Le cose che non ho - Grégoire Delacourt [ebook-PDF], La vera felicità è gratuita

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view post Posted on 9/4/2013, 11:17     +2   +1   -1
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Le cose che non ho
Grégoire Delacourt






Le cose che non ho
Grégoire Delacourt
Traduzione: Fedriga R.
Ed.Salani
Collana: Romanzo
Pagine: 142
Prezzo: € 12,90





In breve

Dice un vecchio adagio che le lacrime più amare sono quelle versate per le preghiere esaudite. Sì, a volte succede che la gioia per una svolta inattesa del destino svanisca in fretta di fronte alla possibilità concreta di realizzare un sogno, lasciandoci smarriti e confusi. È quello che accade a Jo, la protagonista di questo romanzo: "un cuore semplice", una donna intelligente e positiva con un'esistenza quieta, nutrita di sogni, che per un colpo di fortuna all'improvviso è in grado di realizzarli tutti. Forse la felicità non è così matematica.

Forse non si tratta solo di sommare un sogno dopo l'altro, ma di ritrovare se stessi in ciò che si fa. Forse a Jo semplicemente non serve avere tutto ciò che ha sempre desiderato; perché il suo matrimonio, il lavoro, i figli ormai grandi e l'amore non sono beni acquisiti ma cose vive che sfuggono al suo controllo, e con cui si può solo entrare in sintonia senza farsene travolgere, come quando si nuota tra le onde di un mare agitato.

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In libro

“La vera felicità è gratuita. È nell’eleganza di una donna, nelle parole, nello humour, nel riso di un bambino, in un cane che ci viene incontro scondinzolando, nello spettacolo di un’alba… Il denaro ci assicura una vita più confortevole. L’industria del lusso – mi duole dirlo – ci fa credere che ci renderà più belli con un paio di scarpe, con una borsa… Non è vero. Non bisogna chiedere al denaro ciò che non può darci”
Queste le parole di Delacourt, autore del romanzo che è diventato un vero e proprio caso editoriale con oltre 500.000 copie vendute.
Jocelyne è una merciaia di provincia di 47 anni, madre di due figli e sposata da oltre vent’anni con un operaio, di nome anche lui Jocelyn. Un paio di amiche, una vita normale, segnata dalla routine, azioni che si ripetono giorno dopo giorno. Una donna che, per amore, ha rinunciato ai suoi sogni di ragazzina e sa accontentarsi di quello che ha. Finché un biglietto della lotteria e una vincita di 18 milioni di euro cambieranno la sua vita per sempre.
E’ facile identificarsi con le sue domande,con i suoi dubbi e con i problemi di tutti i giorni.
Definito una fiaba per adulti, Le cose che non ho non è di certo una favola rosa e ci spinge a capire cos’è la felicità, a cercarla nelle piccole cose che ci circondano.



Il romanzo in pillole

«È solo nei libri che può cambiare la vita. Solo lì si può cancellare tutto con un tratto di penna. Fare sparire il peso delle cose. Cancellare le cattiverie meschine e alla fine di una frase, ritrovarsi all’improvviso alla fine del mondo».

«Possedevo ciò che i soldi non possono comprare ma solo distruggere. La felicità. La mia felicità, per lo meno. Con i suoi difetti. Le sue banali certezze. Le sue piccolezze. Ma era la mia. Immensa. Scintillante. Unica».

«I nostri bisogni sono i nostri piccoli sogni quotidiani. Sono le nostre piccole cose da fare, che ci proiettano verso il domani, e il giorno seguente, nel futuro; sono quelle cose di poco conto che compreremo la settimana prossima e che ci permettono di pensare che la prossima settimana saremo ancora vivi».

«Penso che prendersi il proprio tempo sia importante. Penso che tutto vada troppo in fretta. Si parla troppo in fretta. Si pensa troppo in fretta. Si inviano mail, messaggi senza rileggersi, si perde l’eleganza dell’ortografia, l’educazione, il significato delle cose».

«A me le parole piacciono. Amo le frasi lunghe, i sospiri che non finiscono più. Mi piace quando, a volte, le parole nascondono quello che vogliono dire; o lo dicono in un modo diverso».

