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view post Posted: 30/11/2023, 20:30     +14PIETÀ CON LE TRE MARIE - Annibale Carracci - ARTISTICA




Annibale Carracci
Pietà con le tre Marie
(The Dead Christ Mourned-The Three Maries)
1604 circa
Olio su tela
92.8 × 103.2 cm
Londra, National Gallery


Questa è forse l'immagine più toccante della collezione della National Gallery della pietà - il lamento su Cristo morto dopo la sua crocifissione - e una delle più grandi espressioni di dolore dell'arte barocca. Il corpo floscio e senza vita di Cristo giace in grembo a sua madre, la Vergine Maria. Una Maddalena sconvolta, nel suo tradizionale abito rosso e con lunghi capelli chiari, è inginocchiata sulla destra, con le mani alzate e la bocca aperta in un gemito di angoscia. In fondo, una donna anziana in verde scuro si protende verso la Vergine svenuta, il cui peso è sostenuto da una giovane donna dai capelli chiari. Dietro di loro si profila l'ingresso buio del sepolcro di pietra in cui Cristo sarà sepolto.


I quattro Vangeli differiscono nel raccontare ciò che accadde dopo la crocifissione, ma il lutto per Cristo da parte delle donne a lui più vicine non è raccontato in nessuno di essi. Le rappresentazioni convenzionali degli eventi successivi alla crocifissione tendevano a concentrarsi sul lamento per il Cristo morto, sull'inumazione o sul momento in cui le tre Marie scoprirono la tomba vuota di Cristo dopo la risurrezione. Annibale Carracci ha compresso questi episodi per ottenere il massimo impatto emotivo. L'identità di alcune delle donne presenti nel quadro rimane incerta, ma si dice che il trio al sepolcro fosse composto dalla Vergine Maria, da Maria Cleofa e da Maria Salomè, tutte presenti anche alla crocifissione. La donna più anziana sullo sfondo è forse Maria Cleofa, mentre quella più giovane a sinistra potrebbe essere Maria Salomè.





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È l'ultima di una serie di variazioni sul tema della pietà, su cui Annibale Carracci tornò spesso, soprattutto nell'ultimo decennio della sua vita. La composizione è fortemente dipendente dall'opera di Correggio, il cui Compianto (Galleria Nazionale, Parma) Annibale avrebbe avuto modo di studiare durante la sua visita a Parma negli anni Ottanta del Quattrocento. La composizione è costruita su forti diagonali e l'occhio è guidato dal colore, dallo sguardo e dall'espressione. Il corpo flaccido e senza vita di Cristo è disposto in primo piano, e la disposizione delle sue membra fa eco a quelle della madre inconsapevole, collegandole sia strutturalmente che emotivamente.





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La mano sinistra della Vergine Maria - l'unica nel quadro a toccarlo - è appoggiata sulla sua spalla e anche il suo volto grigio, che suggerisce l'inizio del rigor mortis, è riflesso dal pallore mortale di lei. L'occhio risale il busto allungato di Cristo fino al volto della madre, poi i toni passano dai blu freddi ai colori più caldi dell'incarnato, al corpetto rosso e ai capelli dorati della ragazza che sostiene la Vergine. Il suo sguardo, puntato verso la donna anziana, reindirizza il nostro. Da questa figura in penombra il nostro occhio è attirato in avanti e in basso verso le vesti luminose di Maria Maddalena, la cui angoscia concentrata è diretta verso Cristo, riportando la nostra attenzione su di lui.


Annibale ha abilmente concentrato la nostra attenzione su ogni figura e sulla sua risposta emotiva a turno. La sua capacità di dipingere emozioni diverse è esattamente ciò che ha attratto gli ammiratori successivi di questo dipinto. La sua brillante combinazione di classicismo formale e intenso sentimento umano pone l'arte di Annibale al pari di quella dei grandi pittori rinascimentali Correggio e Raffaello, e prefigura le opere di Nicolas Poussin. (Mar L8v)





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view post Posted: 28/11/2023, 21:57     +12IL FASCINO DELLE ROVINE NEL DIPINTO - ARTISTICA




Meindert Hobbema
Le rovine del castello di Brederode
(The Ruins of Brederode Castle)
1671
Olio su tela
82 × 106 cm
Londra, National Gallery


Molti - molto probabilmente la maggior parte - dei dipinti di paesaggi olandesi del XVII secolo non mostrano una veduta reale, ma sono stati composti per catturare lo spirito o l'impressione di un luogo. Anche quando si basavano sulla realtà, spesso venivano resi più drammatici o esteticamente piacevoli esagerando, aggiungendo o riorganizzando particolari caratteristiche o elementi del paesaggio.


Questo dipinto raffigura le rovine di un castello olandese ancora esistente, quindi possiamo capire se Hobbema è stato fedele a ciò che ha visto e, in caso contrario, come ha adattato la composizione. Il castello di Brederode si trova a Santpoort, a circa tre miglia a nord di Haarlem. Fu costruito e ricostruito più volte tra il XIII e il XV secolo, ma fu gravemente danneggiato nel 1573 a seguito dell'assedio di Haarlem. Questo avvenne durante la rivolta olandese contro l'occupazione spagnola dell'Olanda.


Le forze spagnole vittoriose decapitarono il capo della resistenza locale, il generale Lancelot van Brederode, saccheggiarono il castello e lo incendiarono. Da allora il castello non fu più ricostruito e questo dipinto delle rovine fu realizzato un secolo dopo, nel 1671, poco più di due decenni dopo che gli olandesi avevano finalmente conquistato l'indipendenza. È possibile che Hobbema o il suo committente (il cui nome non è sopravvissuto) abbiano voluto che il quadro commemorasse questa eroica storia di resistenza.


Sebbene le rovine si siano deteriorate dal 1671, alcune parti delle due torri d'angolo che vediamo qui e i resti della portineria sopravvivono ancora, così come il fossato. Il bosco e persino il corso d'acqua potrebbero essere stati adattati nel corso degli ultimi trecentocinquant'anni, quindi non possiamo essere sicuri di quanto Hobbema sia stato fedele a questi dettagli (anche se la strada alberata sulla sinistra esiste ancora). Possiamo però notare che ha apportato modifiche significative, rimuovendo parti del muro di cinta superstite del castello in primo piano per aprire la visuale e innalzando la torre di nord-est su un'alta riva (in realtà si trova su un terreno pianeggiante). Le sue modifiche fanno sembrare l'intero castello più grande e più drammatico.





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Anche le figure e gli animali sono frutto dell'immaginazione artistica, ma costituiscono comunque una parte importante della composizione. Contribuiscono a dare scala e profondità alla composizione, dalle anatre in primo piano alla figura lontana con un cappotto marrone tra gli alberi a sinistra e alla coppia che si è arrampicata in cima alle rovine a destra. Anche il venditore ambulante che cammina con il suo sacco e l'uomo con la scimmia conferiscono un senso di movimento. Rappresentano anche diverse classi sociali, dagli ambulanti e i pescatori al gentiluomo con la pistola a tracolla e agli eleganti turisti che ammirano le rovine.


