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WILLIAM TURNER SPOILER (clicca per visualizzare)
Il giallo. Sembra un dettaglio, ma nella pittura di Turner si rivelerà fatale. Non che prima di lui il giallo non sia stato usato come colore predominante, pensiamo soltanto a Vermeer . Il problema, però, è che Turner, con una foga crescente negli anni, trasformò tutto — esseri umani, alberi, mari, cieli e montagne — in un grande vortice di giallo. Come se dentro quel colore la luce potesse nascere e morire, inglobando ogni cosa in un destino color miele intenso. È questa la grande critica che gli venne mossa dal suo tempo: Turner voleva essere prima di tutto un pittore di storia, non di paesaggi. E la pittura di storia era considerata molto «in alto» dall’Accademia, qualcosa di nobile. Ma non puoi fare allora un mare giallo o confondere Venezia con un altopiano svizzero perché tutto viene ricondotto alla stessa nuance. Prendiamo per esempio uno dei suoi quadri più famosi, risalente al 1812 (quando l’artista aveva trentasette anni), Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi: l’esercito del condottiero cartaginese è ridotto a misere figurine che a malapena si scorgono da terra, dominate da una natura misteriosa, potente, dove il giallo, il sempiterno giallo, sconfina in una tinta più fosca.
Turner è stato un romantico molto particolare. Perché nella sua ostinazione a rivendicare la superiorità della natura sull’agire umano, ha saputo cogliere la velocità e l’irruenza del progresso scientifico e tecnologico. E così il suo senso del sublime si è differenziato molto dal rivale John Constable, fermo nella raffigurazione perfetta delle nuvole e delle colline. Turner si sporcava le mani e voleva sperimentare in prima persona: studiava i trattati sull’elettricità, conosceva i treni a vapore, leggeva persino le teorie del "terribile" Newton, il distruttore del mondo regolato dalle perfette leggi naturali (Goethe definiva le sue teorie "pessima metafisica"). Così in lui convivevano due personalità: il romantico che sfidava le bufere di neve e i dirupi delle Alpi pur di dipingere un particolare orrido montano e l’intellettuale capace di capire che presto la luce naturale sarebbe stata soppiantata dalla luce elettrica. Gialla, molto gialla.
Ora osserviamo il dipinto qui sotto, che raffigura una gloriosa nave da guerra nel suo ultimo viaggio, perché diretta verso la demolizione. Il giallo del cielo, il giallo della nave, il giallo del mare. Tutto è avvolto in una luce che da sola segna un destino. Turner usava il paesaggio e le sue gradazioni di colore per documentare fatti storici, come nel famoso dipinto Pioggia, vapore e velocità, dove per la prima volta in un dipinto compare un treno a vapore. La tecnologia entra nella pittura e travolge il disegno, la verosimiglianza, il vedutismo tipico dei pittori di paesaggio. Si capisce allora perché la Venezia di Turner assomiglia a un vortice di giallo, rosa, azzurro. Tutto sfocato, nulla di preciso, niente Canaletto, meglio allora Tintoretto. L’impressionismo sta per prendere forma, ma in Turner c’è un nodo concettuale: non riusciamo più a capire la natura, era il suo pensiero. Ci crediamo superiori, ma le leggi del mondo naturale avranno sempre la meglio. Anche su quegli uomini che la storia ci consegna come invincibili. Anche su Napoleone. E Turner fu ossessionato tutta la vita dall’immagine del generale còrso, non solo perché dedicò un dipinto alla sconfitta di Waterloo, ma anche perché ci ha lasciato un ritratto particolare del condottiero; "War. The Exile and the Rock Limpet", esposto dopo i funerali di Napoleone.
L’Imperatore qui è visto in una prospettiva inusuale, lontano dalla gloria e solo, nell’esilio sull’Isola di Sant’Elena. L’ideale chiusura del cerchio romantico di Turner, l’uomo che ha vinto tutto viene sconfitto dal tempo, dal suo naturale fluire. Ecco perché Turner colse un aspetto particolarissimo di Venezia, il suo carattere liquido e luminoso. E con la città ebbe un legame speciale. Arrivò qui nel 1819 avendone già un’idea, perché aveva visto le incisioni delle vedute di Canaletto. Realizzò decine di opere tra olii e acquerelli, ma la reale portata che questa città aveva esercitato su di lui (come ha documentato la mostra "Turner and Venice" , al Museo Correr nel 2011) si conobbe solo dopo la sua morte: nel suo studio vennero trovati dieci taccuini in cui Turner aveva provato ad abbozzare la "sua" personale Venezia, re-inventata attraverso le suggestioni letterarie, Shakespeare e Byron prima di tutti. Una città decadente e persa nella sua luce, dove le architetture sembrano crollare da un momento all’altro, lontanissima dall’immagine della cartolina dei vedutisti. Canaletto è passato, avanza invece Claude Monet... (Mar L8v)
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