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The Guitar Player (La suonatrice di chitarra), detail oil on canvas, 53x 46.3 cm. (1672 ca.) Kenwood, English Heritage as Trustees of the Iveagh Bequest
L’apprendistato. Nessuna notizia e nessun biografo raccontano che cosa abbia fatto Vermeer dalla nascita a quel 5 aprile 1653, quando davanti a un notaio per le pubblicazioni relative al suo matrimonio con la ventiduenne Chatarina Bolnes, due anni più grande di lui, proveniente da una ricca famiglia di Gouda.
Tra i testimoni al matrimonio c’era il cinquantottenne pittore Leonard Bramer, probabile parente di quel Pieter Bramer, che aveva assistito al battesimo di Jan nel 1632. Al matrimonio civile seguirà il 20 aprile, in forma clandestina a Schipluyden, il rito religioso di fede cattolica, cui sembra si fosse convertito anche Vermeer, prima calvinista.
Chatarina si era trasferita a Delft nel 1641 con la madre Maria Thins, separata dal marito per maltrattamenti, con due figlie affidate, e un terzo, Willem, rimasto col padre. Maria Thins, pur non firmando alcun documento di assenso alle nozze della figlia, non si era opposta alla sua convivenza con Vermeer, forse nella locanda “Mechelen”, mantenendo sempre buoni rapporti col genero. Su quei primi vent’anni di vita di Jan rimane il silenzio più assoluto riguardo alla sua formazione; è possibile immaginarlo nella locanda paterna, prima sul Voldersgracht, poi alla “Mechelen”, ad aiutare il padre e a prepararsi per il suo futuro di pittore.
I suoi genitori infatti, entrambi ultraquarantenni alla sua nascita nel 1632, si erano allora impegnati a fa frequentare una scuola ai figli, che insegnasse loro un “mestiere adeguato”. Sono state fatte diverse ipotesi sull’apprendistato di Vermeer, come quella che il giovane abbia studiato ad Amsterdam nella bottega di Rembrandt. Ma del grande pittore rimangono solo echi indiretti nella sua opera. O quella, sostenuta negli anni novanta da John Michael Montias e Arthur K. Wheelock Jr., che Vermeer abbia frequentato a Utrecht la bottega del pittore Braham Bloemaert (1566-1651), lontano parente della moglie ed esponente di un manierismo in realtà distante dal suo linguaggio.
Quest’ultima ipotesi, respinta da studiosi come Erik Larsen (1996), poggerebbe su tre dipinti la cui attribuzione negli anni trenta del Novecento alla fase giovanile del pittore, non appare convincente ed è stata a lungo discussa dagli storici. Sono la Santa Prassede ( Princeton, collezione Barbara Piasecka Johnson), il Cristo in casa di Marta e Maria (Edimburgo, National Gallery of Scotland) e la Diana e le ninfe (L’Aia, Mauritshuis), opere che, come formato, tecnica, tema e stile, non appaiono facilmente inseribili nel percorso del pittore, obbligando i sostenitori di questa tesi ad acrobazie per spiegare la “successiva svolta” nel caratteristico linguaggio delle opere certe. Si tratta infatti di tele di grande formato, con tematiche religiose e mitologiche, inusuali nella pittura di Vermeer. Non risulta infatti che egli abbia dipinto in gioventù quadri religiosi o di “storie”, tantomeno di grande formato.
The Art of Painting (L’ allegoria della pittura), detail oil on canvas, 130x 110 cm. (1666 ca.) Vienna, Kunsthistorisches Museum
L’unica eccezione, la tela con Una visita al sepolcro di van der Meer-20 fiorini, citata nel giugno del 1657 come appartenente al mercante d’arte Johannes de Renialme: non si sa però a quale “van der Mee” appartenga, visto che in quegli anni di pittori con quel nome ce ne erano perlomeno sei, attivi tra Haarlem, Utrecht e altre città. Nessun documento o prova attesta che Vermeer abbia studiato a Utrecht. Anche le firme e la date dei tre dipinti, tra loro poi non così omogenei, appaiono dubbie.
Erick Larsen, ad esempio, che aveva avuto modo di osservare direttamente firme e dipinti nel 1948-1949 li considera decisamente spuri. Il carattere italianizzante della Prassede, di cui esiste una copia esatta del pittore italiano Felice Ficherelli, del 1645, conservata nella collezione Fergnani di Ferrara, obbligherebbe poi a immaginare un viaggio in Italia di Vermeer prima del 1652, di cui non si hanno notizie né riscontri, si sa invece che il noto Johan van der Mer di Utrecht (1630-1688) nel 1655 aveva fatto un viaggio in Italia. Ma soprattutto i tre dipinti hanno una stesura pittorica fatta di luci spezzate, contorni sbavati, sfondi abbozzati, ben diversi dalle velature ferme e le luci soffuse e immobili delle opere di Vermeer.
