Milano insolita e segreta [FOTO], Collezioni private, sculture e simboli misteriosi

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view post Posted on 27/12/2022, 14:56     +3   +1   -1
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San Maurizio al Monastero Maggiore:
la coppia di Unicorni dell’Arca di Noè





San Maurizio al Monastero Maggiore è una delle più belle chiese di Milano, conosciuta anche come “la Cappella Sistina di Milano”, per qualcuno della Lombardia intera, ma nasconde un mistero: cosa ci fanno due liocorni a bordo dell’Arca di Noè? La scena affrescata da Aurelio Luini, figlio del pittore cinquecentesco Bernardino, è nota: Noè ha preparato l’arca per salvare coppie di animali e la sua famiglia dal Diluvio Universale. L’artista ha raffigurato anche due liocorni e si presuppone che l’abbia fatto a ragion veduta. Quindi nella versione di Luini, Noé non ha dimenticato i liocorni.

Siamo nel cuore della Milano romana, in quello che oggi corrisponde al numero 13 di Corso Magenta. Proprio accanto all’ingresso del Museo Archeologico di Milano, sin dall’età carolingia è documentato un monastero femminile benedettino: è San Maurizio, per questo detto “al Monastero Maggiore”. Dall’esterno anonimo, ma con un interno preziosissimo, venne eretto riutilizzando in parte alcuni edifici romani di cui oggi restano una torre poligonale proveniente dalle antiche mura di Massimiano, e un’altra quadrata, che in origine faceva parte del circo romano.

Nel XVI° secolo la potente famiglia dei Bentivoglio ne commissionò il rifacimento. Governatore di Milano, già figlio del Signore di Bologna Giovanni II Bentivoglio, Alessandro Bentivoglio era sposato con Ippolita Sforza, figlia di Carlo Sforza, un figlio illegittimo del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza. Della loro progenie, “quattro delle loro figlie furono destinate al convento di san Maurizio, e Alessandra ne fu per sei volte badessa”. Era quindi una famiglia molto influente che affidò questa importante commissione all’artista più ricercato dall’aristocrazia di allora: Bernardino Luini.



Dal suo pennello arrivarono le raffigurazioni dei membri del casato Bentivoglio e della badessa Alessandra accanto ai santi patroni del convento; la sua scuola e i figli si divisero navate, coro e abside. Proprio i figli, Giovan Pietro, Evangelista e Aurelio Luini terminarono l’opera nella se-conda metà del Cinquecento. A loro andarono le scene dell’aula, quelle della Deposizione dalla croce, la Flagellazione, l’Ultima Cena e la Cattura, insieme alle due scene dipinte sulla parete divisoria sopra l’arcone. Fu il terzo fratello, Aurelio, con uno stile fiammingo e molto attento ai particolari, a lavorare alle scene vivaci e movimentate, rendendo ancora più vivi i racconti delle Storie di Adamo ed Eva, dell’arca di Noè, e dell‘Adorazione dei Magi.

Con uno stile che attinge dalla propensione tutta nordica per le leggende e i dettagli dei racconti, ecco apparire due liocorni affrescati nella scena dell’arca di Noé. La presenza di questo animale all’interno della raffigurazione mette in dubbio la natura degli unicorni: sono realmente esistiti? E se sì, perché non si sono mai visti? Due sono le probabili risposte a queste domande: o gli unicorni si sono estinti dopo il diluvio universale oppure, durante il diluvio, non si sono comportati bene tanto da essere gettati da Noè fuori dall’arca.



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view post Posted on 27/12/2022, 15:45     +3   +1   -1
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La “Raza” Visconti




Uno dei simboli più conosciuti del Duomo sono certamente le famosissime vetrate, tra le quali spicca la “raza” (ovvero un sole raggiante, simbolo araldico dei Visconti), che si trova all’interno del finestrone centrale dell’abside proprio dietro l’altare, ma non tutti sanno che la vetrata cela un antico racconto che ci porta indietro di 600 anni, al tempo di Gian Galeazzo Visconti.

