MARIA MADDALENA NELL'ARTE, Santa "compagna e seguace di Gesù"

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Raffaello
La deposizione di Cristo
(The Deposition )
1507
Olio su tela
174.5 x 178.5 cm
Roma, Galleria Borghese


La Deposizione Borghese è un dipinto a olio su tavola (184x176 cm) di Raffaello Sanzio, datato 1507, firmato (RAPHAEL URBINAS MDVII, in basso a sinistra sul gradino roccioso), e conservato nella Galleria Borghese a Roma. Si tratta dello scomparto principale della Pala Baglioni. La pala d'altare, stando alle notizie riportate da Vasari, venne commissionata da Atalanta Baglioni, appartenente alla celebre famiglia perugina. Il soggetto della pala centrale, la Deposizione di Cristo, piuttosto inconsueto, venne dettato dalla volontà di omaggiare il figlio della donna, Grifonetto, assassinato nel corso di alcuni fatti di sangue interni alla stessa famiglia per il dominio di Perugia nel 1500. Grifonetto aveva infatti ucciso con la spada tutti i parenti maschi rivali nel sonno, in occasione delle nozze "di sangue" di suo cugino Astorre Baglioni con Lavinia Colonna, il 15 luglio. Abbandonato dai suoi stessi familiari, compresa la madre inorridita per l'accaduto, era tornato a Perugia dove Giampaolo Baglioni, miracolosamente scampato alla strage fuggendo per tempo a Marsciano, lo raggiunse e lo fece uccidere, in Corso Vannucci. Poco prima di morire però Grifonetto venne raggiunto dalla madre e dalla moglie, Zenobia, che riuscirono a fargli perdonare i suoi assassini: ormai incapace di parlare, il moribondo toccò la mano della madre in segno di assenso al perdono. I vestiti insanguinati dell'uomo vennero quindi trasportati da Atalanta lungo la via pubblica, e arrivata sui gradini del Duomo ve li gettò pronunciando solennemente: «Che questo sia l'ultimo sangue che scorre su Perugia».



Dettaglio che raffigura Maria Maddalena angosciata, dai capelli biondo rossicci, vestita con abiti raffinati,
che stringe la mano del corpo di Gesù mentre viene portato al Santo sepolcro


La figura della Vergine nel dipinto quindi doveva rispecchiare il dolore materno della donna, mentre nella Maddalena sarebbe ritratta la moglie Zenobia. La pala ebbe una lunga elaborazione, testimoniata da una straordinaria serie di disegni e studi in larga parte conservati: ben sedici, oggi ripartiti in musei italiani ed esteri. Il soggetto venne gradualmente mutato dal Compianto sul Cristo morto alla Deposizione nel sepolcro, fondendo più spunti. L'opera venne collocata nella cappella della famiglia nella chiesa di San Francesco al Prato, dove si trovava già da qualche anno la Pala degli Oddi, sempre di Raffaello. Il successo della pala aprì le porte di Roma a Raffaello, che l'anno dopo venne chiamato da Giulio II. Fino al 1608 la pala rimase nella chiesa, per essere segretamente portata a Roma con la compiacenza dei frati, su richiesta di Paolo V, il quale ne fece dono al nipote, il cardinale Scipione Borghese, che l'aveva ammirata durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro. Le proteste dei perugini non servirono ad altro che ottenere una copia di buona fattura del Lanfranco e forse anche una seconda del cavalier d'Arpino, mentre il papa emanava un Breve pontificio per dichiarare la tavola "cosa privata" del nipote, mettendo fine in modo categorico alla questione.



Dettaglio che rappresenta la disperazione ed il dolore materno di Maria


L'analisi dell'opera

Il Trasporto si ispirò alle scene antiche del Trasporto di Melagro e alla scena nello sfondo della Cappellina dei Corpi Santi nel Duomo di Orvieto, affrescata da Luca Signorelli. Altri modelli furono una Deposizione a stampa di Andrea Mantegna e alcune opere di Michelangelo, per gli atteggiamenti di alcune figure. Tre uomini stanno portando il corpo morto di Gesù nel sepolcro a sinistra. Essi sono rappresentati inarcati dallo sforzo di trascinare il pesante corpo senza vita e sono ritratti con espedienti che amplificano il senso del movimento (come l'espediente di far salire i gradini alle figure di sinistra) e le espressioni concitate. In particolare spicca il giovane al centro della composizione, assente nei Vangeli, che è un ritratto del defunto Grifonetto Baglioni. Dietro spunta San Giovanni Evangelista con le mani giunte (ispirato a figure di Perugino), mentre al centro di questo gruppo spicca Maria Maddalena dolente, con i capelli al vento, colta nel pietoso gesto di tenere la mano di Gesù accompagnandolo al sepolcro. Il suo volto è quello di Zenobia Sforza, moglie di Grifonetto. Gli altri due uomini sono Giuseppe d'Arimatea a sinistra e Nicodemo tra San Giovanni e Maria Maddalena che guarda lo spettatore.



Dettaglio con il giovane uomo al centro, il cui volto è quello di Grifonetto Baglioni


A destra si trova il gruppo delle pie donne che sostengono la Vergine Maria svenuta, tenuta alla vita dalla donna dietro di lei, mentre una le regge il capo reclinato sulla spalla e l'altra inginocchiata allunga le braccia per sostenerla. Il volto della Madonna è quello di Atalanta Baglioni, la madre di Grifonetto, che commissionò questo dipinto a Raffaello. La donna in ginocchio ha un movimento "a serpentina", ispirato al Tondo Doni di Michelangelo. Altri echi michelangioleschi si colgono nel corpo abbandonato di Gesù, simile a quello della Pietà vaticana e nel vestito giallo e verde di Nicodemo, che si ispirò alla torsione dell'incompiuto San Matteo del Buonarroti. I due gruppi principali sono raccordati dal giovane trasportatore con il volto di Grifonetto, che si proietta all'indietro. Lo straordinario paesaggio asseconda ritmicamente la composizione: se l'oscuro sepolcro nella roccia aiuta a stagliare i personaggi a sinistra, a destra le figure sono davanti alla collina del Golgota, mentre al centro la veduta si apre con ampio respiro su una veduta di colline punteggiate dalla presenza umana, con l'immancabile specchio d'acqua e con lontane montagne azzurrine, velate di foschia. In primo piano le pianticelle rappresentate con cura rimandano all'esempio di Leonardo da Vinci. Straordinaria è la ricchezza dei colori, quasi smaltati, così come la plasticità data dal forte chiaroscuro, che dà alle figure una monumentalità statuaria, e la concatenazione di gesti, sguardi e attitudini, che ne fanno uno dei capolavori dell'artista. Di grande effetto è la resa dei corpi umani nelle svariate posizioni, con attenzione alla resa anatomica, ma anche all'armonia e alla varietà.

 
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Andrea Vaccaro
La Maddalena penitente
Data ignota
Olio su tela
102 x 76.5 cm
Palermo, Palazzo Abatellis



 
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Rogier van der Weyden
La deposizione dalla Croce
(The Descent from the Cross)
Prima del 1443
Olio su legno di quercia
220 X 262 cm
Madrid, Museo del Prado


Considerata uno dei capolavori dell'artista, la pala era la parte centrale di un trittico parzialmente scomparso. Secondo una testimonianza del 1574 nelle ante laterali erano raffiguranti, in una, i quattro evangelisti e, nell'altra, una resurrezione. L'opera fu eseguita per la chiesa di Notre-Dame nella città belga di Lovanio, su commissione della gilda dei balestrieri. L'apprezzamento che essa riscosse fu subito molto grande, prova sono le innumerevoli copie che ne sono state tratte, a partire da quella realizzata già nel 1443, la più antica che si conosca, per la collegiata di San Pietro, sempre a Lovanio, nota come Trittico Edelheere (di anonimo). Con la dominazione degli Asburgo di Spagna dei Paesi Bassi e delle Fiandre la tavola entrò in possesso dapprima di Maria d'Ungheria, che a sua volta ne fece dono a Filippo II di Spagna, grande estimatore della pittura fiamminga, che la collocò nel monastero dell'Escorial. Di seguito essa confluì nelle collezioni reali collocate nel Museo del Prado, attuale sede del dipinto.



Particolare Maria di Clopa, San Giovanni Evangelista e Maria Salome


L'incertezza sulla datazione dell'opera è stimata in base allo stile dell'opera stessa, poiché l'artista acquistò ricchezza e fama proprio in quel periodo, molto probabilmente per il prestigio che questo straordinario capolavoro gli diede. L'opera fu dipinta all'inizio della sua carriera, poco dopo aver completato il suo apprendistato con Robert Campin. Il dipinto mostra l'influenza del pittore più anziano, particolarmente notevole nelle dure superfici scolpite, nei tratti dei visi realistici e nei vivaci colori primari, principalmente rossi, bianchi e blu.



La testa di Gesù




Maria, la madre di Gesù


Lo stile dell'opera

Il dipinto ha l'insolita forma di una "T" rovesciata e molto probabilmente era originariamente corredato da sportelli che permettevano la chiusura dell'immagine principale al di fuori di certe feste religiose. Il grande pannello evita la divisione per scomparti ed usa a pieno le possibilità offerte dalla pala unitaria, disponendo le figure sul registro orizzontale, in particolare quella di Gesù e di Maria, che ricalca la posa del primo a sottolineare la sua partecipazione anche fisica alle sofferenze del figlio. Il dipinto è ambientato in un ambiente esiguo, una specie di finta intercapedine con intagli lignei agli angoli, che sembra molto meno profonda di quanto non siano le figure, le quali si stagliano invece con un forte senso plastico, per contrasto. I gesti sono contratti e le linee sono spesso spezzate che ricorrono ritmicamente e con simmetrie. Le figure sono collocate in profondità e talvolta assecondano l'andamento della cornice, come le figure curve della Maddalena, all'estrema destra, e di san Giovanni, sul lato opposto.



