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view post Posted: 5/12/2023, 16:25 by: *Vanilla*     +1La magia del Vischio nelle leggende - Favole, miti e leggende

La leggenda del vischio

(leggenda celtica)



Nella notte dei tempi il dio Baldr, secondogenito di Odino e della dea Frigg, era buono e molto amato da tutti; descritto come il più bello degli dèi, Baldr splendeva di luce propria e i suoi capelli earno candidi come la neve. La sua dimora si chiamava Breiðablik, che significa “ampio splendore”. Ma il dio era angosciato a causa dei sogni nei quali vedeva preannunciata la propria morte. Si confidò con suo padre Odino, che si recò ad Helheim, il mondo dei defunti, dove purtroppo scoprì che era già tutto pronto per accogliere Baldr, ma non quando e in quali circostanze sarebbe morto. Nel tentativo di scongiurare un destino che sembrava ineluttabile, la madre Frigg chiese aiuto agli elementi naturali e impose un giuramento universale al popolo, a tutti gli animali, alle piante e ai minerali: nulla avrebbe mai dovuto arrecare danno a Baldr.

Da allora gli dei cominciarono un gioco che ripetevano ogni giorno: formavano un cerchio intorno a Baldr lanciandogli contro qualunque oggetto, perché nulla potesse più nuocergli. Loki, l’enigmatico dio del disordine figlio del gigante Farbauti e di Laufey, invidioso delle doti e delle attenzioni che venivano riservate a Baldr, maturò l’idea di ucciderlo. Tramutatosi in donna mortale, chiamò a sé Frigg riuscendo con l’inganno a carpirle il punto debole del figlio: il vischio.




La pianta giovane e innocente, che non ha radici piantate nel suolo, era parsa inoffensiva alla dea, che non le aveva richiesto il giuramento. Loki ne raccolse quindi una piantina, tornò al consesso degli dei e si avvicinò a Hǫðr, fratello di Baldr: il dio, che era cieco, non poteva partecipare al gioco e Loki, dicendo di volerlo aiutare, gli mise in mano una freccia costruita con il vischio facendogli credere che quella era la miglior arma da combattimento esistente. Hǫðr, ignaro del subdolo imbroglio di Loki, lanciò pertanto la freccia contro Baldr uccidendolo e lasciando gli altri dèi attoniti.

La dea pianse disperata sul corpo del figlio perduto, e le sue lacrime, a contatto con il vischio, si trasformarono in bacche perlate, che magicamente restituirono la vita a Bolder. Frigg iniziò a baciare chiunque passasse sotto l’albero su cui cresceva il vischio, che diventò pertanto la metafora della vittoria del Bene sul Male. Da allora il vischio è considerato simbolo di gioia, fertilità e buon auspicio.




Alfons Maria Mucha (1860 - 1939)
Vischio. Ritratto di Mme Mucha (Mistletoe. Portrait of Mme Mucha)
1903
acquerello e gouache su lino - 54 x 36,5 cm.
Collezione privata



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La leggenda del vischio


(leggenda popolare)


C’era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante. L’uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva più nessun amico; di notte si girava e rigirava, senza poter prendere sonno, tormentato dalla solitudine. Un giorno uscì di casa e vide molta gente provenire da ogni dove e dirigersi verso lo stesso luogo. Qualche mano si tese verso di lui e qualche voce si levò: “Fratello”- gli gridarono-“non vieni?”

Fratello, a lui fratello? Lui non aveva fratelli. Era un mercante e per lui non c’erano che clienti: chi comprava e chi vendeva. Per tutta la vita era stato avido e avaro e non gli importava chi fossero i suoi clienti e che cosa facessero.
Ma dove andavano? Si incamminò un po’ incuriosito, unendosi a un gruppo di vecchi e di fanciulli. Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma il suo cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Piangeva miseria per vender più caro e speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare. No, lui non poteva essere fratello di quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita. Eppure tutti gli camminavano a fianco.

Insieme a loro giunse davanti alla Grotta di Betlemme. Li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote: anche i poveri avevano qualcosa da donare. Ma lui non aveva niente, lui che era ricco, non aveva nessun dono. Arrivò alla grotta e s’inginocchiò insieme agli altri. “Signore”- esclamò- ho trattato male i miei fratelli. Perdonami”. E cominciò a piangere. Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò. Alla prima luce dell’alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline. Era nato il vischio, simbolo d’amore e serenità.