Questo personaggio si impadronì con un sotterfugio della città di Milano, imprigionando lo zio Bernabò Visconti e facendolo morire di fame. Divenuta primo Duca di Milano potè attuare il suo sogno: la realizzazione del Duomo, un monumento che celebrasse se stesso e la sua famiglia. Mise quindi a disposizione le cave di marmo di Candoglia di sua proprietà e si iniziarono a trasportare le pietre nel luogo dove sarebbe sorta la cattedrale. Compresi i suoi intenti, la Fabbrica del Duomo cercò di svincolarsi economicamente dal principe di Milano e licenziò l’arrogante architetto francese che lavorava come capo del cantiere. Ormai le basi erano state fatte secondo i desideri di Gian Galeazzo.

Il “biscione”, uno degli emblemi della famiglia, avrebbe dovuto occupare l’intera vetrata, e in un primo momento si appoggiò questa volontà, ma poi il biscione fu ridimensionato e limitato a metà della sua misura originale per poi finire, alla morte dei Visconti, sostituito definitivamente con la Raza che porta un “secondo” emblema visconteo: dieci serpenti ondulati che formano un sole. Il Sole è benessere, vita, positività. In araldica, il sole è un simbolo di eternità, grandezza ed illustre nobiltà. Per questo motivo, nel corso dei secoli, il suo inserimento negli stemmi delle più antiche famiglie italiane, a raggi acuti alternati o ondeggianti, è sempre un segno che esprime potenza e ambizione.Fonte

 
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Agenore Fabbri, Condizione Umana:
il monumento più osceno di Milano?




Nel cuore del business district milanese di Porta Nuova, tra grattacieli iconici e scintillanti, spunta un’opera che fa molto discutere i milanesi. Viene definito in modo dispregiativo, ad esempio come “il monumento più osceno della città”.
Un uomo nudo in bronzo e acciaio inox proteso in avanti e scolpito nei minimi dettagli, compreso l’apparato genitale. Posizionato nel 1983 nei giardini di Piazza Einaudi, è in bella mostra sul manto erboso a lato del parterre pedonale di Viale della Liberazione. Intitolata “Condizione Umana” e realizzata da Agenore Fabbri, la scultura rappresenta la figura drammatica di un uomo nudo martoriato da profonde ferite nell’atto di liberarsi da barre d’acciaio che lo imprigionano, una raffigurazione che simboleggia le difficoltà dell’uomo nel contrapporsi alle limitazioni della libertà e dell’autorealizzazione imposte dalla società.





 
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view post Posted on 22/3/2023, 12:14     +4   +1   -1
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La cupola di Milano

dove splende un arcobaleno



Nella Basilica di Sant’Eustorgio si nasconde una meraviglia dell’arte



La Basilica di Sant’Eustorgio, situata all’interno del suggestivo Parco delle Basiliche insieme alla Basilica di San Lorenzo Maggiore e la Basilica di Sant’Ambrogio, è una delle chiese più belle e antiche di Milano: la sua costruzione, originariamente come chiesa cristiana, risale al IV° secolo.

Nel VII° secolo fu convertita in chiesa cattolica e dedicata al martire Sant’Eustorgio. Realizzata in stile gotico alla fine del XIV° secolo, tra il 1464-1468, la Cappella Portinari è stata decorata con affreschi rappresentanti la vita di San Pietro Martire, oltre alla storia della famiglia Portinari, che l’ha commissionata, e altri soggetti religiosi.



La Cappella Portinari con la cupola Arcobaleno. Gli artisti coinvolti nell’opera furono Vincenzo Foppa, Michelino da Besozzo e Bonifacio Bembo, che dipinsero anche le pareti. L’elemento più scenografico della cappella, decorata da Vincenzo Foppa, è senza dubbio la cupola. La struttura si caratterizza infatti per una colorazione che degrada dal rosso aranciato all’azzurro, andando dall’esterno al centro, dando vita a un meraviglioso arcobaleno.