Il pianto di Maria Maddalena


L'ambientazione in una nicchia illusionistica rimanda allo schnitzaltar cioè quel tipo di altare, tipico dell'Europa del Nord e dell'area tedesca in particolare, in cui al centro, tra le ante richiudibili, non vi è una tavola dipinta bensì un gruppo ligneo scolpito ad intaglio, spesso policromo. Quasi a voler suggerire che l'oggetto della raffigurazione non è la reale rappresentazione della Passione (vi sarebbe un'ambientazione naturale), né una sua astrazione mistica (saremmo allora in presenza di un fondo d'oro, che nella simbologia bizantina, ripresa nell'arte medievale e tardogotica, astrae le figure dallo spazio per collocare in una dimensione eterna), bensì un gruppo scultoreo magistralmente dipinto.

"Si può dire che la lacrima dipinta, una perla splendente nata
dall'emozione più forte, incarna ciò che l'italiano più ammirava
nella pittura del primo fiammingo: brillantezza pittorica e sentimento"


Erwin Panofsky



Le lacrime di Maria di Clopa


Il perno è la figura esangue del Cristo, in posizione obliqua. La partecipazione fisica ed emotiva di Maria sembra rievocare i "Misteri" e testi popolari all'epoca come L'imitazione di Cristo, che proponevano di rivivere religiosamente ed emotivamente le sofferenze di Cristo. Il coinvolgimento del fedele in dipinti come questo è evidente e sembra voler chiarire con immediatezza il modello che tali Misteri proponevano a un pubblico più selezionato. Ai lati troviamo due decori che simulano il legno e ricordano delle balestre; un rimando alla Gilda dei Balestrieri. Fermo restando, una certa libertà di figure e di forme, l'opera trasmette un rigore tematico religioso, che non arresta il flusso di sentimenti, di caratteri, di tragicità, di emozioni, immerso in una struttura tecnica elevata, fine e particolareggiata. Derivata da Jan van Eyck è l'abilità nella resa dei materiali più disparati tramite le sottili variazioni dei riflessi della luce. L'ampia cappa damascata di Giuseppe d'Arimatea è un perfetto esempio di questa abilità, aiutata dalla tecnica a olio. (Mar L8v)



Nicodemo sorregge il Cristo morto






Versione di Joos van Cleve, c. 1518-20, con sfondo paesaggistico



Edited by Lottovolante - 18/11/2022, 22:34
 
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Jusepe de Ribera
Maddalena penitente
(Penitent Magdalene)
1635-1640
Olio su tela
97 x 66 cm
Madrid, Museo del Prado




 
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"Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città,
saputo che si trovava nella casa del fariseo,
venne con un vasetto di olio profumato"


Luca 7:37




Anthony Frederick Augustus Sandys
Maria Maddalena
(Mary Magdalene)
1859 circa
Olio su tavola
33.6 x 27.9 cm
Wilmington, Delaware Art Museum


Mary Magdalene è un olio preraffaellita su tavola dipinto da Frederick Sandys, eseguito nel 1858-1860. La Maddalena è stata l'unica figura della Bibbia che Sandys abbia mai dipinto. Avendo lineamenti taglienti che ricordano Lizzie Siddal (sebbene la modella sia sconosciuta), Mary è raffigurata davanti a un damasco verde bosco a motivi geometrici. Tiene una coppa di unguento di alabastro, un attributo tradizionale che la associa alla donna peccatrice senza nome che unse i piedi di Gesù in Luca 7:37. Come altri pittori preraffaelliti, Frederick Sandys diede a Maddalena un aspetto estremamente sensuale.

Dante Rossetti accusò Sandys di plagio, a causa della somiglianza con la sua Maria Maddalena che lascia la casa del banchetto, ma quando Rossetti venne a dipingere la Maddalena una ventina di anni dopo, era la sua pittura che somigliava a Sandys.

Mary Magdalene fu acquistata nel 1894 da Samuel Bancroft, il più importante collezionista americano di arte preraffaellita la cui famiglia donò la sua collezione al Delaware Art Museum nel 1935. Bancroft aveva acquistato il dipinto da Charles Fairfax Murray, un artista del Circolo raffaellita. Fu esposto come parte di una mostra itinerante della Bancroft Collection, al Saint Louis Art Museum, al San Diego Museum of Art, al Frick Art & Historical Center di Pittsburgh, al Nottingham Castle e in altri luoghi.Il dipinto fu pure rappresentato in una pubblicità di grandi dimensioni nell'aeroporto internazionale di San Antonio. (Mar L8v)
 
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Dante Gabriel Rossetti
Maria Maddalena
(Mary Magdalene)
1877
Olio su tela
77.9 x 66.3 cm
Wilmington, Delaware Art Museum



Edited by Lottovolante - 26/4/2023, 20:15
 
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Carlo Crivelli
Maria Maddalena
1480 circa
Tempera su tavola
152 x 49 cm
Amsterdam, Rijksmuseum


Un testo seicentesco di Pier Antonio Guerrieri (La Carpegna abbellita e il Montefeltro illustrato) ricorda nella chiesa di San Francesco a Carpegna, riedificata in quegli anni, la presenza di un altare dedicato alla santa e decorato, a spese dei conti di Carpegna, da una "tavola di mano del famosissimo pittore Carlo Crivelli venetiano: opera notabile stimata una pretiosa gemma". Un'indicazione tanto sicura della paternità doveva essere legata alla presenza di una firma, come di fatto compare nella tavola ad Amsterdam. Essa doveva quasi certamente provenire dalla chiesa antica di San Francesco, magari commissionata da Giovanni di Carpegna che ne era stato tra i fondatori. La famiglia doveva avere una particolare devozione per la santa, come testimonia l'esistenza, attorno al 1472, di una chiesetta a lei dedicata sul colle delle Serriole, fondata dalla madre di Giovanni, Caterina contessa di Carpegna. Quest'ultima era ascolana di nascita, figlia di Giovanni di Saladino Saladini, e probabilmente fu lei a suggerire il pittore che tanto spopolava nella sua città al figlio. Caterina stessa è ricordata brevemente in città nel 1474, occasione in cui forse formulò la commissione direttamente, magari per la nuova chiesetta, da dove poi venne fatta spostare nel nuovo tempio francescano.



È per lo più escluso che potesse far parte di un polittico smembrato: in tali casi l'artista apponeva infatti la firma sulla tavola centrale, spesso sul trono della Madonna, e mai in quelle secondarie. Si presume quindi che si trattasse di una figura isolata. Nel 1703 gli atti della sacra visita del vescovo però non ricordano più il dipinto e l'altare è registrato come ormai dedicato ad altro santo. Può darsi che l'opera fosse stata spostata in un altro ambiente o in un'altra chiesa, per poi ricomparire nel 1821 nella collezione Solly e, da lì, al Kaiser Friedrich Museum di Berlino. Nel 1935 fu di nuovo venduta entrando nel mercato antiquario, e nel 1948 apparteneva alla raccolta di Fritz Mannheimer di Amsterdam. Un anno dopo passò alla Dienst Verspreide Rijkscollection dell'Aia e nel 1960 fu trasferita, con l'intera collezione, al museo di Amsterdam. La datazione si basa su considerazioni stilistiche, e viene fatta oscillare tra il 1474 e il 1485-1486. Sicuramente è successiva a quella del Polittico di Montefiore dell'Aso, per la maggiore tensione formale che denota una maturazione dello stile dell'artista.


In uno stato di conservazione ottimale, è ritenuta tra le più perfette realizzazioni dell'artista. Maria Maddalena si erge su un gradino marmoreo, decorato da un fregio scolpito con cherubini e animali fantastici (elefanti?), e davanti a un telo teso, ravvivato in alto da un festone di fiori. Acconciata come una principessa, con una mano tiene sollevata l'ampolla degli unguenti che è il suo attributo tipico e con l'altra solleva, in punta di dita, il mantello. In basso un piede e parte della veste spuntano oltre il gradino, proiettati verso lo spettatore. La ricchezza di dorature a pastiglia, spesso create a rilievo, rimanda al mondo tardogotico, così come l'estrema eleganza della figura, mentre gli studi spaziali e prospettici sono pienamente rinascimentali, mediati dal mondo padovano piuttosto che dalle coeve esperienze veneziane. (Mar L8v)


Edited by Milea - 19/11/2022, 22:23
 
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CRISTINA CAMPO E MARIA MADDALENA
“In questo tempo di enigmi e di segni”



Due donne, al cospetto di Dio, nel modo più diverso che possa esser dato. Eppure...



Maddalena la perduta, la peccatrice, la posseduta; Maddalena la prescelta, la compagna, l’amata che rompe l’ampolla, e unge il capo di Gesù con olio di nardo; che gli asciuga i piedi con i suoi capelli, che abbraccia la croce sul Golgota. Maddalena che attende fuori dal sepolcro di pietra, che non abbandona, che non cede, che vede per prima Cristo risorto.

Cristina l’aristocratica, l’asceta, la studiosa, Cristina la smarrita, la sola, la spaventata; Cristina nel corpo di una donna intrisa di bellezza, gli occhi ardenti, gl’infelici amori; Cristina l’altissima, fragilissima, la regale; il suo cuore malato, la sua mente abitata dal genio; il suo dolore affilato in cristallo di purezza.



