Addio a Giorgio Faletti: quante vite da artista, Scrittore, cantante e attore: un autentico campione di versatilità

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Addio a Giorgio Faletti:
quante vite da artista


Stroncato da un tumore, l'artista astigiano aveva 63 anni. Dal "Drive in" televisivo ai tanti Festival di Sanremo (dove sfiorò la vittoria con "Signor tenente"), dai thriller diventati best seller al cinema, una carriera all'insegna dei continui cambiamenti





Ha combattuto la sua battaglia contro il tumore con coraggio e dignità, finché il suo grande cuore di uomo, di artista eccentrico e scrittore prolifico ha ceduto. È morto Giorgio Faletti, 63 anni - era nato ad Asti il 25 novembre del 1950 - e con lui scompare una figura unica, irripetibile, di versatilità artistica. Perché Faletti è stato cabarettista, attore, cantante, scrittore, compositore di musiche, paroliere, sceneggiatore, persino pittore. La favola della sua popolarità nasce però dall'ironia grottesca: quella delle gag surreali scolpite nella memoria televisiva del Drive In, nel bel mezzo degli anni Ottanta, quando interpreta Vito Catozzo e altre maschere paradossali dell'Italietta.

Una laurea, un palcoscenico. Uomo di spettacolo e di cultura - Faletti era laureato in Legge - esordisce come cabarettista nel locale cult della comicità senza rete, faccia a faccia con il pubblico: il Derby di Milano. Sono gli anni Settanta, quelli formidabili per il cabaret e in particolare per quel palcoscenico milanese, dove in quelle stagioni si avvicendano giovani anticonformisti dell'intrattenimento come Diego Abatantuono, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Paolo Rossi, Francesco Salvi. In televisione si fa notare come spalla di lusso di Raffaella Carrà ai tempi di Pronto Raffaella. Ma è il 1985 l'anno topico, il prologo della sua popolarità (che non verrà mai meno, malgrado le mille trasformazioni artistiche) quando Faletti interpreta uno dei personaggi centrali del Drive In di Antonio Ricci, fucina di talenti e spettacolo innovativo, decisamente fuori dagli schemi dell'epoca. Il suo personaggio monstre è Vito Catozzo, la guardia giurata più incredibile del Belpaese, al quale succederanno altri buffi personaggi come Carlino, Suor Daliso, il testimone di Bagnacavallo. Fianco a fianco di Zuzzurro e Gaspare recita in Emilio dove crea un'altroa delle sue maschere grottesche, Franco Tamburini, stilista di Abbiategrasso.

La televisione gli è congeniale. Faletti irrompe nel Fantastico nel 1990 con Pippo Baudo, Marisa Laurito e Jovanotti, poi a Stasera mi butto... e tre! con Toto Cutugno. Ma il piccolo schermo non è tutto e Faletti si intrufola intanto amabilmente, con fervore, anche nell'ambiente della musica. Esordisce nel 1988 con un mini-album intitolato Colletti bianchi, colonna sonora di una serie tv dallo stesso titolo nella quale è fra i protagonisti. Nel 1991 pubblica un disco intero, Lupo mannaggia e si fa forte della sua prima hit, Ulula, uno dei tormentoni estivi del 1991, accompagnato da un video altrettanto felice (che ora impazza su youtube). Nello stesso anno compie la sua prima piccola, grande impresa di autore per Mina che canta la sua Traditore, includendola in un album particolarmente fortunato, Caterpillar. Il mondo della canzone lo avvince e Faletti si butta nella mischia con passione e pure un pizzico di incoscienza. Tant'è, nel 1992 prende parte per la prima volta al carrozzone del Festival di Sanremo presentandosi spavaldo in coppia con Orietta Berti, nientemeno. La canzone si intitola Rumba di Tango e finirà in un suo album dal titolo eloquentemente autobiografico, Condannato a ridere.

Signor tenente, una svolta epocale. Nel 1994 torna in pista al Festival di Sanremo e questa volta lascia un segno decisamente più forte. Indelebile. Canta Signor tenente e addirittura sfiora la vittoria: si piazza secondo per una manciata di voti dietro Aleandro Baldi nell'edizione di un Festival che passa alla storia della canzone scoprendo pure il talento di Andrea Bocelli e Giorgia. E i giornalisti accreditati lo acclamano assegnandogli il Premio della critica per quel brano, ispirato alle stragi di Capàci e di via D'Amelio, che poi l'autore inserisce nell'album Come un cartone animato che gli procaccierà il primo disco di platino per le vendite.