Floris Verster (1861-1927)
Vischio
Museum De Lakenhal, Leiden (Paesi Bassi)






Edited by Milea - 5/12/2023, 17:22
view post Posted: 5/12/2023, 12:48 by: Milea     +1La magia delle Lucciole nelle leggende popolari - Favole, miti e leggende

La lucciola e il ragno


(favola popolare)


Tanto tempo fa, quando gli animali potevano parlare, un ragno invitò a cena una lucciola. La lucciola si preparò e, quando calò la sera, andò all’appuntamento. Entrò nel bosco scuro e raggiunse la siepe dove abitava il ragno. “Bene arrivata!”, disse lui. “Da dove passo?”, chiese la lucciola. “E’ talmente buio che non vedo la porta”. “Di qua, ma spicciati, che ho una fame da lupo”. La lucciola avanzò al buio. Dovete sapere che durante il giorno il ragno aveva tessuto una tela grande e robusta e l'aveva appesa davanti alla sua tana. Povera lucciola, stava finendo nella rete come un pesce!
“Avanti, un’altra mossa e sei arrivata!”. gridò ancora lui. Ma ecco, accadde qualcosa di inaspettato. La luna spuntò improvvisamente da dietro una nuvola e illuminò la scena. Com’era grande la tela del ragno! La lucciola la vide, si spaventò e fuggì via. Che fortuna, si era salvata! Ma che rischio aveva corso, andando in giro di notte al buio! “Da oggi alla sera uscirò solo con una lanterna!”, esclamò quando fu di nuovo a casa. E da allora la lucciola fa sempre così, perché ha imparato che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.


Lucciole da realizzare e colorare








view post Posted: 4/12/2023, 20:44 by: *stellinat*     +1La leggenda del Calicanto - Favole, miti e leggende


Il nome calicanto significa “fiore d’inverno” ed è un arbusto importato dalla Cina, con foglie di un bel verde intenso. Nel mese di gennaio o febbraio, nel pieno dell’inverno, i suoi rami spogli si rivestono di fiori con molti piccoli petali giallini, più o meno screziati di porpora all’esterno. Sono intensamente profumati e quando i rami vengono tagliati e posti in un vaso conservano a lungo la loro fragranza. Questa fioritura inattesa e portentosa, ha fatto nascere una leggenda.

La leggenda del Calicanto




Un pettirosso in un giorno d’inverno, stanco e intirizzito dal freddo, cercò un ramo che gli permettesse di riposarsi al riparo, prima di riprendere il volo. Molti alberi lo rifiutarono: solo un calicanto, impietosito, lo accolse e lo ospitò per riscaldarlo sotto le sue ultime foglie avvizzite. Il pettirosso e il calicanto divennero molto amici e iniziarono a farsi compagnia nelle lunghe, fredde e silenziose giornate invernali.
La fata delle stagioni vedendoli così uniti volle far loro un regalo e fece cadere sui rami del calicanto una pioggia di stelle splendenti e profumate. Da allora il prodigio si ripete ogni anno: immergendo nell’acqua un ramo coi fiori ancora chiusi, i boccioli si aprono illuminando la stanza con il loro giallo solare e diffondendo un intenso profumo in tutta l’area circostante. Ecco perché donare un rametto di calicanto, è un’espressione di affettuosa protezione nei confronti di chi lo riceve.




Giacomo Mazzari
Calicantus
2022
olio su tela - 70cm x 80 cm.
Collezione privata



view post Posted: 4/12/2023, 20:11 by: Cappuccine     +1La magia dei bucaneve nelle leggende - Favole, miti e leggende

La magia dei bucaneve nelle leggende


La leggenda dei Bucaneve


La vita nel bosco era lenta in quei giorni; faceva freddo e soffiava un vento gelido che costringeva tutti, animali grandi e piccoli, folletti e gnomi a restarsene nascosti nelle tane, nei nidi, nelle casette scavate sotto i tronchi degli alberi. II bosco era silenzioso, i suoi abitanti un po’ tristi: sembrava che l’Inverno non volesse andarsene quell’anno. Una piccola fata prima dell’alba, scese tra i rami degli alberi, mentre attorno tutto era ancora immerso nell’oscurità; arrivò silenziosamente, senza svegliare nessuno. Senza farsi sentire cominciò a camminare sul terreno ricoperto di neve. Guardava gli alberi spogli, i cespugli secchi, sentiva il respiro degli animali nelle tane, lo scricchiolio della neve che si staccava dai rami, annusava l’aria per cercare odore di primavera. Ma il vecchio Inverno era ancora lì, immobile, nel bosco.