Jean-Baptiste Camille Corot
Maddalena in preghiera
(Mary Magdalene in Prayer)
1858
Olio su tela
48 x 54 cm
Collezione privata


Di Maddalena Gregorio Magno alla fine del V secolo volle fare un’unica figura, variegata tra il peccato, la devozione, l’elezione a prediletta, la grazia. Poi la Chiesa successiva ha voluto distinguere, puntualizzare, scindere tra Maria di Magdala, Maria di Betania e la peccatrice perdonata da Cristo; poi, a scopo purificatore ed espiatorio, ha voluto accorpare, interpolare intorno al IX secolo Maria Egiziaca, cortigiana d’Alessandria, che dopo diciassette anni di vita dissoluta si converte, e si ritira nel deserto di Transgiordania con tre pani, dei cui soli si nutrirà per sessant’anni.

Ma erano necessari altri esorcismi, per contenere la potenza eversiva di Maddalena, colpevole di essere donna intera e viva, vibrante di bellezza, accanto a Gesù: la Controriforma irrigidisce la sua figura in un io penitenziale, che si dibatte tra colpe confessate, richieste di perdono, tormenti di vergogna. E così il Concilio Vaticano II, che permetterà il culto solo dell’ultima Maddalena, quella cui Gesù risorto appare, elevandola a discepola, mentre le sue raffigurazioni precedenti di peccaminosa imperfezione sono espunte. Non accade questo nel cristianesimo ortodosso, tanto caro a Cristina nelle ricchezze e perfezioni risolute della sua liturgia, in cui Maddalena viene rappresentata in ogni suo aspetto: nelle vesti di Maria di Betania quando assiste alla risurrezione di Lazzaro, prostrata ai piedi di Gesù in silenziosa contemplazione; oppure prona ai piedi della croce, con veste purpurea; o nel giardino accanto al sepolcro aperto e vuoto, con i due angeli e altre donne, o sola, inginocchiata e protesa, ardente di amore verso il Risorto.



Artemisia Gentileschi
Maria Maddalena in estasi
(Mary Magdalene in Ecstasy)
1611 o 1613-1620
Olio su tela
81 x 105 cm
Collezione privata


La Chiesa programma e dispone, con quei fervori, spesso innocenti benché miopi, con quei calcoli tutti umani dell’opportunità, dell’utilità, della sostenibilità dogmatica e dottrinale. Ma non hanno importanza le numerose revisioni, i ripensamenti, le scissioni in più personaggi storici che, fin dagli albori del cristianesimo, sono state fatte per distinguere tra Maddalena peccatrice, penitente, eversiva, devota: l’archetipo rimane complesso, multiforme, vigoroso; se la congiunzione tra opposti è il segreto di ogni epifania archetipica, quella riunita in Maddalena è una triade femminile antica, che non conosce cesure nella sua potenza luminosa.

Alla stessa maniera non è possibile porre separazioni tra la Cristina austera e sprezzante, che predicava auree elezioni e rigide esclusioni, l’aristocratica che condannava ogni sbavatura, una Guermantes cultrice del dettaglio, e colei che raccoglieva i gatti randagi, apriva la casa ai clochard, visitava i condannati; tra l’anima sofferta e assetata di tenerezza divina che leggeva la Filocalia e praticava l’Esicasmo, e l’agitatrice che promuoveva insurrezioni contro il Concilio Vaticano per mantenere la Liturgia delle origini; tra la donna splendida, mondana, presente al secolo in abiti eterei e preziose conversazioni, e l’anima consacrata, sfuggente, velata, in costante presenza liminare su soglie di spiritualità inaccessibili: anche lei fanciulla «mezza monaca mezza fata» come la piccola Portinari di van der Goes, posta a sua icona indelebile, in copertina agli Imperdonabili.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte a prototipi femminili
cultuali, venerabili e, nella loro distanza, convergenti fino a collimare...



Cristina bambina, tra gli alberi del parco bolognese del Rizzoli, splendida creatura malata, piccola sensitiva che legge le fiabe, e intuisce l’oltre, irrimediabilmente. E poi Cristina ragazza, che patisce i suoi demoni, immersa nel mondo visibile ma tormentata da nostalgie di un sopramondo che le sussurra all’orecchio; tra infanzia e mistero, le visioni struggenti di bellezza l’accompagnano, facendone uno spirito fremente e trafitto, col tremore e i chiaroscuri della fiamma nella notte.

Cristina costretta alla desolante quotidianità, a cercare tracce del sacro in un reale ottuso, chiassoso, mutilo e opaco, prono alla legge di necessità. Cristina che legge Hugo von Hofmannsthal, Simone Weil: che intuisce il diagramma, vede attraverso la grata, oltre il velo agli occhi, e cerca di uscire dalla dimensione immaginaria per entrare nella trasparenza dell’attenzione purissima, in cui ogni creatura viene percepita con precisione, nella giustizia equanime del mediatore di senso. Cristina che è chiamata dalla bellezza, dalla sventura, e prega con la poesia: nei versi di giada, nei castelli di seta, l’incanto a soprammercato di giustizia.

E ancora Cristina sui testi, che si struttura in erudizione, che studia febbrilmente gli apparati filosofici, il telaio teoretico di Simone Weil: la creazione, il bene frantumato nel male, la distanza della creatura da Dio, l’amore che trafigge il vuoto, la negazione di sé; nella comprensione intellettuale ed etica rigorosa, nel sacrificio della propria individualità per la giustizia sociale, le affini teorizzazioni e gli abbandoni mistici di Giovanni Della Croce, di Meister Eckhart; ma poi, tutto saputo e teorizzato, tutto sistematizzato, ecco il nulla che persiste, la sofferenza dell’isolamento, della separazione; il cadere in Dio per resa, per abbandono, per un patire cui la gnosi, alla fine della via, non risponde più. Il dolore che vince, che piega, che scavalca qualsiasi spiegazione; ma che poi libera ed elegge, nell’incanto sanguinario, nell’estasi che inchioda.



Jan de Bray
Maddalena penitente
(Penitent Magdalene)
1678
Olio su tavola
72.6 x 56.2 cm
Collezione privata


Lontanissima ma per mano, c’è Maddalena: l’umile silenziosa, che più di tutti capisce e ascolta, e rimane quietamente in attesa, nel riserbo. Maddalena liberata dai demoni, cava, accogliente, pronta al gesto liturgico, infinito. Maddalena che ama il figlio di Dio nel modo totale in cui una donna ama un uomo: quel trasporto che non si nutre di conoscenza, ma arde come una piaga d’incenso. Gli incontri tra Maddalena e Gesù sono scarni di parole, avvengono nell’intensità del contegno, nella dimensione profonda della sospensione d’intenti e dello scambio di significati: Maddalena è una continua eversione, ha atti che ignorano gli atteggiamenti consentiti, e affermano il nuovo, l’impensato, senza parole. Il vangelo di Maddalena è scandalo silenzioso, affinità assoluta.

"Or Gesù, essendo risuscitato la mattina del primo giorno della settimana,
apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demòni"

(Mar 16:9).



Maria di Magdala è il femminile intero, che spaventa e rapisce, che annienta: da peccatrice a eletta di Gesù, ne diviene compagna fidata, e lo veglia in tutte le tappe del martirio, partecipando alla sua nera, grondante passione; attendendolo fuori dal sepolcro e vedendolo apparire, lei per prima, da risorto.

Nei testi gnostici, nel vangelo di Tommaso, Maddalena è colei che ricompone la dualità maschio-femmina, è la luminosa che tutto comprende, anche l’ineffabile; è colei che, tra i discepoli, ha il cuore più rivolto al regno dei cieli. Nella Pistis Sophia sono presenti Maria madre di Gesù, Salomè e Maria Maddalena, ma è quest’ultima che interviene, interagisce con Gesù che si svela, e partecipa ai passaggi speculativi e teologici più importanti, per ben sessantasette volte. Anche qui Maria Maddalena è sposa e sacerdotessa di Gesù, ma incarna la conoscenza; nei vangeli del Nuovo Testamento invece, Maddalena è qualcosa di più: è la donna concava e risonante, che accoglie e ridà alla luce, che non abdica di fronte al dolore tremendo, alla sventura, alla perdita. Crocifissa nell’anima per amore, sosta nella sofferenza immedicabile, la restituisce al mondo in schegge di luce.

Nel medioevo Maddalena è la santa capace dell’impossibile: a lei si rivolgono i malati senza speranza, che già hanno tentato ogni cura e devozione; spesso la guarigione avviene lungo la via del ritorno dai santuari di Provenza, quando il viaggio si fa scuro, marchiato di fatica e polvere, della disperazione del mancato: mano che dà quella salvezza asincrona che è elargita ai perduti, al di là della soglia, oltre la buia resa.

Maddalena stessa è, all’origine, perduta in molti modi: è invasa da presenze maligne, abitata da demoni che la possiedono e confondono, rendendola estranea a sé stessa; Maddalena è Maria di Magdala: nel nome solo la provenienza, da una città tra Tiberiade, Cafarnao e Tabga, luogo di passaggio e di commercio, presso la piana di Genezaret; lì si dissecca il pesce, lì si praticano adulterio e corruzione, le sue donne sono riccamente adornate, dissolute; Maddalena porta questo marchio, e non è né madre né moglie, non ha genealogia; risuona qui, speculare, il sarcasmo dell’iscrizione messa da Pilato, per dispregio, sulla croce di Cristo: Gesù Nazareno, Re dei Giudei. Nessun possedimento né titolo, nessuna provenienza, solo il cammino: Gesù di Nazareth e Maria di Magdala, figure speculari nella loro diversità, possiedono solo la polvere sui calzari, e una sorte che, dolorosa di grazia, li conduce.