«Vedete, si mente sempre a se stessi. Perché l’amore non resisterebbe alla verità».

«I miei mi hanno chiamata Jocelyne. Avevo una probabilità su un milione di sposare un Jocelyn, ed è andata proprio così. Jocelyn e Jocelyne. Una probabilità su un milione. Ed è capitata proprio a me».

«Lei non è una che ama tanto le parole. Da sempre parla pochissimo. Non mi ha mai detto mamma ho fame, per esempio. Si alzava e prendeva qualcosa da mangiare. Non mi ha mai detto: chiedimi la poesia, la lezione, le tabelline. Teneva le parole per sé, come fossero cose rare».

«Coniugavamo il silenzio, mia figlia e io: sguardi, gesti e sospiri sostituivano soggetti, verbi e complementi».

«Vorrei avere la fortuna di decidere della mia vita, credo che sia il più grande regalo che ci possa esser fatto. Decidere della propria vita».

«“È lei la meraviglia”, mi disse. Arrossii. Il mio cuore prese a battere all’impazzata. Sorrise. Gli uomini sanno che certe parole vanno diritte al cuore delle ragazze; e noi, povere idiote, restiamo lì ad aspettare solo di cadere in trappola, contente del fatto che un uomo ce ne abbia finalmente tesa una».

«La mia vita non ha la grazia perfetta che la mia mamma mi augurava la sera, quando veniva a sedersi accanto a me, sul letto; quando mi accarezzava dolcemente i capelli, mormorando: hai del talento, Jo, sei intelligente, avrai una vita felice. Anche le mamme mentono. Perché anche loro hanno paura».

«Ho visto le sue nuove rughe sulla fronte, minuscole rughette intorno alla bocca, la pelle che cominciava a rilassarsi sul collo, dove una volta gli piaceva essere baciato. Ho visto gli anni sul suo viso, ho visto il tempo che ci allontana dai nostri sogni e ci avvicina al silenzio. Allora l’ho trovato bello, il mio Jo nel suo sonno di bambino malato, e ho amato la mia bugia».

«Più le bugie sono grosse, meno le si vede arrivare».

SFOGLIA L’ANTEPRIMA






L’autore
Grégoire Delacourt è un pubblicitario e scrittore francese nato nel 1960 a Valenciennes .
Ha pubblicato il suo primo romanzo all'età di 50 anni Lo scrittore della famiglia (oltre 20.000 copie vendute in grande formato) e poi La lista dei miei desideri per il 2012, che è diventato rapidamente un best-seller con oltre 470.000 copie vendute prima dell’ uscita. “La lista dei miei desideri” è stato adattato per il teatro, interpretato da Mikael Chirinian, diretto da Anne Bouvier e prodotto da Salomé Lelouch, da gennaio a maggio 2013. L'adattamento cinematografico, prodotto da Clementine Dabadie e Thomas Viguier è stato affidato a Didier Le Pescatore con Mathilde Seigner , Marc Lavoine e Patrick Chesnais nei ruoli principali.

Le cose che non ho:
un romanzo sulla felicità



Si intitola Le cose che non ho. È una storia che scorre con lievità e si legge come una fiaba per adulti. Uscito in Francia lo scorso anno, questo romanzo scritto da Grégoire Delacourt è diventato un vero e proprio caso editoriale. 150 mila copie vendute in quattro mesi e un pubblico di lettori e lettrici intrigati dal personaggio di Jocelyne Guerbette, detta Jo, una merciaia di provincia di 47 anni, madre di due figli e sposata da oltre vent’anni con un operaio, di nome anche lui Jocelyn. Un paio di amiche, una vita normale, segnata dalla routine delle tante azioni che si ripetono, giorno dopo giorno. Una donna che, per amore, ha rinunciato ai suoi sogni di ragazzina, ma malgrado i segni dell’età e qualche mugugno, sa accontentarsi di quello che ha. Finché un biglietto della lotteria e una vincita di 18 milioni di euro cambieranno la sua vita per sempre. Non vi diremo come.
Perché una storia così semplice seduce? Forse perché c’è qualcosa di Jo in tutti noi. È facile identificarsi nelle sue domande e comprendere il suo anelito alla felicità. È quello che tutti noi cerchiamo. Delacourt, che da una vita fa il pubblicitario, l’ha capito molto bene. E in questa sua prova da scrittore – la prima pubblicata in Italia, in Francia è già al suo terzo libro – sonda con delicatezza l’animo femminile per captare qual è, in quest’epoca altalenante fra crisi economica e consumismo, il segreto della felicità.