Forte della popolarità acquisita e soprattutto del riconoscimento della sua personalità, ben più ricca e sfaccettata del puro e semplice bagaglio comico, Faletti torna nel 1995 sul palco di Sanremo per cantare L'assurdo mestiere, ancora sorprendendo pubblico e critica con quella che si rivela un'autentica preghiera rivolta al Padreterno, consegnando al publbico una vena introspettiva e malinconica fino a quel punto della sua carriera sconosciuta. E per non farsi mancare niente, prende parte al Festival anche in veste di autore: sua è infatti Giovane vecchio cuore interpretata dalla rediviva Gigliola Cinquetti. L'assurdo mestiere diventa anche un album che regala all'artista l'ennesimo, importante riconoscimento. Conquista infatti il Premio Rino Gaetano riservato alla componente letteraria delle canzoni. Ormai Faletti occupa un posto al sole nel mondo della musica leggera. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano, lui non si nega: scrive brani per Fiordaliso e poi l'intero album Il dito e la luna del "menestrello" Angelo Branduardi. E nel 2000 dà alle stampe un nuovo album, Nonsense, il suo sesto. Quello che si rivelerà anche l'ultimo della sua carriera canzonettistica.

C'è il thriller che lo aspetta. Faletti è inquieto e scalpita per cambiare una volta ancora, e ancor più clamorosamente, la sua identità di artista. Non dimentica le sue origini di cabarettista estroso, tanto da esordire con un libro, Porco mondo che ciò sotto i piedi (Baldini e Castoldi), dove rievoca le gesta (in)gloriose di Vito Catozzo, proprio lui, il personaggio del Drive in, e intanto si immerge nella dimensione teatrale diTourdeforce con la quale, mescolando l'umorismo e la caratterizzazione della sua vena cantautorale, gira l'Italia. Ma è nel 2002 che Giorgio Faletti compie il primo miracolo letterario pubblicando Io uccido, un thriller sorprendente per ispirazione e classicità che arriva a vendere un mare di libri, oltre quattro milioni di copie! Iniziato trionfalmente, l'anno si chiude con una dramma: Faletti viene colpito da un ictus, che supera fortunatamente senza conseguenze, e che dovrebbe suggerirgli di rallentare la corsa. Ma Faletti è un treno, anche quando vive i tempi dello scrittore. Così nel 2004 manda nelle librerie un secondo romanzo, Niente di vero tranne gli occhi, che bissa il successo del primo e ancora sbalordisce i critici. Nel 2005, poi, si fa testimonial per una campagna per la tutela del diritto d'autore e nel novembre dello stesso anno riceve dal Presidente della Repubblica il Premio De Sica per la Letteratura.

Una ne fa, cento ne pensa. Così nel 2006 Faletti cambia ancora identità e si propone come attore, non più comico però, interpretando Antonio Martinelli, il professore apparentemente acido e spietato di Notte prima degli esami che si rivela invece un cuore d'oro stringendo un solido patto di solidarietà con la sua "vittima" Nicolas Vaporidis. La brillante interpretazione gli vale la nomination al David di Donatello come migliore attore non protagonista (riapparirà poi nell'incipit di Notte prima degli esami - Oggi del 2007, in riferimento al primo capitolo).

Ma è ancora la scrittura a fornirgli il più pregiato carburante espressivo: i suoi libri sono tradotti in 25 lingue e pubblicati con successo crescente, oltre che nel Vecchio Continente, anche in America Latina, in Cina, in Giappone, in Russia e dal 2007 pure negli Stati Uniti e nei paesi di lingua anglosassone. Il nuovo boom di vendite gli deriva da Fuori da un evidente destino (Baldini Castoldi Dalai), un romanzo ambientato in Arizona e centrato sugli indiani Navajos. Pensi: lo scrittore è felice, l'uomo di spettacolo appagato. Invece non è così: tant'è, nel 2007 Giorgio Faletti è di nuovo a Sanremo, stavolta come autore di una canzone in gara al Festival, The Show Must Go On, offerta a Milva, che poi ritroviamo nell'album In territorio nemico, che Faletti scrive per intero (parole e musiche) per la Rossa. Sul grande schermo si fa rivedere in Cemento armato, nel ruolo del cinico Primario, boss della mala, che perseguita il malcapitato Diego (ancora Nicolas Vaporidis, la vittima predestinata).

