ITALO CALVINO - LA STORIA DEL PARTIGIANO SANTIAGO, Militante, testimone, interprete della Resistenza sanremese.

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view post Posted on 15/10/2023, 13:04     +10   +1   -1
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Tazzulella fumante
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Ma quando penso all'avvenir
della mia libertà perduta
vorrei baciarla e poi morir
mentre lei dorme... all'insaputa...

(Italo Calvino)



ITALO CALVINO
IL PARTIGIANO SANTIAGO




Tra il 1944 e il 1945 lo scrittore partecipò alle fasi più cruente
della Resistenza sanremese al nazifascismo e tra bombardamenti
e rappresaglie conobbe quel «"ancinante mondo umano"
che avrebbe orientato la sua attività di scrittore.






Un passo da "Il sentiero dei nidi di ragno"


"Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale […] Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione".

Restano indelebilmente scolpite della memoria antifascista le parole che lo scrittore Italo Calvino nel suo romanzo d’esordio Il sentiero dei nidi di ragno (1947) mette in bocca al commissario Kim, lo studente universitario comandante di una brigata partigiana che spiega ai compagni le ragioni profonde, politiche ma soprattutto etico-esistenziali dell’adesione alla Resistenza. A cento anni esatti dalla nascita dello scrittore Italo Calvino, uno dei massimi esponenti della letteratura nazionale della Resistenza al pari di Beppe Fenoglio, Cesare Pavese, Elio Vittorini e Primo Levi, e nell’ottantesimo anniversario dell’inizio della guerra di Liberazione, in un mondo gravato da conflitti e disparità sociali, quelle frasi assumono un senso marcatamente speranzoso e pacifista:

"Tutto servirà se non a liberare noi,
a liberare i nostri figli,
a costruire un’umanità senza più rabbia,
serena, in cui si possa non essere cattivi
".






Lo scrrittore Italo Calvino fotografato a Oslo, in Norvegia, il 7/71961
da Johan Brun, fotografo affiliato al quotidiano norvegese "Dagbladet".


A vent’anni

Italo Calvino nasce il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas de La Habana da genitori italiani emigrati a Cuba per ragioni commerciali. A soli due anni si trasferisce a Sanremo e lì vive la propria giovinezza, frequenta il liceo classico e poi s’iscrive alla facoltà di agraria all’università di Torino. Alcune delle Pagine autobiografiche, confluite poi nei Saggi Meridiani Mondadori, sono rivelatrici di una scelta radicale: "Dopo il liceo feci qualche tentativo di seguire la tradizione scientifica familiare, ma già avevo la testa alla letteratura e smisi. Intanto era venuta l’occupazione tedesca e, assecondando un sentimento che nutrivo fin dall’adolescenza, combattei con i partigiani, nelle Brigate Garibaldi". A un certo punto, soprattutto dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, migliaia di giovani poco meno o poco più che ventenni si trovarono dinanzi a un bivio: "Tutto il male avevamo di fronte, tutto il bene avevamo nel cuore, a vent’anni la vita è oltre il ponte, oltre il fuoco comincia l’amore". Sono versi toccanti scritti tra il 1958 e il 1959 e musicati da Sergio Liberovici, espressione di una poesia realistica, popolare, antimilitarista in cui l’autore attinge alla sua stessa esperienza. Tra il 1943 e il 1944 il Paese era diviso, lacerato. Con la fine dell’alleanza con la Germania nazista e lo sbarco degli angloamericani che da Salerno risalivano la Penisola si entrò negli ultimi e più cruenti sedici mesi di guerra costellati da stragi, rastrellamenti, rappresaglie e bombardamenti fino al 25 aprile del 1945, data che segnò la liberazione del Paese dal nazifascismo e la fine della guerra. In siffatto contesto "chi non vuole chinare la testa, con noi prenda la strada dei monti" taglia corto Calvino.