La maggior parte di queste figure è stata probabilmente aggiunta da un altro pittore, forse Dirck Wijntrack, dopo che Hobbema aveva terminato il paesaggio. Si tratta di una soluzione comune nell'Olanda del XVII secolo, quando alcuni elementi vengono lasciati agli specialisti. (Mar L8v)





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view post Posted: 27/11/2023, 21:23     +13IL FASCINO DELLE ROVINE NEL DIPINTO - ARTISTICA




Cornelis van Poelenburgh
Donne che fanno il bagno in un paesaggio
(Women bathing in a Landscape)
1630 circa
Olio su tela
35 × 43.5 cm
Londra, National Gallery


Per chi viveva a Utrecht negli anni Trenta del Novecento, questo dipinto doveva sembrare una finestra su un mondo esotico e allettante. Una folla di donne nude posa elegantemente mentre parla e si bagna in un fiume. Dietro di loro si profilano la torre e gli archi di una rovina romana, mentre il cielo luminoso del mattino risplende dietro le fattorie, le colline e le montagne lontane di quello che sarebbe stato immediatamente riconoscibile come un paesaggio italiano.


Questo mondo fantastico è molto lontano dai pascoli pianeggianti, dai cieli grigi, dai frontoni ordinati e dalla moda modesta dell'Olanda contemporanea. Non c'è quindi da stupirsi che dipinti come questo fossero così popolari all'epoca: offrivano una visione del caldo sud e riferimenti intellettuali al mondo perduto dei classici, oltre che una scusa per godere della nudità femminile.


Diversi artisti olandesi dell'epoca viaggiarono per formarsi e studiare a Roma e trassero profitto da ciò che avevano visto e imparato una volta tornati in patria, sviluppando un mercato redditizio per i dipinti di questo genere. Van Poelenburgh trascorse un decennio in Italia, dal 1617 al 1627, e fu quindi uno di quelli che aveva sperimentato di persona la luce, i paesaggi e le rovine. Al suo ritorno divenne talmente apprezzato da essere invitato a Londra per lavorare per Carlo I, prima di tornare a Utrecht nel 1641, poco prima della guerra civile inglese.


Spesso i dipinti di questo genere rappresentano una scena di una storia classica o biblica. È possibile che in questo caso van Poelenburgh intendesse raffigurare Diana che fa il bagno con le sue ninfe, ma non è presente nessuno degli oggetti che di solito identificano la dea. L'allusione al mondo classico è invece più generica e si basa sulle pose assunte dai nudi per ricordare al pubblico la statuaria romana. Van Poelenburgh era considerato uno specialista nel dipingere tali figure, tanto da essere chiamato ad aiutare altri artisti aggiungendole ai loro paesaggi. Un esempio di questa collaborazione con l'artista Jan Both (che aveva studiato con lui a Roma) è presente alla National Gallery: "Paesaggio con il Giudizio di Parigi".





Jan Both and Cornelis van Poelenburgh
Paesaggio con il Giudizio di Parigi
(A Landscape with the Judgement of Paris)
1645-1650
Olio su tela
97 × 129 cm
Londra, National Gallery






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Ma c'è da chiedersi quanto van Poelenburgh sia riuscito a rappresentare le figure; le donne sono dipinte con cura e su base individuale. Si vedano le ombreggiature dei contorni e dei muscoli e i sottili cambiamenti di tonalità della pelle nelle tre figure in primo piano. Ma c'è qualcosa di non del tutto naturale nel modo in cui interagiscono: le pose sembrano essere state selezionate per un effetto individuale, piuttosto che per un raggruppamento naturalistico. Ancora più sorprendente è la donna seduta su una roccia sul lato destro, quella con il braccio alzato. Sembra che faccia parte del gruppo che fa il bagno in lontananza, ma sembra vicina a noi come le figure centrali. Di conseguenza, lei e i bagnanti con lei sembrano stranamente un gruppo di persone in miniatura. (Mar L8v)



view post Posted: 26/11/2023, 21:13     +10PIETÀ - Rosso Fiorentino - ARTISTICA




Rosso Fiorentino
Pietà
1530-1535
Olio su tavola
127 x 163 cm
Parigi, Musèe du Louvre


Tradizionalmente riferito a un passo adella biografia di Giorgio Vasari ("al connestabile fece una tavola d'un Cristo morto, cosa rara che è a un suo luogo chiamato Ceuan"), il dipinto si identifica in quello proveniente dal castello di Écouen (a nord di Parigi presso Villers), dove si trovava come sopraporta della cappella del connestabile Anne de Montmorency. È l'unico quadro noto del soggetto francese del Rosso che, documentato a Parigi almeno dall'ottobre del 1530, ricevette quell'anno la commissione di un grand tableau, identificabile in una copia della "Leda" di Michelangelo.





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"La Pietà" è stata verosimilmente eseguita dopo la decorazione della galleria di Francesco I a Fontainbleau. La galleria, iniziata nel 1532 e ancora incompiuta alla morte del Rosso Fiorentino, nel 1540, fu rapidamente portata a termine dal pittore bolognese Francesco Primaticcio, chiamato appositamente da Roma.


La tela del Louvre introduce in Francia una delle tendenze più all'avanguardia dell'arte italiana, che rompeva con l'ideale di grazia e ordine sviluppato da Leonardo e Raffaello. La complessa impostazione del corpo di Cristo, l'accentuata e michelangiolesca torsione del san Giovanni sulla detra e le lunghe braccia spalancate della Vergine costituiscono le note salienti della composizione.


Costruita con un cromatismo sapiente e coerente con la disperazione dei personaggi, i colori digradano in un vario e pastoso cangiantismo: il corpo di Cristo, illuminato da schiarite giallastre, la cupa veste della Madre, il grigio del fondo, su cui risalta maggiormente il viso plumbeo della pia donna che sorregge la Vergine, sono indicative di un pathos estremo e incolmabile. (Mar L8v)





Tutto il racconto della passione
è pieno di misteri, di enigmi, di oscurità;
è come un cielo in tempesta con tuoni,
lampi, fulmini che spaventano.


(Carlo Maria Martini)



view post Posted: 25/11/2023, 21:11     +11IL CANE NEL DIPINTO - L'AMICO PIÙ RITRATTO - ARTISTICA




Paolo Veronese
Ritratto di donna con cane
(Portrait of a Woman with a Dog)
1560-1570
Olio su tela
105 x 79 cm
Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza


L'attribuzione di questa tela a Veronese è stata dibattuta: mentre alcuni critici la considerano una versione autografa e la collocano in una fase tarda della carriera dell'artista, altri riconoscono l'influenza della bottega e in particolare la mano di Benedetto, fratello dell'artista che collaborò con lui alla sua bottega, o quella di Carletto, figlio dell'artista. Il dipinto raffigura una giovane ragazza su uno sfondo scuro con una tenda dai colori vivaci.


La figura, su cui si concentra la luce, guarda fisso alla sua destra ed è magnificamente vestita nei toni del blu, del bianco e dell'oro. L'artista ha trascritto le tele con grande cura e dettaglio, lavorando delicatamente sul disegno del tessuto e sulle combinazioni di toni. Il dettaglio aneddotico si trova nel piccolo cane domestico che siede su un soppalco a sinistra. Al Musée du Louvre è conservato un disegno di Veronese di una donna con lo stesso costume, con la stessa posizione delle mani ma con una diversa rotazione della testa; questo disegno potrebbe essere servito come riferimento per la tela. (Mar L8v)
view post Posted: 24/11/2023, 22:12     +11LAURA - Giorgione - ARTISTICA




Giorgione
Laura
1506
Olio su tela incollata su tavola
41 x 33,5 cm
Vienna, Kunsthistorisches Museum


Sul retro dell'opera si legge "1506 adj. primo zugno ho fatto questo de ma[no] de maestro Zorzi da chastel fr[anco] / cholega de maistro vizenzo chaena ad instanzia de mis giac mo". Rappresenta quindi una delle poche certezze cronologiche nella carriera di Giorgione. Il particolare supporto, una tela incollata su tavola, è senza dubbio antica e non inficia quindi il valore documentario dell'iscrizione di grafia cinquecentesca.


