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view post Posted: 3/1/2024, 17:33     +12LA FUGA IN EGITTO SU UNA BARCA - Giambattista Tiepolo - Tiepolo

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Giambattista Tiepolo (1696 - 1770)
La fuga in Egitto su una barca
1767 - 1770
olio su tela - 57 x 44 cm.
Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona


Tiepolo si trasferì a Madrid nel 1762; durante gli ultimi anni di vita nella capitale spagnola, l’artista realizzò almeno quattro dipinti del tutto simili per dimensioni che, per quanto successivamente dispersi in diverse collezioni, si può ragionevolmente supporre che costituissero in origine un nucleo unitario, di cui forse si sono perduti alcuni elementi. Il tema comune di queste opere era dedicato alle vicende occorse alla Sacra Famiglia quando, per sfuggire al massacro degli Innocenti ordinato da Erode, vengono invitati dall’apparizione di un angelo a cercare scampo in Egitto. I quattro dipinti giunti fino a noi hanno una sequenza narrativa logica, che ha, come fonte letteraria, i Vangeli apocrifi di Tommaso e dello Pseudo-Matteo.



Giambattista Tiepolo
La fuga in Egitto
1767 - 1770 circa
olio su tela - 55,5 x 41,5 cm.
Galleria di Stato di Stoccarda




Nel primo, conservato alle Staatsgalerie di Stoccarda, la Sacra Famiglia, esausta, è giunta in un arido paesaggio montano, fermi davanti al fiume in piena che non riescono a guadare; non si vede alcun ponte per raggiungere la riva opposta. Questa immagine di disperazione è anche un riferimento alla malinconia del pittore stesso. In Spagna Tiepolo era amareggiato dall’intolleranza della Inquisizione, dalla solitudine in un paese lontano e dalla sensazione di avvicinarsi non solo alla fine della propria vita, ma anche alla conclusione di un’intera epoca: il pittore neoclassico Anton Raphael Mengs, un pittore contemporaneo che lavorava a Madrid in quel periodo, era più ammirato dello stesso Tiepolo.





Nel secondo quadro, qui proposto, l’intervento degli angeli permette loro di superare il fiume grazie a una barca che gli angeli stessi conducono sull’altra sponda. Nel terzo, conservato al Met, appaiono gli stessi angeli che si inchinano riverenti davanti a Maria. E’ uno dei suoi dipinti più raffinati: combina un’innovativa composizione asimmetrica, che sfrutta lo spazio vuoto, e una tavolozza fredda animata dai contorni tremolanti del paesaggio, della parete rocciosa, dell’angelo prostrato e della Sacra Famiglia. La Vergine è monumentale mentre avvolge protettivamente il figlio, sovrastando di gran lunga le modeste dimensioni dell’opera. La famiglia è appena scesa dalla barca che li ha traghettati attraverso il fiume Nilo, anche se questa topografia immaginaria sembra più ispirata alle Alpi che all’Egitto.




Giambattista Tiepolo
La fuga in Egitto
1767 - 1770
olio su tela - 60 × 41,3 cm.
Metropolitan Museum of Art, New York




Il quarto dipinto che fa parte della collezione Torre e Tasso a Bellagio, reca invece l’immagine del riposo della Sacra Famiglia durante il periglioso viaggio. Comune sono anche le qualità stilistiche delle splendide opere, contraddistinti dal segno grafico un po’ tremolante che peraltro descrive con cura le figure, dalla qualità luminosissima dei colori lievi, quasi pastello, e dall’ambientazione delle scene all’interno di paesaggi di amplissimo respiro, per lo più caratterizzati da incombenti roccioni, del tutto inusuali nella produzione dell’artista veneziano. (M.@rt)



Giambattista Tiepolo
Riposo durante la fuga in Egitto
1767 - 1770
olio su tela - 60 x 45 cm.
Collezione Torre e Tasso, Bellagio




view post Posted: 2/1/2024, 18:06     +7LA MADONNA DEL ROSETO - Martin Schongauer - ARTISTICA

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Martin Schongauer (1450 circa - 1491)
La Madonna del Roseto (La Vierge au buisson de roses)
1473
olio su tavola - 200 × 115 cm.
Colmar, Chiesa di San Martino


Come nelle raffigurazioni che risentono del Medioevo, la tavola dell’artista tedesco raffigura Maria e il Bambino in un hortus conclusus, circondati da rose e fringuelli. Il dipinto è conservato nella grande chiesa gotica, già dell’Ordine domenicano, costruita nel XIII e XIV secolo a Colmar, piccola Venezia sull’acqua presso Strasburgo. La devozione mariana conobbe un forte impulso nel XV secolo, quando, in seno ai domenicani di Colonia, nacque il movimento rosariano; la Vergine, simbolo di unione fra natura divina e umana, divenne il tema prediletto dai pittori. La Vergine non indossa la consueta veste azzurra con il manto rosso (la natura umana ammantata da quella divina), ma indossa un abito cremisi, in attinenza simbologica con le rose e quasi una “Mater dolorosa”.



I cardellini rappresentano l’anima che sopravvive alla morte; nell’arte italiana sono gli uccelli preferiti a scopo devozionale: alludono alla redenzione e sono simbolo di protezione contro la peste. Inoltre, poiché amano cibarsi di spine e cardi, simboleggiano la Passione di Cristo. Albrecht Dürer li celebrerà con lo stesso intento nella Madonna del Lucherino del 1506.


Il roseto di rose rosse, che se accostate a Cristo alludono alla Passione, è simbolo della purezza (la rosa bianca) di Maria; in Dante “la bianca rosa” è simbolo del Paradiso e contiene, entro i suoi petali, i beati. Il tema e la composizione generale presentano analogie con la precedente e molto più piccola “Madonna del roseto” di Stefan Lochner.




Stefan Lochner (circa 1400/1410–1451)
Madonna del roseto
1440 - 1442 circa
olio e tempera su tavola - 51 x 40 cm.
Wallraf–Richartz Museum, Colonia



La “Madonna del roseto” fu dipinta come pala d’altare della chiesa di San Martino, il più grande santuario cristiano di Colmar, e vi rimase fino al furto avvenuto nel gennaio 1972. Nel 1480 Schongauer e i suoi collaboratori avevano dipinto anche un polittico monumentale per la stessa chiesa; quest’opera Pala d’altare dei Domenicani: Infanzia e Passione di Cristo, (Retable des Dominicains), sopravvissuta solo in parte, è oggi conservata nel Museo di Unterlinden. Una piccola copia cinquecentesca del dipinto di Schongauer, oggi conservata all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (Massachusetts) mostra lo stato originale della tavola prima che venisse tagliata su tutti i lati, in una data sconosciuta, per nascondere i danni probabilmente causati da una caduta; inizialmente misurava circa cm 255 x 165 cm. L’attuale cornice gotico-rinascimentale del dipinto è un’opera dello scultore Jacques Alfred Klem (1872-1948). (M.@rt)







view post Posted: 2/1/2024, 11:48     +6L'ARMADIO DELLA BIANCHERIA - Pieter de Hooch - ARTISTICA

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Pieter de Hooch (1629 - 1684)
L’armadio della biancheria
(Interior with Women beside a Linen Chest)
1663
olio su tela - 70 x 75,5 cm.
Rijksmuseum, Amsterdam


Opera tra le più celebri di Pieter de Hooch, si pone a cerniera tra la fine del periodo trascorso a Delft e il trasferimento ad Amsterdam. Rivolgendosi a un pubblico dai gusti più esigenti, si comprende una certa maggiore monumentalità rispetto alle opere precedenti. Il dipinto è di un fascino profondo: la signora sta facendo ordine nella biancheria, aiutata dalla governante, mentre la bambina, che dovrebbe imparare come si conducono le faccende domestiche, preferisce giocare a golf, passatempo inventato alla fine del XIII° secolo, proprio nei Paesi Bassi, presso una città chiamata Loenen aan de Vecht.