François van Bossuit, Estasi di Maria Maddalena


Maddalena, sottratta ai demoni, rinasce a creatura unitaria, chiamata: Gesù si limita a farle cercare, tra i tanti che le brulicano nella mente, il suo vero nome: quello che la identifica, la delimita, la salva: «Mi inchiodava con il suo sguardo, con infinita pazienza ripeteva la sua domanda. Finalmente ho sentito salire alle labbra, in una schiuma di bile, il nome che aspettava. “Maria, io sono Maria”». Pierre-Marie Beaude, Marie la passante, Lonrai, Desclée de Brouwer 1999, trad. Giulia Valerio, cit. in EAD., La figura di Maddalena e l’archetipo della grazia, átopon, quaderno 2/2010).

Maddalena da brulicante di voci si fa cava, pacificata, sintonica. Ora è, per Gesù, anima in attesa, allieva e specchio, polo dialettico; grembo e tomba, sposa nella rivelazione che si accende, compagna di accudimento e devozione, nel donarsi reciproco che va oltre il computo. Maddalena è la Maria di Betania di Matteo e Giovanni, la peccatrice di Luca: rompe il vaso di alabastro, e, piangendo, gli riga di lacrime i piedi, li asciuga con i suoi capelli; lo bacia, lo unge con l’inestimabile olio di nardo. Mentre il fariseo dubita, insinua, e calcola, Maria con il suo dono scandaloso soverchia ogni parametro, ogni buona regola, ogni condizione: è testimone del bene che non teme, che va oltre.

Gli unguenti benedicono la pelle di chi va all’amore, di chi si prepara alla lotta. L’olio veste la carne di preziosità, lo sottrae alla miseria e lo sigilla in trasparenza; lo porge in dono all’altro, all’altrove: «Versando quest’olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato questo vangelo, anche ciò che ella ha fatto sarà raccontato in memoria di lei». (Matteo 26, 6-13). Cristo è incoronato re e designato redentore da una donna, la più umile: la sua accoglienza quieta e totale abita il sacro come vocazione piena, idoneità assoluta, oltre ogni inferenza logica.



Francesco Del Cairo
L'estasi di Maddalena
1650
Olio su tela
65 x 44 cm
Roma, Galleria Borghese


Come nota Yannaràs, qui l’eros capovolge il logos, nel gesto «senza risparmio e misura»: il contesto giudicante, l’istituzione religiosa, non trovando opportunità logica, né misurabilità etica, rimane straniato; lo sconsiderato slancio d’amore, nel pieno rinnegamento di sé, senza calcolo di remunerazione, gli è incomprensibile. Maddalena è peccatrice alata, nell’affezione purissima e silenziosa abbatte la legge, rende «inservibile la logica». L’atto liturgico: rompere il vaso (Marco 14:3), che equivale, simbolicamente, a rompere la propria verginità morale, di donna che si concede a molti per non darsi a nessuno; ma ora, nella frantumazione, nel superamento, nella gratuità dell’offerta, immemore di sé, dà accesso intimo all’altro, all’Amato.

Maddalena, diversamente dagli apostoli, non viene educata negli insegnamenti, né tantomeno disquisisce o parla; non la dottrina, ma un’intimità edenica, aurorale la unisce a Gesù, cui starà vicino, come una creatura angelica, fino alla fine: davanti al tradimento, all’ingiusta condanna, al dileggio, al martirio della croce, è la donna-presenza che avvolge in vicinanza limpida, scavalcando la furia cieca del male. Ai piedi della croce è silente, trafitta nella pena della cura, dell’attesa che non recrimina, che, nel puro strazio, attende. Spesso l’arte l’ha colta distesa, come basamento o radice, dove il dolore dell’incarnazione si pianta e penetra, per elevarsi a perpendicolo, verso il cielo.



Honoré Daumier
Maria Magdalena
1870 circa
Olio su tela
41 x 33 cm
Collezione privata


In Matteo e Giovanni (Mt 27:57-60; Gv 19:38-42), dopo la deposizione, Giuseppe di Arimatea fa avvolgere Gesù in un telo di lino e lo pone nel suo sepolcro di pietra, senza che Maddalena possa preparare, ora sì, alla sepoltura il corpo dell’amato; ma la donna attende davanti all’adito, ha nel palmo balsami e unguenti, e nella mente la condotta rituale che vorrebbe percorrere a ritroso lo scempio: estrarre i chiodi, detergere i coaguli ematici, comporre le piaghe, togliere le spine dal capo: il supremo femminile, che, accanto alla morte, continua a celebrare la vita, servendo un ordine inverso.

E ancora, di fronte al masso divelto, al sepolcro abbandonato, fa esperienza estrema del vuoto, dell’abbandono: in quieto custodire attende, lasciandosi abitare, e, in tensione luminosa d’amore, si fa dimora del sacro: solo qui l’immenso e l’invisibile possono posare.

La dimensione femminile e profondamente erotica di Maddalena passa attraverso il cordoglio dell’assenza che persevera nei territori d’amore, annientando qualsiasi affermazione di sé. Così è in Simone Weil, ma anche in Giovanni della Croce e in Meister Eckhart, mistici che perseguono lo svuotamento della pulsione interiore e la ricongiunzione al principio primo, al divino che vibra in ogni individuo.

Ma in questo esserci per l’altro di Maddalena, che tanto somiglia a quello di Cristina, respira un femminile archetipale, di cui si ha nostalgia: la tenerezza fatta presenza, la grazia silenziosa che riluce, docile a un disegno d’amore superiore che è luogo intimo di accoglienza, vocazione a farsi condurre; in attesa, in astensione e accumulo, come accade per Amore, Destino, e Poesia. Maddalena e Cristina ebbero entrambe tale estraneità tanto assoluta quanto radicale al proprio tempo: l’inesausta ricchezza del riserbo, la trama preziosa del cenno silente, potente e arcano, la percezione altissima e attenta.

È qui, leggiadramente inscritta in questo archetipo, l’ardente, integra, nobilissima Cristina: che deplora le bassezze e le viltà dell’umano, che invoca la benedizione di una coperta ascesi, nella regalità della sprezzatura: poiché sa che «con un cuore legato non si entra nell’impossibile», di nulla tiene conto, tutto lascia e perde per tutto ritrovare; Cristina che si fa cava, rispondente, che fa di ogni mancanza un invaso di carità: «La necessità di accettare, l’uno dell’altro, la parte sconosciuta, fanciullesca, ferita […] richiede viaggi agli Inferi, salite al Carmelo, per mostrarci il suo volto. Come riuscire a fare al prossimo la domanda di Anfortas: “Fratello, qual è il tuo tormento?”».

Cristina parla di altrui romanzi, di musiche di scena nel teatro di Shakespeare; dell’architettura delle ville fiorentine, dei trappisti delle Tre Fontane; dell’incenso rituale, della preghiera giaculatoria, del suono delle campane; dello studio di Guidobaldo, dei dipinti di Masaccio; ed è sempre quel «tentativo di dissidenza dal gioco delle forze, “una professione di incredulità nell’onnipotenza del visibile”» che allude «con lo stesso gesto a un solo centro, un solo ospite assente o presente»: è la sua attenzione che diviene, in ogni cosa, annuncio del sacro, e si fa poesia geroglifica, rituale: «Liturgia – come poesia – è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile. Essa è regolata da armoniose forme e ritmi che, ispirati alla creazione, la superano nell’estasi».



Hugues Merle
Maria Maddalena nella grotta
(Mary Magdalene in the Cave)
1868
Olio su tela
45 x 59.6 cm
Collezione privata


Eppure Cristina non è solo perfezione: è ricerca sofferente, a strapiombo sul nulla, come Maddalena; ma non cede mai al senso del vano e dell’assurdo, grazie a quegli «attimi di visione» che sempre ha in dono, a quegli scorci dell’«altro lato» del tappeto, allo svelato «inconcepibile disegno» che è «frammento di figura, parte del tutto»; prescelta su vie di frammentata rivelazione, conosce lo spavento: «Ciò che è più doloroso, in questo tempo di enigmi e di segni, di illuminazioni e di ottenebramenti, è l’impossibilità quasi totale di afferrarne saldamente la bellezza, i.e. di farne poesia. Un grande timore, un timor sacro mi paralizza»; ma, come Maddalena, trova consolazione: «Il dio toglie il senno a chi vuol perdere, dicono. Ma con quale accortezza lo toglie a chi vuol salvare».

Anche per lei una grotta vuota, un lenzuolo di lino ripiegato, l’ordine pulito, il decoro buono. Ma sua è la desolazione dei giorni, degli affetti, la solitudine più sconfortata. Fin quando il vuoto all’esterno, che è desiderio e sete, non viene accolto e dilatato all’interno, portando a quella concavità di chi nulla più chiede o desidera, ma soltanto si lascia abitare: «Come la manna di Sant’Andrea nella cavità dell’ampolla, il destino si forma nel vuoto […]. La parola che dovrà prender corpo in quella cavità non è nostra. A noi non spetta che attendere nel paziente deserto nutrendoci di miele e locuste, la lentissima e istantanea precipitazione. […] Un vuoto ricolmato di silenzio nel quale il destino precipiterà come l’energia nel vuoto pneumatico, è ciò che ci descrive san Giovanni della Croce».