Nel 2008 arriva la sua prima raccolta di racconti, Pochi inutili nascondigli (Baldini Castoldi Dalai), finalista del Premio letterario Piero Chiara l'anno successivo, mentre esce il suo quarto romanzo, Io sono Dio (Baldini Castoldi Dalai). Inarrestabile come autore anche sul versante delle parole appoggiate sul pentagramma, Faletti offre al controverso Marco Masini Gli anni che non hai, cui risparmia però le forche caudine di Sanremo. In quello stesso 2009 Faletti ottiene una parte in Baarìa di Giuseppe Tornatore e poi ne Il sorteggio di Giacomo Campiotti, che gli affida il ruolo di un eccentrico sindacalista. E poi ancora libri: Appunti di un venditore di donne, il primo romanzo che ambienta in Italia (Milano) e infine Tre atti e due tempi, immerso nel mondo del calcio.

 
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''Cari amici, a volte l'età... '':
il messaggio di Giorgio Faletti sul sito


Stroncato da un tumore, l'artista astigiano aveva 63 anni. Dal "Drive in" televisivo ai tanti Festival di Sanremo (dove sfiorò la vittoria con "Signor tenente"), dai thriller diventati best seller al cinema, una carriera all'insegna dei continui cambiamenti




''Cari amici, purtroppo a volte l'età, portatrice di acciacchi, è nemica della gioia. Ho dovuto a malincuore rinunciare alla pur breve tourneé per motivi di salute legati principalmente alle condizioni precarie della mia schiena, che mi impedisce di sostenere la durata dello spettacolo. Mi piange davvero il cuore perché incontrare degli amici come voi è ogni volta un piccolo prodigio che si ripete e che ogni volta mi inorgoglisce e mi commuove. Un abbraccio di cuore. Giorgio''. Questo l'ultimo messaggio lasciato ai fan dall'attore e scrittore Giorgio Faletti sul sito internet
 
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Giorgio Faletti pittore
























Foto dal sito ufficiale giorgiofaletti.it




 
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Giorgio Faletti: la fotostoria

Una storia artistica che ha incrociato tutto:
televisione, musica, cinema e letteratura











Un'immagine d'epoca.
Faletti giovanissimo a tavola con Beppe Grillo (t-shirt rossa)



Faletti (in alto a destra) con Diego Abbatantuono (in basso a destra)






Al Grand Hotel con Jane Butler






In posa nei panni di Vito Catozzo












Faletti al Festival di Sanremo



In occasione della presentazione del programma tv "Nati a Milano"



Nella sua casa milanese



A Genova in occasione della presentazione del libro "Io uccido"













































 
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Giorgio Faletti:
le copertine dei libri


Un fenomeno editoriale che ha varcato i confini italiani





























 
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Faletti comico,
il personaggio di Vito Catozzo in Drive In




Con il suo italiano improbabile Vito catozzo è stata la guardia giurata più famosa degli anni '80. Era uno dei personaggi interpretati da Giorgio Faletti in Drive In, lo storico programma di Antonio Ricci andato in onda su Italia 1, la domenica sera, dal 1983 al 1988.


Guarda tutti i video





Edited by Milea - 4/7/2014, 17:25
 
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Sanremo 1994,
Giorgio Faletti canta "Signor tenente"




L'esibizione al Festival di Sanremo nel 1994. Il brano cantato da Giorgio Faletti, Signor tenente, si piazza al secondo posto. E' un rap sorprendente che fa riferimento a due stragi di stampo mafioso che hanno segnato gli anni '90: quella di Capaci, in cui rimasero uccisi il giudice Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della sua scorta, e quella di via D'Amelio, che costò la vita al giudice Borsellino e alla sua scorta.



 
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L'ultimo brano di Giorgio Faletti:
non ha fatto in tempo a cantarlo




"Da casa mia si vede il mare" è l'ultima canzone scritta e composta da Giorgio Faletti. Un omaggio alla sua amata Capoliveri, questo brano è stato presentato lo scorso 18 maggio nel piccolo centro dell'isola d'Elba, suonato da un gruppo di musicsti con la benedizione dell'artista. Faletti, a causa della malattia, non era presente e ha salutato i presenti con una lettera: "Purtroppo la vita a volte mette più ingegno nel mettere i bastoni tra le ruote agli esseri umani che nell'aiutarli a realizzare i loro sogni. Questa canzone ci ha messo vent'anni per venire fuori, ma al momento giusto è stata composta in poco tempo, nel giro di due ore. Come tutte le cose che vengono da dentro, frutto dell'emozione e non della volontà".