Quadri e altre opere d’arte decorano l’interno domestico, a conferma della propensione della società olandese del Seicento verso il collezionismo. De Hooch affronta temi analoghi a quelli di Jan Vermeer e come il famoso collega getta uno sguardo sul mondo segreto dell’ intimità delle case. L’intenzione tuttavia è diversa: Vermeer coglie sempre il lato umano delle situazioni, De Hooch descrive con affetto e attenzione i contesti ambientali, gli episodi, i personaggi.

Alcune tele di De Hooch sono diventate immagini simbolo della società olandese del pieno Seicento. Protagonista morale di questo dipinto è la figura della esemplare madre di famiglia, che, all’interno di una casa perfettamente pulita e ordinata, insegna alla figlia le virtù domestiche, che tuttavia, probabilmente per la tenera età, è ancora molto attratta dai giochi. (M.@rt)




view post Posted: 2/1/2024, 10:44     +1DONNA CHE SBUCCIA LA MELA - Gerard Ter Borch - ARTISTICA


Pittore di piccole tele, poeta di una realtà intima e familiare, Ter Borch ha concentrato la propria attenzione su alcuni soggetti di interno. Una luce smorzata spiove sulle figure e sugli oggetti, rivelandone pazientemente l’essenza materiale e la profonda moralità, in linea con i precetti del calvinismo e di un ordine sociale basato sui valori della famiglia. Il motivo della donna che sbuccia una mela è infatti ricorrente nella pittura olandese in quanto simbolo di vita virtuosa. Il velo nero della madre e soprattutto lo scoperto simbolismo funebre della candela spenta in piena evidenza sul tavolo, potrebbero alludere alla scomparsa del padre di famiglia, e giustificare ulteriormente il sentimento di silenziosa malinconia che spira nell’incantevole dipinto. (M.@rt)



view post Posted: 1/1/2024, 14:56     +14Anthony van Dyck - I tre figli maggiori di Carlo I - van Dyck

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Anthony van Dyck (1599-1641)
I tre figli maggiori di Carlo I
1635
olio su tela - 154 x 151 cm.
Torino, Galleria Sabauda


Il dipinto rappresenta i figli dei sovrani inglesi Carlo I d’Inghilterra e Enrichetta Maria di Francia. Capolavoro assoluto, la tela fu dipinta quale regalo della regina Enrichetta Maria a sua sorella Maria Cristina di Francia, sposa di Vittorio Amedeo I, duca di Savoia, per offrire loro un intenso ritratto dei tre nipoti. Sulla sinistra è effigiato Carlo, principe di Galles, all’età di cinque anni; il primogenito rivolge lo sguardo allo spettatore accarezzando la testa del suo cane, un bellissimo setter spaniel.


Con la restaurazione degli Stuart nel 1660 regnerà come Carlo II, fino al 1685. Il dipinto di Torino, considerato uno dei più incantevoli ritratti di bambini di van Dyck, è particolarmente delicato negli accostamenti cromatici, giocati su tonalità tenui e bilanciate, ed è eccezionalmente raffinato nella resa dei tessuti e degli incarnati.


In una lettera il conte Cisa, ministro del duca di Savoia a Londra, racconta che il re si era infuriato con il pittore per aver vestito i figli troppo da bambini. Lo stesso anno, forse per placare le ire del sovrano, il maestro fiammingo dipinse un nuovo ritratto dei bambini ora conservato nel Castello di Windsor, in cui Carlo indossa un abbigliamento più da adulto. Questa seconda versione, rimasta in Inghilterra, sarà largamente copiata: ne esistono versioni a Dresda, al Louvre, al Metropolitan e in svariate “country houses” isolane.

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Anthony van Dyck
The Three Eldest Children of Charles I
(Nov 1635 - Mar 1636)
olio su tela - 138.8 x 151.7 cm.
Queen’s Gallery, Windsor Castle









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Al centro della scena la bambina di quattro anni è Maria, futura sposa dello Stadhouder d’Olanda, Guglielmo d’Orange, padre di quel Guglielmo d’Orange che sposerà un’altra Maria, figlia di Giacomo II, che regnerà sulle isole britanniche, congiuntamente alla consorte, come Guglielmo III.


Seguendo una consuetudine molto radicata nelle grandi famiglie, fino a due/tre anni i maschietti venivano vestiti come le femmine: un atto scaramantico contro la morte prematura dell’erede. L’effigiato è infatti, Giacomo, duca di York, di appena due anni; stringe tra le mani una mela, probabile simbolo di fecondità. Futuro re come Giacomo II, alla morte del fratello maggiore, regnerà per soli quattro anni: nel 1688 Guglielmo d’Orange, con l’appoggio del Parlamento e il favore degli anglicani, lo sconfiggerà, costringendolo all’esilio.


Le pieghe del tappeto, dovute probabilmente ai continui spostamenti dei piccoli modelli, tradiscono la loro impazienza alle lunghe pose dinanzi al pittore. La rosa, fiore sacro a Venere e attributo delle tre Grazie, probabilmente allude alla bellezza dei fanciulli. Straordinaria appare la capacità del pittore nella resa delle fisionomie e degli abbigliamenti preziosi, della raffinatezza dei pizzi e dei riflessi cangianti delle stoffe, che lo connota come il più importante ritrattista del Seicento presso le corti e le famiglie aristocratiche europee.





Anthony van Dyck dipinse varie volte i figli del re: il primo quadro giunto a noi è del 1632, anno dell’arrivo del pittore a Londra, e raffigura i sovrani con Carlo e Maria, ancora molto piccoli.

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Anthony van Dyck
Carlo I e Henrietta Maria con il principe Carlo e la principessa Mary
(The Greate Peece)
1632
olio su tela - 303.8 x 256.5 cm.
Royal Collection Trust



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Un dipinto del 1637 immortala i tre principini, a cui si sono aggiunti nel frattempo Elisabetta e Anna, in un arrangiamento molto simile a quello dell’opera torinese, alla quale si avvicina per l’alta qualità.



Anthony van Dyck
Portrait of Charles II (1630-1685) as Prince of Wales
1641
olio su tela - 56.3 cm x 107.5 cm.
Collezione privata


Esistono anche ritratti singoli del primogenito e di Maria, datati 1641, anno del matrimonio di quest’ultima, di appena nove anni, con il quattordicenne Guglielmo d’Orange. Nel ritratto a figura intera, la principessa, il giorno dopo la cerimonia, di rito anglicano, indossa un abito rosa decorato con ricami e nastri d’argento, con l’anello nuziale e la collana ricevuta come regalo di nozze.