Un cammino a ritroso, nel silenzio e nella preghiera, verso la memoria del più vero sé, verso quella matrice che origina nell’infanzia, e segna il nostro avvenire, lastricando la via: «E la mia valle rosata dagli uliveti / e la città intricata dei miei amori / siano richiuse come breve palmo, / il mio palmo segnato da tutte le mie morti».

Cristina rigida, intransigente, severissima con sé stessa, si dichiarava lontana da ogni rivelazione: «Ma io non ho, davvero, che la poesia come preghiera – ma posso offrirla? E quando mai la sentirò così vera (non dico pura, ma è differente?) da poterla deporre a quell’altare – di cui non vedo e forse non vedrò mai che i gradini – come un cesto di pigne verdi, una conchiglia, un grappolo? […] E io non parto dall’amore di Dio – sto nel buio; ma vorrei fare qualche cosa che agli altri sembrasse nato alla luce».

Pronta alle sorti estreme, è nell’assoluto dono che non chiede, grata persino nello strazio: «Nobilissimi ierei, / grazie per il silenzio, / l’astensione, la santa / gnosi della distanza, / il digiuno degli occhi, il veto dei veli, / la nera cordicella che annoda ai cieli / con centocinquanta volte sette nodi di seta / ogni tremito del polso, / l’augusto canone dell’amore incommosso, / la danza divina del riserbo».



Giovanni Girolamo Savoldo
Maria Maddalena
(Mary Magdalene)
1535-1540
Olio su tela
89.1 x 82.4 cm
Londra, National Gallery


Cristina seppe fare del lavoro letterario un mandato sacro, esercitato in generosità sofferta, in ascesi: ogni via la portava al vuoto dell’accogliere, dell’attendere, in una dimensione fortemente amorosa ma incredibilmente pura: «In realtà ciò che fa del destino una cosa sacra è lo stesso che distingue la poesia: la sua reclusione, segregazione, l’estatico vuoto in cui si compie. […] La scena del destino è concava tacita e risuonante come la cassa di un prezioso strumento»; in una costante vocazione liturgica, rituale: «L’incenso è inesprimibilmente misterioso. Esso è insieme preghiera e qualcosa di più fine, più acuto della preghiera. Compone l’aroma dell’eros con quello della rinuncia, è resa di grazia ed è, come il nardo, alcunché di soavemente ferale».

Proprio lei nota il gesto di Maddalena, a casa di Simone: «La liturgia cristiana ha forse la sua radice nel vaso di nardo prezioso che Maria Maddalena versò sul capo e sui piedi del Redentore nella casa di Simone il Lebbroso, la sera precedente alla Cena. Sembra che il Maestro si innamorasse di quello spreco incantevole» perché l’assenza di calcolo è, di per sé stessa, offerta erotica e contrae privatissime nozze con chi riceve, ancor di più se è cuore divino, hieròs gámos. Qui il simbolo più seduttivo e caro di ogni femminile.

Cristina in ogni quotidiano si fa eucaristia, persegue il darsi significante e doloroso della croce: di fronte alla insussistenza del reale e alla propria inettitudine a reperire un senso, attraverso la notte buia di negazione del sé, perseverante d’amore, cade nelle braccia di quel Dio che tanto aveva cercato: «Tu, Assente che bisogna amare… / termine che ci sfuggi e che c’insegui / come ombra d’uccello sul sentiero: / io non ti voglio più cercare. // Vibrerò senza quasi mirare la mia freccia, / se la corda del cuore non sia tesa».

Il simbolo di ogni dilacerazione umana è Gesù sulla croce, mediatore tra essere assoluto, teso in verticale, e creatura incarnata. E alla base della croce c’è Maddalena, che radica nella terra la redenzione, con il suo dolore muto, risoluto nel dono, in purezza. Devota attesa, passione condivisa, ardore che ha in dispregio il pericolo. Attesa irrazionale, attraversamento del vuoto; e ritrovamento, nel rispetto del mistero: noli me tangere.

Dal vuoto di Dio, che brulica di realtà terrene miserevoli – i demoni di Maddalena, l’immaginazione di Cristina, che è visione deformata dall’io – si giunge alla sventura, la malheur di Simone Weil, in cui l’uomo è ridotto a pietra. Ma se la bellezza, retaggio tremendo, suggerisce un principio esterno al visibile, così la sventura, con la propria tenebra assoluta, può essere il varco, dolorosissimo, per annullarsi e, in equilibrio ardente, ritrovarsi accolti nel cuore dell’eterno: «La privazione è subito nutrimento, la volontà consenso, il dolore sentimento compiuto della presenza e l’umiltà una corona di grazia continuamente ricevuta e restituita».



Jules Lefebvre
Maria Maddalena in una grotta
(Mary Magdalene In The Cave)
1876
Olio su tela
71.5 x 113.5 cm
San Pietroburgo, Hermitage Museum


Così Paul Celan: «Vicini siamo, Signore, / vicini e afferrabili. // Già afferrati, Signore, / intrecciati uno nell’altro, come se / il corpo di ciascuno fosse / il tuo corpo, Signore. // Prega, Signore, / prega noi, / siamo vicini. // Piegati dal vento andammo, / andammo per inchinarci / su conche e cavità. // All’abbeveratoio andammo, Signore. / Era sangue, era ciò / che avevi versato tu, Signore. // Brillava. // E gettava la tua immagine negli occhi nostri, Signore. / Gli occhi e la bocca sono così vuoti, Signore. // Abbiamo bevuto, Signore. / Il sangue e l’immagine che era nel sangue, Signore. // Prega, Signore. // Siamo vicini» (Tenebrae, da: Sprachgitter, 1959, Trad. Stefanie Golisch).

Ed è questa la tenebra di Maddalena, di Cristina, qui cantata dal poeta: la spaventosa distanza tra uomo e Dio, colmata solo quando, nell’affanno, si mantiene il timone al bene, se pur trafitti di spine: «Non resta che protendere la mano / tutta quanta la notte; e divezzare / l’attesa dalla sua consolazione, / seno antico che non ha più latte. // Vivere finalmente quelle vie / – dedalo di falò, spezie, sospiri / da manti di smeraldo ventilato – col mendicante livido, acquattato // tra gli orli di una ferita».

Diverrà di moda Cristina, la chiameranno in causa per sostenere o confutare tesi e antitesi, in modo funzionale, proficuo, programmato. La porteranno sul foglio suo malgrado, con semplificazioni aforismatiche, deformanti. Banalizzandola, la renderanno fruibile senza sforzo, come lei non voleva: «L’operaio ride di Antigone ed Elettra […] se gli sono spiegate facilmente […] mentre lo tratterrà il rispetto se ode un linguaggio sacerdotale, un linguaggio che la potenza numinosa impone d’autorità […] la cultura, il pensiero, la Poesia sono un Carmelo da salire».

Quel che più commuove, è che lei sapeva, fin da allora, di questo rischio: «La croce di guerra di Saint-Loup lasciò la sua testimonianza sul più sordido degli impiantiti e la meravigliosa silhouette di uccello d’oro ne perdette i superbi, solitari contorni».

Per chi ha imparato a fare i conti con il suo sofferto silenzio, il nobile riserbo, gli scavati afflati mistici, le generosità segrete, lo splendore in carità, il cuore di Cristina rimarrà un diamante intatto, ineffabile, in comunione col mistero. A chi scrive vengono alle labbra queste sue parole: «E tutto ciò, tutte queste cose irrimediabilmente condannate […] noi le viviamo con l’intensità inesprimibile di chi si è innamorato di una creatura segnata. E forse anche questo, essendo una passione, è parte della Grazia».



Guido Cagnacci
La conversione della Maddalena
16550-1658
Olio su tela
68 x 76,5 cm
Pasadena, Norton Simon Museum


Le stanze di Cristina sono stanze di madre, intrise di luce. La sua è stata una via impervia, rivolta a un destino regale: il dolore che scava, ed eleva in quota. La parola distillata nella cura, il patire di un corpo imperfetto; il genio che batteva alle tempie, l’anima che inondava gli occhi. Affilata in tenebrose afflizioni, squarciata da lamine d’estasi, ha tracciato una rotta ustoria, dal varco sottilissimo. Lei sì, aspide che piega al flauto, ha guardato negli occhi la bellezza tremenda; oltre la gnosi e la sventura dell’esserci, si è ridata alla luce, cadendo tra le braccia di Dio.

Cristina ha scritto poco, ha scritto di altro e per gli altri; ma, tra le righe, ha detto tutto. Con portamento sovrano, scalza come un anacoreta, ha lasciato segni magici, indelebili, che indicano chiaramente la via, per quel sopramondo che, per tutta la vita, la elesse a sofferto mediatore. «Il mondo, blocco ottuso e cieco, racchiude in ogni tempo una filigrana di esseri che vivono secondo regole che non sono di questo mondo. E sono gli esseri che mutano il cuore del mondo». Avvicinarsi così, a questo scrigno pieno d’anima: con umiltà, e con il coraggio di perdersi a sé: oltre l’immaginazione, in tragica bellezza, lasciarsi cadere nel vuoto, quel vuoto che sa farsi incavo del sacro, e che di ogni cosa lascia risuonare il senso.

Questo testo ha profondi debiti di gratitudine verso i seguenti volumi e saggi: Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, 1987; Cristina Campo, La Tigre Assenza, Adelphi, 1991; Cristina Campo, Sotto falso nome, Adelphi, 1998; Cristina Campo, Lettere a Mita, Adelphi, 1999; Cristina Campo, Il mio pensiero non vi lascia, Adelphi, 2012; Margherita Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, Edizioni Studium, 2005; Cristina De Stefano, Belinda e il mostro, Adelphi, 2002; Simone Weil, Attesa di Dio, Adelphi, 2008; Simone Weil, L’ombra e la grazia, Trad. Franco Fortini, Bompiani, 2002; Christos Yannaràs, Variazioni sul Cantico dei Cantici, trad. A. Ranzolin, V. Kalogerakis, Qiqajon, 2012; Giulia Valerio, La figura di Maddalena e l’archetipo della grazia, átopon, quaderno 2/2010); Testi gnostici, a cura di Luigi Moraldi, UTET (De Agostini Libri, 2013).