 
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Gli aforismi di Giorgio Faletti

Le frasi più belle dei suoi libri



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Giorgio Faletti,
i tormentoni comici dei suoi personaggi


Da Vito Catozzo a Carlino, da Franco Tamburino
a Surdaliso: ecco un elenco dei più famosi




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Da Vito Catozzo a Carlino, da Franco Tamburino a Surdaliso, sono tantissimi i personaggi interpretati da Giorgio Faletti. Seguiti da veri e propri tormentoni comici. Ecco un elenco dei più famosi.

"Porco il mondo che ciò sotto i piedi!" (Vito Catozzo)
"Mondo cano!" (Vito Catozzo)
"Derelitta, mia moglie! Un metro e quaranta per 140 chili, rapporto peso potenza 1a1" (Vito Catozzo)
"Che se io saprei che mio figlio mi ci diventa orecchione, vivo glielo faccio mangiare il ritratto di Dorian Grey" (Vito Catozzo)
"Perché io so macchio, so' macchio! (Vito Catozzo)
"Mia cognata c'ha due roberti...!" (Carlino)
"Se non ti ci dici niente a tuo fratello, ti regalo un bel giumbotto" (Carlino)
"E' qui che ci sono le donne nude?" (Carlino)
"E' che dicono che sono matto, matto, matto, matto" (Carlino)
"E credete forse che io e non vi veda?" (Il testimone di Bagnacavallo)
"Qui lo dico e qui lo annego!" (Il testimone di Bagnacavallo)
"Sono il Cabarettista mascherato. Porto ai poveri di spirito le battute rubate ai ricchi" (Il Cabarettista mascherato)
"Mi viene uno sciopone!!" (Suordaliso)
"Adalpinaaaaa???? Taca la musica!" (Franco Tamburino)

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Faletti agli studenti della Cattolica:
"Ho culo, non sono Hemingway"


In una lezione raccontò la sua nuova vita da romanziere
con umiltà e ironia: "Ho avuto culo, ma anche tanta autodisciplina e curiosità"





Giorgio Faletti non era nato scrittore, ma comico. Con quell'etichetta, spesso affibbiatagli con perplessità se non addirittura con disprezzo, si è dovuto confrontare quando si è reinventato come musicista, osando calcare persino il sacro palco di Sanremo, e poi come romanziere quando ha avuto la "colpa", lui ex cabarettista del "Drive In", di vendere quei milioni di copie di libri che decine di intellettuali doc non sono mai riusciti a vendere nemmeno in gruppo.

Nel 2008 l'Università Cattolica del Sacro Cuore lo invitò a Milano a tenere una lezione per gli studenti del corso di alta formazione in Scrittura creativa. Da navigato uomo di spettacolo, prima che di lettere, Faletti spiazzò tutti facendo saltare la scaletta concordata per il suo intervento. Non si sedette al tavolo da professore, si impossessò del microfono e cominciò lo show: "Non mi guardate come se fossi Hemingway perché non credo di esserlo e solo l'idea di fare il suo stesso mestiere mi mette a disagio. Quindi datemi del tu e non mi considerate il genio che non sono".

Azzerate le distanze e demolito il castello di pregiudizi che molti presenti avevano, con umiltà e un pizzico di ironia spiegò i suoi libri: "Scrivo quella che viene definita letteratura di genere, ma che preferisco chiamare letteratura da spiaggia. Ricordatevi che se i miei libri non vi piacciono, possono essere molto utili d'inverno per accendere il camino di casa".

"La mia storia - ammise - è costellata di cose che non avrei dovuto fare e invece ho fatto, nonostante in molti abbiano tentato di farmi cambiare idea. Quando ho scritto il primo libro, un thriller, molti editori l´hanno rifiutato. Oggi quel libro ha venduto 4.200.000 copie solo in Italia".




Una soddisfazione che ovviamente non nascose, in tempi in cui uno scrittore medio salta di gioia quando raggiunge la soglia delle 5mila copie: "È un po' come la pubblicità di quella nota carta di credito: fare l'autografo a chi ti aveva detto di lasciar perdere non ha prezzo".

Come raggiungere un obiettivo tanto ambizioso? "Ho tenuto duro, sono andato contro molte regole, con autodisciplina, maturità e una componente fondamentale per il successo: il colpo di culo".