Il dipinto è noto come Laura sin dal Seicento a causa delle foglie di alloro che fioriscono attorno al capo della giovane donna. Le fonti non ci indicano se l'attributo iconografico si riferisca a una donna di nome Laura o, come ipotizzato in passato, all'omonma musa di Petrarca. Non essendo la figura dipinta da Giorgione bionda e con gli occhi chiari, si è in alternativa proposta un'identificazione con Dafne, la ninfa che si trasformò in alloro per sfuggire ad Apollo.


Ma anche questa lettura non soddisfa appieno; così il conturbante seno nudo e la veste rossa con interno in pelliccia suggerito esegesi diametralmente opposte. Da un lato c'è chi ritiene che il soggetto rappresenti un'allegoria matrimoniale, dove il seno coperto e scoperto alluderebbe all'equilibrio fra modestia e voluttà, d'altro c'è chi sottolinea che l'abito con pelliccia è il tipico mantello delle prostitute veneziane.



A tal proposito, non bisogna dimenticare che per gli antichi l'alloro possedeva delle spiccate proprietà profilattiche. Così sembra assai probabile che questa fiera e carnale donna sia la cortigiana amata dal misterioso messer Giacomo e non una poetessa o una letterata, come si ipotizzava agli inizi del Novecento.


Anche in questo caso, Giorgione sembra rifarsi direttamente alla ritrattistica leonardesca, in partcolare alla Ginevra Benci, ma si dimostra ormai a un punto più avanzato della sua personale ricerca sugli effetti di luce e sulla trasposizione in pittura dell'epidermide umana nonchè dei sentimenti "terreni" che la fanno vibrare e vivere. (Mar L8v)



view post Posted: 23/11/2023, 22:02     +12L'ORIGINE DELLA VIA LATTEA - Jacopo Tintoretto - ARTISTICA




Jacopo Tintoretto
L'origine della Via Lattea
(The Origin of the Milky Way)
1575 circa
Olio su tela
149.4 × 168 cm
Londra, National Gallery


Il dipinto è noto come "L'origine della Via Lattea" dal 1857 circa, ma "L'allattamento di Ercole", come era conosciuto nel XVIII secolo, sarebbe un titolo più accurato. Il quadro è un'allegoria oltre che una narrazione mitologica. Quello che vediamo oggi è solo una parte del dipinto originale: circa un terzo della tela originale di Jacopo Tintoretto è stato tagliato dal fondo in un momento precedente al 1727.





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Giove tentò di ottenere l'immortalità per il figlio Ercole, la cui madre era la mortale Alcmene, mettendolo sul seno della moglie addormentata, la dea Giunone, per bere il suo latte. La dea si svegliò e il latte che sgorgava dal suo seno formò la Via Lattea, la cui foschia, vista nel luminoso cielo notturno, sembra essere suggerita dalla fluente copertura nuvolosa al centro a destra, dietro l'aquila. Questo è l'episodio raffigurato nel dipinto che vediamo oggi. Giunone è accompagnata dal suo attributo di pavoni, mentre Giove è accompagnato da un'aquila che stringe un fulmine.





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Una copia ridotta del dipinto originale, probabilmente realizzata nel XVII secolo (collezione privata, Germania), fornisce una prova della mancanza della parte inferiore della composizione. Nella parte inferiore della copia una donna nuda è sdraiata su una riva con un grande specchio d'acqua alle spalle. Le radici crescono dalle estremità delle dita della mano destra, che penzola sulla riva; i germogli crescono dalle dita della mano sinistra, che la donna tende verso l'alto. Nell'angolo destro crescono grandi fiori bianchi.





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Tintoretto probabilmente conosceva la versione del mito dell'allattamento di Ercole scritta nella Geoponica, un testo bizantino di botanica - allora ritenuto scritto dall'imperatore Costantino - che fu tradotto in italiano e stampato a Venezia nel 1542 e nel 1549. In questa versione della storia, si dice che il latte di uno dei seni di Giunone sia caduto sulla terra e abbia creato i fiori bianco latte del giglio. La donna sdraiata nella parte ora mancante del dipinto è probabilmente Opi, incarnazione della Terra e madre di Giunone e Giove.





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Il soggetto è molto raro nell'arte, ma è presente sul retro di una medaglia commemorativa di Tommaso Rangone del 1560 circa (un esemplare è conservato al British Museum di Londra). Rangone era strettamente legato a Tintoretto e gli commissionò la famosa serie di dipinti dei Miracoli di San Marco per la Scuola Grande di San Marco a Venezia. È probabile che anche "L'origine della Via Lattea" sia in qualche modo legata a Rangone e che gli sia stata commissionata. Rangone era un medico e astrologo; nel monumento commemorativo di Alessandro Vittoria sulla facciata della chiesa di S. Giuliano a Venezia è raffigurato con fiori in mano e tra sfere terrestri e celesti.





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"L'Origine della Via Lattea" può riflettere alcuni degli interessi di Rangone, poiché le stelle e i fiori erano entrambi importanti per la sua formazione. Il dipinto di Tintoretto può fungere da allegoria dell'arte medica praticata da Rangone, con particolare riferimento al suo particolare interesse per la promozione della longevità (nel dipinto Giove tenta di rendere immortale Ercole), che era al centro dell'intera carriera di Rangone.



Distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra' poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi.

(Dante Alighieri, Canto XIV, 99)





(Mar L8v)






view post Posted: 22/11/2023, 22:17     +12CARITAS (Charity) - Lucas Cranach il Vecchio - ARTISTICA


E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo
per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe...





Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1534
Olio su tavola di faggio
52 x 36 cm
Sciaffusa, Museum zu Allerheiligen



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Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1535
Olio su tavola di faggio
50 x 34 cm
Niva, Nivaagaard Museum



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Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1537 circa
Olio su tavola di faggio
49.5 x 33 cm
Città del Messico, Juan Antonio Pérez Simón Collection



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Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1540
Olio su tavola di faggio
63.5 x 57.6 cm
Bruxelles, Royal Museums of Fine Arts of Belgium

view post Posted: 22/11/2023, 21:18     +13CARITAS (Charity) - Lucas Cranach il Vecchio - ARTISTICA


E se avessi il dono della profezia,
se conoscessi tutti i misteri
e avessi tutta la conoscenza,
se possedessi tanta fede da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità, non sarei nulla...





Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1530-1540
Olio su tavola di faggio
56.3 × 36.2 cm
Londra, National Gallery


Nel verso tredici della prima lettera ai Corinzi San Paolo parla di tre caratteristiche che sarebbero diventate note come virtù teologali: fede, speranza e carità. Egli riteneva che la carità, espressione dell'amore per Dio e per il prossimo, fosse la più importante. Qui, l'iscrizione "CHARITAS" nella parte superiore dell'immagine identifica la figura femminile. La carità è stata personificata come una donna con i suoi figli nell'arte a partire dal XIV secolo.





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La Carità è avvolta in un velo trasparente che si incurva intorno al corpo. Indossa un girocollo e una catena d'oro nello stile dei gioielli indossati dalle donne della corte di Sassonia, dove Lucas Cranach il Vecchio lavorava. A differenza di Carità e dei suoi figli, che non indossano nulla, la bambola tenuta in braccio dalla ragazza sulla sinistra è vestita con un abito verde in stile contemporaneo. Cranach e la sua bottega hanno dipinto questo soggetto in sei versioni; in altre rappresentazioni, la Carità è raffigurata seduta in un paesaggio (Mar L8v)





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view post Posted: 21/11/2023, 21:57     +16CARITAS (Charity) - Lucas Cranach il Vecchio - ARTISTICA


Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità,
sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita...





Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1537-1540
Olio su tavola
50 x 34 cm
Anversa, Royal Museum of Fine Arts


Lucas Cranach il Vecchio, accreditato come l'artista tedesco di maggior successo del suo tempo, fu pittore di corte degli Elettori di Sassonia per la maggior parte della sua carriera ed è noto per i suoi ritratti di principi tedeschi, per la sua collezione di nudi e per i suoi ritratti dei leader della Riforma protestante, di cui abbracciò con entusiasmo la causa. Fu un amico intimo di Martin Lutero. Cranach dipinse anche soggetti religiosi, dapprima nella tradizione cattolica, poi cercando di trovare nuovi modi per trasmettere nell'arte le istanze religiose luterane. Per tutta la sua carriera continuò a dipingere soggetti nudi tratti dalla mitologia e dalla religione.


I dipinti di scene mitologiche di Cranach, che presentano quasi sempre almeno una figura femminile esile, nuda tranne che per un drappo trasparente o un grande cappello, realizzati all'inizio della sua carriera, mostrano influenze italiane, tra cui quella di Jacopo de' Barberi, che fu alla corte di Sassonia per un periodo fino al 1505; diventano poi rari fino a dopo la morte di Federico il Saggio. I nudi successivi presentano uno stile caratteristico che abbandona l'influenza italiana per una ripresa dello stile tardogotico.


In quest'opera, una giovane madre - identificata come la Carità, personificazione della benevolenza - con il corpo nudo coperto solo da una garza trasparente, allatta un bambino. È abbracciata a un altro bambino. Un ragazzo è seduto a terra davanti a lei e le tocca una gamba. Siede su un blocco di pietra sotto un albero di mele. Sullo sfondo è visibile un paesaggio montuoso intorno al cespuglio alle spalle della giovane madre. Max J. Friedländer e Jakob Rosenberg hanno citato sei diverse varianti di quest'opera, datando il dipinto di Anversa a dopo il 1537.





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A partire dal 1529, le rappresentazioni della Carità da sola entrano a far parte dell'opera di Cranach. In questi dipinti, Cranach isolò (e monumentalizzò) un soggetto che prima di allora era solitamente integrato in una serie di virtù e vizi. Cranach fu anche un innovatore in quanto le sue allegorie della Carità erano figure più o meno nude, poiché il velo trasparente non offriva altro che una foglia di fico simbolica, contribuendo allo stesso tempo ad aumentare il piacere visivo.


Rappresentando la Caritas nuda, o Carità, circondata da tre bambini, il protestante Cranach infondeva al suo soggetto e al dipinto una qualità di amore materno; l'artista, tuttavia, era più interessato alla rappresentazione fisica che agli aspetti simbolistici della pittura. I nudi di Cranach, che fanno parte della sua serie con la stessa donna, sono facilmente riconoscibili ed egli li ha più volte glorificati facendoli apparire in scene mitologiche e bibliche. (Mar L8v)


view post Posted: 20/11/2023, 22:31     +11Madonna dei garofani (Madonna of the Pinks) - Raffaello




Raffaello
Madonna dei garofani
(Madonna of the Pinks)
1506-1507
Olio su legno di tasso
27.9 × 22.4 cm
Londra, National Gallery


La scena si svolge nella camera da letto della giovane Vergine Maria in un palazzo italiano del Rinascimento. La Vergine siede su una panca in fondo al letto (la tenda verde del letto è annodata dietro di lei) e viene mostrata mentre si diletta con il figlio neonato, che siede su un morbido cuscino bianco sulle sue ginocchia. Le carnagioni chiare e luminose della Vergine e del Bambino risaltano sulla fredda e scura parete interna. Attraverso la finestra ad arco si apre un panorama soleggiato con rovine fortificate aggrappate a una collina rocciosa; c'è una piccola scheggia nel davanzale di pietra grigia della finestra.


Cristo guarda i delicati fiori offerti da sua madre - i fiori rosa o garofani da cui prende il nome il dipinto. Conosciuto in greco come dianthus, il fiore era un simbolo tradizionale dell'amore divino e si riteneva che fosse nato dalla terra dove erano cadute le lacrime della Vergine durante la Passione di Cristo. Nei ritratti profani il dianthus simboleggiava l'amicizia e spesso il fidanzamento, il che sarebbe stato appropriato anche in questo caso, dato che la Vergine era venerata sia come madre che come sposa di Cristo. Quest'idea derivava dal Cantico di Salomone dell'Antico Testamento, in cui lo sposo divino si unisce alla sua sposa celeste - il letto verde qui ricorda il letto nuziale verde del testo biblico.


Le figure non sono illuminate dalla luce della finestra, ma da una fonte di luce artificiale in alto a sinistra. La sottile descrizione delle luci e delle ombre sulle carni e sui panneggi rivela la familiarità di Raffaello con la pittura olandese. Anche la tenda annodata del letto, la vista attraverso la finestra con la scheggia illusionistica nel davanzale e gli occhi della Vergine abbassati e a forma di mezzaluna riflettono esempi nordeuropei. Tuttavia, l'influenza principale è la Madonna del Benois di Leonardo da Vinci (Museo Statale dell'Ermitage, San Pietroburgo), sulla quale la composizione di Raffaello è strettamente basata. La corrispondenza è così stretta da far pensare che Raffaello abbia potuto studiare di persona il quadro di Leonardo, sebbene sia stato dipinto circa trent' anni prima. I colori freddi, l'illuminazione sapiente, la vivace interazione delle figure e la disposizione dei panneggi riflettono l'opera di Leonardo. Raffaello ha collegato i mondi celesti e terreni dell'interno e dell'esterno attraverso l'uso armonioso del colore. La scelta del grigio-azzurro e del giallo per le vesti della Vergine (invece dei tradizionali rosso e blu) può anche essere messa in relazione con la scelta di colori altrettanto eterodossi di Leonardo nella "Madonna di Benois".





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Il dipinto, in ottimo stato di conservazione, non è molto più grande di un Libro d'Ore (un libro di preghiere personale), con la raffinatezza di una miniatura manoscritta, e potrebbe essere stato pensato per essere tenuto in mano per la preghiera e la contemplazione. In un inventario manoscritto risalente ai primi anni Venti del Quattrocento si legge che fu realizzato per "Maddalena degli Oddi, monaca di Perugia". Maddalena è stata indicata dal biografo d'arte cinquecentesco Vasari come la committente dell'Incoronazione della Vergine di Raffaello, dipinta per la Cappella degli Oddi in San Francesco al Prato, a Perugia, intorno al 1502-1504, e oggi conservata nella Pinacoteca Vaticana. Il tenero dipinto della National Gallery, con la sua immagine della casta Vergine, promessa sposa attraverso lo scambio di fiori divini con l'amore divino nella forma del suo bambino, sarebbe un'appropriata sollecitazione alla preghiera per una vedova virtuosa che aveva sposato Cristo prendendo i voti religiosi.





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Il dipinto è databile per motivi stilistici intorno al 1506-1507 e potrebbe essere stato realizzato nello stesso periodo in cui Raffaello progettava e consegnava la pala del Trasporto del Cristo morto per la famiglia Baglioni, la cui cappella in San Francesco al Prato si trova di fronte a quella della famiglia Oddi che ospitava l'Incoronazione di Raffaello. Il dipinto era molto conosciuto e celebrato durante il XVI e il XVII secolo e molte prime copie e stampe sono state realizzate sulla base di esso. Sebbene i precedenti proprietari del castello di Alnwick lo ritenessero opera di Raffaello, la sua reputazione è stata erosa dai dubbi degli studiosi fino a quando non è stato considerato solo una copia di un'opera perduta dell'artista. Tuttavia, il dottor Nicholas Penny, direttore della National Gallery dal 2008 al 2015, ha riscoperto la "Madonna dei garofani" nel 1991 e la sua attribuzione a Raffaello è stata verificata da indagini scientifiche sul disegno e sui pigmenti, entrambi tipici del lavoro di Raffaello prima di recarsi a Roma.