La piccola fata parlò: “Vecchio Inverno, perché sei ancora qui? II tuo tempo è finito”. La voce del vecchio Inverno risuonò potente nel silenzio del bosco addormentato: “Non voglio andarmene”- disse-“Sono molto vecchio, ormai, e sono stanco. Questo bosco mi piace, voglio fermarmi qui per sempre”. La fatina, con la sua voce più dolce, disse allora al vecchio Inverno: “Non puoi restare qui per sempre. Gli alberi morirebbero per il troppo freddo, gli animali dovrebbero andarsene per non soffrire la fame e il bosco diventerebbe un luogo triste e solitario”.

II vecchio pensò a lungo: “Hai ragione, piccola fata, ma allora, che debbo fare? Non potrò fermarmi mai, in nessun posto”. La piccola fata si avvicinò al vecchio Inverno e gli accarezzò la lunga mano ghiacciata.: “Fatti coraggio amico Inverno, il tuo destino è quello di spostarti di bosco in bosco, di paese in paese. Qui imbianchi i tetti per la gioia dei bambini, lì addormenti animali e piante, ma poi devi andartene, per lasciar posto alla primavera” disse la piccola fata. II vecchio Inverno si alzò, scricchiolando: “Me ne andrò allora a cercare un altro posto dove riposare”. E piano piano cominciò ed allontanarsi.




Eva Francis (1887 - 1924)
Bucaneve e violette (Snowdrops and violets)
1903
olio su tela - 15,2 cm x 20 cm.
Collezione Touchstones Rochdale, Inghilterra


La piccola fata sapeva che Inverno avrebbe impiegato molti giorni per andarsene lontano, ma presto il freddo si sarebbe fatto meno intenso, e gli animali sarebbero usciti dalle loro tane, i folletti e gli gnomi si sarebbero affacciati alle porte con i loro piccoli visi grinzosi. Intanto, la fatina decise di lasciare un segno che facesse capire agli animali che presto sarebbe tornata Primavera. Così, si alzò in volo, e lasciò cadere tra gli alberi e i cespugli una polverina d’oro. Subito, là dove la polverina sfiorava la neve, nacquero dei piccoli fiori bianchi, con il capino piegato verso terra. Erano i BUCANEVE, il primo segno del risvegliarsi della natura dopo il lungo sonno invernale, il primo apparire della primavera tra i ghiacci e la neve.

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La stella del mattino


Il bucaneve è detto “stella del mattino” perché è uno dei primi fiori a spuntare dalla terra verso la fine dell’inverno. Una leggenda racconta che Eva e Adamo, una volta cacciata dal Paradiso Terrestre, furono trasportati in un luogo gelido, buio e dove era sempre inverno. Eva ben presto fu presa dallo sconforto e dal rimpianto, non accettava l’idea di vivere in quelle condizioni. Un angelo ebbe compassione di lei; si dice, che prese un pugno di fiocchi di neve, vi soffiò e ordinò che si trasformassero in boccioli una volta toccato il suolo. Eva, alla vista dei bucaneve, prese forza e si rianimò. I bucaneve sono così divenuti il simbolo della vita e della speranza.



Beryl Fowler (1880 -1963)
Ritratto di donna con bucaneve in mano
(Portrait of a woman holding snowdrops )
1905
olio su tela - 40 x 32 cm.
The Beacon Museum, (Whitehaven, United Kingdom)



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La leggenda del Bucaneve


C’è un bel fiore che nasce quando la neve si scioglie. I contadini lo chiamano il bicchiere della Madonna, perché si dice che un giorno di febbraio Gesù aveva sete. La Madonna andò alla fontana, ma la trovò gelata e disse: “Come farò a dare l’acqua al mio bambino?”. La terra udendo le sue parole, fece spuntare dalla neve un bel fiore bianco dal quale la Madonna prese l’acqua per dissetare Gesù. Questo fiore spuntato dalla neve quasi per miracolo si chiama bucaneve.