-Come pubblicitario, lei sa come giungere al cuore della gente. La sua attività principale ha in qualche modo influito nella genesi di questo romanzo, che è come una favola agrodolce che colpisce?

«Direi di no, qui il mio obiettivo non era vendere. Ma è anche vero che la pubblicità mi ha insegnato a esprimermi con poche parole e mi ha aiutato a conoscere meglio il mondo femminile. Ho lavorato per l’industria cosmetica e ho imparato a conoscere le donne, i loro desideri e sogni. La storia che racconto non è una favola rosa, è grigia. Stiamo attraversando un periodo difficile, in cui le persone sono spesso senza soldi e senza speranza. Il denaro non è la felicità ma è come una bacchetta magica. I francesi spendono ogni anno più di 8 miliardi di euro in lotterie. Da qui mi venuta l’idea di capire cosa succederebbe a una donna di 45 anni se le capitasse di vincere, come cambierebbe la sua vita».

-Che cos’è allora la felicità? Una quotidianità rassicurante che si ripete?
«San Tommaso d’Aquino diceva che la felicità è continuare a desiderare ciò che si possiede. La vera felicità è gratuita. È nell’eleganza di una donna, nelle parole, nello humour, nel riso di un bambino, in un cane che ci viene incontro scodinzolando, nello spettacolo di un’alba… Andiamo troppo in fretta: vogliamo, in fretta, un’auto nuova, una bella donna, un nuovo iPhone. Non si ha il tempo di avere il piacere delle cose. Io credo che dovremmo ritrovarlo. Il denaro ci assicura una vita più confortevole. L’industria del lusso - mi duole dirlo - ci fa credere che ci renderà più belli con un paio di scarpe, con una borsa… Non è vero. Non bisogna chiedere al denaro ciò che non può darci».

-Tanti, però, dicono che se avessero più denaro sarebbero più felici…
«Non è vero! Ricordo la storia di un uomo, francese, separato, con un bambino, che aveva diritto a trascorrere tutti i mercoledì con il figlio. Con un giornalista, si lamentava di non avere i soldi per portarlo in barca, o a Eurodisney. Ma il giornalista gli ha risposto che era sufficiente portare il bambino nel bosco a camminare, a raccogliere funghi. E il piccolo sarebbe stato felicissimo del tempo trascorso col papà!».

-Lei è abilissimo nell’immedesimarsi nella sua protagonista, Jocelyne, una donna di mezza età proveniente da un contesto sociale molto diverso dal suo. È stato complicato?
«In effetti ho la fortuna di avere una madre, una sorella, una moglie eccezionali; in pubblicità, ci sono molte donne, e nei libri, i miei personaggi letterari preferiti sono femminili. Quando finito di scrivere il mio primo libro, dove la protagonista era una madre, mi sono detto che è formidabile essere una donna. Volevo scrivere una storia e guardare al mondo con gli occhi di una donna».

-Bisogna avere una componente femminile sviluppata, per riuscirci.
«Mia madre un giorno mi ha fatto un regalo. Ero ragazzino e stavo piangendo mente guardavo un film, dove c’era un animale che stava morendo. Mio padre mi disse di smetterla, ma mia madre gli rispose di lasciarmi piangere. Questo episodio mi ha trasmesso la fiducia nel diritto di avere dei sentimenti, di esprimere delle emozioni, anche se l'educazione tradizionale impone ai maschi di essere duri. Mi ha fatto davvero piacere aver ricevuto centinaia di lettere da donne che hanno letto il libro e che mi ringraziavano di averle capite e difese. Jocelyne non è una donna banale, è semplicemente normale, come tante. Volevo rendere omaggio alle persone come lei, che hanno comunque delle vite belle».