La presenza di un sottodisegno eccezionalmente libero e creativo - il disegno realizzato dall'artista prima di iniziare a dipingere - è stata rivelata dalla riflettografia all'infrarosso, una tecnica scientifica del tardo XX secolo che nessun copista precedente ha potuto anticipare. Gran parte del disegno della "Madonna dei garofani" è tipico dello stile di Raffaello. Include caratteristiche già note in molti disegni, cartoni e di Raffaello: ad esempio, ampi archi per definire le forme principali, archi più piccoli per indicare le nocche delle mani, tratteggi per indicare le zone d'ombra e segni a uncino per indicare le pieghe del panneggio. L'indagine al microscopio mostra che il disegno di fondo è stato eseguito in punta di metallo, un mezzo che l'artista urbinate utilizzava spesso.





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Il disegno mostra che Raffaello cambiò più volte idea sulla composizione; in particolare, ripensò radicalmente il costume. Seguì quindi i contorni principali del disegno, ma apportò diverse modifiche e revisioni nel corso della pittura. Una modifica importante riguarda la tenda del letto, che in origine era colorata di viola. Questo tipo di modifiche - una parte ben riconosciuta del processo creativo - non sarebbe presente in una copia perché il copista lavorerebbe a partire dalla versione finale.


Anche i pigmenti delle pitture sono stati identificati grazie a indagini al microscopio. Sono tutti caratteristici dei dipinti realizzati a Firenze e in Umbria nei primi anni del Cinquecento, quando Raffaello vi lavorava. I copisti successivi non avrebbero potuto procurarsi molti dei pigmenti da lui utilizzati e avrebbero dovuto impiegarne di più recenti, sconosciuti nell'Italia rinascimentale. Soprattutto, il quadro contiene un insolito pigmento grigio scuro dall'aspetto lucido e scintillante, identificato recentemente come bismuto metallico in polvere, presente in altre opere di Raffaello. L'uso del bismuto come pigmento è limitato, per quanto se ne sa, alla pittura dell'Italia centrale del primo Cinquecento. Tutte queste caratteristiche e prove fanno sì che la "Madonna dei garofani" non possa essere attribuita a un altro artista dell'epoca di Raffaello, o a uno successivo.



Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.

(Dante Alighieri, Canto 33, Paradiso)




(Mar L8v)




view post Posted: 20/11/2023, 15:38     +11GRAVITY by YANN NGUEMA - Un invito alla contemplazione - CAFFE' LETTERARIO


GRAVITY BY YANN NGUEMA
LA POETICA INSTALLAZIONE CHE GIOCA CON ARIA, LUCI E SUONI




Teli in seta fluttuano nell'aria a suon di musica e accolgono la proiezione di immagini:
"Gravity" di Yann Nguema diventa così occasione di meditazione per il pubblico...






VIDEO


Chi non ha mai soffiato verso l’alto un fazzoletto per farlo fluttuare sopra il naso e lasciarlo ricadere sul volto? L’opera Gravity, del digital artist Yann Nguema, sfruttando teli di seta, vento, luci e musiche, ricorda proprio questo gioco d’infanzia. L’installazione, originariamente concepita per Collégiale Saint-Martin ad Angers, è attualmente esposta presso Les Champs Libres a Rennes, nell’ambito della mostra PRISM, in corso fino al prossimo 31 marzo 2024.


Sono tante le sensazioni che evoca la vista di Gravity che, come mostra il video, si compone di finissimi e grandi drappi in seta che danzano nell’aria grazie al vento prodotto da ventagli posti alla base. Questa scultura cinetica, ispirata al lavoro artistico di Daniel Wurtzel, sfrutta il candore dei teli che volano per proiettare immagini di vario genere, da quelle geometriche, che ricordano le disposizioni delle costellazioni nel cielo, a quelle delle corolle floreali. A completare l’esperienza è un suono avvolgente, in cui si rintracciano motivi musicali, trilli tecnologici e accordi di archi che insieme sembrano intercettare i ritmi cerebrali. Gravity può essere attraversata dai visitatori, che hanno la facoltà di muoversi al di sotto delle stoffe volanti, oppure lungo i lati, scegliendo di entrare nel cuore dell’opera per lasciarsi avvolgere o ammirandola nella sua pienezza a distanza.


Gravity è un invito alla contemplazione

Come molte opere e installazioni contemporanee – pensiamo ad esempio a Nave di Brian Eno e Jiří Příhoda – anche Gravity si pone l’obiettivo di indurre lo spettatore in uno stato contemplativo e meditativo, di rilassamento e riappropriazione del proprio pensiero. L’effetto è quello dell’ASMR, ovvero di senso di piacere infuso al cervello, che ha trovato grande seguito in Rete, con video e contenuti multimediali appositamente creati. In tempi in cui siamo sottoposti a forte stress mentale, ansie e ad un sovraccarico di informazioni che non ci consente di dialogare con noi stessi, questo format declinato in chiave artistica non può che essere appagante per il pubblico. Gravity diventa così opera creativa e, allo stesso tempo, curativa.


Fonte
view post Posted: 19/11/2023, 21:48     +14VENERE DORMIENTE (Venere di Dresda) - Giorgione - ARTISTICA


Il piacere di Venere è gratissimo con l’astinenza:
così nel freddo piace il sole, nel sole piace l’ombra,
l’acqua piace a chi ha sete...

(Ovidio, Remedia amoris)





Giorgione (Terminata da Tiziano)
Venere dormiente (Venere di Dresda)
(Sleeping Venus)
1508
Olio su tela
108.5 x 175 cm
Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister


L'opera è generalmente collegata alla testimonianza di Michiel che nel 1525 ebbe modo di vedere nella casa di Girolamo Marcello una Venere nuda con un puttino che "fo de mano di Zorzo de Castelfranco, ma lo paese et Cupidine forono finiti da Titano". Un restauro dell'Ottocento rivelò la presenza a destra di un angioletto, ben presto ricoperto, viste le pessime condizioni. Esso è ora visibile solamente in radiografia.


Alla fine del Seicento, allorchè giunse nelle collezioni reali di Sassonia, la Venere era ritenuta opera del Giorgione, opzione ripresa e collegata alla testimonianza di Michiel de Morelli. Da allora si è aperto un dibattito simile a quello che ha visto protagonista il "Concerto campestre" del Louvre, fra chi sostiene un parziale intervento di Tiziano e chi ritiene che il cadorino operò una completa ridipintura della tela.






Giorgione (Terminata da Tiziano)
Concerto campestre
(Pastoral Concert)
1510 circa
Olio su tela
110 x 138 cm
Parigi, Musée du Louvre


È questa l'opzione oggi considerata più credibile, in quanto i valori cromatici del paesaggio si pongono in linea con il Tiziano degli affreschi del Santo di Padova e dell'Amor Sacro e Amor Profano della Galleria Borghese di Roma (quindi fra il 1511 e il 1515 circa). Medesimo è il riferimento per la consistenza materica del cuscino e del drappo in cui è distesa Venere. Qualcosa di Giorgione resta nel corpo e nel volto della dea stessa ma è soltanto un ricordo, quasi una sorta di impostazione sottostante una pittura tono su tono che si è giorgionesca nella sua genesi ma è ormai pienamente tizianesca nella sua realizzazione "senza disegno". Quindi se questa è l'opera vista da Michiel, l'intervento di Tiziano va esteso ad un totale restauro della tela.