Edited by Milea - 5/12/2023, 14:31
view post Posted: 3/12/2023, 21:56 by: Milea     +1La magia delle Lucciole nelle leggende popolari - Favole, miti e leggende

La luna e le lucciole

(leggenda estone)


Un giorno Paigar, il signore del cielo, disse alla moglie: “Prepara una grande torta per tutte le nostre figlie, le stelle, che hanno molta fame e desiderano mangiare.” La moglie prese uova, farina e miele al lavoro. Le sue mani si mossero veloci e infaticabili e impastarono una torta gigantesca, morbidissima e dalla crosta dorata e luccicante. Quando le stelle la videro, brillarono più forte. “Guarda che splendida torta! Non possiamo aspettare che la mamma la tagli. Assaggiamola subito!”

Le stelle si buttarono golose sulla torta: una tirava di qua, un’altra spingeva di là, un’altra ancora affondava i denti nella soffice pasta, una pizzicava le sorelle perché facessero un po’ di posto, un’altra le prendeva per le tracce… In mezzo a tutta quella confusione, un grosso pezzo di torta, ridotto in briciole, precipitò a terra. La mamma scoppiò in lacrime: “Ho fatto tanta fatica a preparare questa torta e adesso guarda qua che disastro!”


Paigar prese quel che rimaneva del dolce squisito, poco più di un quarto, e lo appese in cielo, in alto in alto, in modo che le figlie non potessero prenderlo: era nata la Luna. E perché nulla andasse sprecato, trasformò le briciole cadute in insetti luminosi: aveva creato le Lucciole. Fatto questo, si girò verso le figlie golose: “Per punizione voi non mangerete più dolci per un bel po’!”

Poi si rivolse alla moglie che si stava asciugando le lacrime, le sorrise e le disse: “Guarda in su: vedi come splende il tuo pezzo di torta? Splenderà così per sempre e nessuno riuscirà mai a mangiarselo! Guarda in giù: vedi come brillano le briciole che tu credevi perdute? Sono divenute un pezzetto di firmamento regalato ai prati della Terra…



Vincent van Gogh
Notte stellata sul Rodano (Starry night on the Rhone)
1888
olio su tela - 72 x 92 cm.
Parigi, Musée d’Orsay



view post Posted: 3/12/2023, 15:40 by: *stellinat*     +1La leggenda dei colori del Guacamaya - Favole, miti e leggende

La leggenda dei colori del Guacamaya

(leggenda messicana)


Tanto tempo il pappagallo non aveva colori; era tutto grigio e le sue piume erano corte; era uno fra i tanti uccelli giunti da chissà dove. Gli dei litigavano spesso perché il mondo era assai noioso con due soli colori: uno era il nero che comandava la notte, l’altro era il bianco che camminava di giorno. Il terzo, il grigio, non era propriamente un colore: dipingeva sere e mattine affinché non si scontrassero troppo. Ma gli dei nonostante fossero molto litigiosi erano anche molto sapienti. In una riunione decisero di cercare altri colori per rendere allegra la vita degli uomini.

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Uno degli dei cominciò a camminare per pensare meglio, ed era talmente assorto, che sbatté contro una pietra ferendosi la testa da cui uscì del sangue. Il dio, dopo aver strillato per un bel pezzo, guardò il suo sangue e vide che era di un colore diverso; andò dagli altri Dei, mostrando loro il nuovo colore che chiamarono “rosso”; era il terzo colore che nasceva.

Un altro dio cercava un colore per dipingere la speranza. Lo trovò dopo un bel pezzo e lo mostrò all’assemblea degli Dei; gli misero il nome “verde”: era il quarto colore. Un altro cominciò a grattare forte a terra. “Che fai?” gli chiesero gli altri dei. “Cerco il cuore della terra “rispose rivoltando la terra da ogni lato. Dopo un po’ trovò il cuore della terra, lo mostrò agli altri dei e chiamarono quel colore “marrone”; era il quinto colore.

Un altro dio salì in alto. “Vado a guardare il colore del mondo” disse, e si mise a scalare una montagna. Quando arrivò in cima, guardò in giù e vide il colore del mondo, ma non sapeva come fare a portarlo agli altri dei. Allora rimase a riflettere un bel po’ di tempo, finché il colore non gli si attaccò agli occhi. Discese come poté, a tentoni, e andò all’assemblea degli dei. “Porto nei miei occhi il colore del mondo: e “azzurro” chiamarono il sesto colore.
Un altro dio stava cercando colori quando sentì un bambino che rideva; gli si avvicinò con cautela e gli prese la risata, la portò agli altri e misero il nome “giallo” al settimo colore.