Anthony van Dyck
Ritratto della principessa Mary (1631-1660)
1641
olio su tela -158.2 x 108.6 cm.
Collezione privata



Il matrimonio ebbe luogo il 2 maggio del 1641 nella Cappella Reale del Palazzo di Whitehall, a Londra, ma non fu consumato subito a causa della giovane età della sposa. Nel 1642 Maria seguì il marito nelle Province Unite accompagnata dalla madre, Enrichetta Maria. Nel ritratto dei due sposi (Marriage portrait) il principe indossa un abito di velluto rosso e Maria il tradizionale abito da sposa color argento.



Anthony van Dyck
Ritratto di Guglielmo II di Nassau-Orange e la principessa Maria
(Marriage portrait)
William II, Prince of Orange, and his Bride, Mary Stuart
1641
olio su tela - 180 x 132.2 cm.
Rijksmuseum, Amsterdam






Di tutte queste tele si contano, come consuetudine, numerose copie, mentre tre dei figli di Carlo I saranno dipinti da Peter Lely, nel 1646, nella tenuta del duca di Northumberland, loro tutore mentre il padre è prigioniero dei parlamentari. (M.@rt)







view post Posted: 1/1/2024, 13:41     +14IL COMBATTIMENTO NELLA PIAZZETTA DELL'ALBERA - Faustino Joli - ARTISTICA

«Lieta del fato
Brescia raccolsemi,
Brescia la forte,
Brescia la ferrea,
Brescia leonessa d’Italia
beverata nel sangue nemico.»
Giosuè Carducci, Alla Vittoria
(Odi Barbare, Libro V, 1877)


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Faustino Joli (Brescia 1814 - 1876)
Episodio delle Dieci Giornate di Brescia
Il combattimento nella Piazzetta dell’Albera il 31 marzo
sul muro della casa a sinistra: “31 MARZO / 1849”
1849 circa
olio su tela - 32,5 x 41 cm.
Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia, Brescia


L’opera fa parte di una celebre serie di quattro tele conservate nelle raccolte dei Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia, che immortalano alcuni dei momenti salienti delle eroiche, sfortunate “Dieci Giornate” dell’insurrezione anti austriaca di Brescia, protrattasi dal 23 marzo al primo aprile del 1849: Il popolo radunato in Piazza il 23 marzo, Il combattimento nella Piazzetta dell’Albera il 31 marzo, Incendi e saccheggi a Porta Torrelunga il 31 marzo e La Barricata a San Barnaba in 31 marzo.


Il 31 marzo del 1849 avvenne l’ultima delle disperate e gloriose giornate insurrezionali di Brescia, la “Leonessa d’Italia”: l’ultima città, insieme a Venezia, che capitolerà stremata in agosto, a resistere alla ormai inevitabile e violenta restaurazione del governo austriaco. In questo dipinto, realizzato insieme ad altri quattro dall’artista bresciano in memoria degli avvenimenti e quasi contemporaneamente al loro accadimento, la pennellata rapida e precisa del pittore di genere, paesaggista e autore di vedute urbane, si presta perfettamente all’attenta, commossa testimonianza dell’estrema, eroica resistenza dei bresciani alla soverchiante forza militare nemica, in parte respinta, grazie ad un ingegnoso complesso di barricate, favorite dall’impianto medievale di vicoli e piazze.


In questo dipinto infatti, Joli rappresenta un momento della strenua resistenza dei patrioti alle truppe austriache, che scendevano dal castello attraverso via San Urbano, nei pressi dell’attuale piazzetta Tito Speri. La prospettiva della scena, ben costruita, indirizza lo sguardo dell’osservatore nel vicolo a sinistra, in fondo al quale si intravedono i soldati, in parte caduti e ammassati sul terreno, e in parte in avanzamento.


Sulla destra, invece, protetti dalla lunga muraglia di una casa, sono schierati i bresciani. Alcuni armati si preparano allo scontro, risoluti di fronte alle incitazioni dei compagni, altri trasportano i feriti al riparo, mentre altri ancora, caduti sotto il diretto fuoco nemico, giacciono abbandonati. L’occhio attento del pittore riprende con cura e precisione la ricca varietà di situazioni ed emozioni che permeavano quegli incredibili momenti: il coraggio, il dolore, la pietà fraterna degli insorti, pronti (come narrano le cronache) a lanciarsi in eroico soccorso dei compagni. (M.@rt)






Edited by Milea - 6/1/2024, 14:37
view post Posted: 31/12/2023, 16:02     +11LIBRERIA - Giuseppe Maria Crespi - ARTISTICA



Giuseppe Maria Crespi, detto Spagnolo
(Bologna, 1665 - 1747)
Libreria (Sportelli di libreria con testi musicali)
1720 - 1725 circa
olio su legno - 165 x 153 (senza mobile)
(sportello sinistro 165,5 x 78 cm; sportello destro 165,5 x 75,5 cm.)
Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, Bologna


Dipingere immagini impossibili da distinguere dalla realtà è stata una sfida per artisti di tutte le epoche. La capacità di ingannare lo spettatore facendo sembrare reale il dipinto attraverso le leggi dell’ottica e della prospettiva è un gioco visivo di cui si conoscono i primi esempi dalle descrizioni nei testi letterari greci. Da allora, il trompe-l'œil è stato ampiamente presente nelle arti, particolarmente fiorente in periodi come il Rinascimento e il Barocco, dopodiché declinò seguendo il Romanticismo, ma non scomparve mai del tutto dal repertorio artistico.


Il trompe-l'œil di Giuseppe Maria Crespi non è un quadro, ma il pittore bolognese ha realizzato il dipinto sulle ante di una libreria appartenuta a Padre Giambattista Martini (1706-1784), rispettato e temuto critico di rilevanza europea, grande compositore e insegnante di musica, ma anche erudito enciclopedico e appassionato collezionista, che fu in contatto con i grandi musicisti e studiosi europei, e che ha lasciato un copioso epistolario e una “immensa collezione di libri stampati che gli costò oltre mille zecchini”.


Il tema della scansia aperta con oggetti è un classico della natura morta e risale alle tarsie lignee della seconda età del Quattrocento. Superbo capolavoro della natura morta italiana del Settecento, le finte librerie, piene di polverosi libri musicali e spartiti, velocemente consultati e riposti senza troppa cura, si inseriscono in modo illusionistico fra veri scaffali di biblioteca. Come sempre nella natura morta realistica si avverte un senso di malinconia, legato al tempo che trascorre inesorabilmente: i libri e gli spartiti di Giuseppe Maria Crespi si avvicinano “spiritualmente” agli strumenti musicali di Baschenis o, più indirettamente ai frutti caravaggeschi.



