Milano insolita e segreta [FOTO], Collezioni private, sculture e simboli misteriosi

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La sauna in un tram






Perdute le antiche terme romane, di cui in città restano solo pochi ruderi in Largo Corsia dei Servi, Milano si è nuovamente dotata di un impianto termale a partire dal 2007. Oltre alla sua singolare posizione, le terme sorgono infatti in un complesso stile Liberty circondato da un tratto originario delle mura spagnole.

La struttura è resa unica dalla presenza di una speciale attrazione: un tram. Rinominato il “Tram del benessere” , è una vera e propria sauna realizzata all’interno di un tram storico dell’ATM.

Vi si accede dalla porta posteriore e, una volta a bordo, ci si siede sulle panche in legno levigato e si respirano atmosfere del passato grazie anche ai suoni di sottofondo e alle immagini di vecchi tram. Al centro della carrozza c’è un grosso braciere intorno al quale, al suono della campanella del tram, si susseguono i vari trattamenti, a partire dall’Aufguss, la gettata di vapore, arricchita di essenze profumate. Rispetto alla classica sauna finlandese, tuttavia, quella sul tram è una versione più “soft”. Le temperature infatti non superano i 70° e l’umidità è superiore al 35%.






 
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La Cappelletta di via Conte Rosso




La Cappella votiva posta in fondo a via Conte Rosso all’incrocio con le vie Bertolazzi e Dardanoni può essere definito l’edificio religioso simbolo del nostro quartiere Lambrate. Sorta probabilmente come luogo di culto romano rappresentato da un’ara sacrificale pagana; si è probabilmente trasformato in altare cristiano a seguito dell’editto dell’Imperatore Costantino (313 d.C.) che concedeva libertà di culto ai cristiani. Nel corso del tempo l’altare ha assunto la configurazione attuale di piccolo Oratorio.

Non molto diversa da come oggi ci appare, la “Cappelletta” è stata luogo di culto anche per i milanesi cacciati dall’Imperatore Barbarossa (1125 -1199) e rifugiatisi a Lambrate dopo la distruzione della città da parte delle truppe imperiali. Lo testimonia una scritta apparsa sul primo pilastro di sinistra della struttura, dopo che un furioso temporale dell’estate del 1944 fece cadere alcuni pezzi di intonaco dal pilastro stesso.

Tra il 1567 e il 1573 San Carlo Borromeo officiò a più riprese funzioni religiose in questo luogo, così come il cugino Federico, arcivescovo di Milano, che sostò in preghiera durante la visita pastorale alla comunità lambratese nell’autunno del 1610.



Nel corso dell’ultima guerra, dopo la funzione serale alla chiesa di San Martino, alcuni componenti delle famiglie che avevano i loro congiunti dispersi in guerra, presero l’abitudine di ritrovarsi davanti la Cappelletta, cercando conforto nella preghiera con la speranza di veder rientrare i loro cari sani e salvi. Terminato il conflitto, con il rientro di molti reduci, il gruppo orante si assottigliò finché rimasero due anziane signore che, per qualche mese, continuarono a manifestare la loro devozione e il ringraziamento per il ritorno a casa dei propri congiunti.

Da oltre 1500 anni il piccolo oratorio resiste all’inclemenza del tempo e alla vicissitudine secolari rappresentate da guerre, pestilenze, carestie, occupazioni straniere e non capitola nemmeno durante il bombardamento della notte del 13 agosto 1943 quando un ordigno forò il tetto e si adagiò sull’altare senza, peraltro deflagrare e lasciando pressoché intatta la struttura. Fonte



















La Cappelletta in una foto dell’estate 1945. Osservando il tetto sconnesso,
si può notare il punto in cui è caduto l’ordigno
durante la notte del 13 agosto 1943, senza scoppiare.







Edited by Milea - 4/7/2021, 14:33
 
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”La Palazzetta”: villa Busca Serbelloni




La “Palazzetta” di via Rombon è una costruzione a blocco del tardo Seicento, già proprietà dei Busca, Serbelloni che la usavano come villa di campagna. La struttura è caratterizzata da un portico centrale terreno a tre arcate sormontato da una loggia. Negli interni del primo piano si conservano soffitti a cassettoni e dipinti. La dimora in sè ben conservata e correttamente restaurata, purtroppo è ormai inserita in un contesto ambientale completamente alterato, circondata da enormi costruzioni abitative senza più alcuna traccia del verde che la circondava all’epoca della sua costruzione.
Ma la Palazzetta non è l’unica testimonianza rimasta della Lambrate “vacanziera”. In via Dardanoni, proprio di fronte alla Villa Folli esisteva nel ‘500 la Villa delle Rose della famiglia Borromeo. L’esistenza della struttura è documentata dalla carta del Zisla risalente al 1721.