Attestato degli Alleati




Documento di riconoscimento di Calvino come membro della divisione partigiana "Felice Cascione"


Scalzi e laceri

Tra maggio e giugno del 1944 la Repubblica sociale italiana è solo un microstato fantoccio, tenuto cioè in piedi della Germania nazista cui Calvino, pur prestando servizio come soldato sedentario nel tribunale militare di Sanremo, non aderisce. Nella clandestinità prende contatti con il Partito comunista e il Fronte della gioventù. La decisione di salire in montagna matura il 15 agosto del 1944 quando entra a far parte nella brigata alpina accampata nei boschi di Baiardo, in provincia di Imperia. Nell’ottobre successivo aderisce alla brigata cittadina "G. Matteotti" che il 15 novembre viene rastrellata nei dintorni di Sanremo. Viene fatto prigioniero, incarcerato per tre giorni nella fortezza di Santa Tecla a Sanremo e obbligato ad arruolarsi nella Repubblica sociale italiana. Però riesce rocambolescamente a fuggire e, dopo aver assunto "Santiago" come nome di battaglia, l’1 febbraio del 1945 ritorna sui monti entrando a far parte del I battaglione della V Brigata d’assalto Garibaldi "L. Nuvoloni" nel momento più tragico della resistenza sanremese.



Italo Calvino (a destra) e il fratello Floriano nelle campagne di San Giovanni.


Il libro curato da Daniela Cassiani e Sarah Clarke Loiacono (Fusta Editore, 2023) ripropone la vivida testimonianza di Francesco Biga, partigiano garibaldino e direttore scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza d’Imperia: "Le cinghie della cassetta delle munizioni che portava gli laceravano la pelle delle spalle, ma Calvino marciava in silenzio, col cuore sulle labbra per l’ansia, pensando ai drammatici avvenimenti ancora ignoti, ma che si sarebbero succeduti a catena di lì a poco". Nei giorni della Liberazione "Santiago" scende a Sanremo come combattente garibaldino. Sempre nelle Pagine autobiografiche avrà modo di ricordare il "teatro" di quelle epiche battaglie:

"Negli stessi boschi che mio padre
m’aveva fatto conoscere fin da ragazzo;
approfondii la mia immedesimazione i
n quel paesaggio e vi ebbi la prima scoperta
del lancinante mondo umano".






Illustrazione contenuta in "I sentieri di nidi di ragno" edito da Mondadori nel 2012


Boschi, caserme, cadaveri

Prima di vivere la montagna, la fame e il freddo, la prigionia, le bombe e i rastrellamenti non v’era traccia del Calvino scrittore. C’era il ventenne partigiano Santiago, il cui unico "mestiere" era quello di sopravvivere. Ma il bagaglio d’esperienze del combattente informò la penna del futuro scrittore: "Tutto quello che scrivo e che penso parte da quell’esperienza" avrebbe dichiarato nel 1957 al giornalista Enzo Maizza. In altri termini il vissuto della Resistenza fu come una sorta di guida che "determinò il mio impegno politico a essere parte di un profondo rinnovamento democratico del mio paese", confessò al giornalista statunitense Alexander Stille. Il romanzo è un genere ancoro lontano negli orizzonti del giovane scrittore che privilegia un narrato "bello, pulito, stringato". Nell’Archivio Giacometti-Loiacono, studiato a fondo dalla studiosa Sarah Clarke Loiacono, c’è una cartellina che reca l’intestazione "Italo Calvino" che racchiude quattro racconti, tre dei quali dedicati al tema della Resistenza. Il primo è Radura, scritto nel 1945 e successivamente pubblicato nella raccolta "Ultimo viene il corvo" (1949) con il titolo "Andato al comando". "Il bosco era rado, quasi distrutto dagli incendi, grigio nei tronchi bruciati, rossiccio negli aghi secchi dei pini. L’uomo armato e l’uomo senz’armi se ne venivano a zig-zag tra gli alberi, scendendo". È l’incipit del racconto della marcia di un partigiano armato che tiene prigioniera una spia collaborazionista illudendola che una volta giunta al comando avrebbe trovato la libertà. E invece: "Cascò con la faccia al suolo e il colpo di grazia lo colse in una visione di piedi calzati coi suoi scarponi che lo scavalcavano. Così rimase, cadavere nel fondo del bosco, con la bocca piena di aghi di pino. Non erano passate due ore e già era pieno di formiche".



