dalla formazione lombarda del pittore e rimanda alle suggestioni cromatiche del maestro Francesco Hayez, ma anche alla pittura “di fronda” del pavese Cherubino Cornienti, pensionato romano, maestro di maggior furore cromatico. La giovane infatti sembra collocarsi a metà strada tra opere come “La Ciociara” di Hayez e la ben più drammatica “La moglie del Levita Efraim” di Cornienti.

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Francesco Hayez (Venezia, 1791 - Milano, 1882)
La ciociara
1842
olio su tela - 140 x 103 cm.
Collezione privata, Bergamo




Cherubino Cornienti (Pavia, 1816 - Milano, 1860)
La moglie del Levita di Efraim
Iscrizioni: in basso al centro - NON FINITO - lettere capitali - a pennello
1846 circa
olio su tela - 150 x 200 cm.
Pinacoteca di Brera, Milano



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Nonostante il giovane Induno fosse all’esordio, ebbe un notevole successo di pubblico; a esposizione conclusa il dipinto venne acquistato dalla Società Promotrice di Belle Arti di Milano, per la somma di seicentocinquanta lire, come attestato dai documenti negli Archivi del Museo della Permanente, che ne conservano ancora il contratto di vendita, datato 21 settembre 1850. In seguito, come spesso avveniva, l’opera veniva estratta a sorte a favore della Società promotrice di Torino, dove la si trova esposta l’anno successivo, per poi essere donata, come da prassi, a uno dei soci. In seguito se ne persero le tracce, fino alla sua ricomparsa sul mercato antiquario nel 2008 e il conseguente acquisto da parte della Galleria d’Arte Moderna di Roma.

Per lunghissimo tempo la memoria di questo dipinto rimase legata a una riproduzione litografica di Giovan Battista Zambelli, posta a illustrare l’opera per la recensione di Tullo Massarani, letterato, politico e amatore d’arte, scrittore, comparsa sulla rivista intitolata “Le Arti Educative”. La pubblicazione, nata con lo scopo di sostenere un’arte impegnata nell’educazione del suo pubblico, inserisce la “Trasteverina” come esempio di una moderna pittura di storia, che commuove ed educa, attraverso lo spirito semplice e anonimo di un’unica, commovente, isolata figura.



Giovanni Battista Zambelli 1852
xilografia - 125x160 mm.
Collezione privata


La descrizione di Massarani sottolinea ulteriormente l’ipotesi che l’episodio rappresentato si arealmente accaduto: il letterato, infatti, componendo un ekphrasis degna della miglior letteratura romantica, racconta la triste storia della piccola Nella, morta nella “grommata stanzuccia di Trastevere”, dove i genitori l’hanno lasciata, fiduciosi, accorrendo alla difesa della città. La piccola parrebbe solo graziosamente addormentata, se non fosse per un unico, terribile segno: un semplice “sprizzo di vermiglio” sulla fronte, tanto drammatico da mettere “freddo nelle ossa” e ricordare la macchia di sangue apparsa sulle mani di Lady Macbeth: il sangue dell’ingiusto sacrificio di un’innocente, indelebile come quello di un delitto: “così dal patetico silenzio della scena emerge un pensiero; e la meta dell’arte è raggiunta”. (M.@rt)






Edited by Milea - 8/1/2024, 18:13
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