Il rappresentante più noto della famiglia: San Carlo Borromeo, venne tre volte in visita pastorale a Lambrate tra il 1569 e il 1573. In tutte e tre le occasioni officiò messa alla Cappelletta e non alla chiesa di San Martino. Secondo Pino Bellavita, autore della bella monografia “Lambrate, storia e storie” (per chi fosse interessato, il libro di Bellavita è disponibile presso il Circolo ACLI di Lambrate, in via Conte Rosso o presso l’edicola della stessa via), è probabile che questa scelta sia stata fatta proprio per la vicinanza con la dimora di famiglia. Demolita a fine settecento, della villa delle Rose rimane solo il vestibolo, oggi scarsamente riconoscibile perché inglobato, con un discutibile restauro all’interno di una struttura dell’Ospedale San Raffaele.



Il Vestibolo negli anni 70 era isolato e circondato da un po’ di verde con un orto e un’altalena. La cosa poteva sembrare strana perché in quegli anni la casa era abitata da Pina, una signora anziana che viveva sola, che non avendo avuto figli, ospitava volentieri i bambini offrendo loro del té coi biscotti e facendoli giocare, appunto, sull’altalena. Fonte



Il complesso fu eretto alla fine del Settecento per conto del duca Ferdinando Busca Serbelloni, come luogo di villeggiatura per i ricchi nobili milanesi durante le vacanze estive. Anche se, con il passar del tempo, è stata più volte modificata, la villa ha mantenuto intatta la sua pianta originaria, con un loggiato a due piani che sorregge tre arcate caratterizzate da colonne in stile dorico, mentre sulla facciata si possono intravedere gli ornamenti e le decorazione originarie, oggi andati quasi perduti. All’interno le stanze presentano soffitti a cassettoni lignei, che risalgono alla prima metà dell’Ottocento, mentre il parco che circondava la villa è stato completamente raso al suolo nel secondo dopoguerra.



Ma il motivo per cui la villa è rimasta nella storia è il fatto che, nel 1862, le sue sale ospitarono Garibaldi, tornato a Milano dopo molti anni di assenza. Infatti nel 1848, a pochi giorni dalla fine delle Cinque Giornate di Milano, l’Eroe dei Due Mondi era arrivato nel capoluogo lombardo per esortare i patrioti milanesi a seguirlo nella lotta contro gli Austriaci, che avevano preso di mira Venezia e Roma. Preso alloggio presso l’albergo Marino, Garibaldi tenne, dal balcone della sua camera, un memorabile discorso con cui promise ai cittadini che avrebbe combattuto con tutte le sue forze contro il nemico straniero.

Non era il primo discorso che i milanesi udivano da un noto patriota, infatti pochi giorni prima Giuseppe Mazzini, che si trovava all’albergo Bella Venezia, prima di dirigersi verso Roma, aveva lodato il coraggio dei cittadini nel corso delle Cinque Giornate di Milano, com’è ricordato oggi da una lapide collocata sulla facciata dell’edificio dove si trovava l’albergo.
Solo nel 1862, dopo la fine della seconda guerra d’indipendenza, Garibaldi poté tornare a Milano, e in quest’occasione, promise ai cittadini che anche Roma e Venezia sarebbero diventate in poco tempo parte del Regno d’Italia.

Nel corso del suo soggiorno milanese, oltre ad alloggiare a Villa Busca Serbelloni, l’Eroe dei Due Mondi incontrò Alessandro Manzoni, ormai vecchio e malato, che lo accolse con grande emozione. L’ultima visita di Garibaldi a Milano avvenne nel novembre del 1880, quando venne inaugurato il monumento in piazza Mentana, dedicato ai caduti per la libertà di Roma. Malato e sofferente, il generale non riuscì nemmeno a pronunciare il discorso per l’inaugurazione del monumento, che si tenne il 13 novembre, tanto che al suo posto dovette parlare il figlio Canzio. Solo due anni dopo quella visita dal sapore così amaro, Garibaldi morì nella sua casa di Caprera. Fonte







Edited by Milea - 4/7/2021, 14:54
 
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view post Posted on 23/10/2016, 19:16     +1   -1
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I fenicotteri rosa di Villa Invernizzi





Si muovono leggeri, tra il grande prato e la piscina costruita per loro, un luogo intimo e protetto. Il piccolo stormo di fenicotteri dal piumaggio rosato danza lieve e silenzioso, nascosto alla vista dei passanti dagli alberi. E, poi, nell'acqua, sospesi su una sola zampa, gli animali immergono nella fanghiglia i becchi dalla forma strana e dotati di lamelle per filtrare il cibo, microcrostacei e alghe blu-verdi, spirulina.