Evaristo Baschenis (1617/ 1677)
Natura morta con strumenti musicali
1660 - 1670
olio su tela - 75 x 108 cm.
Accademia Carrara, Bergamo




Giuseppe Maria Crespi dipinge i tomi con grande accuratezza e interpreta con straordinaria sensibilità un sostanziale monocromo, giocato sui toni bruni delle rilegature, delle vecchie pergamene e delle assi di legno anticipando, in un certo senso, le nature morte novecentesche di un altro grande pittore bolognese, Giorgio Morandi. Collocata inizialmente nel convento di San Francesco, la libreria nel 1801 fu trasferita nell’ex convento di San Giacomo, oggi Conservatorio di musica (Conservatorio Martini). (M.@rt)




view post Posted: 30/12/2023, 19:42     +17LA STORIA DELLA PARRUCCA - CAFFE' LETTERARIO

La storia della parrucca




Nicolas de Largillière (Parigi, 1656 - 1746)
Ritratto di un uomo in abito viola (Portrait of a Man in a Purple Robe)
1700 circa
olio su tela - 79,5 x 62,5 cm.
Museumslandschaft Hessen , Kassel (Germania)


Anticamente la parrucca era un accessorio indossato fin dall’antico Egitto da uomini e donne, non necessariamente per compensare la perdita dei capelli, ma principalmente come segno di status. In Europa, l’origine di questa usanza, intorno a fine Seicento, fu dovuta alla sifilide: William Clowes, medico del XVII° secolo, scriveva di una “moltitudine infinita” di pazienti sifilitici che a quel tempo intasavano gli ospedali di Londra. I segni della malattia includevano, oltre a ferite aperte, eruzioni cutanee, cecità e demenza, anche la perdita di capelli a chiazze, problema piuttosto imbarazzante, poiché una testa calva danneggiava la reputazione di una persona.


Ma oltre alla moda e all’eccezione dei malati di sifilide, la più importante ragione era legata ai pidocchi. Nel Seicento e nel Settecento, soprattutto in Francia, i capelli veri erano generalmente molto sporchi e pieni di questi insettini, poiché si credeva che lavarsi il corpo e i capelli favorisse il passaggio delle numerose malattie attraverso la dilatazione dei pori della pelle e del cuoio capelluto causata dall’acqua calda. Per questo, i bagni erano rarissimi anche presso la nobiltà, e dunque la parrucca aveva lo scopo di nascondere i vari problemi che i capelli presentavano, assieme alla loro tintura con pomate che ne coprissero il vero colore e l’untuosità.



Hyacinthe Rigaud
Ritratto di Luigi XIV con gli abiti dell’Incoronazione
1701
olio su tela - 277 × 194 cm.
Museo del Louvre, Parigi


La moda iniziò durante la Guerra dei Trent’anni (1618 - 1648) che determinò un netto cambiamento del vestire maschile. A partire dagli anni Trenta del Seicento infatti, tutti gli uomini predilessero abiti in stile militaresco, portando con pose spavalde cinturoni, lunghe spade e pesanti stivali in cuoio. Trionfò la mascolinità bellicosa, e si voleva a tutti i costi esibire un rude aspetto guerresco, oltre che nel vestito, anche nell’abbondante peluria, emblema evidente di virilità.


Oggetto di leggi, divieti, pene, ma anche di uno sconfinato interesse, nel Settecento si diffuse ampiamente l’uso della parrucca maschile. Fu infatti in questo periodo che questa moda ebbe la sua massima espressione, nata in Francia nella seconda metà del Seicento, sotto il Re Sole, Luigi XIV (1638 - 1715), che avendo perduto tutti i capelli a causa di una febbre violentissima, che lo colpì in giovane età, iniziò in età adulta a portare una parrucca del colore dei suoi veri capelli (nero corvino) e a imporre tale usanza presso tutti i suoi cortigiani, sia uomini che donne. La consuetudine di portare la parrucca non era una novità tra i reali; infatti già suo padre, Luigi XIII (1601-1643), aveva iniziato a indossarla per nascondere la calvizie che lo aveva colpito intorno ai trentacinque anni.



Philippe de Champaigne
Luigi XIII
1635
olio su tela - 108 x 86 cm.
Museo del Prado, Madrid




Anche la regina Elisabetta I d’Inghilterra (1533-1603), avendo perso la sua capigliatura fulva a causa di una misteriosa febbre, usava portarne una rossa e ricciuta, che aveva però un aspetto innaturale, poiché la fronte appariva quanto mai ampia, come rasata, essendo l’attaccatura dei capelli molto alta.



Johannes Corvus
Queen Elizabeth I (Ritratto di Darnley)
1575 circa
olio su tavola - 113 x 78,7 cm.
National Portrait Gallery, Londra




Nel Seicento la Francia, grazie alla stabilità politica e alle sue numerose colonie apportatrici di ricchezze dal Nuovo Mondo, era vista come il Paese più fiorente di tutta l’Europa, oggetto di ammirazione da parte di tutte le altre nazioni, centro del buon gusto europeo. Fu così che, per emulare la moda francese, l’utilizzo della parrucca si propagò presto in tutto il continente europeo e progressivamente nel resto dell’Occidente, soprattutto nel XVIII° secolo. Inizialmente, la parrucca aveva semplicemente il compito di sostituire la “capigliatura” andata perduta, ma nel Settecento iniziò ad essere considerata dai sovrani qualcosa di più: un “accessorio” raffinato, un completamento dell’abbigliamento con cui manifestare tutto lo sfarzo e la propria vanità, anche se si avevano ancora i capelli.



Nicolas_de_Largillierre (1656–1746)
Ritratto di due consiglieri di Parigi in carica nel 1702
Hugues Desnotz, a destra, e uno sconosciuto, presumibilmente Boutet, a sinistra
(frammento del ritratto collettivo del Bureau de la Ville)
(Portrait de deux échevins de Paris)
1704
olio su tela - 119,5 x 152 cm.
Musée Carnavalet, Histoire de Paris, Parigi




Le parrucche più utilizzate erano inizialmente coperte di cipria bianca, capace di conferire un aspetto luminoso ed angelico, ma nel Settecento iniziarono ad apparire anche parrucche colorate di rosa, di viola, di grigio e di marrone.



Pier Leone Ghezzi (1674 -1755)
Autoritratto con parrucca
1747
olio su tela - 67 × 49 cm.
Accademia Nazionale di San Luca


L’uso della parrucca appare a Venezia per la prima volta nel 1688, portata dal conte Scipione Vinciguerra da Collalto e fu subito polemica. Nello stesso anno, il Consiglio dei Dieci emanò un decreto con cui se ne proibiva l’uso a qualsiasi magistrato nell’esercizio delle sue funzioni e con la toga. Ma i dipinti dei pittori veneziani documentano quanto in realtà il decreto fu disatteso e persino nello stesso Consiglio dei Dieci sono ritratti da Gabriel Bella dei magistrati in parrucca.