 
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view post Posted on 7/4/2023, 17:55     +2   +1   -1
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Il giardino dei maialini rosa

Un giardino davvero insolito, dedicato ai maiali



Il giardino dei maialini o meglio i “Giardini Maialino” sono stati inaugurati nel 2018, a scomputo oneri di urbanizzazione del complesso residenziale MyBonola, un grande palazzone terminato nel 2017. Alle due entrate sono posizionati due grandi riccioli a simboleggiare i codini di questi animali uniti da un manufatto rosso che, come un fil-rouge, li collega alle due estremità. Per accedere si passa attraverso un portale rosso lungo un marciapiede realizzato con sampietrini in porfido e pietra rosa.


Al centro dell’area verde c’è un’area giochi in sampietrini con ampie collinette a forma di maiali rosa sdraiati o immersi nel pavimento ruvido e gommoso di colore bordeaux, come se fosse il fango dove di solito trovano negli allevamenti. A questi sono affiancati quattro piccoli dondoli, sempre dalla forma di maialini, mentre attorno sono installate delle panchine in legno che si trovano anche nelle due aree circolari esterne. Siamo in via Bolla 16, nel Gallaratese, a poca distanza dal Cimitero Maggiore. Si raggiunge con i mezzi pubblici tramite la linea di autobus 69 o la metropolitana scendendo a una delle due fermate Bonola e San Leonardo della linea rossa. Fonte



















 
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view post Posted on 1/9/2023, 13:42     +9   +1   -1
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La casa delle FATE di via degli Odescalchi



Un presente fiabesco, un passato piccante



Tra le tante abitazioni curiose che si possono trovare a Milano e dintorni c’è sicuramente la “Casa delle Fate” di via degli Odescalchi, in zona San Siro, nella parte del quartiere tra viale Caprilli e Segesta, dove sorgono molte altre graziose villette spesso con giardino. Il suo aspetto ricorda le case delle favole, quelle abitate da fate e principesse; la costruzione rievoca i magici villaggi tedeschi, lungo la strada panoramica nota come “Romantic Road”, che si snoda tra le valli bavaresi costellate di castelli. Lungo il suo percorso, si possono ammirare i due manieri associati al re “pazzo” Ludwig II, il turrito Neuschwanstein e il merlato Hohenschwangau, la sua residenza estiva d’infanzia.


La splendida villa fu costruita nel Novecento in uno stile liberty fiabesco e decisamente inconsueto per il capoluogo meneghino, che attira l’attenzione. È un’abitazione certamente pittoresca, caratterizzata da tetti spioventi color smeraldo e da piccole finestre arrotondate. In apparenza può sembrare quasi disneyana o magari può dare l’idea di una struttura destinata a un parco giochi a tema, tuttavia è una casa reale con una sua storia davvero speciale per una città come Milano.


Attorno a questa costruzione circolano infatti diverse leggende metropolitane a dare ulteriore colore alla location: tra le tante, c’è quella secondo cui tra gli anni ’80 e ’90 questa casa fosse utilizzata come luogo di appuntamenti e che al suo interno ci fosse una grande piscina a forma di cuore.


Verità o solo leggende metropolitane, quello che è sicuro è che oggi non vi è più traccia di questa memoria: la villa è divisa in tranquilli appartamenti privati e pertanto non è visitabile al suo interno.









 
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La Ca’ de Sass di viale Monza




In viale Monza al civico 46 (a centocinquanta metri circa dalla fermata Pasteur della linea rossa della metropolitana) sorge un castello di pietra in stile medievale e neoromanico, passato alla storia con il nome di Ca’ de Sass, da non confondere però con la più famosa Ca’ De Sass nel centro città in Via Monte di Pietà 8, sede dell’istituto Intesa Sanpaolo.