Tra corso Venezia e via Cappuccini c'è un'oasi, un microcosmo, per creare la quale il cavalier Romeo Invernizzi, il papà del formaggino Mio, pioniere del marketing (i più grandi ricorderanno le mucche Caroline e le bambole Susanna gonfiabili lanciate da un elicottero sulle spiagge della Versilia a metà degli anni Sessanta) demolì un palazzo acquistato contemporaneamente a quello in cui viveva.
Un'oasi esclusiva, in pieno centro, custodita dal mondo esterno anche per volontà testamentaria dei coniugi Invernizzi. Tutti gli uccelli di Villa Invernizzi sono nati in cattività. I loro progenitori furono portati dal Cile e dall'Africa prima che l'Italia, nel 1980, aderisse alla convenzione Cites, che tutela gli animali esotici e le specie a rischio di estinzione.



I fenicotteri, che appartengono a una delle più antiche famiglie di uccelli del mondo, risalenti a oltre 50 milioni di anni fa, sono uccelli sociali, vivono in stormi nelle aree acquatiche, calde e paludose. Hanno dimensioni che vanno da 1 metro a 1 metro e mezzo d'altezza. Sono sei oggi le specie di fenicottero rimaste. «A Villa Invernizzi sono presenti animali di due specie, fenicottero rosa o maggiore ( Phoenicopterus roseum ) e fenicottero cileno ( Phoenicopterus chilensis ) - spiega Lorenzo Crosta, medico veterinario che da oltre vent'anni si occupa di loro -. Diversi anni or sono, li mettemmo nelle condizioni di nidificare e riprodursi. Ebbene, in breve divennero troppi e d'accordo con la Forestale una parte dello stormo venne dato in affido al Parco Zoo di Punta Verde, a Lignano Sabbiadoro». I fenicotteri sono animali selvatici, anche se nati in cattività. Sono molto timidi e anche longevi. Di loro si occupa un custode che prepara ogni giorno un pastone perfettamente equilibrato: «Vitamine e crostacei sono indispensabili anche per il pigmento rosa delle piume» precisa il dottor Crosta.










Edited by Milea - 4/7/2021, 15:30
 
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Il castello di carte di Fiorucci e Missoni
nel giardino Pozzi





All'angolo tra via Berengario e via Brin, in zona CityLife, all'interno del giardino di Castello Pozzi c'è un castello fatto con le carte da gioco: come quelli che facevamo da bambini, ma grande quanto una casa. L'opera risale al 2014, si chiama Love Art 4 All ed è stata realizzata da Elio Fiorucci e Ottavio Missoni - con la collaborazione di Giuliano Grittini e Rinaldo Denti - per lo storico edificio del cavaliere del lavoro Claudio Tridenti Pozzi, come forma di "democratizzazione dell'arte". Il consiglio è di andarci di sera: un'illuminazione a neon rende ancora più suggestivo il castello di carte. Fonte

 
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I rifugi antiaerei
della Seconda Guerra Mondiale





Ci passiamo ogni giorno senza saperlo: sotto piazza Duomo, nel mezzanino della metropolitana che oggi ospita l'Atm Point, c'è il rifugio antiaereo a uso pubblico più grande di Milano, costruito nel 1943 e così grande da poter ospitare fino a 1.400 persone. A progettarlo l'ingegner Luigi Lorenzo Secchi (a cui venne affidata anche la ricostruzione del Teatro alla Scala) con 24 colonne che sostengono una soletta in cemento armato antiscoppio spessa due metri e mezzo. Ma a Milano, sulle facciate dei palazzi, si possono ancora trovare le insegne dei rifugi "condominiali": frecce, la lettera R per gli ingressi e le lettere US per le uscite.