Gabriel Bella (Venezia, 1720 - 1799)
La Sala del Consiglio dei Dieci
Palazzo Ducale, Venezia


Non tutti adottarono questa acconciatura, ma anzi si registrarono atteggiamenti di forte dissenso, come quello del nobiluomo Erizzo che diseredò per questo motivo il figlio, o quello del nobiluomo Correr che fondò un’associazione contro l’uso della parrucca, di duecentocinquanta membri, che poco alla volta si assottigliò fino a che rimase lui solo. Le parrucche, oggetto molto comodo perché evitavano lunghe sedute dal parrucchiere, erano composte di capelli veri (meglio se biondi) di contadini toscani o parmensi, perché ritenuti più robusti, cuciti su una sottile tela sorretta da leggeri fili di ferro. Entrata nelle case reali fu da qui abbracciata da quasi tutta la popolazione che, dati i costi, se la poteva permettere; la gente più modesta doveva accontentarsi di peli di pecora e capra, crine di cavallo o coda di bue. La Repubblica di Venezia emise un forte dazio sull’importazione dei capelli, lucrando su una usanza che si stava diffondendo nonostante i divieti: non riuscendo a proibirla si pensò di tassarla.



Pier Leone Ghezzi
Autoritratto con parrucca (dettaglio)


Mentre in Francia i capelli veri sotto la parrucca venivano completamente rasati, a Venezia si rasava solamente metà testa, appiattendo i restanti capelli “con pastrocci (pasticci) vari, ma di così perfetta invenzione di speziale (il farmacista dell’epoca), che basta lavarseli con acqua bollente e sapone o liscia (lisciva) e tornano come prima”, secondo quanto si legge su un documento settecentesco.

Le parrucche erano di diversa lunghezza e inizialmente anche di diverso colore, tra i quali prevaleva il bianco ottenuto cospargendola di cipria, che veniva soffiata da un servitore in un apposito stanzino e polverizzata con un piccolo mantice, mentre il volto e il corpo erano protetti con un accappatoio e un cono copriva la faccia.



Philibert Louis Debucourt (1755-1832)
La toilette del Procuratore
(La Toilette d’un Clerc Procureur)
incisione su carta
Trinity College Library, Dublino



Anche le acconciature erano molte e, nel 1769, il parrucchiere Bartelemi, autore di una specie di prontuario dell’acconciatura, ne elencava ben quarantacinque tipi diversi. Nella seconda metà del secolo alla parrucca più lunga si affiancò, per poi prevalere, quella corta, aderente alla testa con due o quattro boccoli piatti ai lati e una coda raccolta da un nastro.



Maurice-Quentin de La Tour (1704 - 1788)
Autoritratto con volant in pizzo
1750 circa
pastello su carta - 64,5 x 53,5 cm.
Musée de Picardie, Amiens


La conseguenza dell’uso di un tale oggetto influenzò la produzione della cipria, le cui manifatture vennero allontanate dal centro storico di Venezia dal Magistrato alla Sanità perché troppo inquinanti, ma anche sulle infinite truffe con le quali individui di pochi scrupoli sostituirono la cipria fatta di farina di riso, utilizzata anche per scopi sanitari, con polvere di gesso, amido mescolato con polvere profumata, farina di grano, legno tarlato, osso bruciato o addirittura calcina. Il principe Francesco I di Modena, invece, si faceva spruzzare polvere d’oro in testa.



Nicolas de Largillière (1656-1746)
Autoritratto
1711
olio su tela - 65 x 81 cm.
Reggia di Versailles (Musée National du Château)


Durante tutto il Settecento fino alla Rivoluzione francese, la moda della parrucca continuò a contagiare gli uomini e successivamente le donne e i bambini. Chi poteva permettersi il parrucchiere personale era esigentissimo: Vittorio Alfieri stesso raccontava di aver lanciato un candeliere contro il domestico che gli aveva inavvertitamente tirato una ciocca di capelli. Meno problematiche le parrucche femminili, che si accostarono a questo accessorio con un certo ritardo: fino alla fine del secolo, furono corte, piatte sulla testa e assolutamente bianche, come testimoniano i numerosi dipinti.



Élisabeth Vigée Le Brun
Marie Antoinette in Court Dress
1778
olio su tela - 273 x 193,5 cm.
Kunsthistorisches Museum, Vienna




La moda cambiò drasticamente quando Leonard, il parrucchiere personale di Maria Antonietta d’Austria, moglie di Luigi XVI di Borbone e re di Francia, acconciò la regina con capelli rialzati artificiosamente più di mezzo metro sul capo, frammischiandoli con nastri di velo. Questa acconciatura, detta pouf o tuppè, fu di moda dal 1770 per circa dieci anni. Le donne europee impazzirono per la nuova foggia: Carolina Maria d’Austria, regina di Napoli, chiese ed ottenne che Leonard venisse di persona, nella convinzione che i parrucchieri della città non possedessero la sua abilità.

Il tuppè era una vera e propria parrucca, fatta solo in parte coi propri capelli; aveva un’armatura ondeggiante, nascosta dai capelli, di filo metallico ed era imbottito da un cuscinetto di crine di cavallo coperto con capelli veri e finti, pettinati in modo da formare una sorta di piramide. L’acconciatura, su cui venivano inseriti numerosi oggetti, era poi fissata con lunghi spilloni.



Joseph Boze (1745 - 1826)
Maria Giuseppina Luisa di Savoia (1753–1810) contessa di Provenza in abito bianco
1786
olio su tela - 191,5 x 134 cm.
Hartwell House, Buckinghamshire



Tutto ciò era scomodo e malsano, sia perché portato su capelli non lavati, ma tenuti in piega da oli e pomate profumati, sia perché attirava inevitabilmente ogni tipo di parassita. Tuttavia l’aspetto più sconcertante erano le incredibili decorazioni che vi venivano appoggiate sopra. La fantasia non aveva limiti: palme, pappagalli, ghirlande d’amore, scale a chiocciola di pietre preziose, navi con le vele al vento spiegate (à la belle poule). Nomi e nomignoli francesi distinguevano i diversi modelli: à la monte du ciel, di altezza vertiginosa, alla cancelliera, alla flora, piena di fiori, al vezzo di perle (ovviamente circondata da giri di perle) à la Turque, à le Figaro, à piramide. Famosi erano i "pouf au sentiment", letteralmente “sgabello dei sentimenti” in cui nella parrucca, considerata come una sorta di altarino, si metteva in mostra ciò che si amava: così chi si sentiva vicino alla natura poneva sulla testa fiori, piante frutta e animaletti imbalsamati, chi pensava alla famiglia sfoggiava i ritratti del marito e dei figli, chi era legato alla patria esponeva orgogliosamente coccarde tricolori.



Coiffure à la Belle-Poule


L’acconciatura era studiata per stupire, sfruttando persino la cronaca del giorno e la manifestazione dei propri sentimenti pur di attrarre teatralmente l’attenzione. Per fare un esempio, quando i fratelli Montgolfier nel 1783 alzarono per la prima volta su Parigi il primo pallone aerostatico, si inventò la “parrucca alla mongolfiera”. Nel frattempo l’altezza di queste strabilianti acconciature aumentò sempre di più, fino a raggiungere il metro, al punto che si diceva che una signora alla moda non riuscisse ad entrare in carrozza se non in ginocchio.



Antoine-François Callet (1741 - 1823)
Maria Teresa Luisa di Savoia (Torino, 1749 - Parigi, 1792), principessa di Lamballe
1776 circa
olio su tela - 214 x 158 cm.
Reggia di Versailles (Musée National du Château)




I parrucchieri ovviamente beneficiarono della moda del tuppè; solitamente uomini, frequentavano anche le abitazioni ed erano ammessi nella stanza più intima della signora, il boudoir. Venivano quindi a conoscenza di tutti i segreti e i pettegolezzi, e non di rado facevano da tramite a tresche amorose. Oltre ai parrucchieri c’erano anche le pettinatrici, dette a Venezia “conzateste”, seppur di minore importanza dei loro colleghi maschi.