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Il dipinto ritrae una donna nuda, languidamente addormentata all'aperto, distesa su un telo bianco e un cuscino coperto da un drappo rosso, sullo sfondo di un paesaggio aperto (le case sono identiche a quelle del Noli me tangere di Tiziano). Come hanno confermato le analisi ai raggi infrarossi, Tiziano dovette riparare alcuni danni riducendo il lenzuolo ed ampliando il manto erboso, con l'aggiunta del drappo rosso. Sua è anche la massa rocciosa scura dietro la testa della donna, che dà l'idea di un anfratto sotto il quale la donna riposa; inoltre curò il cielo e il paesaggio, che da allora usò come repertorio: si trova identico nel "Noli me tangere" di Londra e speculare nell'"Amor Sacro e Amor Profano"





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Nonostante il pesante intervento tizianesco, l'invenzione del soggetto è attribuita interamente a Giorgione, che dovette anche aver impostato l'andamento dolce del paesaggio che riecheggia le forme del corpo nudo. Sottili implicazioni erotiche si trovano nel braccio alzato di Venere e nel posizionamento della sua mano sinistra sul suo inguine, che riprende la posa della Venus pudica (Venere pudica), sebbene aggiornandola a una posizione distesa. Si tratta però di un'atmosfera misuratamente sensuale e sognante, molto diversa dalle interpretazioni che daranno gli artisti successivi del tema, dove la donna ben sveglia si rivolge spudoratamente allo spettatore, esibendo apertamente la propria nudità, a volte senza neanche il gesto di coprirsi pudicamente.





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Come segnalato da Anderson il non comune soggetto iconografico è tratto dalla letteratura epitalamica antica e il quadro potrebbe quindi essere stato eseguito per le nozze di Girolamo Marcello. Secondo un'altra versione sarebbe invece il ritratto della sua amante. È infine da segnalare che Tiziano riprenderà questa composizione nella tela più tarda Venere di Urbino, verso il 1538. (Mar L8v)



view post Posted: 19/11/2023, 14:18     +13MARK ROTKHO - 115 opere alla Foundation Louis Vuitton - CAFFE' LETTERARIO


"Sono diventato pittore perché volevo elevare la pittura
al livello di pregnanza della musica e della poesia".

Mark Rothko



MARK ROTHKO
LA GRANDE RETROSPETTIVA A PARIGI




Quella organizzata dalla Fondation Louis Vuitton è tra le più grandi retrospettive mai dedicate a Rothko.
Centoquindici celebri opere per raccontare uno dei maggiori pittori del Novecento, dall’inizio alla fine.






Mark Rothko - No.9 (White and Black on Wine), 1958, Potomac, Glenstone Museum


Il mondo dell’immaginazione è libero da vincoli e si oppone con violenza al senso comune. È forse il più importante dei cinque punti con cui Mark Rothko (Daugavpils, 1903 – New York, 1970) e Adolph Gottlieb, con l’aiuto e la supervisione dell’amico Barnett Newman (da loro considerato il più abile con la penna) gettano le basi di una nuova estetica, nella famosa "Jewell letter" del giugno 1943. Si tratta anche anche della dichiarazione di principio che meglio resiste all’evoluzione dello stile del pittore lettone-americano e alle successive fratture e diffidenze all’interno della Scuola di New York. Rothko e Gottlieb rispondono a un articolo del critico del New York Times Edward Allen Jewell, che, recensendo la mostra collettiva della Federation of Modern Painters and Sculptors, aveva alzato le mani di fronte al Ratto di Persefone di Gottlieb, una delle sue pittografie più essenziali e scabre, e al Toro siriano di Rothko, tela surrealista e metamorfica, dove le figure sembrano contenere a stento un dramma segreto. Jewell dichiara la sua incapacità a decifrare queste opere per i suoi lettori. I due artisti replicano con una dichiarazione d’indipendenza.



Mark Rotkho - Blue and Gray, 1962, Basilea, Beyeler Collection


La mostra di Mark Rothko a Parigi

Passando in rassegna le centoquindici opere esposte alla Fondation Louis Vuitton di Parigi, in una delle maggiori retrospettive dedicate all’artista della pittura assoluta, si comprende come la libertà, nell’arte e nella vita, non arrivi mai facile. Neppure ai più dotati. Nelle sale centrali i campi di colore galleggiano, che siano densi come magma o leggeri come nuvole (magari radioattive). Sono i lavori degli anni Cinquanta e Sessanta, tele per lo più grandi e impositive, ben distanziate, per non creare attriti e disturbi; allestite più basse del solito per avvicinarsi al livello dello spettatore. Anche la luce diffusa è quasi da penombra: l’hanno voluta così Suzanne Pagé, direttrice artistica della Fondazione, e Christopher Rothko, figlio dell’artista e co-curatore della mostra. Una scelta efficace. L’atmosfera è tra Strehler e la liturgia sacra.



Mark Rotkho - No.14, 1960, San Francisco Modern Art


I campi di colore sono campi di energia. Le regioni pittoriche di Rothko vibrano nei contorni, grazie a stesure multiple, a impasti di pigmenti, all’uso sovrapposto di pennelli rigidi e morbidi. Danno una scossa allo sguardo. Nulla di facile, neanche nella tecnica. Il N. 14 del 1960, dalla collezione del MoMA di San Francisco, da sempre uno dei più fotografati e riprodotti, mette in scena un temporale interiore. Mark Rothko ha sempre rifiutato la definizione di serenità per i suoi quadri. La sua libertà è drammatica. Brucia come il fuoco. La lucentezza dei colori di Rothko non è quella della morte, come sosteneva l’amico Clyfford Still; evoca piuttosto un’ascesi dell’arte. Sempre in tensione tra morte e vita, poli che si scambiano onde di energia.



Mark Rotkho - No.21, Houston, The Menil Collection


Mark Rothko: dalle prime opere ai Multiforms

È il caso di fare un salto indietro, nella mostra e nella biografia di Rothko. All’inizio del percorso cronologico, al piano inferiore della Fondation Louis Vuitton, ad accogliere il visitatore è un autoritratto del 1936, occhiali neri, figura leggermente obliqua, colori scuri e pastosi sul marrone e il ruggine: un Caronte ombroso, che ci traghetta nel suo mondo. All’epoca del dipinto, Mark Rothko è ancora, all’anagrafe, Markus Rothkowicz (cambierà il nome pochi anni dopo per timore dell’antisemitismo crescente). La famiglia, ebrei lettoni, era arrivata negli Stati Uniti nel 1913 per sfuggire ai pogrom e per evitare che Markus e i suoi fratelli fossero arruolati a forza nell’esercito imperiale russo. Le scene urbane degli anni Trenta, per esempio i quadri dalla serie delle Subways che seguono il ritratto, hanno toni cupi e l’architettura è impiegata per stendere colori quasi piatti che mutilano la scena. Il pittore è influenzato dall’atmosfera della Grande Depressione e dall’impegno politico. Ma si avverte l’eco poetico della Unreal City di T. S. Eliot che rintocca come un’invocazione angosciosa nel poema La Terra Desolata: "Una folla scorre sul Ponte di Londra, così tanti/ non credevo che la morte ne avesse disfatti così tanti".