A quel punto gli dei che erano ormai stanchi, andarono a dormire, lasciando i colori in una cassetta buttata sotto un albero. La cassetta non era chiusa bene e i colori uscirono, cominciando a far chiasso e festa. Così nacquero tanti nuovi colori. Quando tornarono gli Dei si accorsero che i colori non erano più sette, ma molti di più e guardarono la cassetta. “Tu hai partorito i colori, tu ne avrai cura, così dipingeremo il mondo”.

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Salirono sulla cima del monte, e da lì cominciarono a lanciare i colori, così l’azzurro finì in parte nell’acqua e in parte nel cielo, il verde cadde sugli alberi e sui prati, il marrone, che era il più pesante, cadde sulla terra, il giallo, che era una risata di bimbo, volò fino a tingere il sole, il rosso giunse sulla bocca degli uomini.

Gli dei lanciavano i colori senza fare attenzione a dove finissero e alcuni di essi spruzzarono gli uomini. Per questo vi sono persone di diversi colori e di diverse opinioni. Allora, gli dei, per non dimenticarsi dei colori e perché non si perdessero, cercarono un modo per conservarli. Stavano pensando a come fare quando videro un pappagallo, che era brutto e grigio come una gallina spennacchiata. Lo presero, gli attaccarono i colori e gli allungarono le penne affinché ci stessero tutti. Ancora oggi il pappagallo Guacamaya se ne va in giro per ricordare agli dei che molti sono i colori e le opinioni e che il mondo potrebbe essere felice se tutti avessero il proprio spazio.

Nel frattempo il bianco ed il nero si erano sentiti messi da parte nella creazione dei nuovi colori. Anzi, si erano proprio offesi! Possibile che gli dei non si erano ricordati almeno di chiedere loro che ne pensavano della novità? E così presero il coraggio in due mani e inventarono anche loro una bella cosa che potevano poi pensare solo loro...perché aggiungendo “chiaro” o “scuro” ai nuovi colori, ne inventarono il doppio! Rosso scuro e rosso chiaro, verde scuro e verde chiaro e così si divertirono ad arricchire tutta la gamma di tinte.




Frida Kahlo, Io e i miei pappagalli
(Yo y Mis Pericos - Me and My Parrots)
(1939 - 40 circa)
olio su tela, 82 x 62.8 cm
New Orleans, Collezione Mr. & Mrs. Harold H. Stream, Louisiana, U.S.A.






Edited by Milea - 3/12/2023, 15:42
view post Posted: 2/12/2023, 22:33 by: Mocaccino     +1Il mito di Pandora - Favole, miti e leggende

Il mito di Pandora

(mitologia greca)



Una volta, nei tempi dei tempi, quando agli uomini era concesso di sedersi al cospetto degli dei frequentando anche la stessa tavola, viveva Prometeo, “colui che riflette prima”. Era un Titano giusto e pietoso e provava molta compassione per gli uomini. Per questa ragione, un giorno rubò il fuoco a Zeus, il padre di tutti gli dei, poiché voleva cambiare le sorti dell’umanità, ancora primitiva. Zeus si arrabbiò tantissimo e punì in modo esemplare Prometeo: lo incatenò per sempre a una roccia, condannandolo a essere giornalmente beccato da un’aquila, che gli mangiava il fegato. Zeus volle, però, punire anche gli uomini, che nel frattempo erano diventati superbi e cattivi, e trovò un modo per farlo senza però passare come un dio crudele. Così fece chiamare Efesto, fabbro dell’Olimpo, e gli disse: “Devi fabbricare una donna, perché è mia intenzione castigare gli uomini, che sono diventati malvagi!”. Efesto non si aspettava di certo una simile richiesta da suo padre; “Come faccio a fabbricare una donna?” - sobbalzò il dio del fuoco e della lavorazione dei metalli - “Non saprei da dove cominciare. Non è come cesellare uno scudo o un’armatura!”. “Obbedisci!” gridò Zeus.