Maria Giovanna Battista Clementi (Clementina)
Ritratto di Michele Antonio Saluzzo
(a quattro anni a figura intera con il suo cane)
1734
olio su tela - 86,5 x 51 cm.
Collezione privata


Con la Rivoluzione francese, la parrucca scomparve, almeno in Francia: era uno dei simboli dell’odiata aristocrazia, e uscire coi capelli incipriati era decisamente rischioso, poiché si poteva finire sulla ghigliottina. Nel resto d’Europa rimase ancora per qualche tempo, per trasferirsi poi sulla testa dei valletti. Solo i reazionari più accaniti continuarono a portarla, guadagnandosi il soprannome di “codino”. (M.@rt)


view post Posted: 28/12/2023, 14:31     +13MADONNA DEL CARDELLINO - Giambattista Tiepolo - Tiepolo


Tiepolo-Madonna_of_the_goldfinch_firstP

Giambattista Tiepolo (1696 - 1770)
Madonna del Cardellino (Madonna of the Goldfinch)
1767-1770
olio su tela - 62 x 49,5 cm.
National Gallery of Art, Washington DC (non in vista)



La tela del Tiepolo, che ha ispirato anche il disegno del francobollo natalizio tradizionale di Bradbury Thompson del 1982, è stato un intrigante rompicapo per gli storici dell’arte, poiché nella collezione della National Gallery ne esistono due versioni.

Le differenze tra i due quadri, che a prima vista sembrano minime, sono in realtà piuttosto significative. Il dipinto utilizzato per il francobollo è stato donato alla collezione della National Gallery nel 1943 da Samuel H. Kress: nell’immagine Maria culla Gesù con entrambe le mani, mentre lui tiene il suo mantello in una mano e un cardellino, che simboleggia il suo mortale destino, nell’altra.

Sebbene il dipinto sia raffigurato sul francobollo con la scritta “Tiepolo: National Gallery of Art”, la sua attribuzione al maestro veneziano è stata messa in dubbio da alcuni, che lo ritengono realizzato da un assistente o da figlio del pittore.

L’altra versione del dipinto, entrata a far parte della collezione della National Gallery nel 1997, è sempre stata accettata come opera dello stesso Tiepolo. In questa raffigurazione Maria sembra inclinare un po’ di più la testa verso il basso e il suo mantello è chiuso da una striscia di tessuto sul petto.

In quella che è considerata la versione “primaria” dell’opera, Maria, la cui espressione è del tutto simile in entrambe le versioni, sostiene il Figlio con il solo braccio sinistro.


Differente è invece la rappresentazione di Gesù: una delicata catena avvolge la zampa dell’uccellino e Gesù ne tiene l’estremità nell’altra mano, vicino al petto, anziché aggrapparsi al manto della madre. Sullo sfondo una tenda marrone dorata copre la maggior parte dello spazio dietro la coppia, tranne una striscia di muro grigio pietra alla sinistra dell’osservatore.

Scrivendo per la National Gallery, Diane De Grazia, scrittrice e storica dell’arte, sostiene che la versione del dipinto originariamente presente nel Museo (quella raffigurata sul francobollo) è forse una realizzazione posteriore, dipinta da Tiepolo per un cliente che voleva una composizione simile alla versione primaria.









Edited by Milea - 28/12/2023, 15:30
view post Posted: 27/12/2023, 22:20     +15MADONNA DEL CARDELLINO - Giambattista Tiepolo - Tiepolo


Tiepolo-madonna_of_the_goldfinchP

Giambattista Tiepolo (1696 - 1770)
Madonna del Cardellino (Madonna of the Goldfinch)
1767-1770
olio su tela - 63,1 x 50,3 cm.
National Gallery of Art, Washington DC (non in vista)


In questo dipinto, di formato verticale, Tiepolo raffigura frontalmente la Madonna con in braccio il piccolo Gesù nudo; un velo bianco le nasconde i capelli e mette in ombra la parte destra del viso, mentre un manto azzurro è drappeggiato sulla sua veste di un colore rosa tenue, che diventa più scuro sulle spalle.


Maria appare triste e assorta tanto da chinare il capo, lo sguardo perso nel vuoto; gli occhi scuri si intravedono sotto le sopracciglia arcuate. Conosce il destino che attende il figlio, memore delle parole profetiche pronunciate da Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, durante la presentazione al tempio del piccolo Gesù: “Una spada ti trafiggerà l’anima (Lc 2.35)”.


Tra le braccia incrociate, La Vergine sostiene un paffuto Gesù, con i capelli rosso rame, corti e ondulati, che incorniciano un viso rotondo dalle guance rosee; gli occhi color nocciola fissano seri l’osservatore. Nella mano sinistra tiene un uccello, legato ad un sottilissimo filo, quasi invisibile, mentre con la mano destra afferra l’estremità del velo della Madre.


In epoca medievale, giocare con un uccellino legato alla zampa era un passatempo diffuso tra i bambini, ma assume un significato particolare quando si tratta di un cardellino o di un pettirosso. Nell’arte, il cardellino, per il piumaggio rosso sulla testa, divenne metafora della Passione: si riteneva infatti che vivesse tra le piante di cardo (allusione alla corona di spine), e che la macchia rossa sul suo capino fosse il segno lasciato dal sangue versato da Gesù sulla Croce, quando secondo la leggenda, l’uccellino impietosito cercò di togliere una spina dalla fronte di Cristo.


La presenza del cardellino rappresenta dunque un richiamo diretto alla Passione di Cristo e giustifica l’atteggiamento pensieroso della Madonna. Lo sfondo grigio cemento è arricchito solamente dalla presenza di un morbido drappeggio sulla destra, che tuttavia nulla toglie all’intimità della scena. (M.@rt)






Edited by Milea - 28/12/2023, 13:07
view post Posted: 26/12/2023, 17:41     +14RITRATTO DI GIOVANE DONNA CON PAPPAGALLO - Giambattista Tiepolo - Tiepolo

Tiepolo-Young-woman-with-a-macawP

Giambattista Tiepolo (1696 - 1770)
Ritratto di giovane donna con pappagallo (A young woman with a macaw)
1760
olio su tela - 71 x 53,4 cm.
Museo Ashmolean, Oxford


In una lettera inviata al conte Carrara di Bergamo il 15 dicembre 1760, Francesco Maria Tassi scrive che Tiepolo “ora sta facendo alcune mezze figure di donne a capriccio per l’imperatrice di Moscovia, che non si possono vedere cose più belle e rifinite”. La critica ha collegato a questa citazione almeno tre ritratti femminili di grandissima qualità, certamente risalenti alla fine del sesto decennio del Settecento: questa tela, ora conservata al Museo di Oxford, il suo pendant raffigurante una “Ritratto di giovane donna con pelliccia”, apparso sul mercato antiquario nel 1930 e di cui ora è sconosciuta l’ubicazione, e il “Ritratto di giovane donna con mandolino”, attualmente conservato a Detroit.