Nel 1940 erano già un centinaio i rifugi aperti dall'amministrazione comunale. In viale Bodio 22 ancora oggi si può visitare il "Rifugio 87" sotto la scuola primaria Leopardi: dieci stanze e due bagni alla turca per dare ospitalità a 500 persone quando le sirene annunciavano il passaggio dei caccia bombardieri.Fonte

 
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Le case igloo nel quartiere Maggiolina



Il quartiere prende il nome da una cascina che oggi non c'è più, come non c'è più parte del sogno visionario dell'ingegnere Mario Cavallè: che, a metà degli anni Quaranta, ispirandosi a una tecnica di costruzione studiata in America, progettò 12 case a forma di igloo, con mattoncini rossi, due piani (uno seminterrato) per 45 metri quadri totali. Delle dodici originarie ne sono sopravvissute otto, e solo due di queste hanno mantenuto anche all'interno la suddivisione originale degli spazi. Con le case igloo erano state costruite anche altre due case, forse ancor più particolari: erano a forma di fungo, ma adesso non esistono più. Fonte

 
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La chiesa di San Bernardino alle ossa




E' una delle chiese più sorprendenti di Milano, si trova in piazza Santo Stefano, adiacente a via Larga. Teschi e vertebre come decorazioni, stipiti delle porte incorniciati con femori e ulne, una cappella ossario con le pareti quasi interamente ricoperte di teschi e ossa disposti ovunque. I resti sono quelli dei morti dell'ospedale di via Brolo (che ora non esiste più) per i lebbrosi e degli scheletri recuperati dai cimiteri seicenteschi soppressi. Ci sono, chiusi in alcune cassette, anche i teschi dei condannati a morte. La leggenda narra che il 2 novembre, Giorno dei Morti, i resti di una bambina che si trovano vicino all'altare tornino in vita per una danza macabra che coinvolge anche gli altri scheletri. Ed è per questo che quel giorno la chiesa è più frequentata del solito. L'ossario - che non è un museo ma un luogo di culto - è chiuso la domenica.




 
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Il giardino delle vergini
all'Università Cattolica






L'ingresso è vietato agli uomini: non è uno scherzo e neanche un anacronismo, ma una tradizione che continua dal 1928. In fondo al porticato centrale dell'ateneo milanese, andando verso l'Aula Magna, c'è un piccolo giardino intitolato a Santa Caterina d'Alessandria, vergine e martire, protettrice degli studi. In quella fine di anni Venti le studentesse della Cattolica, ovviamente poche rispetto ai colleghi uomini, presero l'abitudine di usare quello spazio per studiare e stare assieme senza presenze maschili intorno. Da qui il nome Giardino delle vergini. Ancora oggi il personale dell'ateneo, che si occupa di vigilare sugli spazi, fa rispettare il divieto: i maschi, su quelle panchine, non possono sedersi. Fonte

 
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Milano, Casa 770:
l'abitazione con 12 cloni nel mondo






Al numero 35 di via Carlo Poerio, a Milano, c’è una casa molto particolare, piena di fascino e mi-stero. Tutti la conoscono come “l’olandese” per le linee architettoniche che richiamano le abitazioni dei Paesi Bassi. Una caratteristica che attira l’attenzione essendo un’unicità rispetto alle altre case costruite secondo stili architettonici più consoni alla penisola italiana e alla tradizione meneghina.



Ma l’aspetto singolare non è l’unica particolarità dell’abitazione: la copia dell’edificio è presente in tutto il mondo, in almeno dodici esemplari.

L’abitazione è infatti una delle riproduzioni della “casa 770” edificio dell’Eastern Parkway di Brooklyn in America. La dimora fu la casa del rabbino Yoseph Yitzchok Schneerson acquistata dalla famosa dinastia di ebrei ortodossi dei Lubavitcher per fornire alloggio al religioso in fuga dalle persecuzioni naziste.

In seguito la casa al 770 divenne l’abitazione del rabbino Menachem Mendel Schneerson, altra personalità di spicco nella comunità ebraica che contribuì a rendere l’abitazione degna di elogio, quasi un luogo di culto e pellegrinaggio, un modo anche per i seguaci di Schneerson di omaggiarlo e per far conoscere al mondo intero la propria devozione per un’importante figura che ha dedicato l’esistenza alla diffusione degli insegnamenti, all’interpretazioni e alle direttive dell’ebraismo.