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Efesto, scoraggiato, se ne tornò alle sue fucine, prese dell’argilla e cominciò a costruire una donna. Appena fu pronta la fece essiccare, poi la colorò di rosa e infine prese una scintilla del fuoco divino che ardeva nei forni dell’Olimpo e gliela diede come anima. Allora la fanciulla prese vita: era di una straordinaria bellezza. Tutte le dee andarono ad ammirarla ed ognuna le portò un dono: chi la omaggiò del coraggio, chi della bellezza, chi delle attitudini ai lavori femminili. Atena le regalò una cintura di perle e un abito color porpora, ricco di preziosissime gemme; le Tre Cariti (Aglaia (“splendore”), Eufrosine (“gioia e letizia”) e Talia (“prosperità”) le ornarono il petto e le braccia con gioielli scintillanti; Afrodite sparse sulla testa della donna tutte le grazie femminili, mentre le Ore (o Stagioni, custodi dell'Olimpo) la inghirlandarono con rose vellutate e odorose.
Zeus, infine, le diede il nome di Pandora, che significa “ricca di ogni dono”, e a tutte queste regalie aggiunse un vaso chiuso da portare sulla Terra, raccomandandosi di non aprirlo mai. “Questo vaso contiene tutti i mali che possono far soffrire gli uomini: stai attenta a tenerlo ben chiuso!” spiegò alla dolce creatura.

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Pandora scese sulla Terra e qui, per volere del Fato, conobbe il fratello di Prometeo, Epimèteo, “colui che riflette dopo”, il quale se ne innamorò subito e volle sposarla. Prometeo cercò in ogni modo di dissuaderlo, esortandolo a diffidare di tutto quello che proveniva da Zeus, ma il fratello, impulsivo, sposò ugualmente la fanciulla.

Dopo il matrimonio, tuttavia, non passava giorno che la donna non pensasse a cosa potesse contenere il vaso: “Tutti i mali! Ma com’erano fatti? E cos’erano” continuava a chiedersi. Non riuscendo a resistere alla curiosità e un giorno sollevò un pochino il coperchio e… non lo avesse mai fatto! Un fumo nero e acre e mille orribili fantasmi si sparsero nell’aria oscurando il sole e avvolgendo nel buio tutto il mondo. I mali e i vizi contenuti nel vaso erano i più terribili che esistevano e in un attimo penetrarono nelle case degli uomini. Sul fondo del vaso rimane solo un uccellino che rappresentava la Speranza, che non fece in tempo a uscire perché Pandora, terrorizzata, richiuse frettolosamente il vaso. Sino a quel momento gli esseri umani avevano vissuto liberi da ogni male, ma con la sua apertura la loro vita fu devastata dalle disavventure e il mondo divenne un luogo di morte, distruzione e sofferenze. Solo in un momento successivo Pandora riaprì il vaso, permettendo così anche a Speranza di uscire e donare conforto agli uomini.



Alexandre Cabanel (1823-1889)
Christina Nilsson come Pandora
1873
olio su tela - 70,2 x 49,2 cm.
Walters Art Museum, Baltimora






Edited by Milea - 4/12/2023, 16:15
view post Posted: 2/12/2023, 19:28 by: Macinino     +1La nascita delle parole (mito australiano) - Favole, miti e leggende

La nascita delle parole

(mito australiano)


Quando il tempo passava senza che nessuno lo misurasse, un uomo portava a spasso per la Terra un sacco enorme e leggerissimo: era il Mago delle Parole e il sacco conteneva tutte le parole del mondo.

Un mattino il Mago delle Parole arrivò sulle rive dell’Australia. Un bambino lo guardò con diffidente curiosità.
“Come ti chiami? Chiese il Mago. Il bambino rimase silenzioso e immobile.
“Sei un bambino senza nome, oppure il tuo nome non ha ancora una voce?” sorrise il Mago.

Accarezzò i capelli del fanciullo, gli prese la mano e la introdusse nel sacco delle parole. “Qui dentro ci sono tutte le lettere e tutti i nomi. Ci sono anche tutte le storie della Terra” disse il mago delle parole. “Prendi un pugno grosso di lettere e lanciale in aria: sarà il vento a decidere come ti chiami.”

Il bambino lanciò in aria le lettere e subito un soffio di vento compose… PURUKUPALI.
“Ecco, Purukupali è il tuo nome”. Poi insieme estrassero dal sacco manciate di parole e manciate di sillabe, perché gli uomini raccontassero le storie del mondo.