Edited by Lottovolante - 22/11/2022, 16:33
 
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Gregor Erhart
Mary Magdalene
1510
Legno di tiglio e policromia
3.25 m
Parigi, Musée du Louvre


Questa Maria Maddalena è attribuita a Gregor Erhart (1470-1540) per confronto con la Vergine della Misericordia di Kaisheim scolpita dallo scultore nel 1502-03 (Staatliche Museen, Berlino, distrutta nel 1945). Santa Maria Maddalena, scultura policroma in tiglio del 1510, è l'opera omnia dell'artista tedesco, ed è ubicata al Musée du Louvre di Parigi. Formatosi a Ulm, in Svevia, dal padre Michael Erhart (menzionato a Ulm dal 1469 al 1522), Gregor si trasferì ad Augsburg nel 1494 dove divenne un importante maestro scultore. Lo stile generoso e raffinato di Santa Maria Maddalena, la sua grazia pacifica e il volto gentile fanno infatti parte della tradizione tardogotica sveva. Le proporzioni armoniose e la pienezza del corpo femminile nudo rivelano la conoscenza dell'opera di Dürer e una ricerca della bellezza formale che è specifica del Rinascimento.


Il genio di Gregor Erhart fu quello di interpretare l'immagine tradizionale della santa portata in cielo dagli angeli in un modo inedito nella scultura. Lontano dalla convenzione gotica di una figura sottile e irreale, rivela curve femminili, appena nascoste dall'ondulata chioma di capelli dorati che le scendono sulle spalle e si allargano sulla schiena. Il modellato del corpo - i lievi incavi dei muscoli tesi e i tenui solchi sulle parti carnose - mostra una grande sensibilità. La bellezza del volto, dai lineamenti decisi e regolari, cesellati con grande finezza nel legno di tiglio, è accentuata dalla policromia originaria, tenue e molto raffinata nella tradizione gotica.


La presenza carnale di questa statua a grandezza naturale doveva essere molto imponente nella chiesa. Ma l'immagine sensuale, quasi profana che offre oggi, priva dei suoi angeli scolpiti, dovrebbe essere temperata. La posa languida e l'espressione meditativa intendono trasmettere l'estasi mistica della penitente, mentre la sua meravigliosa bellezza e i lucidi riccioli d'oro intendono evocare il suo santo splendore. La concezione di questa figura femminile è quindi in fase con il contenuto spirituale dell'immagine religiosa, idealizzata nella tradizione medievale. Gregor Erhart produsse in questo preciso periodo il suo capolavoro, geniale creazione dell'umanesimo nordico nel tardo medioevo, alle soglie del Rinascimento. (Mar L8v)


 
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MARIA MADDALENA
LA DISCEPOLA DI CRISTO



Alcuni vangeli apocrifi mostrano una relazione particolarmente intima
tra Gesù e Maria Maddalena, una delle donne al seguito del Cristo,
tanto che si è speculato sulla possibilità che i due fossero sposati


Gesù di Nazaret è stato considerato come il maestro ebreo più rispettoso delle donne, in particolare dalla seconda metà del XX secolo, quando i vangeli, soprattutto quello di Luca, sono stati letti e chiosati nell’ambito dei gender studies (gli studi dell’identità di genere). Nei testi evangelici gli autori non tralasciano di riferire il comportamento di Gesù con le donne: si narra dell’accoglienza di una donna peccatrice che asciuga con i suoi capelli i piedi di Gesù a un banchetto, del perdono di un’adultera, dell’attenzione nei confronti delle opinioni delle donne, della speciale amicizia con Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, che Gesù riportò in vita dal sepolcro. In molti passi si mette in evidenza il fatto che Gesù esercitasse il suo ministero circondato da donne.

Notevole importanza, infatti, riveste la scelta di aver riservato la sua prima apparizione dopo la resurrezione a una donna, a Maria di Magdala, la Maddalena, giunta al sepolcro per piangere la morte del suo maestro (Giovanni, 20). Una tradizione del cristianesimo primitivo descrive Maddalena come la compagna o la sposa del Nazareno. Ma i vangeli canonici, ovvero quelli che sono stati accettati dalla Chiesa come racconti ufficiali nel concilio di Ippona, non dicono niente su questo punto, sebbene non tacciano del matrimonio dell’apostolo Pietro, la cui suocera fu curata da Gesù (Matteo, 8, 14-15). Nella vita pubblica di Gesù, si menziona più volte Maria Maddalena nel Vangelo di Luca (8, 1-3), oltre a diverse donne al servizio del maestro, tra le quali Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode Antipa. Ciò testimonia l’esistenza di un gruppo di predicatori itineranti di cui facevano parte anche le donne, forse come servitrici o discepole, come alcuni sostengono.



Segna di Bonaventura
Santa Maria Maddalena
XIV secolo
Olio su tavola
44.2 x 29.1 cm
Monaco di Baviera, Alte Pinakothek


Marito o maestro?

In realtà, non si può dimostrare se Gesù fosse celibe, sposato o vedovo, né che egli avesse lasciato la moglie per predicare. D’altra parte, Gesù si presentava prima di tutto come un profeta ed era noto che anche il profeta Geremia fu celibe. Inoltre è noto che nel I secolo d.C. molti uomini nella comunità degli esseni, nei pressi di Qumran, autori dei cosiddetti manoscritti del Mar Morto, rinunciarono al matrimonio.

Il racconto della Maddalena nel Vangelo di Giovanni merita una considerazione particolare: contrariamente alla tradizione tramandataci da Paolo e dagli altri evangelisti, Giovanni ci informa di un episodio nel quale Gesù compare per la prima volta insieme a una donna che, secondo certe interpretazioni, era sua moglie. Coloro che sostengono questa versione della storia ritengono che il termine ebraico rabbunì, l’esclamazione che la Maddalena pronuncia quando incontra Gesù risorto (Giovanni 20, 16), significhi “mio marito”, e non “il nostro maestro”. La maggior parte degli studiosi legge questo passo evangelico in maniera simbolica sostenendo che questa scena non fosse storica, bensì una finzione dell’autore del testo per presentare il passaggio da una fede imperfetta a una perfetta nell’incontro con Gesù risorto.

Anche la scena della crocifissione nel Vangelo di Giovanni (19, 25-27) è stata reinterpretata alla luce del matrimonio di Gesù e Maria di Magdala: ai piedi della croce compare la madre del Cristo con Giovanni, il discepolo tanto amato, e due donne di nome Maria, che sono la moglie di Cleofa e Maddalena. Alcuni studiosi affermano che il testo greco non dica: «Vedendo [Gesù] sua madre», bensì «Vedendo la madre», allo stesso modo non si legge «[Gesù] dice a sua madre», bensì «alla madre». Da ciò si è dedotto che “madre” si riferisse a Maddalena, che è la moglie di Gesù, e che Giovanni sia il loro figlio.



Jacopo Tintoretto
Crocifissione
1565
Olio su tela
518 x 1,224 cm
Venezia, Scuola Grande di San Rocco

(Ai piedi di Gesù si trovano sua madre, Giovanni, Maddalena e Maria, moglie di Cleofa)


Gli apocrifi e Maddalena

Maria Maddalena compare in molte occasioni nei vangeli apocrifi, così chiamati perché la Chiesa li rifiutò come dei falsi racconti sulla vita di Gesù, che sono stati scritti intorno al III secolo. Non solo, la presenza di Maria di Magdala è frequente in modo particolare nei vangeli gnostici, testi molto diversi dai vangeli apocrifi veri e propri, poiché in questi la salvezza si fonda su una rivelazione divina riservata a pochi e condivisa attraverso il Cristo. Tra questi vi sono il Vangelo di Tommaso, la Sapienza di Gesù Cristo, il Dialogo del Salvatore e Pistis Sophia o Libro del Salvatore, nei quali compare sempre la discepola prediletta di Gesù.

Ci sono due vangeli gnostici nei quali sembra emergere più chiaramente che Maria di Magdala sia stata la compagna o la sposa del salvatore: si tratta del Vangelo di Maria - riferito appunto a Maria Maddalena - e del Vangelo di Filippo, composti in greco tra il 150 e il 250 d.C., di cui si conservano solo delle versioni più tarde in lingua copta.

I passaggi del Vangelo di Maria sono abbastanza emblematici. In questo testo Pietro afferma rivolgendosi a Maria: «Sorella nostra, noi sappiamo che il Salvatore ti amava più delle altre donne» (10, 1-5). In lingua copta, il verbo amare può avere diverse sfumature di significato e non esprime necessariamente una relazione a sfondo sessuale tra la Maddalena e Gesù. La chiave per interpretare questo termine si trova nel contesto, che non intende attribuire un significato erotico alle parole citate: l’autore, infatti, riconduce quella forma di amore alla ricezione di visioni nelle quali sono rivelati degli insegnamenti spirituali.