Nonostante la presenza dell’imponente torre merlata, è difficile da notare per chi ci passa davanti frettolosamente, perché chiuso ai lati da palazzi moderni.

Quando il castello venne costruito nel 1910 seguendo l’ispirazione delle dimore medievali dal ragioniere Primo Gilberti (1880- 1939), uomo di cultura e personaggio eccentrico, l’attuale zona Turro non era ancora compresa nella città di Milano, ma era aperta campagna con poche abitazioni, cascine, botteghe e qualche trattoria. Un posto perfetto dove sfoggiare il proprio potere, derivato anche dalla carica di sindaco di Greco, e dare sfogo alla propria creatività.

Costruito su quattro piani più il rialzato ed una torretta a due piani, il castello ha una facciata in pietra grigia costellata da finestre a tutto sesto e bifore nel lato della torre. L’ingresso, anch’esso ad arco a tutto sesto, sfoggia due paracarri in ferro battuto che rappresentano due draghetti ai lati del portone, mentre uno stupendo cancello separa la strada dal cortile interno, che un tempo era munito di un giardino più grande, con bellissimi platani storici e un filare di aceri.

A lato del cortile si trova ancora oggi un garage, che in origine era la rimessa per le carrozze, decorato con mascheroni scolpiti del XVI secolo e pezzi residui della collezione di Gilberti come i due busti sotto il portico. La scelta delle tapparelle per le finestre della facciata, risulta poco elegante, ma è legata alla moda dei primi anni del ‘900.

Quando il palazzo fu costruito, Gilberti decise di tener per sé l’ultimo piano con la torre, dove allestì la sua biblioteca, mentre affittò il resto del palazzo. Nel corso degli anni l’edificio passò agli eredi fin quando i singoli appartamenti non vennero venduti ai privati.










 
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view post Posted on 24/3/2024, 13:59     +2   +1   -1
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Villino Maria Luisa:

il gioiello Liberty di Corso Magenta a Milano




Nel cuore di Milano, a pochi passi dalla stazione della metropolitana di Conciliazione in via Pietro Tamburini 8, nella zona adiacente a Corso Magenta, si può ammirare un tesoro dell’architettura Liberty: il Villino Maria Luisa. Questa incantevole dimora, meno nota rispetto ad altri più celebri palazzi cittadini, rappresenta una perla rara di bellezza e storia, un vero e proprio gioiello incastonato nel tessuto urbano milanese.


Simbolo di modernità e progresso, espressione di nuove tendenze artistiche, il Villino Maria Luisa fu costruito nel 1906. Lo stile Liberty, che si contraddistingue per le sue linee fluide, le forme ispirate alla natura e l’uso innovativo di materiali, come il ferro e il vetro, trovò terreno fertile a Milano tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.


L’edificio si articola su due piani ed è caratterizzato da una ricca decorazione dell’esterno: il piano superiore della facciata è ornato da uno stupendo mosaico sui toni del blu e dell’oro, ispirato alla tradizione neogotica, che raffigura un cielo notturno stellato e che rievoca quasi il soffitto giottesco della Cappella degli Scrovegni.





Ai lati del palazzo si trovano vasi fioriti, tra i temi più classici dell’art déco. Pregevoli sono anche i ferri battuti del balcone e del cancello, un trionfo di elementi naturalistici e motivi floreali, opera dell’artigiano Alessandro Mazzucotelli, particolarmente noto come mastro ferraio e per la raffinatezza delle sue decorazioni in metallo, che lo resero uno dei maggiori esponenti del Liberty in Italia. La magnificenza del mosaico del piano superiore lascia spazio alla decorazione più semplice e comune in pietra del registro inferiore, che ciononostante riesce a integrarsi perfettamente con l’apparato ornamentale.


