Il PALAZZO dei PAPI - Avignone , La storia e i papi costruttori

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view post Posted on 12/10/2021, 17:17     +1   +1   -1
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Sono così tanti a zoppicare che chi cammina dritto, pare in difetto!

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LA CAPPELLA DI SAN MARZIALE




La prima apparizione del magister Matteo Giovannetti (o Matteo di Giovanetto da Viterbo) nella sfera avignonese, data certamente nel 1343. Nato probabilmente tra la fine del 13° e l'inizio del 14° secolo, documentato tra il 1322 e il 1369, questo ecclesiastico fu nominato priore della chiesa San Martino a Viterbo, da Benedetto XII nel 1336, poi arciprete di Vercelli nel 1348.

Dopo aver ricevuto il titolo di “pictor pape”, dal 1346 collaborò senza tregua ai grandi lavori del palazzo, solamente tre dei suoi affreschi sono sopravvissuti: le due cappelle della torre Saint-Jean e un arco della Grande Audience. Il tempo, il fuoco o peggio l’incuria umana, condannarono le decorazioni della cappella Saint-Michel, del Concistoro, i muri della Grande Audience e soprattutto il decoro di “Roma”, l’ala costruita all’epoca di Urbano V.





La cappella di Saint- Martial porta la certezza di una data, il 1344 e un nome, quello di Matteo. Il pittore venne incaricato da Clemente VI di illustrare la storia della vita di San Marziale, in questa cappella attigua al Grand Tinel. Le numerose scene ordinate con l’aiuto delle lettere (da A a V) raccontano la vita e i miracoli di San Marziale da Limoges, evangelizzatore della regione nel Terzo secolo.




Esistevano pochi precedenti a tale programma iconografico e Matteo inventò un’impaginazione in trentacinque episodi, descritti in quarantadue quadri. Lettere e iscrizioni diventavano indispensabili alla comprensione di un tale sviluppo narrativo che Matteo svolse con grande abbondanza, iniziando il racconto nelle architetture lasciando penetrare l’azzurro profondo della notte stellata.

All’interno degli scomparti, è manifesta la volontà di una grande coerenza interna dello spazio e del movimento. In ogni scena l’abbondanza delle architetture dimostra la sua abilità prospettica: fortezze, chiese, logge viste sotto assi diverse si moltiplicano. La decorazione del suolo prolunga questa ricerca della terza dimensione: mosaici, tappeti, pavimenti a piastrelle.




Seguendo le orme di Ambrogio Lorenzetti a Siena, sfrutta l’architettura reale della cappella e approfitta dell’angolo formato dalla parete e dallo strombo della finestra, per creare un nuovo spazio fittizio.

L’estrema raffinatezza nel trattare lo spazio consiste nel legame data dal pittore all’ambiente reale, la cappella. Nervature della volta e archi dipinti, di stile “cosmatesco” (imitazione dei motivi geometrici dei mosaici romani) sembrano sostenuti da una falsa colonnina ornata da un capitello scolpito e danno l’impressione di scendere fino alle arcature e alle lastre di finto marmo al di sopra del suolo. L’illusione è perfetta. In scene cittadine, l’artista rappresenta il viso umano con vivacità di narratore, il suo sguardo aguzzo, spettatore della vita di palazzo, è continuamente alla ricerca del tratto individuale, del dettaglio che crea la differenza.




Il suo senso del ritratto è senza precedenti. Con un pennello spietato per certe fisionomia, Matteo osserva un doppio mento, una mascella protuberante, un viso negletto sotto la barba di una settimana. Il ritmo di questa folta cronaca non offre aperture sul paesaggio. Tutt’al più, qua e là - come nella visione dei martiri San Pietro e San Paolo - un paesaggio alberato che l’usura del tempo ha trasformato in un vasto campo d’ocra. L’azzurro calma l’apparente disordine scenico dell’intera narrazione. Queste opere dimostrano quanto Matteo dovesse alla tradizione senese: il gusto delle curve, dei ritmi fluidi, l’amore del fasto decorativo e vestimentario. Dispone tuttavia qui di una libertà e di una inventiva fuori dal comune e San Marziale rappresenta senza dubbio la sua opera più libera. (M.@rt)





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