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Giambattista Tiepolo (1696 - 1770)
Ritratto di giovane donna con mandolino
1760
olio su tela - 93 x 75 cm.
Detroit Institute of Arts, USA









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Che i primi due ritratti in origine costituissero una coppia, lo prova il fatto che ne esiste una copia realizzata a pastello dal figlio minore di Giambattista, Lorenzo, ora conservata al Museo di El Paso. La copia, insieme al pendant che mostra una donna con un mantello di pelliccia (“Allegoria dell'Inverno”, Kress Collection) potrebbe riprodurre il dipinto ad olio andato perduto.




Lorenzo Baldissera Tiepolo (1736 - 1776)
Ritratto di giovane donna con pappagallo
1761 circa
pastello su carta - 66 x 52 cm.
El Paso Museum of Art, Texas





Lorenzo Baldissera Tiepolo (1736 - 1776)
Ritratto di giovane donna con pelliccia (Allegoria dell’Inverno)
1761 circa
pastello su carta - 66 x 52 cm
El Paso Museum of Art, Texas



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Il “Ritratto di giovane donna con pappagallo” rappresenta indubbiamente il capolavoro di questa serie, che si inserisce nell’ambito dello stretto rapporto instaurato alla fine degli anni cinquanta del Settecento da Giambattista Tiepolo con la corte imperiale di San Pietroburgo e che ha portato all’esecuzione, oltre che dei ritratti citati, anche di numerosi soffitti per la zarina Eisabetta Petrovna e per la residenza del cancelliere di corte, conte Voroncov, andati purtroppo tutti perduti e noti solo attraverso le incisioni da esse tratte da Giandomenico Tiepolo, figlio di Giambattista, nonché fratello del più giovane Lorenzo e nipote di Francesco Guardi e Gianantonio Guardi, essendo la madre di Giandomenico, Maria Cecilia Guardi, sorella dei due vedutisti veneziani.





Questo caratteristico genere veneziano di ritratti poetici o di fantasia deriva da Giorgione, e Tiepolo (celebrato come un ultimo Veronese) si rifece spesso all’arte veneziana del XVI° secolo. Nel dipinto Giambattista Tiepolo ha preso come modello le numerose immagini di cortigiane prodotte dai pittori cinquecenteschi, riprese a seno nudo e ingioiellate, spesso accompagnate da un variopinto pappagallo, simbolo della lussuria. Gli uccelli esotici erano tuttavia comuni nel lavoro del Tiepolo e qui l’ara fornisce un motivo colorato e spiritoso. Il ritratto del cammeo mostra uno dei Cesari, forse Augusto. (M.@rt)













view post Posted: 25/12/2023, 18:16     +2Miti e leggende sulle origini del mondo e dell'uomo - Favole, miti e leggende

La mente e le orecchie


(mito del popolo Shilluk, bacino del Nilo Bianco)


Juok costruiva la Terra. La fece grande e le diede la forma di una sfera sulla quale la luce del sole, a seconda delle inclinazioni, andava a posarsi. Alcuni punti della Terra erano perennemente esposti ai raggi; altri, invece, più a nord, potevano restare giorni e giorni senza ricevere la luce.



Ma il mondo così costruito, Juok se ne rendeva conto, era perfetto. Ogni cosa era al suo posto, e la realtà, allora, si mostrava come una verità indiscutibile.
Juok aveva aggiunto rilievi là dove ce n’era bisogno, praterie riarse o verdi, oceani, mari. Niente era immobile, e la Terra aveva un proprio respiro.

Nel sottosuolo si incontravano faglie enormi, e gli immensi blocchi dei continenti si urtavano gli uni contro gli altri; alcune montagne crollavano mentre altre crescevano, spinte dal sollevarsi del cuore del mondo. Le foreste, i mari e le pianure che Juok aveva inventato respiravano. La Terra era viva.

Quella vita che Juok non aveva previsto e che seguiva liberamente il suo corso, secondo la logica che apparteneva solo alle cose della Terra, gli diede un’idea. Immaginò un essere a cui dare la vita, così come si lancia una sfida a qualcuno.



“A ogni istante - pensava Juok, - questo essere desidererà superare la sua stessa vita, e fare di quella sua vita qualcosa di più della vita stessa. Darò a questo essere una mente e un corpo”. Juok pensava a una specie di uccello che vivesse sul terreno.

“Saprà camminare, correre e salire sugli alberi” si disse. Prese una manciata di terra e, con le sue mani, forgiò due lunghe gambe.

“Potrà camminare in lungo e in largo sulla Terra, piantare e coltivare il miglio.” Con un nuovo pezzo di terra formò due lunghe braccia, una per tenere la zappa e l’altra per strappare le erbacce.“Dovrà poter vedere il miglio. Gli farò gli occhi.” E così fece.

“E come farà a mangiare il miglio?” E aggiunse la bocca. Guardò ciò che aveva fra le mani.“Dovrà parlare, cantare e gridare.” Gli mise in bocca la lingua, attaccata al fondo della gola, e quella si muoveva, si srotolava e urtava i denti; non esistevano sillabe che non potesse articolare.



Infine Juok disse: “Dovrà saper ascoltare la musica e la parola dei saggi”. E mise le orecchie al loro posto: alte, aperte, come due pagine di un libro, pronte ad ascoltare i rumori del mondo. Ciò che vi cadeva all’interno si depositava, come sale portato dall’acqua del mare, e accumulandosi formava l’intelligenza. È grazie alle orecchie che gli umani si sentirono chiamare umani e divennero tali.

Juok era completamente soddisfatto. Il suo primo essere umano lo aveva fatto con la terra nera che aveva trovato nei territori degli Shilluk. Più a nord, in Egitto, utilizzò la terra rossa. Più a nord ancora, usò la terra bianca.

Gli umani si distinguevano solo per il colore, ma le orecchie avevano ovunque la stessa forma e sempre, quando erano aperte, permettevano il formarsi dell’intelligenza. Eppure molti umani non volevano ascoltare e, con i palmi delle mani aperti, si chiudevano le orecchie. L’intelligenza non poteva più penetrarvi; coloro che avevano le orecchie tappate amavano sopra ogni cosa il potere e, quando vedevano un corso d’acqua, dichiaravano che quella era una frontiera.



view post Posted: 23/12/2023, 15:14     +8GIOCO e IMPARO con PINOCCHIO (schede didattiche) - ANGOLO LETTURA

Pinocchio e tanti MA


(Gianni Rodari)




Mastr’Antonio falegname
trovò un pezzo di legname
che parlava e che rideva,
come un bimbo poi piangeva.

Arrivato il buon Geppetto
fa quel legno un dispetto:
e gridando: Polentina!
lo canzona una vocina.

Litigando i due anziani,
le parrucche in bocca e mani,
si ritrovan presto a terra
e finisce lì la guerra.

Fatta pace con Geppetto,
spetta a lui il legno sospetto:
faccia pure un burattino
che saltelli per benino.

Giunto a casa il buon vecchietto,
fa il pupazzo con diletto
e lo chiama poi Pinocchio,
già monel quand’apre l’occhio.