Finestre ampie e luminose, perfettamente in proporzione con i prospetti della casa, sono ornate da cornici e vetrate caratterizzate da fantasie geometriche nel pieno rispetto dello stile Art Nouveau: al centro sono divise da colonnine a sezione poligonale che terminano con un capitello, anch’esso decorato con motivi semplici e lineari. Una curiosità: durante la Seconda Guerra Mondiale un soldato tedesco rimase così colpito dalla bellezza del cancello da ordinare di risparmiarlo dal saccheggio.







 
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La Chiesa Ortodossa dei Santi Sergio,
Serafino e Vincenzo martire


Il luogo di culto più “corto” di Milano,
ma al tempo stesso quello con il nome più lungo




Passeggiando dalle parti di Piazza Benedetto Cairoli, all’angolo tra via Giuliani e via Porlezza, ci si può imbattere in quella che i milanesi hanno imparato a chiamare con il nome di “chiesa più corta della città”, talmente stretta che si stenta a credere che possa accogliere delle funzioni. Nonostante i soli settantadue metri quadrati calpestabili, la chiesa viene utilizzata regolarmente dalla comunità ortodossa meneghina per messe, liturgie, feste religiose e momenti di preghiera.







È intitolata ai santi Sergio, Serafino e Vincenzo martire e le sue dimensioni sono talmente ridotte da raggiungere il record di Milano. La particolare forma della chiesa, con la facciata alta dodici metri e la superficie ridotta, è da attribuirsi alle vicende storiche dell’edificio. Sorge non lontano dalla chiesa di San Vincenzino alle Monache, demolita nel 1964 per liberare proprio il tratto di via Giulini compreso tra via Camperio e via Porlezza.


Il preesistente spazio religioso, di cui la chiesa Ortodossa dei Santi Sergio, Serafino e Vincenzo Martire è una parte restante, risale come prima fondazione al 756 come “Monasterium novum” per poi essere riedificata come Chiesa di San Vincenzino intorno al 1500. L’edificio, dopo la soppressione del convento nel 1798 ha avuto diversi usi come magazzino di granaglie, studio di pittori, officina e cinema, per poi essere demolito.


La sua facciata di colore giallo acceso, in netto contrasto con il grigiore dei palazzi circostanti, risale agli anni Sessanta, quando l’edificio, eretto nel 756 d.C., venne ristrutturato e rafforzato nella sua struttura portante. Divenuta luogo di culto solo a seguito della Rivoluzione Francese, la chiesa più corta di Milano è stata utilizzata per secoli come monastero di suore e frati milanesi.


All’interno della chiesa ortodossa l’altare, separato da un’iconostasi, è posto alla destra del portone d’ingresso. Coperti dalle rappresentazioni della comunità russa, si trovano inoltre ancora alcuni affreschi dell’antica chiesa, emblema di una storia della città tutta da scoprire.

















 
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Le bellezze della “Ca’ Brutta”
di Giovanni Muzio




La “Ca’ Brutta” è un grande edificio residenziale dell’inizio del XX secolo situato in via della Moscova all’angolo con piazza Stati Uniti d’America e via Turati, che crea un certo disorientamento per la sua apparente disorganizzazione. All’epoca la zona era piena di villini. Fu dunque già rivoluzionario immaginare un progetto che modificava l’impianto urbanistico del quartiere.


Progettato dall’architetto Giovanni Muzio viene da molti considerato il manifesto architettonico del movimento artistico “Novecento” che, dopo le sperimentazioni futuriste e cubiste, promuoveva un ritorno all’ordine e alla purezza delle forme. Muzio progettò “Ca’ Brutta” assecondando l’esigenza di creare ambienti che sfruttassero in modo ottimale sia l’aria che la luce. I tetti vennero concepiti con ampie terrazze e giardini pensili. La sua costruzione, iniziata nel 1919, venne portata a termine nel 1923.