Niente vezzi da nuovo Ugo Foscolo insomma, ma tanta modestia e molta curiosità di esplorare le praterie sterminate del romanzo: "Come scrittore non mi pongo limiti. Ho il desiderio di scrivere storie diverse e quando mi verrà un'idea interessante lo farò. Il thriller deve raccontare una storia e creare suspense. Il lettore deve avere voglia di leggere la pagina successiva, per vedere cosa accade. Questo genere ti pone dei paletti, dei punti obbligati che devono essere rispettati".

Aprì con generosità le porte della sua officina creativa agli studenti e aspiranti scrittori presenti in aula raccontando nel dettaglio il suo metodo di lavoro: "Io parto da un'idea piccola e, giorno dopo giorno, la sviluppo fino ad arrivare alla stesura di un capitolo. A quel punto, incomincia l'operazione di taglio delle parti in eccesso, leggendo e rileggendo quanto prodotto". L'errore più comune per chi si cimenta in un libro lungo? "Una trama e uno stile complicato che portano il lettore a perdersi. Ma è l'esperienza che te lo fa comprendere, insieme a dei validi collaboratori come l'editor".

Cosa aveva imparato dalla sua ultima "vita" da romanziere? Su questa domanda esitò un attimo ma poi regalò agli studenti il consiglio forse più bello e inaspettato da parte di uno che aveva bruciato tutte le tappe ed esplorato tante carriere: "Conta molto mettersi lì poco per volta e non cadere nella trappola in cui restano spesso invischiati gli autori alle prime armi, desiderosi di voler scrivere subito la parola fine. La fretta di concludere è qualcosa di insopportabile".

Non ha avuto fretta a vestire i panni del romanziere, ma forse nel lasciarci così all'improvviso e prima ancora che avessimo tutti il coraggio di riconoscerlo per lo scrittore che è stato, a prescindere dalle copie vendute e dagli applausi della critica.
L'incontro di Giorgio Faletti con gli studenti dell'Università Cattolica fu l'occasione anche per un articolo dello scrittore sulla rivista "Vita & Pensiero" che riproponiamo su gentile concessione dell'Ateneo. Se non visualizzi il testo, clicca qui.






 
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“Ma chi è Faletti veramente?”

Il vero Giorgio, plurale e singolare, nel ricordo del critico di Antonio D’Orrico



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Quando muore a tradimento una persona con cui hai diviso un pezzo non piccolo della tua vita ti vengono in mente un sacco di cose strane e alla rinfusa. Vorresti pensarne altre e invece sei invaso da queste scene come quando scorri velocemente delle immagini per trovare quella che cerchi. Vedo Giorgio Faletti seduto nel suo giardino a Capoliveri, sull’isola d’Elba, che era diventata una sua seconda patria dopo l’amatissima Asti. Abbiamo parlato tutto il giorno per una intervista e lui ora mi guarda e mi dice: «E adesso ti prego quando scriverai il pezzo di non farmi fare la figura dello scrittore che guarda il mare, guarda talmente il mare che poi scrive stronzate».


Giorgio Faletti: “Il mio sogno di diventare uno scrittore”



Quest’immagine se ne va e, nel mio confuso montaggio mentale, ne metto a fuoco un’altra. Siamo in un ristorante a Milano ed è tardissimo. I camerieri stanno sparecchiando e non vedono l’ora che ci leviamo di torno per andarsene a dormire. Allora mi dico che è il momento e gli chiedo: «Giorgio, ma tu chi sei veramente?». È la domanda, come si dice in questi casi. Chi è Faletti? Il comico di Drive In? Lo scrittore più venduto? Il cantante che sfonda a Sanremo con un rap antimafia e pro-polizia? Faletti mi guarda con un sorrisino che dovrebbe essere mefistofelico. Ma poi decide che non vuole più scherzare, si fa serio, lo sguardo perso lontano: «Io sono due fotografie che non possiedo più. Le ho cercate tanto, ho chiesto a mia madre, ho frugato dovunque ma non sono mai saltate fuori. Ma me le ricordo bene, ce l’ho incise nella mente. Nella prima, avevo una decina d’anni, era il giorno di Natale e ballavo, sull’aia della fattoria dei miei zii, un valzer con mia nonna. Avevo un’aria persa, ispirata. E poi c’è la seconda foto. In questa devo avere tre, massimo quattro anni, sono seduto con le gambe accavallate e ho una sigaretta in mano. Una foto impubblicabile oggi. Ho l’aria malandrina, un ghigno da teppista. Adesso tocca a te scegliere chi è Giorgio Faletti? È il romantico ballerino del valzer con sua nonna? È lo scugnizzo impunito e già tabagista?».