Più logico pensare che egli abbia affrontato lo studio della pittura nella stessa Delft, dove il padre, iscritto alla gilda cittadina, aveva un buon commercio di quadri che, alla sua morte, nel 1652, era passato in gestione al figlio ventenne. Non si può certo escludere che Vermeer facesse brevi viaggi ad Amsterdam e a Utrecht per aggiornarsi, ma nella piccola città olandese non mancavano artisti e pittori, in diretto contatto con centri più importanti. Il 29 dicembre 1653 anche Jan, veniva iscritto come “maestro pittore” alla gilda cittadina di san Luca pagando l’acconto di un fiorino e 10 stuivers, e finendo di saldare l’intera quota di sei fiorini solo tre anni dopo, il 24 luglio 1656. L’istruzione pittorica di Vermeer doveva essere cominciata da tempo, perché la gilda di Delft richiedeva sei anni di apprendistato per diventare maestro, anche se poi le regole non venivano seguite alla lettera. Il primo maestro di Vermeer può essere stato proprio il padre.
The Milkmaid (La lattaia), detail oil on canvas, 45,4X40,6cm (1659 ca.) Amsterdam, Rijskmuseum
Esperto tessitore di “caffa”, e quindi anche disegnatore di tessuti, deve aver introdotto il figlio al disegno e avergli fatto apprezzare gli splendidi arabeschi di lane e sete. Basta guardare i primi dipinti certi, come la Giovane donna assopita, per capire la consistenza e lo scintillio di stoffe e tappeti non erano casuali, ma nati da una lunga abitudine a trattare i tessuti.
Vicino di casa, sul Voldersgracht, abitava Cornelis Daemen Rietwijch, ritrattista e membro della gilda, che teneva una specie di scuola. Secondo Montias potrebbe aver insegnato a Jan i rudimenti del disegno.
E’ possibile: del resto Reynier conosceva vari pittori, presso cui introdurre il figlio, come Leonard Bramer (1596-1674) e il concittadino Willem van Aelst (1627-1683 circa), specializzato in raffinate nature morte, rese con materiali tecnicamente eccellenti e straordinari effetti di luce riflessa sulla superfici metalliche. Vermeer ha certo visto e apprezzato i loro lavori, può aver studiato presso uno dei due per un certo periodo.
Nella locanda paterna passavano quadri, di diversi stili e tendenze, che potevano affascinare ed entusiasmare il giovane Jan, che ne avrebbe visti più tardi altri in casa della suocera, come La mezzana di Dirk Baburen, che compare sullo sfondo di due dei suoi dipinti.
Certo un vero e proprio maestro di pittura Vermeer deve averlo avuto. Forse quel Leonard Bramer di Delft testimone delle sue nozze? Niente lo conferma. Inoltre Bramer, allievo di Rembrandt ad Amsterdam, era autore di piccoli quadri scuri e di grandi affreschi, una tecnica ormai rara. Spunta però un altro nome dalle ricerche di Montias, che potrebbe essere quello giusto: Gerard ter Borch (1617 – 1681), il pittore più noto e apprezzato di scene di genere dell’alta società. Due giorni dopo il suo matrimonio, il 22 aprile 1653, Vermeer e Gerard ter Borch si trovano insieme a Delft a firmare un atto di fideiussione presso il notaio Willem de Langue. Il trentaseienne ter Borch, indicato con rispetto dal notaio “Monsier Gerrit ter Borch”, al culmine della sua carriera, dipingeva interni borghesi proprio come quelli che poco dopo, a metà anni cinquanta, dipingerà Vermeer: stanze eleganti, atmosfere rarefatte, gentildonne con abiti fruscianti di seta, conversazioni galanti.
Sottili le rese psicologiche e stessi i temi (lettere e incontri d’amore, lezioni di musica, ritratti). Quindici anni maggiore di Vermeer, ter Borch, uomo di notevole cultura artistica, aveva girato mezza Europa. Nel 1644 era tornato in patria, stabilendosi nel 1648 ad Amsterdam e nel 1652 -1653 all’Aia, distante solo un pomeriggio id viaggio da Delft, dove è presente nell’aprile 1653 e dove forse rimane sino a quando si trasferisce nel 1654 a Deventer.
E’ possibile dunque che il pittore abbia avuto nella sua bottega, all’Aia o a Delft, Vermeer, che può averlo invitato al suo matrimonio e presentato al notaio di fiducia de Langue. Per “Monsieur Gerrit” era una buona occasione per ampliare il mercato delle sue opere. Una notevole influenza deve aver avuto su Vermeer anche Carel Fabritius (1622 – 1654), brillante discepolo di Rembrandt, documentato a Delft nel 1650, prematuramente scomparso nel 1654, per lo scoppio di una polveriera.
Il gusto per le architetture è un tratto tipico della pittura di interni e di Vermeer, considerato dai contemporanei il continuatore di Carel Fabritius, la cui morte veniva così commentata da Arnold Bon nel 1667: “Così perì questa fenice, per la nostra rovina, egli lasciò questa vita al culmine della fama; ma per grande fortuna, dalle sue ceneri si levò Vermeer, che da maestro ne seguì magistralmente le orme”. Una seconda versione sostituisce l’ultima frase con “seppe emularlo magistralmente”. I muri vuoti e luminosi presenti in opere di Fabritius, sono quelli che si ritroveranno negli interni di Vermeer, che poteva dunque trovare ottimi maestri nella stessa Delft. (M.@rt)
Street in Delft (La strada di Delft), detail oil on canvas, 53x 43.5 cm. (1657-58 ca.) Amsterdam, Rijksmuseum
Edited by Milea - 5/8/2021, 16:20
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