Frammento di uno dei testi gnostici cristiani ritrovati nei pressi della città
egiziana di Naj Hammadi, datato intorno al V-VI secolo e scritto su un papiro.


l Vangelo di Filippo è il testo che più esplicitamente si riferisce al tema della relazione tra Maria e Gesù. Un passo importante recita: «Tre donne camminavano sempre con il Signore; Maria, sua madre; la sorella di lei, e Maddalena, detta la sua compagna. Così Maria è sua sorella, sua madre e la sua compagna» (59,6-11). Il termine impiegato dall’autore, “compagna”, è utilizzato sia per designare un’unione sessuale sia per riferirsi al semplice compagno o guida spirituale. Il vangelo prosegue dicendo: «Gli altri discepoli dissero: ‘Perché la ami più di quanto ami noi?’ Il Salvatore rispose loro: ‘Perché non amo voi come amo lei?’». Il testo lascia intendere, come nel caso del Vangelo di Maria, che i discepoli posseggano una conoscenza meno profonda rispetto alla Maddalena. Gesù li esorta pertanto a raggiungere una gnosi, o conoscenza spirituale, pari a quella dealla donna. Finché non arriveranno al medesimo stadio, Gesù non li amerà quanto la sua discepola.

Per capire meglio il significato si deve paragonare questo passaggio a uno del Vangelo canonico di Marco (3,31-35): «La folla era seduta intorno a Gesù e gli dissero: ‘Là fuori ci sono tua madre e i tuoi fratelli, che ti cercano’. Egli rispose: ‘Chi sono mia madre e i miei fratelli? Chi fa la volontà di Dio, costui è mio fratello, mia sorella e mia madre’».

Maria è “compagna” di Gesù nello stesso modo in cui è “sorella” e “madre”, ovvero finché ha con lui un intimo legame spirituale. Di conseguenza, il Vangelo di Filippo vuole insistere sul fatto che Maddalena sia la discepola perfetta di Gesù nella conoscenza segreta, non sua moglie. In realtà, un altro testo il cui significato è tutt’altro che chiaro recita così: «La compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Egli la amava più che tutti i discepoli e la baciava spesso [sulla bocca]». Nella Seconda Apocalisse di Giacomo, l’apostolo afferma: «Gesù mi baciò sulla bocca e mi abbracciò dicendo: ‘Mio diletto, ecco che ti rivelerò ciò che i cieli non hanno saputo’»(56,10-20). L’“osculo”, o bacio santo, è il segno dell’inizio di un atto liturgico dove gli eletti, gli gnostici, ricevono una rivelazione.



Gregor Erhart
Mary Magdalene
1510
Legno di tiglio e policromia
3.25 m
Parigi, Musée du Louvre


Maddalena, donna peccatrice

Papa Leone I Magno, alla fine del V secolo, in una famosa omelia, il Sermone 74, delineò la figura di Maria Maddalena che oggi conosciamo, ovvero come una prostituta pentita, e fece riferimento al testo del Vangelo di Marco 16,9: «Gesù, risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni». In realtà, nulla conferma l’attività di Maddalena, la cui figura è fusa assieme ad altre donne di nome Maria o anonime presenti nei vangeli. Così, papa Leone confuse la Maddalena con una peccatrice senza nome il cui racconto ci è pervenuto nel testo di Luca (7, 36-50); con una adultera, anch’ella senza nome, cui Gesù perdona i suoi peccati nel Vangelo di Giovanni (8, 2-11); con Maria, sorella di Lazzaro, che gli aveva asciugato i piedi nel racconto di Giovanni (11), e infine con un’altra donna anonima che versò l’unguento sul capo di Gesù prima della morte in Marco (14, 3-9). Queste donne che compaiono in cinque diversi passi evangelici sono state sovrapposte alla figura di Maria di Magdala. Ma non compare mai nel testo biblico a proposito di questi racconti la parola “prostituta”.

Non ci sono prove di una censura volontaria nel testo dei vangeli o di una volontà di alterare l’immagine di Maddalena, ma allo stesso modo, né nei vangeli apocrifi né in quelli canonici si trova una testimonianza che attesti che Maria di Magdala, la Maddalena, fosse stata, o no, la moglie di Gesù.


Edited by Lottovolante - 24/11/2022, 18:10
 
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Ambrosius Benson
La lettura della Maddalena
(The Magdalen Reading)
1520 circa
Olio su tavola di quercia
41.7 × 37.7 cm
Londra, National Gallery


Una donna, con i capelli coperti da un'elaborata struttura di cappucci e veli semitrasparenti, tiene in mano un lussuoso libro miniato con una rilegatura in velluto verde. Il vaso la identifica come Maria Maddalena: contiene l'unguento con cui la santa unse i piedi di Cristo. Le mani e il libro sono copiati da Santa Barbara nella "Vergine il Bambino con santi e donatore" di Gerard David. Sono così simili che sembra che Ambrosius Benson abbia copiato dall'originale o che abbia avuto accesso ai disegni preliminari. Era un allievo di del maestro francese e i due furono coinvolti in una causa per i modelli che David sosteneva di aver trovato nella cassa di Benson. Le pieghe del velo sono estremamente simili al copricapo di Maria Maddalena in "La Maddalena in un paesaggio" di Albert Cornelis, da cui Benson prese in prestito i modelli.




Gerard David
La vergine e il bambino con santi e le donatore
(The Virgin and Child with Saints and Donor)
1510
Olio su tavola di quercia
105.8 × 144.4 cm
Londra, National Gallery


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Albert Cornelis
La Maddalena in un paesaggio
(The Magdalen in a Landscape)
1510
Olio su tavola
40 x 31.1 cm
Londra, National Gallery


Ambrosius Benson era specializzato in mezzi busti di giovani donne raffigurate come Maria Maddalena o come sibille (oracoli femminili nella mitologia classica). L'orecchio stranamente allungato e le mani grandi di questa donna sono tipici dell'artista. Lo stile dell'abito suggerisce una datazione intorno al 1520, rendendolo uno dei primi quadri di questo tipo del pittore fiammingo. (Mar L8v)

 
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Rogier van der Weyden
La lettura della Maddalena
(The Magdalen Reading)
1438 circa
Olio su mogano, trasferito da un altro pannello
62.2 × 54.4 cm
Londra, National Gallery


Una giovane donna con uno stravagante abito verde siede a terra e legge. Anche se indossa abiti del XV secolo e si trova in una stanza medievale, è una figura biblica: Santa Maria Maddalena. La sua figura forma un semicerchio, con la testa e le gambe che si curvano intorno alle ginocchia piegate, sottolineando l'attenzione per il libro. Questo uso di armonie geometriche per esprimere sentimenti è tipico di Rogier van der Weyden. Questo è un frammento di un dipinto più grande, e si possono vedere parti di altre figure: un uomo appoggiato a un bastone dietro Maria e un altro inginocchiato a sinistra, con le dita dei piedi che spuntano da sotto la sua voluminosa veste. La donna siede su un cuscino rosso e si appoggia a un mobile di legno intagliato. La sua veste è foderata di pelliccia grigia e stretta in vita. Ricade in pieghe voluminose intorno alle gambe ed è girata all'indietro in modo da poter vedere il sottovestito di stoffa dorata. I capelli sciolti sono coperti da un velo bianco, scanalato ai bordi e infilato dietro le orecchie; non si tratta del copricapo alla moda indossato dalle donne contemporanee - come si vede in "Ritratto di una donna" di Robert Campin - ma di qualcosa di più adatto a una figura di epoca biblica.




Robert Campin
Ritratto di una donna
(Portrait of a Woman)
1435
Olio con tempera all'uovo su rovere
40 x 27 cm
Londra, National Gallery


Sembra che stia leggendo una Bibbia, scritta su due colonne con grandi iniziali rosse e blu che segnano i diversi capitoli. Si tratta di un volume lussuoso: i bordi anteriori e le chiusure sono dorati ed è ricoperto da una chemise bianca, una sorta di giacca per libri che veniva avvolta intorno a libri speciali per proteggerli. Se si osserva attentamente, si possono notare le cuciture lungo il bordo superiore della rilegatura e i piccoli segnalibri in corda avvolti intorno al tubo. L'attributo della santa, il vaso contenente l'olio che usò per ungere i piedi di Cristo, giace sul pavimento accanto a lei, proiettando una forte ombra. Nel Medioevo Maria Maddalena era diventata un amalgama di varie storie bibliche. La donna peccatrice che aveva lavato i piedi di Cristo con le sue lacrime e li aveva unti con l'olio (Lc 7,36-38) fu unita a Maria di Betania, sorella di Lazzaro, che "sedeva ai piedi del Signore e ascoltava la sua parola" (Lc 10,38-42). La donna era intesa come esempio di vita contemplativa. Da una finestra in fondo alla stanza si vede un fiume che scorre pigramente e persone che camminano sulle sue rive. Sulla riva vicina un arciere con una corta veste viola e un cappello rosso punta la balestra. Sul lato opposto, un uomo vestito di rosso e nero è seguito da una donna che indossa un cappello nero, un abito bianco con cappuccio su un vestito rosso; possiamo vedere il suo riflesso nell'acqua.


Questo dipinto era in origine l'angolo inferiore destro di quella che doveva essere una grande pala d'altare raffigurante la Vergine con il Bambino e santi, dipinta per una chiesa di Bruxelles. Si tratta forse di una delle prime commissioni di van der Weyden dopo il suo insediamento nel 1435. Uno schizzo del XV secolo (oggi conservato al Nationalmuseum di Stoccolma) ci permette di ricostruire il suo aspetto originario. L'uomo con il bastone e le perle d'ambra dietro Maria è San Giuseppe; la sua testa sopravvive nella Fundaçāo Calouste Gulbenkian, a Lisbona (insieme a quella di un'altra santa donna, forse Santa Caterina). La Vergine e il Bambino sarebbero stati seduti al centro, con un giovane San Giovanni Evangelista inginocchiato alla loro sinistra - sono le sue dita dei piedi e parti della sua veste a sopravvivere nel nostro dipinto. Alla loro destra sarebbero apparsi Santa Caterina e un vescovo in piedi.