Era entrambe le cose, Giorgio Faletti. E lo dimostrano i suoi romanzi. «Io uccido» è il romanzo dello scugnizzo, del monello diventato grande. Il ballerino di valzer romantico è un altro suo romanzo, «Tre atti e due tempi». E, spesso, una immagine stinge sull’altra e, in una specie di photoshop della memoria, le due foto danno vita a un’altra foto. La foto del vero Giorgio Faletti, plurale e singolare. Fonte



 
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Faletti e il questionario di Proust

«Come vorrei morire? Vivo»



L’artista scomparso si racconta rispondendo alle celebri domande nel 2004


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Il tratto principale del suo carattere?
L’onestà.

La qualità che preferisce in un uomo?
La lealtà.

E in una donna?
La capacità di tenerezza.

Il suo migliore amico?
Enrico.

Il suo principale difetto?
Sono una persona negata per qualsiasi tipo di transazione economica.

La persona a cui chiederebbe consiglio in un momento difficile?

Il mio migliore amico.

Il suo sogno di felicità?
Gli occhi che brillano.

Il suo rimpianto?
Non aver cominciato a fare a sei anni il lavoro che ho cominciato a fare molto tempo dopo.

L’ultima volta che ha pianto?
Lacrime di commozione un paio d’anni fa, quando ho visto la mia faccia sulla copertina di un settimanale con su scritto che ero il più grande scrittore italiano.

Il giorno più felice della sua vita?
Il giorno in cui ho capito che volevo occuparmi di spettacolo.

E il più infelice?
Il giorno in cui è morto mio padre.

La persona scomparsa che richiamerebbe in vita?
Jimmy Hendrix.

Quale sarebbe la disgrazia più grande?
Perdere la curiosità.

La materia scolastica preferita?
Italiano.

Città preferita?
Capoliveri, sull’Isola d’Elba.

Il colore preferito?
Blu elettrico.

Il fiore preferito?
La margherita.

L’uccello preferito?
L’aquila.

Bibita preferita?
La cedrata.

Il piatto preferito?
Spaghetti alla carbonara.

Il suo primo ricordo?
Da feto. Mi ricordo che mi dicevo: chissà come farò a non morire in tutta quest’acqua.

Se avesse cento milioni di euro?
Mi comprerei una velocizzazione dei viaggi: elicotteri, aerei per spostarmi subito.

Libro preferito?
“Il vecchio e il mare” di Hemingway.

Autori in prosa ?
Hemingway, Twain, Jerome K. Jerome.

Poeti?
Jimenez, Neruda, Ungaretti.

Cantante preferito?
Freddie Mercury.

Sport preferito?
Automobilismo.

Il suo eroe?
Spiderman.

Eroina?
Madame Curie.

I suoi pittori preferiti?
Van Gogh e Paolo Fresu, un mio amico di Asti.

La trasmissione televisiva più amata?
Sarò banale, ma “Drive in” è quella che mi ha fatto conoscere.

Film cult?
“Blade Runner”.

Attore preferito?

Decisamente Jack Nicholson.

Canzone che fischia più spesso sotto la doccia?
Mi lavo pochissimo. Ma diciamo “Knocking on Haevens Door” di Bob Dylan.

Se dovesse cambiare qualcosa nel suo fisico, che cosa cambierebbe?
Una decina di centimetri in più e una trentina d’anni in meno. Ma in realtà mi vado bene così.

Personaggio storico più ammirato?
Cristoforo Colombo.

E il più detestato?
Nonostante i suoi meriti, quel secchione di Alessandro Manzoni.

I nomi preferiti?
Davide e Margherita.

Quel che detesta di più?
L’ipocrisia.

Se potesse parlare a quattr’occhi con l’uomo più potente del mondo, che cosa gli direbbe?

Gli chiederei: sei felice?

Il dono di natura che vorrebbe avere?
La telecinesi.

Il regalo più bello che abbia mai ricevuto?
Una serie di regali che mi ha fatto negli anni mia moglie: oltre che l’affetto, hanno sempre dimostrato una gran fantasia e la comprensione di quel che desidero veramente nella vita.

Come vorrebbe morire?
Vivo.