Non appena furono tolte le impalcature iniziarono le critiche dei conservatori, per via della sua architettura in contrasto con i canoni dell’epoca: era un edificio troppo moderno, troppo “pulito” dove gli elementi classici erano stati usati con eccessiva disinvoltura, un brutto esempio di architettura, una “Ca’ Brutta”, come ben presto venne soprannominata dai milanesi, che criticarono aspramente un edificio in aperta rottura con gli stili dell’epoca, legati ancora al Liberty.


Il fabbricato era più alto e più ampio di ogni altra costruzione dell’area, ed era costituito da due corpi edilizi, separati e attraversati da una strada privata, accorgimento grazie al quale è stato possibile dare più luce e aria agli appartamenti con affaccio interno. Solo dopo la reazione negativa dell’amministrazione comunale, si decise di unirli tramite un arco creando un’unica entità architettonica, per dare continuità alla costruzione.


I due corpi del complesso residenziale non sono solo separati, ma anche diversi: uno è in linea e l’altro a corte. A unificarli è la facciata esterna, sorprendente per l’uso di materiali diversi: i primi due piani sono stati realizzati in travertino, i successivi tre sono in cemento e l’ultimo piano è in stucco vicentino con calce viva e marmi, sormontato da una fila di terrazze.





Anche la stampa infierì, definendo la costruzione una “squinternata fantasia di architetto”. Secondo i detrattori, gli elementi classici erano stati usati in maniera incomprensibile, al servizio di un’idea estetica che contrastava con il gusto dominante. Il quotidiano “Il Secolo” descrisse l’edificio con queste parole: “Pare di vedere in sogno uno di quegli stranissimi quadri cubisti, nei quali dopo un certo tempo, neppure l’artista ci capisce più nulla e là dove manca la capacità di tracciare una linea diretta e un segno armonioso, supplisce la metafisica”.


Naturalmente c’era anche chi la pensava in maniera opposta: i Novecentisti la consideravano una novità rivoluzionaria che avrebbe aperto le porte a nuovi orizzonti. Per Giovanni Muzio, giovane architetto alla sua prima opera, l’edificio residenziale fu una sorta di manifesto. Il progettista aderì al movimento artistico “Novecento”, che voleva tornare alla purezza delle forme dopo le ardite sperimentazioni delle avanguardie futurista e cubista, ma risentì anche delle esplorazioni pittoriche dell’arte metafisica di Mario Sironi e Carlo Carrà. Da lì in avanti le sue costruzioni, come l’Università Cattolica e il Palazzo dell’Arte sede della Triennale, avrebbero seguito gli stessi dettami. La tanto criticata “Ca’ Brutta” ha tuttavia un primato: fu il primo edificio di Milano ad avere un garage sotterraneo riservato ai suoi inquilini, a cui si accede tramite un montacarichi.



 
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Il parco “Boscoincittà”:
una meraviglia da vedere


Primo esempio di forestazione urbana in Italia



Ci sono i boschi delle favole, e poi c’è un bosco dentro la città. La meraviglia di questo luogo sta nel fatto che, pur essendo nell’area urbana di Milano, è di fatto un’oasi naturale ben tenuta e, se non fosse per il rumore in lontananza della tangenziale, sembrerebbe di essere in un altro mondo, curato ma “selvaggio”.


Realizzato a partire dal 1974 dall’associazione Italia Nostra (su terreni concessi dal Comune di Milano) “Boscoincittà” oggi è un parco pubblico di 120 ettari, nella parte ovest del capoluogo meneghino, in una zona agricola in stato di abbandono contenente la Cascina San Romano ormai in rovina.


Situato nell’area ovest di Milano, è formato da 110 ettari di boschi, radure, prati, sentieri, corsi d’acqua, zone umide, orti urbani (assegnati a cittadini che li coltivano con grande cura), un laghetto, un giardino d’acqua, un apiario, un frutteto e un antico edificio rurale, la cascina San Romano, che ora, recuperata e ricostruita dopo un incendio nel 1971, ne costituisce il centro operativo. Le linee progettuali sono state studiate dagli architetti Ratti, Bacigalupo e Crespi, secondo una metodologia flessibile e modificabile nel corso del tempo in base alle esigenze, metodologia che in seguito sarà definita di “Forestazione urbana”.