Non sappiamo quando la pala d'altare sia stata tagliata, ma all'inizio dell'Ottocento lo sfondo intorno a Maria Maddalena è stato dipinto in marrone (è stato rimosso quando il quadro è stato ripulito nel 1955). L'analisi tecnica non ha evidenziato cambiamenti sostanziali tra il disegno di fondo e la versione dipinta finale, quindi la composizione deve essere stata elaborata completamente nei disegni preliminari. Il disegno di fondo è molto sicuro: le linee sono state eseguite in modo audace e rapido e Maria è stata disegnata a mano libera con grande abilità e chiarezza. Rogier e i suoi assistenti riciclarono diverse figure dalla composizione di cui questa faceva parte in altri dipinti, e Maria stessa appare al contrario nella sua Pala dei Sette Sacramenti (Museo Reale di Belle Arti, Anversa). È evidente che Rogier fece degli studi preliminari per le figure e li conservò e riutilizzò.



Rogier van der Weyden
Pala dei Sette Sacramenti
(The Seven Sacraments)
1445-1450
Olio su legno di quercia
200 x 97 cm (Pannello centrale)
Anversa, Royal Museum of Fine Arts



La straordinaria raffinatezza tecnica delle figure e del paesaggio e l'attenzione ai dettagli sono tipiche di van der Weyden. Le labbra di Maria sono dipinte con varie miscele di vermiglio, bianco e rosso lacca, mescolate a strisce bagnate l'una con l'altra. Per i bordi in pelliccia del vestito, varie tonalità di grigio, dal nero puro al bianco quasi puro, sono state dipinte a strisce parallele e poi trascinate mentre erano ancora bagnate per produrre la trama della pelliccia. Molti dei dettagli - l'ordine del libro di Maria e i suoi sottili segnalibri colorati, e un fleur-de-lis, alto poco più di un millimetro, dipinto sulla scarpa dell'arciere vicino al fiume - dovevano essere quasi invisibili quando il dipinto era sull'altare. Altre aree - l'armadio (ma non i suoi accessori metallici) e le teste dei chiodi nel pavimento - sono eseguite con minore cura e potrebbero essere opera di assistenti. (Mar L8v)


 
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Officina del Maestro della Leggenda della Maddalena
La Maddalena piangente
(The Magdalen Weeping)
1525
Olio su tavola
52.7 × 38.1 cm
Londra, National Gallery


Una donna piangente, raffigurata di profilo, tiene in mano un vaso grande e intricato. Si tratta di Santa Maria Maddalena, una delle seguaci di Cristo, identificabile dal vaso di unguento costoso con cui ha unto i piedi di Cristo. Questo dipinto era un tempo unito a un'altra tavola, e probabilmente costituiva l'ala sinistra di un trittico, presumibilmente raffigurante il Compianto o la Pietà.


L'abito di Maria è un drappo d'oro con un disegno viola. Sopra di essa indossa un secondo abito, aperto sul davanti e allacciato sull'altro sotto il seno. Le maniche superiori, ora verdi, un tempo erano viola. Il suo vestito sfugge in una moltitudine di piccoli sbuffi attraverso le fessure del tessuto. I suoi capelli chiari sono coperti da una cuffia a fantasia e da due veli, uno semitrasparente e uno bianco. Gli abiti colorati e i tessuti costosi alludono al suo passato peccaminoso, anche se le maniche e la forma del velo hanno qualche relazione con la moda contemporanea. Un rosario fatto di corallo e perline di vetro le cinge il collo, con un grande ciondolo gioiello che pende da esso. In questo periodo le persone portavano spesso il rosario al collo, anche se le collane di rosari sono raramente rappresentate nell'arte.


Non conosciamo il nome dell'artista, ma è chiamato il Maestro della Leggenda della Maddalena per via di un grande trittico, ora smembrato, che mostra episodi della vita di Maria Maddalena, dipinto probabilmente a metà degli anni Venti del Quattrocento. Questo dipinto è vicino al trittico nello stile, quindi probabilmente furono realizzati più o meno nello stesso periodo nella stessa bottega. (Mar L8v)



 
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Tiziano Vecellio
Noli me Tangere
1514 circa
Olio su tela
110.5 × 91.9 cm
Londra, National Gallery


Risorto dai morti, Cristo appare alla sua seguace addolorata, Maria Maddalena, nel giardino del Getsemani. All'inizio lo scambia per un giardiniere, ma poi allunga la mano meravigliata. Cristo dice: "Non toccarmi" (in latino, noli me tangere); è tempo per i suoi seguaci di lasciare la sua presenza terrena e di attendere lo Spirito Santo (Giovanni 20, 14-18). Il quadro è incentrato sul gioco di gesti e di sguardi tra Cristo e Maria Maddalena. Non sappiamo per chi sia stato dipinto il quadro.


Si tratta di una delle prime opere di Tiziano presenti nella collezione della National Gallery. I suoi colori intensi e il modo in cui le figure sono inserite in un paesaggio naturale riecheggiano lo stile di Giorgione, con cui Tiziano si era formato. Tiziano era già riuscito a unire le figure con il paesaggio cinque anni prima ne La Sacra Famiglia con il pastore, ma qui ha fatto qualcosa di più sottile e sofisticato: le colline, gli alberi e gli arbusti giocano un ruolo nel dramma. Le linee di intersezione dell'albero e della collina richiamano l'attenzione sulla linea di contatto visivo tra le figure. Si tratta di un approccio che Tiziano svilupperà ulteriormente nella sua grande pala d'altare "La morte di Pietro martire", completata nel 1530 (per i SS. Giovanni e Paolo, Venezia, ma ora distrutta), dove gli alberi contribuiscono dinamicamente all'azione.


La figura di Cristo è in una posa sinuosa, aggraziata e del tutto credibile, che rivela la crescente comprensione di Tiziano, in questo periodo, del nudo e del suo potenziale dinamico. Ciò deve essere in parte dovuto al suo studio delle stampe e dei disegni delle opere di Raffaello e Michelangelo, che a loro modo hanno reso l'articolazione della figura nuda e lo studio della scultura antica centrali nella loro pratica.


Il gruppo di edifici sulla destra appare al contrario nell'Amor sacro e amor profano di Tiziano (Galleria Borghese, Roma), che è datato in modo abbastanza sicuro al 1514 circa, così come nella sua "Venere dormiente" (Gemäldegalerie, Dresda) della stessa epoca. La resa del "Noli me Tangere", tuttavia, è particolarmente suggestiva nell'osservazione delle nebbie e dei giochi di luce sui campi al sorgere dell'alba. Si nota anche l'espressività della pennellata e l'interesse per le possibilità materiche della pittura che diventeranno il segno distintivo dello stile maturo e tardo di Tiziano. I bianchi del velo della Maddalena, del sudario fluente di Cristo e del suo perizoma sono sottilmente differenziati, ciascuno reso con pennellate trascinate di bianco di piombo che catturano la consistenza della tela del dipinto.



Giorgione e Tiziano
Venere dormiente
1508
Olio su tela
108.5 x 175 cm
Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister



Anche il "Noli me Tangere" risale probabilmente al 1514 circa. Le immagini ai raggi X rivelano che Tiziano ha apportato numerose modifiche al paesaggio durante la pittura, ma non sembra aver mai mostrato la tomba vuota o il Calvario - la collina su cui Cristo fu crocifisso - inclusi da quasi tutti gli altri artisti che dipingono questo soggetto.


 
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Giulio Cesare Procaccini
L'estasi di Maria Maddalena
(The Ecstasy of the Magdalen)
1616-1620
Olio su tela
213.8 x 143.6 cm
Washington, National Museum of Art


Procaccini fu uno degli artisti più dotati che operarono in Lombardia all'inizio del XVII secolo. La sua arte fu influenzata da diversi pittori, da Raffaello a Correggio, Parmigianino e Rubens. Il suo lavoro fu anche influenzato dagli insegnamenti riformisti del potente cardinale milanese Federico Borromeo. Procaccini dipinse principalmente soggetti devozionali con grande fervore, ma pieni di sensualità e drammaticità.


L'elegante "Estasi della Maddalena" fu probabilmente realizzata per l'importante famiglia genovese dei Doria, per la quale dipinse non meno di sessanta quadri. Maria Maddalena sviene in estasi mentre è sorretta da putti alati sotto un gruppo di raffinati angeli musicanti celesti. I due gruppi di figure sono uniti attraverso il gesto, lo sguardo e l'espressione per formare una delle composizioni più riuscite di Procaccini.


Seguace precoce di Cristo, Maria Maddalena fu presente alla crocifissione e potrebbe essere la donna che gli unse i piedi in casa di Simone. È stata definita una prostituta, una peccatrice o semplicemente una donna che si abbandonò a una vita di lusso prima di dedicarsi a Gesù e ai suoi insegnamenti. Le prime raffigurazioni di Maria Maddalena si concentravano di solito sulla sua penitenza meditativa o lacrimosa per i suoi peccati, con il vaso dell'unguento identificativo vicino. Come era comune nelle raffigurazioni successive, la Maddalena di Procaccini è mostrata in estasi disinibita pochi istanti prima di nascere in cielo, una scena drammatica che permetteva all'artista di mostrare al meglio la sua virtuosa tecnica pittorica. (Mar L8v)


 
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