Stato d’animo attuale?
In questo preciso momento, un po’ disunito e disorganizzato. Ma per lo più, sono molto sereno e estremamente positivo. Se dicessi il contrario, il Signore avrebbe tutte le ragioni per scagliarmi addosso un fulmine.

Le colpe che le ispirano maggiore indulgenza?
I peccati di gola e d’amore.

Il suo motto?
Non deprimersi quando va male e non esaltarsi quando va bene.

Giorgio Faletti è nato ad Asti nel 1950 ed è morto a Torino il 4 luglio 2014. Si è laureato in Giurisprudenza ma non gli va l’idea di chiudersi in uno studio legale. Prova prima con la pubblicità, poi con il cabaret. Approda al “Derby” di Milano, dove conosce Teocoli, Abatantuono, Boldi, Rossi, Salvi. Partecipa alla commedia “La tappezzeria” di Jannacci. Nell’82 debutta in tv con Raffaella Carrà. Continua ad Antenna 3 con “Il guazzabuglio” al fianco di Teocoli. Nell’85 il regista Beppe Recchia lo lancia nel programma comico “Drive in” nei panni, tra l’altro, del mitico Vito Catozzo. Scrive anche testi comici per altre trasmissioni. Partecipa a “Fantastico ‘90” con Baudo e la Laurito. E’ cantautore per Mina, Mannoia, Cinquetti, Branduardi. Nel ’94 arriva secondo al Festival di Sanremo con “Signor tenente”. Nel 2002, con il thriller “Io uccido” (Baldini Castaldi Dalai), si afferma come scrittore vendendo un milione e trecentomila copie. Il suo secondo romanzo, uscito in ottobre presso lo stesso editore è “Niente di vero, tranne gli occhi”. Il maestro del thriller Jeffrey Deaver ha detto di lui: “E’ uno che diventerà leggenda”. Fonte


 
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view post Posted on 8/8/2015, 22:31     +1   -1
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Sono così tanti a zoppicare che chi cammina dritto, pare in difetto!

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Roberta Bellesini:
“Caro Giorgio, quanto mi manca ridere con te”


La moglie di Faletti, racconta lo scrittore morto un anno fa




C’è una parola nella lingua piemontese, “galuperìa”, che si potrebbe tradurre con golosità, ma è di più. È quando un bambino vede un dolce o vuole una caramella. Di galuperìa brillano gli occhi degli uomini curiosi che sempre cercano qualcos’altro, e ne immaginano il gusto. Così era Giorgio Faletti, ed è un anno ormai che la sua golosità manca un po’ a tutti.



Affamato di parole da inventare, recitare, cantare e scrivere, nelle sue molte vite Faletti aveva mantenuto il sentimento stupefatto e puro di chi sta sempre per cominciarela prima, di vita. Ed è forse per questo che le parole non finiscono. Ci pensa e ne parla la moglie Roberta Bellesini nella loro casa sull’Isola d’Elba. È un mattino di pioggia, ma non è un mattino triste.

Roberta, lui la faceva ridere?
«Moltissimo, e fingeva di arrabbiarsi quando a me veniva una buona battuta. Com’è possibile che non ci abbia pensato io?, diceva. Giocavamo tanto».

Quindici anni insieme, e lei è stata la sua prima lettrice: come funzionava?
«Giorgio scriveva un capitolo al giorno, e la sera lo lasciava sul mio comodino. Poi si metteva a letto e fingeva di guardare la tv a volume bassissimo, ma con la coda dell’occhio guardava me che leggevo. Aspettava un segno sul mio volto, era impaziente e tenerissimo».

Dicevano che non fosse lui l’autore dei suoi libri e che come scrittore valesse poco anche se aveva venduto cinque milioni di copie. O, forse, proprio perché le aveva vendute?
«Ne soffriva tantissimo. Ripeteva: io sono un buon autore di genere noir, mica Hemingway, e comunque in libreria c’è posto per tutti. Non conosceva l’invidia, che invece con lui hanno usato in troppi».

Il mondo culturale è snob, e in Italia non ti perdonano il successo.
«Lo invitavano ai festival letterari perché portava pubblico e vendeva vagonate di copie, ma poi lo ignoravano ai premi. Certi intellettuali da salotto lo marchiarono subito, e addio. Da quando Giorgio è morto si sono fatti vivi in tanti, con affetto profondo, l’editoria manca all’appello, pazienza».