Nudo fugge il burattino
e Geppetto, poverino,
per quel figlio scapestrato
per error viene arrestato.





Torna a casa poi Pinocchio
ed al muro getta l’occhio:
dice a lui il grillo parlante:
- Marachelle? Ne fai tante!
Adirato il gran monello
al buon gril tira il martello.

Or si sente liberato,
MA ha pur freddo ed è affamato.

Fruga allor la spazzatura
e un bell’uovo si procura;
MA il buon cibo sospirato
ahi, volando se n’è andato!

Al paese corre allora
e, bussando a tarda ora,
non il pane gli vien dato,
MA con acqua è annaffiato.

Affamato e infreddolito,
giunto a casa s’è assopito;
MA per lui no non c’è pace:
arde i piedi sulla brace!

Ritornato il buon Geppetto
che scordato ha ogni dispetto,
le tre pere che ha portato
al monello ha già donato.

Rifà i piedi al burattino
e lo veste per benino.
Per comprar l’abbecedario
dà la giacca all’antiquario.





Vende il libro il burattino
per andare al teatrino
e incontrare i suoi amici
che al vederlo son felici.

Riconoscono il fratello
MA esce fuor sul più bello
dei pupazzi il gran padrone
che a punirlo si dispone.

Mangiafuoco starnutisce:
che è commosso si capisce,
dal buon cuor del burattino
che difende anche Arlecchino.

Gli dà poi cinque monete;
MA Pinocchio, che volete,
volpe e gatto ha incontrato
e purtroppo vien gabbato.

Su cammina, avanza, spera,
poi raggiungon verso sera
affamati a più non posso,
l’osteria “Gambero Rosso”.

MA il buon grillo ha ignorato
e i briganti ha incontrato
che a rubar monete d’oro
già si mettono al lavoro.





Cela in bocca i suoi denari
MA l’inseguon i compari...
e, raggiunto, vien preso:
alla quercia è poi appeso.

La turchina bella fata
la carrozza ha mandata
e Pinocchio vien spiccato
ed a casa trasportato.

Steso a letto poi Pinocchio
tre dottori ha lì sott’occhio,
che si chiedon, gruppo accorto,
se sia vivo oppure morto.

Gli dà poi la sua fatina
la prescritta medicina
MA Pinocchio sol la fiuta
e di berla si rifiuta.

MA i becchini con la bara
quando vede, tosto impara
che se inver non vuol morire
la gran purga ha da sorbire.

Alla fata poi, chissà
non sa dir la verità:
e famoso nasce il caso
che il dir falso allunga il naso.

Poi i picchi a convegno
a quel naso tolgon legno
or Pinocchio vuole andare
il suo babbo a ritrovare.





MA trovò la volpe e il gatto
ed allor successe un fatto:
piantò l’or (non ci fu scampo)
dei miracoli nel campo.

Va Pinocchio a denunciare
che s’è fatto derubare,
MA in quel sito (amaro fato!)
va in prigione il derubato.

La prigione un dì lasciata
vuol tornare dalla fata:
al serpente non s’è arreso;
MA in tagliola poi è preso.

Il padron che l’ha acciuffato,
a catena l’ha legato.
E così egli passa un guaio
fa la guardia ad un pollaio.

Nella notte i ladri scopre,
con bugie, no, non li copre!
Il padron lo ricompensa:
dalla guardia lo dispensa.

Or Pinocchio liberato,
salta e balla per il prato
ed a casa vuol tornare
la fatina a riabbracciare.

Non trovò la casa attesa;
MA una tomba, ahi, che sorpresa.
La fatina tanto amata
dal dolor era spirata!

Giunge poi un gran colombo,
che volava senza rombo
per portarlo in riva al mare
il suo babbo a ritrovare.

MA Geppetto, ahimè, scomparve
e cercando, poi gli apparve
l’isoletta misteriosa
dove ogni ape è industriosa.

Ritrovò lì la sua fata
a salvarlo dedicata:
e promise il burattino
di studiare per benino.





Egli a scuola vuole andare,
MA poi corre in riva al mare,
che gli han detto che stamane
giunto è là un pescecane.

Fanno lotta i gran monelli,
impazziti i lor cervelli
fin che un bimbo poi colpito
giace a terra tramortito.

Preso dai carabinieri
svanir vede i desideri
d’obbedir alla fatina
come detto alla mattina.

MA sfuggito all’arresto
poi soccorre pronto e lesto
un mastin, a nuoto in mare
che già sta per affogare.

D’esser salvo egli crede
MA un agguato, no non vede!
Una rete (questa è bella!)
lo destina alla padella.

Del gran fritto è giunta l’ora,
che l’uom verde già assapora;
MA il mastin prima salvato
dalle grinfie l'ha strappato.

Torna a notte dalla fata
MA una chiocciolina affacciata
fino al dì lo fa aspettare
e Pinocchio è lì a calciare.

Nella porta incastra il piede
e il buon cibo giunger vede,
che al morso, ahimè, è finto!
E svenuto cade vinto!

Perdonato è dalla fata,
che gli fissa già la data:
non sarà più un burattino
MA un normale e bel bambino.




MA Lucignolo monello
poi gli dice: - Sai che bello!
Vien sul carro, dai, coi fiocchi
al paese dei balocchi!

Dopo mesi di cuccagna,
si presenta la magagna;
sulla testa dei monelli
grandi orecchie d'asinelli.

Diventato un bel ciuchino
raglia, raglia il poverino
e nel circo poi portato
a saltar viene addestrato.

MA s’azzoppa un brutto giorno
e lo leva poi di torno
di quel circo il direttore
che lo vende ad un signore.

Vien gettato allora in mare
che un tamburo s’ha da fare;
ma dai pesci liberato
burattino è tornato.

La salvezza già s’aspetta
quando vede la capretta;
ma nel nuoto (ahi, mosse vane!)
se l’ingoia un pescecane.

MA nel corpo del gran pesce
il papà a trovar riesce,
che la chiaror d’un lumicino,
sta ingoiando un pesciolino.

Poi decidon di scappare
da quel pesce verso il mare:
quando un tonno lì arriva,
fuggon dritti verso riva.

Una casa già li aspetta
data al gril dalla capretta.
Per il babbo suo aiutare,
va il bindolo a girare.

Quando scopre che la fata
all’ospedal giace ammalata,
fa ben sedici canestri
ed annulla i suoi malestri.

Or Pinocchio s’è ripreso,
a saggezza alfin arreso:
cessa d’essere un pupazzo
e diventa un bel ragazzo.


view post Posted: 23/12/2023, 00:03     +10GIOCO e IMPARO con PINOCCHIO (schede didattiche) - ANGOLO LETTURA

Unisci i puntini

Unisci i puntini nel giusto ordine,
da 1 a 47 per completare l’immagine di Pinocchio; poi colora





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Unisci i puntini nel giusto ordine,
da 1 a 56 per completare l’immagine di Pinocchio; poi colora





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Imparo l’inglese con Pinocchio

Le parti del corpo - Body parts







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Trova le differenze




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Figaro e Cleo

Guida il gatto fino al pesce rosso di Geppetto






Edited by Milea - 31/12/2023, 11:39
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