Questo parco, molto amato e frequentato, si trova in via Novara, nei pressi dello Stadio di San Siro, all’interno del vasto perimetro del Parco agricolo sud Milano ed è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. Chi arriva al Bosco ha la sensazione di essere lontano dalla frenesia della vita urbana e di immergersi nella natura, in un ambiente che in realtà è il risultato di un’attenta progettazione. Quotidianamente viene coltivato e curato dagli operatori del Centro per la forestazione urbana di Italia Nostra e da chiunque abbia voglia di dare una mano.


La vegetazione. Dai 35 ettari iniziali, in cui sono state messe a dimora 30.000 piante donate dall’Azienda Forestale dello Stato, nel corso degli anni il parco si è progressivamente ampliato. Oggi ospita una vegetazione ricca di alberi, arbusti, fiori e vegetazione spontanea. La parte boschiva è nettamente prevalente rispetto alla superficie totale. Il parco è attraversato da diversi fontanili che lo percorrono e si intrecciano fino a formare un piccolo lago. Recentemente è stata realizzata una zona “umida” con una sequenza di bacini d’acqua.











Il lago progettato da un gruppo di naturalisti e forestali allo scopo di migliorare il microclima favorendo lo sviluppo della flora e della fauna acquatica e terrestre. È stato realizzato anche un pontile sospeso sulle acque dotato di panchine da cui ammirare il paesaggio.





Tra le principali specie arboree si segnalano: aceri di monte (Acer pseudoplatanus), aceri campestri (Acer campestre), ontani, carpini, frassini, querce americane (Quercus rubra), salici, olmi, rose botaniche e molti altri arbusti da fiore. Nel parco prosperano le specie tipiche dei terreni umidi poiché nel suo territorio vi abbonda l’acqua, fornita da diversi fontanili che si intrecciano per formare un piccolo lago. E’ stata di recente realizzata una zona umida, grazie ad una sequenza di bacini d’acqua e il Giardino d’Acqua.


Gli itinerari per correre nel parco sono molto numerosi. Da non perdere la Cascina San Romano (XV secolo): concepita originariamente come dimora signorile, è un centro organizzativo di attività agricolo-zootecniche. Nella Cascina c’è inoltre l’Area delle feste attrezzata con tavoli e panche. Ê consentito grigliare, da aprile a ottobre, esclusivamente sulle postazioni braciere. Per poter fruire di tavoli e bracieri è necessaria la prenotazione (griglia e carbonella devono essere portate dagli utilizzatori). All’interno della cascina, la “Biblioteca verde”, nata con l’obiettivo di raccogliere libri, documenti e articoli concernenti il verde pubblico, l’ambiente e l’agricoltura.



Apertura
7.30 (dicembre e gennaio 8.30). Chiusura: 17.00 (dicembre e gennaio) 17.30 (novembre), 18.30 (febbraio), 19.00 (marzo e novembre), 20.00 (da aprile a settembre)

Accessi
Via Novara (dai 2 parcheggi), da Figino (sentiero), da Parco Trenno (sentiero). Da fuori Milano: Tangenziale Ovest di Milano, uscita S. Siro, via Novara all’altezza dell’incrocio con via S. Romanello.
Parcheggi: n°2 lungo via Novara.