Le case 770 sono presenti negli Stati Uniti, a New York, nel New Jersey, a Cleveland e anche a Los Angeles. In Canada a Montrèal, in Israele a Ramat Shlomo a Kfar Chabad, Kfar Tapuach, Kiryat Ata e Zikhron Ya’aquov, località situate vicino Tel Aviv e Haifa. Altre ancora sono a San Paolo, Buenos Aires, Melbourne, Santiago del Cile e anche in Ucraina. Quella milanese è l’unica in Europa, casa in stile neogotico dislocata nel quartiere liberty che fa spiccare i mattoncini rossi e le lunghe finestre e le guglie appuntite.

La singolare abitazione di Milano è diventata un importante luogo di aggregazione e punto di riferimento culturale per la città. Qui si organizzano eventi che spaziano dalle esposizioni artistiche agli assaggi della tipica cucina ebraica, pietanze rigorosamente kosher, come tradizione ebraica comanda.




La Casa 770: alcuni degli altri edifici simili sparsi in tutto il mondo.


Foto 1: Casa 770 originale- Eastern Parkway, Brooklyn, New York
Foto 2: Rutgers University Campus, New Brunswick, New Jersey
Foto 3: Pico Boulevard, Los Angeles, California
Foto 4: Kfar Chabad, Tel Aviv, Israele
Foto 5: Buenos Aires, Argentina
Foto 6: Camp Gan Israel, Montreal, Canada
Foto 7: Ramat Shlomo, Gerusalemme, Israele
Foto 8: Gayley Avenue, Los Angeles, California
Foto 9: San Paolo, Brasile
Foto 10: Kiryat Ata, Haifa, Israele

 
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La pietra dei falliti


Una gogna di altri tempi in piazza Mercanti





Nella vecchia Piazza Mercanti erano aperti sei varchi che conducevano in città. Questi varchi erano detti Voltoni. Ora ne esiste uno solo, quello di san Michele al Gallo che conduce in via Orefici. I Voltoni andati persi erano:
Voltone dei Pesci: verso Porta Orientale
Voltone del Podestà: verso Porta Romana
Volta Ferrea: verso Porta Nuova
Voltone dei Fustagnari: verso porta Comasina

I cinque Voltoni venivano aperti al mattino e chiusi la sera. Il sesto voltone, quello delle Carceri, non veniva di fatto mai aperto. Accanto, precisamente in via Orefici, c’era la prigione detta della “Malastalla”. Il nome descrive perfettamente la condizione di questa istituzione che accoglieva, in massima parte, detenuti per reati finanziari: debitori, bancarottieri finanzieri insolventi, falliti ecc... Nel Duecento i ladri, colti sul fatto, la prima volta venivano accecati ad un occhio, la seconda mutilati di entrambi le mani. Prima però di venir tradotti in prigione, questi condannati dovevano sottoporsi ad una specie di gogna pubblica. Dove ora c’è il pozzo cinquecentesco, spostato qui dall’originaria posizione in via Mercanti, una volta era posta una grossa pietra nera, la “pietra dei falliti”, un masso spigoloso su cui erano costretti a sedere, in attesa della sentenza, coloro che frodavano o facevano fallire la propria attività.

La persona riconosciuta debitrice o fallita, (la sentenza veniva letta dalla “Parlera”, ossia dal balcone della Loggia degli Osii, edificio di fronte al Palazzo della Ragione, dal giudice che contemporaneamente metteva all’asta i beni del fallito, il quale doveva salire sulla pietra, con i pantaloni calati e sbattere più volte, sulla pietra stessa, le natiche nude. E’per questa ragione che ancora oggi a Milano, quando una persona fallisce oppure si trova in guai finanziari, si dice che:

”L’è andaa a sbatt i ciapp in su la preja”.



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La scrofa semilanuta

La leggenda del primo simbolo di Milano e i luoghi dove trovarla




Sulle origini della città di Milano e al suo nome antico “Mediolanum”, vi sono un’infinità di leggende e diversi miti. Tuttavia, quello che è storicamente certo, è che l’originale simbolo di Milano sia proprio la scrofa semilanuta. Quindi, l’originale simbolo di Milano, non ha nulla a che fare con aquile, leoni, orsi e tanto meno con lupi o lupe. Infatti, se si va al tempo passato, si può far risalire al VI° secolo a.C. l’origine di Milano. Come è, anche, raccontato dallo storico romano Tito Livio e, come viene ad essere confermato da diverse ricerche storiche, la sua origine la si deve all’arrivo di una delle varie tribù celtiche.