Eppure il libro postumo La piuma ha già venduto 250 mila copie ed è stato primo in classifica.
«Era nel cassetto, una specie di favola fatta e finita, non un giallo. I lettori mi chiedevano se ci fosse qualcosa di inedito. Con Michele Dalai di Baldini & Castoldi abbiamo deciso di lavorarci e il libro dimostra quanto Giorgio sia ancora apprezzato e amato. La considero anche una piccola rivincita e poi in quelle pagine c’è proprio tanto di lui, c’è il suo sguardo fanciullesco».

Il cassetto contiene altre primizie?
«Sì, abbiamo soggetti cinematografici e per la televisione, cose ben definite, e con La piuma potremmo farci un musical. Ma la promessa che devo a Giorgio è il film da Io uccido : De Laurentiis ha l’esclusiva dei diritti fino a dicembre, ormai è una leggenda, e se il progetto non prenderà forma cercheremo qualcun altro. Quel film lo voglio ».

Come faceva Giorgio ad essere così tante cose insieme?
«Era curioso e goloso, gli piaceva esplorare ma sempre con lo spirito del debuttante. Attenzione, non del dilettante. Il debuttante ha entusiasmo, coraggio, al limite un po’ di follia. Questa energia vulcanica era il suo segreto, gli permetteva di non farsi il verso e non ripetersi. Smise con tv e cabaret perché si sentiva svuotato, pensava di avere detto tutto. Aveva il terrore di annoiare e annoiarsi ».



Nel 2002 ebbe un ictus, ma lo superò: questo sentimento da superstite gli cambiò la vita?
«Più che altro lo convinse a non privarsi dei desideri. Con la musica, ad esempio, aveva chiuso, diceva di essere il peggior chitarrista del mondo. Dopo la malattia trovò la voglia e il coraggio di tornare sul palco, comunque fosse, e con Einaudi si elaborò il progetto Da quando a ora con i due cd. A sessant’anni, diceva, c’è chi si regala una Porsche, io mi regalo canzoni».

Non aveva paura di battere il naso?
«Lo metteva in conto e andava avanti. E faceva tutto con lo stesso spirito, anche in cucina era così: per noi due inventava piatti nuovi, non gli piaceva andare sul sicuro, gli pareva banale. Che ci fosse da preparare un sugo, una pagina o una canzone, Giorgio ci buttava dentro tutta la sua curiosità».

Molti lo ricordano come una persona buona. Un aggettivo strano, di questi tempi, raro e un po’ ambiguo, però bellissimo.
«Lo era. Ed era gentile e generoso. Quando qualcosa gli piaceva o lo emozionava, un film, un libro, poi cercava il numero di telefono dell’attore, del regista o dello scrittore e chiamava per complimentarsi, per ringraziare. Più o meno il contrario di quello che in tanti facevano con lui, ma non importa».

È vero che non si rendesse del tutto conto del proprio talento?
«A volte dovevo convincerlo. Gli dicevo: Giorgio, ma questa frase è così vera che si potrebbe mettere in un trattato di filosofia! Lui mi guardava un po’ storto e mi rispondeva: ma sei proprio sicura? Scrivere gli riusciva naturale, e io credo che fosse proprio la sua facilità di parola a mettergli qualche dubbio inutile ».



Lei era anche una specie di editor, per Giorgio?
«Non esageriamo. Però in una cosa lo aiutavo: siccome aveva tutta la trama ben chiara in mente, anche nei dettagli, a volte dava per scontati certi passaggi che invece richiedevano maggiori spiegazioni, io glielo facevo notare e lui provvedeva ».

Quando le mise sul comodino Io uccido, lei ebbe la sensazione che sarebbe stato un successo gigantesco?
«Nessuno poteva averla, neppure lui, neppure l’editore. A tutti noi sembrò solo un ottimo libro, un meccanismo che funzionava perfettamente, però il botto dipese anche da fattori imperscrutabili, forse il momento, la sorpresa, il fatto che in Italia non esistevano giallisti all’americana. E poi, una bella storia è una bella storia».

Da come un uomo muore, si capisce non poco di lui. È così?
«Giorgio decise di tentare l’America per le terapie. Mi disse: non siamo mai stati a Los Angeles, sarà comunque un’esperienza. Sarebbe stata più comoda l’Italia, forse troppo, così decidemmo di provare a curarci in America».
Roberta dice proprio così: curarci, non curarlo. In un verbo una storia d’amore.




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Edited by Milea - 13/8/2015, 15:50
 
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