Illustrazione contenuta in "I sentieri di nidi di ragno" edito da Mondadori nel 2012


Gli altri due racconti, "Angoscia in caserma" e "La stessa cosa del sangue", entrambi scritti nel 1945 e pubblicati anch’essi per la prima volta in "Ultimo viene il corvo" trattano di alcuni fatti realmente accaduti all’autore e alla sua famiglia: l’arresto dei genitori nell’autunno del 1944, il rastrellamento di San Romolo e la conseguente cattura di Calvino, la prigionia in Santa Tecla e la successiva fuga. In Angoscia in caserma pensieri convulsi s’affollano nella mente del ragazzo rastrellato che fa la conta delle brande della caserma o di quanto gli rimane da vivere: "Erano pensieri senza senso: se ne accorse. Eppure, una due tre brande, forse gennaio febbraio marzo, giugno luglio, cosa gli era successo in luglio? Poi quella branda vuota, perché? Agosto settembre ottobre novembre. Qualcosa finiva a novembre: la guerra? La vita?". In La stessa cosa del sangue tornano i boschi dell’entroterra ligure dove due fratelli si nascondono per sottrarsi alla leva obbligatoria alla Repubblica di Salò. La madre è stata catturata dai tedeschi e "adesso si sarebbero presi per mano, avrebbero camminato smarriti, bambini senza mamma. Invece c’erano tante cose da fare, nascondere le bombe, le pistole, i caricatori, i fucili, i medicinali, gli stampati, nasconderli dentro il covo degli olivi e dietro le pietre dei muri, chè i tedeschi non venissero a perquisire fin lassù, a cercar loro". Dopo la prima pubblicazione entrambi i racconti vengono tagliati nelle riedizioni del 1958 e del 1969 per essere ripristinati nel 1976. Come afferma Clarke Loiacono "se da un lato [Calvino] li racconta a caldo come ricordo vivo e come testimonianza della Resistenza […] dall’altro a mente più lucida, quando la partecipazione emotiva si affievolisce, è probabile che si sia sentito a disagio di aver messo in piazza, per così dire, fatti tanto personali, lui che non ha mai gradito di sentirsi esposto". In ogni caso i tre racconti rappresentano una sorta d’iter formativo che conduce Calvino al romanzo, considerando che "Pavese [Cesare] ha detto no, i racconti non si vendono, bisogna che fai un romanzo".



Italo Calvino, nel 1983, nella sua casa a Campo Marzio, Roma.


Il filo conduttore del romanzo è una pistola che Manuela Ormea, studiosa di Calvino, definisce «oggetto persino banale nella narrazione di un conflitto distruttivo» ma che "aveva la sua storia in mezzo alle storie dei partigiani e dei custi (cespugli) che avrebbero coperto coperto l’entroterra e reso invisibili i partigiani". L’arma sottratta da Pin, un bambino orfano di circa dieci anni a un marinaio tedesco, causa la detenzione del ragazzo e lo pone dinanzi a un mondo malfamato, violento, ambiguo e dunque non facilmente decifrabile senza una figura adulta di riferimento. La trova sul finire nel partigiano Cugino, l’unico che gli è vicino e dunque degno di conoscere il sentiero dei nidi di ragno, non un percorso reale ma frutto della fantasia ingenua di un bambino. Il contraltare sta nell’ambiguità del Cugino che dopo aver ucciso la Nera, sorella di Pin e spia dei tedeschi, s’incammina col piccolo "nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano". Entrambi testimoni sul sentiero di un’epoca nuova, senza rabbia né armi. (C.R)
 
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