Palazzo Marino
Stemma della scrofa semilanuta
nel cortile interno



Belloveso, nipote di Ambigato re celtico, la guidò al di là delle Alpi, giungendo nella penisola italica con il chiaro intento di conquistarne la parte settentrionale. Una volta giunto in quella che è la pianura padana, vi trovò un territorio alquanto inospitale, costellato di paludi e fango. Secondo la leggenda per decidere il luogo ove stabilire l’insediamento consultò l’oracolo.

La risposta fu che sarebbe stata una scrofa semilanuta (animale mitologico sacro per i Celti) a indicare il luogo prescelto: “che una scrofa ricoperta di lana segni il principio e il nome della città”. Era maggio, così narra la leggenda, e gli uomini attraversarono campi e corsi d'acqua, guidati da Belloveso, alla ricerca di uno spazio che avrebbe potuto ospitare la loro tribù. A un certo punto della marcia, in una foresta, il cavallo di Belloveso si bloccò di colpo, perché di fronte a lui si era posta una femmina di cinghiale.

L'animale pascolava tranquillamente davanti a lui. Aveva il corpo per metà ricoperto di lana: era la leggendaria scrofa semilanuta. Lo interpretarono come il segno propizio indicato dall’oracolo per fondare quella che sarebbe divenuta Milano: lì venne fondata la città e la scrofa con il pelo lungo, esclusivamente nella sua parte anteriore, ne divenne il simbolo.

Fino all’epoca medioevale, il simbolo meneghino rimase quindi la scrofa semilanuta. Fu con l’avvento dei Visconti che si assistette al cambio. Oggi a Milano, la scrofa semilanuta la si può ancora ammirare in diversi punti della città, come, ad esempio, in Piazza Mercanti, ma la scrofa semilanuta è presente su uno dei capitelli posti al Palazzo della Ragione con un bassorilievo, come pure nello stemma di Palazzo Marino in piazza della Scala, esattamente nel suo cortile interno, e sul gonfalone ufficiale di Milano posto ai piedi della statua raffigurante Sant’Ambrogio. Un interessante bassorilievo raffigurante la scrofa semilanuta, è posto sul secondo arco del Broletto in via Mercanti, rinvenuto durante gli scavi effettuati nel 1233 per la realizzazione del palazzo. Fonte




 
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Un Dromedario a Palazzo Borromeo



Per entrare a Palazzo Borromeo, edificio situato in Piazza Borromeo nel cuore di Milano, si passa sotto un grande portale quattrocentesco in marmo, riccamente decorato con motivi floreali, che richiamano tralci di vite e rami di quercia, e soprattutto un grande dromedario. La scelta di effigiare un dromedario non è casuale, infatti questo animale è uno dei simboli che costituiscono lo stemma araldico della famiglia Borromeo, e viene rappresentato accovacciato con tre piume sulla gobba. Il dromedario è simbolo di pazienza e sopportazione e, secondo una leggenda, il giovane Vitaliano I Borromeo bardò il mulo per il viaggio da Padova a Milano alla fine del Trecento proprio con una stoffa decorata con il dromedario.


 
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Tarantasio: il Drago del Duomo



Sulla facciata del Duomo si trova la scultura di un drago: Tarantasio. Per conoscere la sua storia bisogna tornare indietro nel tempo, nel XII-XIII° secolo. Secondo una leggenda popolare, in quel periodo nelle profondità del Lago Gerundo, che si estendeva nella campagna milanese, viveva un drago. Il suo nome era ed era la disgrazia degli abitanti della zona: con il suo alito distruggeva i raccolti e divorava bambini e animali. Non si conosce chi lo abbia ucciso, forse un Visconti, che lo volle poi raffigurare nello stemma di famiglia, oppure San Cristoforo o per altri Federico Barbarossa. Quello che è certo è che adesso il drago non c’è più se non la sua rappresentazione sulla cattedrale della città. Fonte

 
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L’Elefante a Castello Sforzesco



Nella corte ducale del Castello Sforzesco è raffigurato, a tutta parete, un elefante che tiene due bastoni stretti nella proboscide: la sua presenza dà il nome al “portico dell’elefante”. L’animale fronteggia un domatore vestito con una tunica azzurra e un turbante bianco in testa. In origine l’elefante doveva essere cavalcato da un altro personaggio (oggi per la maggior parte scomparso), probabilmente un nano seguito da un uomo dalla pelle scura. Questo affresco è l’ultima testimonianza giunta fino a noi del giardino botanico ricco di piante e animali rari ed esotici che i duchi avevano allestito alle spalle del castello, dove oggi si trova Parco Sempione.

 
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