-Alla fine della storia, la vincitrice è la Jocelyne, l’uomo è perdente… Dunque la donna è più forte?
«Perdono entrambi, in realtà, ma non voglio svelare di più! Quello che davvero mi interessava era capire che cos’è la felicità per una coppia dopo vent’anni, quando desiderio e passione si affievoliscono. Questo è il vero argomento del libro. La felicità è l’amore. Jocelyne è una grande eroina, perché resta fedele ai suoi valori, è coraggiosa e orgogliosa. C’è sempre un prezzo da pagare, e anche Jocelyne pagherà. Ma non avrà tradito se stessa. Spero di potermi reincarnare in una donna!».

Le risposte di Grégoire Delacourt a tre domande
sulla pubblicità, l’infanzia e la femminilità.



La tua vita nella pubblicità prima dei libri: le campagne, come vivevi la scrittura e i tuoi ricordi di quel periodo.

«Ho cominciato a lavorare nella pubblicità nel 1982, a Bruxelles. Ero (e sono ancora) un copywriter. Ho avuto la fortuna di lavorare molto presto per campagne di alto profilo (Renault, Europ Assistance, Sealink, Le Soir) e nel 1984 mi sono trasferito in Francia. Ho vinto molto presto premi prestigiosi (Leoni d'Oro al Festival della pubblicità di Cannes) e a 29 anni sono diventato direttore creativo di grandi agenzie, fino a quando un giorno del 2004 sono stato licenziato di punto in bianco (e dopo aver vinto un Leone d'Oro con una campagna per Nestlé). Allora mi sono messo in proprio insieme a mia moglie: abbiamo chiamato la nostra agenzia “Quelle belle journée”, “Che bella giornata”, alludendo a quel giorno orrendo. Adoro la scrittura pubblicitaria. Ti obbliga a essere conciso, a scegliere attentamente le parole. È esigente (in pubblicità molte parole sono “out”). Porta dritto al concetto, all'idea. Gli anglosassoni in questo sono davvero esemplari. Grazie alla pubblicità, ho imparato a scrivere testi dove ogni frase è un'idea, in cui si cerca di scrivere bene per ringraziare la gente che sta leggendo, perché, detto francamente: chi legge una pubblicità? Ho avuto la fortuna di vivere gli “anni d'oro” della pubblicità: i clienti si appassionavano alle idee, avevano fiducia nelle agenzie e c'erano i soldi che ti permettevano di fare delle cose fantastiche. Ora, con la crisi, è finito tutto. Secondo me si tratta di una crisi di fiducia (in se stessi). Nonostante ciò, continuo ad andare tutti i giorni in ufficio e a realizzare campagne per i nostri clienti».

La tua infanzia e il legame con tua madre, che ti ha insegnato cosa sono i sentimenti per una donna. I tuoi ricordi d'infanzia.

«Ho un rapporto complesso con l'infanzia. Un vuoto (enorme), che però cerco di riempire. Sono andato in collegio molto presto, a dieci anni, e da allora non ho praticamente più vissuto in casa. Sono cresciuto lontano da mia madre, ho scelto dei fratelli e dei padri occasionali e “scoperto” mia madre solo più tardi. Ho cominciato a conoscerla e apprezzarla da adulto. Ma è durata poco, perché è morta mentre stavo scrivendo L'Ecrivain de la Famille. Non saprà mai che il mio sogno di diventare scrittore è diventato realtà. A suo modo, e direi senza averne piena coscienza, mia madre era profondamente femminile; nei gesti, nel modo di vedere cose, per la sua bontà e la sua eleganza. Di tutte queste cose mi sono nutrito per “essere” Jocelyne».

Il tuo rapporto con l'universo femminile.

«Preferirei rimanere chiuso in ascensore con quattro donne che con quattro uomini. Amo le donne. Amo stare in loro compagnia. Mi fanno sentire bene (anche se non tutte sono proprio meravigliose...). Credo che in loro ci sia qualcosa che sento il bisogno di afferrare. Hanno qualcosa che a me, nel profondo, manca: senza dubbio, l'amore per la vita».




Edited by Milea - 10/7/2021, 14:13
 
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