Come arrivare
Da MM1 De Angeli bus 72, fermata S. Romanello.
in auto: Tangenziale Ovest uscita San Siro (direzione Milano 3° semaforo)





Edited by Milea - 25/4/2024, 11:40
 
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Hieracium australe, il fiore unico al mondo
che cresce soltanto a Milano


L’inventario aggiornato della flora spontanea italiana
registra una specie “endemica” del capoluogo lombardo.
Nel 2018 erano due, ma una si è estinta




Passeggiando per Milano, può capitare di imbattersi in alcuni fiorellini gialli dall’aspetto piuttosto comune: si tratta dell’hieracium australe. Germoglia spontaneamente solo sulle mura del Castello Sforzesco ed è una specie endemica del capoluogo lombardo, che cresce solo qui: non lo si trova in nessun’altra parte del mondo. È quanto emerge dall’ultimo aggiornamento dell’inventario della flora spontanea italiana, che tuttavia segna un dato tristemente negativo. La specie floreale spontanea unica al mondo è molto fragile. Fino a poco tempo fa non era l’unica ad avere questo primato: nell’aggiornamento del 2018, infatti, condivideva la sua unicità con l’hieracium tolstoii, un’altra specie endemica del capoluogo lombardo. Nel corso della nuova analisi, è emerso che quest’ultimo fiore è ormai andato perduto per sempre, perché probabilmente qualcosa nel suo habitat è cambiato.





A registrarlo è l’inventario aggiornato della flora spontanea italiana, curato dal Museo di Storia Naturale di Milano, costituito da team internazionale di 45 botanici coordinati da Gabriele Galasso, da Fabrizio Bartolucci e Fabio Conti (del Centro Ricerche Floristiche dell’Appennino) e da Lorenzo Peruzzi (del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa). e disponibile online sul Portale della Flora d’Italia. La ricerca aveva come obiettivo l’individuazione di tutte le piante spontanee, siano esse endemiche, autoctone, aliene oppure estinte, presenti in Italia.





Secondo gli esperti, anche l’hieracium australe sarebbe in pericolo. Il suo fiore giallo somiglia a quello del tarassaco, il classico “soffione” che si trova comunemente nei prati, ma, a differenza di quest’ultimo, ne restano ormai pochissimi esemplari a Milano e il cambiamento climatico, le specie aliene e l’erosione del suolo li starebbero mettendo a repentaglio.






I risultati della ricerca sono decisamente interessanti: le piante e i fiori che crescono spontaneamente fanno del nostro Paese un vero unicum, ponendolo al primo posto in Europa per la ricchezza della sua biodiversità, seconda solo alla Turchia, considerando l’habitat del Mediterraneo. In Italia crescono in totale 10.023 tipi di piante: di queste, 1702 sono endemiche, germogliano quindi solo qui. Le specie autoctone (che, a differenza delle endemiche, sono originarie dell’area in cui vivono, ma non necessariamente confinate solo in questa) risultano ad oggi 8.241, mentre le specie aliene, piante e fiori trasferite dall’uomo al di fuori del loro areale naturale, ammontano a 1782. Confrontando i dati con l’ultimo aggiornamento dell’inventario, fatto nel 2018, risultano 46 specie autoctone in più e un aumento di ben 185 specie aliene. Le estinte passano da 26 a 28: tra queste c’è una delle due specie esclusive delle mura del Castello Sforzesco.


Preservare questo patrimonio botanico, non è affatto semplice. Diversi fattori contribuiscono a minare la sopravvivenza delle nostre specie spontanee: le piante aliene, che sono in continuo aumento, il cambiamento climatico e il consumo di suolo sono i motivi principali di preoccupazione per gli esperti. Per quanto riguarda le specie aliene, ormai arrivano in Italia in una miriade di modi diversi. “Sono importate dall’uomo in alcuni casi in maniera diretta, per usi alimentari o ornamentali, o indiretta, con spore che restano negli imballaggi, nelle zolle di terra, nei vestiti, nelle chiglie delle barche” - ha dichiarato il professor Galasso. “Servirebbero regole più stringenti. L’Unione Europea ha fatto un regolamento che introduce il divieto di commercializzazione di alcune specie, ma i controlli sono difficili e spesso la prescrizione viene aggirata acquistando online”.














 
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