Mark Rothko - Ochre and Red, 1954, Washington, The Phillips Collection


Presto la sua attenzione si sposta su mondi arcaici, l’ispirazione arriva dai miti e dalla tragedia greca, le figure si nutrono del surrealismo di Dalì ed Ernst, in parte della metafisica di de Chirico. Rothko desidera una pittura che vibri oltre la figura, al ritmo della musica e della poesia. Da principio, però, le figure cambiano sotto i suoi occhi e il suo pennello, germinano e si avvinghiano come nel potente "The Omen of the Eagle" del 1942 (Il presagio dell’aquila). Poi si frammentano: diventano figure biomorfe che guardano a Mirò e ad Arshile Gorky – di cui era stato allievo – e si evolvono nella serie dei Multiforms. Questo periodo oggi conosce una nuova fortuna critica anche se non ha la compiutezza dei grandi quadri successivi. Rothko dirà che ogni rappresentazione figurativa è frutto di una mutilazione e che l’artista non può rappresentare il suo mondo con una mutilazione. C’è una spiritualità che cerca la sua via nello studente di Talmud disilluso dalle religioni ufficiali, dai precetti comandati. Ed ecco le bande di colore; ma sarebbe più giusto chiamarle "partiture di colore" dato l’amore di Rothko per la musica. Soprattutto Mozart. Eppure all’occhio e all’orecchio insieme, per sinestesia e simmetria, si presentano le variazioni Goldberg di Bach suonate al piano da Glenn Gould (meno memorabile, una colonna sonora del compositore Max Richter accompagna l’esposizione). Rothko rigettava la definizione di colorista. Non apprezzava essere inserito, come avviene di solito per consuetudine critica e per le sue frequentazioni artistiche, nell’Espressionismo astratto. "La mia arte non è astratta. Vive e respira" puntualizzava. I suoi quadri tra gli anni Cinquanta e Sessanta bruciano a fuoco lento, come altoforni dell’anima, operazioni alchemiche: il colore serve per purificare ogni carne, figura e materia.



Mark Rotkho - Slow Swirl at the Edge of the Sea, 1944, New York, MoMA


Le opere di Mark Rothko alla Fondazione Louis Vuitton

Le opere alla Vuitton vengono da istituzioni prestigiose, come la National Gallery of Art di Washington, la Phillips Collection, dai MoMA di New York e San Francisco, dalla collezione dei figli e da musei più piccoli quali il Munson di Utica; la Tate Modern di Londra ha prestato i suoi celebri Seagram Murals, che non arrivarono mai, per un ripensamento (o pentimento) del loro autore sulle pareti del mondanissimo ristorante Four Seasons di Manhattan, per il quale erano stati commissionati. Rothko aveva pensato a quadri che facessero "vomitare" ai capitalisti il loro sontuoso pasto e alla serie come a una sorta di prigione artistica, più mentale che fisica, un po’ come nell’"Angelo Sterminatore", il film di Luis Buñuel in cui i convitati di un banchetto non riescono misteriosamente ad uscire dal palazzo che li ospita. Queste stratificate, enormi tele dipinte a olio, acrilico e tempera in marroni bruciati, strisce di ruggine, rossi corrosivi non stimolano l’appetito neppure alla Fondazione Vuitton. Raccolti in una sala, sembrano rimandare a certi tappeti da meditazione tibetani e mongoli portati a dimensioni giganti. Spazio da digiuno e penitenza. Più evidenti nelle drammatiche "feste" di colore degli stessi anni i rimandi a Matisse (Rothko aveva ammirato al MoMA Lo Studio Rosso e aveva dedicato al maestro francese un omaggio nel 1954), agli affreschi di Fra’ Angelico, alle pitture murali della Villa dei Misteri di Pompei. Il rosso bruciato (e conservato) dal flusso piroclastico del Vesuvio risuonano nelle sue corde. Jason Farago – che ha recensito la mostra alla Fondation Louis Vuitton per il New York Times – ha visto in alcune tele una tentazione decorativa (per un pittore che voleva essere "fancy free"!). Si potrebbe dire che è piuttosto lo stesso sguardo che Leonardo Da Vinci aveva per le macchie sui muri. L’immagine trovata invece che l’objet trouvé.



Mark Rothko - The Omen of the Eagle, 1942, Washington, National Gallery of Art


Gli ultimi anni e il suicidio

Ogni colore e tentazione si dissolve poi nelle grandi e assorbenti superfici dei "Black on Grays". Sono gli ultimi anni della vita di Rothko: troppo facile metterli in relazione con il suo suicidio nel febbraio del 1970. In quei giorni, l’artista continuò a dipingere a colori brillanti, insieme a queste tele spoglie. Leggeva spesso poesia, il Rothko degli ultimi anni. E concludeva il lavoro titanico alla Rothko Chapel di Houston per la famiglia De Menil: un’"opera al nero" chiusa in un ottagono bizantino. A Parigi, nella stanza più alta dell’edificio progettato da Frank Gehry, cinque neri su grigio hanno insieme un afflato lirico, grazie anche all’accostamento con due statue di Alberto Giacometti, l’"Uomo che cammina" I e "Grande Femme III" (era un desiderio di Rothko esporre insieme a Giacometti all’Unesco, esaudito postumo). "The Waste Land" si chiude con tuoni che non portano pioggia sul paesaggio roccioso e un orizzonte piatto come gli ultimi quadri di Rothko. Eliot evoca tre parole in sanscrito: "Datta. Dayadhvam. Damyata". Dono, compassione, controllo di sé. Il poeta alla fine si siede su un mare calmo. I Black on Grays sotto le vele di Gehry danno un senso di speranza. Di partenza. "Poi s’ascose nel foco che gli affina": la citazione dantesca di Eliot si addice alla pittura di Rothko, i quadri finali non sono appunti del suicidio, ma la catarsi della tragedia.

Parigi, fino al 2 aprile
MARK ROTHKO
Fondation Louis Vuitton
8 Av. du Mahatma Gandhi, 75116




Mark Rotkho - Untitled (The Subway), 1937, Collection Elie et Sarah Hirschfeld



Fonte
view post Posted: 18/11/2023, 22:48     +12CIRCE DIPINTA DA JOHN WILLIAM WATERHOUSE - ARTISTICA


Circe, dai bei capelli, temibile dea della parola umana.

(Omero, Odissea 11.5)



LA STORIA DI CIRCE
SECONDO JOHN WILLIAM WATERHOUSE




Circe è uno degli affascinanti personaggi del poema epico di Omero, l'Odissea.
A causa della sua natura complessa e anticonvenzionale,
molti pittori nel corso della storia hanno cercato di ritrarla in modo unico.
Un solo pittore l'ha dipinta non solo una volta, ma in tre versioni...






John William Waterhouse
Circe
(The Sorceress)
1911
Olio su tela
86.3 x 77.2 cm
Collezione privata


Le opere del pittore inglese John William Waterhouse furono fortemente influenzate da fonti letterarie e miti antichi, tuttavia, la figura di Circe fu fonte di continua ispirazione occupando un posto speciale nel suo lavoro, visto che fu l'unico caso in cui raffigurò lo stesso personaggio per ben tre volte e in tre versioni differenti. John William Waterhouse nacque a Roma il 6 aprile 1849 da padre William e madre Isabela, entrambi pittori che iniziarono il figlio al mondo dell’arte. Pochi anni dopo la sua nascita, la famiglia decidette di trasferirsi nel quartiere South Kensington di Londra, stabilendosi a pochi passi di distanza dal neonato Victoria&Albert Museum. Nel Regno Unito, Waterhouse ebbe modo di sviluppare le sue competenze con il pennello, dapprima apprendendo i rudimenti nello studio dei genitori e poi iscrivendosi alla Royal Academy of Art a partire dal 1870. Un grande ruolo nella sua formazione, lo ebbero anche i vari musei della capitale che il giovane artista frequentò quotidianamente, riproducendo schizzi delle opere conservate alla Royal Academy e alla Dudley Gallery. Da tutte queste esperienze nacquero dunque la grande passione di Waterhouse per i soggetti presi dalla mitologia e i primi segnali di un modo di dipingere che tese verso lo stile preraffaellita.



John William Waterhouse
Ulisse e le sirene
(Ulysses and the Sirens)
1891
Olio su tela
100 x 201.7 cm
Melbourne, National Gallery of Victoria


Pur essendo un pittore dell'epoca vittoriana, Waterhouse riuscì a rimanere eclettico nella sua arte, piuttosto che abbracciare completamente lo status quo estetico del suo tempo. Si ispirò ai preraffaelliti che criticavano la posizione artistica e intellettuale della Royal Academy. Contrariamente all'idealismo, i preraffaelliti abbracciarono il naturalismo e il realismo nelle loro opere. La reazione anti-vittoriana è osservabile nella maggior parte delle opere di Waterhouse, che sono state fortemente influenzate da fonti letterarie antiche e successive. Queste includono opere teatrali, poemi epici, miti e racconti storici. I suoi capolavori canonici, come "Ulisse e le Sirene" (1891)" ed Eco e Narciso" (1903), si integrano profondamente con le narrazioni di questi personaggi.



John William Waterhouse
Eco e Narciso
(Echo and Narcissus)
1903
Olio su tela
109.2 x 189,2 cm
Liverpool, Walker Art Gallery


Chi fu Circe?

Prima di addentrarci direttamente nei dipinti, ricordiamo chi fu Circe. Suo padre era Elio, dio del Sole e custode dei giuramenti, mentre la madre Perseide era una ninfa oceanica. Circe aveva due fratelli e una sorella; Pasifae, era la regina di Creta, mentre i suoi fratelli, Eeste e Perse, erano i sovrani della Colchide. Circe aveva un'ascendenza divina e nobile ma, a differenza dei suoi fratelli, viveva su un'isola disabitata di Eea, lontano dai grandi insediamenti. In caso di arrivo di visitatori inattesi, spesso trasformava loro in animali come lupi, leoni e maiali. Se Ulisse non avesse ricevuto l'aiuto di Ermes, avrebbe subito la stessa sorte e non avrebbe mai più potuto raggiungere Itaca.

Essa in un trono mi fece sedere, dai chiovi d’argento,
istoriato, ricco; né ai piedi mancò lo sgabello.
Quindi, in un vaso d’oro mi pose un intriso, da berlo;
e, macchinando il mio male, l’aveva d’un farmaco infuso.

(Omero, Odissea, 10.312-315)




John William Waterhouse
Circe offre la coppa a Ulisse
(Circe Offering the Cup to Ulysses)
1891
Olio su tela
92 x 148 cm
Gallery Oldham


Circe offre la coppa a Ulisse

Questo capolavoro è attualmente esposto alla Gallery Oldham, nel Regno Unito. "Circe che offre la coppa a Ulisse" è probabilmente il più grande ritratto realizzato raffigurante la maga Circe, perlomeno in quanto a ricchezza della composizione e accuratezza nella rappresentazione sia dei soggetti sia dell'ambientazione. Waterhouse riuscì a raffigurarla come una donna bella e astuta, adattandola coerentemente alla sua rappresentazione nell'Odissea. L'espressione del viso e la postura dimostrano la fiducia nella sua trama e nelle sue capacità magiche; è pronta a servire il vino incantato a Ulisse senza sapere che lui ha appena ricevuto raccomandazioni e preziosi consigli da Ermes. Oltre al soggetto principale, possiamo notare due maiali, uno dietro al trono ed uno ai suoi piedi, due sue recenti vittime. Nello specchio è visibile il riflesso di Ulisse, che si trova sull'isola per salvare il suo equipaggio. Inoltre, possiamo vedere la sua nave e l'ingresso della casa di Circe, con imponenti colonne doriche.

Si bagna à pena Scilla entro à quel lago,
Lo qual pur dianzi havea la maga infetto,
Che l’iniquo veleno, e ’l verso mago
Comincia à fare il suo crudele effetto.
Quel corpo, c’havea pria si bello, e vago,
Diviene un schivo, e mostruoso obbietto.
E già nel fianco, e nelle basse membra
In ogni parte à Cerbero rassembra.

(Ovidio, Metamorfosi, 14.56-62)




John William Waterhouse
Circe Invidiosa
1892
Olio su tela
180.7 x 87.4 cm
Adelaide, Art Gallery of South Australia


Circe Invidiosa

Questo particolare ritratto mitologico si basa su un racconto contenuto ne "Le metamorfosi" di Ovidio, in cui Circe trasforma la bella ninfa Scilla in un mostro marino solamente perché il dio Glauco rifiutò le dichiarazioni d'amore dell'incantatrice nella speranza di ottenere l'amore di Scilla. Il dipinto di Waterhouse mostra Circe in piedi sull'acqua della baia mentre versa un veleno dal colore verde brillante. Sotto i suoi piedi le nuove forme di Scilla (che ora "in ogni parte à Cerbero rassembra") turbinano già nelle gorgoglianti profondità sottostanti: la trasformazione è ben avviata. Tuttavia, né la forma umana di Scilla né quella mostruosa vengono enfatizzate: è il potere dello sguardo oscuro di Circe e la gelosia tangibile a governare questa scena, mentre i colori vividi turbinano tutt'intorno alla sua figura.



John William Waterhouse
Circe
(The Sourcess)
1911-1914
Olio su tela
73.9 x 109.2 cm
Collezione privata


La maga

Esistono due versioni di "Circe" entrambe in collezioni private; nella sua terza e ultima rappresentazione, Waterhouse la ritrae nella sua casa sull'isola di Eea. Nelle prime due rappresentazioni Circe è stata ritratta con in castano scuro, mentre in questi due dipinti i suoi capelli sono di colore rosso. In quest'opera, non la vediamo commettere un'azione malvagia, ma la troviamo in uno dei suoi momenti ordinari. A differenza dei due quadri precedenti, in cui Circe è raffigurata come una donna autorevole, qui viene messa in rilievo la sua componente umana. Implementando il suo libro di incantesimi e la sua bottiglia di pozioni, Waterhouse sottolinea la sua intellettualità e la sua astuzia divina. Nel contempo, vediamo una coppa di vino che si è rovesciata; ciò può essere interpretato come la rappresentazione dei suoi sentimenti e delle sue ambizioni umane. Resta chiaro che Circe non è un personaggio che rovescia accidentalmente un oggetto; è chiaro che l'ha fatto cadere intenzionalmente e Waterhouse ne lascia una traccia nella mente degli amanti dell'arte...



Raccontano che Scilla, figlia del fiume Crateide, fosse una fanciulla bellissima.
Di lei si innamorò Glauco, che a sua volta era amato da Circe, figlia di Sole.
Scilla aveva l'abitudine di lavarsi in mare; e Circe, gelosa, avvelenò l'acqua con i suoi filtri.
Quando Scilla s'immerse, dai suoi inguini spuntarono dei cani e divenne un mostro selvaggio.
Ella poi si prese la rivincita delle offese patite:
infatti divorò i compagni di Ulisse che le sfilava vicino sulla nave.


(Fabulae, Gaio Giulio Igino)




(Mar L8v)





John William Waterhouse
Studio di Circe Invidiosa
(Study for Circe Invidiosa)
1892
Carboncino e matita
24 × 22 cm
Collezione privata

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