Alighiero Boetti (Torino, 1940 - Roma, 1994)
Senza Titolo (Segno e disegno)
1978 ca.
ricamo su tela - 68 x 68 cm.
Collezione privata





Edited by Milea - 2/12/2023, 19:30
view post Posted: 2/12/2023, 18:04 by: Cappuccine     +1La magia della pioggia nei miti - Favole, miti e leggende

La magia della pioggia nei miti

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Come venne la pioggia

(mito africano)


Quando il mondo fu creato, la pioggia non esisteva. Gli animali erano preoccupati e si riunirono a gruppi per invocare la pioggia lanciando le loro voci verso il cielo. Prima provarono gli elefanti, coi loro barriti, poi gli ippopotami e poi i leoni, ma la pioggia non arrivava. Poi venne il turno delle giraffe, e degli animali più piccoli: i fenicotteri, i conigli e i topi. Ancora niente. Per ultime toccò alle rane. Tutti gli animali le implorarono di gridare verso il cielo il loro bisogno di acqua. Le rane non aspettavano altro per mettersi a gracidare e così presero a cantare tutte insieme e il loro grido era talmente assordante e sgradevole che il cielo si stancò di sentirlo e si coprì di nubi per attutire quel suono. Ma fu inutile: il gracidio penetrava attraverso la cortina di nubi e così il cielo pensò di affogare le rane per farle smettere una volta per tutte. Mandò giù tanta di quella pioggia che le rane finalmente tacquero contente. E da allora si credono padrone dell’acqua, perché furono loro a far piovere, e vivono in ogni stagno nella melma, e continuano a gracidare per chiedere la pioggia.



Vincent van Gogh
Pioggia (Rain)
Saint-Rémy, novembre 1889
olio su tela - 73,3 x 92.4 cm.
Philadelphia Museum of Art



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La creazione della pioggia

(leggenda degli indios brasiliani)


Anticamente sulla terra non cadeva mai pioggia, sicché un giorno, nella laguna del cielo, un indio Kaxinawà gettò un pesce dorato in direzione dell’uccello pescatore. Il volatile si lanciò sull’inaspettata preda e, così facendo liberò il foro che con le zampe stava otturando. Sulla terra piovve per la prima volta. Ancor oggi, prima che la pioggia cada, il cielo è pervaso da bagliori: sono i pesci dorati lanciati dall’indio. E la fine pioggerellina che a volte scende indica che, per la concitata attesa del volo, l’uccello pescatore si sta tenendo in equilibrio su di una zampa sola.




Vincent van Gogh
Pioggia (Rain) - dettaglio



view post Posted: 2/12/2023, 16:56 by: RockCafè     +1Perché il gufo si nasconde (leggenda giapponese) - Favole, miti e leggende

Costruiamo un gufo in 3D



Occorrente: un cartoncino o un foglio da disegno, forbici, colla, pastelli colorati o pennarelli.

Stampare il modello e ritagliare le forme seguendo le indicazioni e colorare (le orbite vanno colorate di giallo). Piegare le palpebre lungo la linea tratteggiata e incollare solo la parte superiore agli occhi del gufo. Fare le due pieghe del becco e incollare solo la parte sottile centrale e incollarla sul modello in mezzo, sotto gli occhi.



view post Posted: 2/12/2023, 13:26 by: Milea     +1La magia delle Lucciole nelle leggende popolari - Favole, miti e leggende

La magia delle Lucciole nelle leggende popolari

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La leggenda della Lucciola


Ad adorare il bambino Gesù nella capanna di Betlemme insieme con gli altri animali accorsero anche gli insetti; per non spaventare il piccolo restarono in gruppo sulla soglia. Ma Gesù, con un gesto delle rosee manine, li chiamò ed essi si precipitarono, portando i loro doni. L’ape offrì il suo dolce miele, la farfalla la bellezza dei suoi colori, la formica un chicco di riso, il baco un filo di finissima seta. La vespa, non sapendo che cosa offrire, promise che non avrebbe più punto nessuno, la mosca si offrì di vegliare, senza ronzare, il sonno di Gesù.

Solo un insetto piccolissimo non osò avvicinarsi al Bambino, non avendo nulla da offrire. Se ne stette timido sulla porta; eppure avrebbe tanto voluto dirgli il suo amore. Ma, mentre con il cuore grosso e la testa bassa stava per lasciare la capanna, udì una vocina: “E tu, piccolo insetto, perché non ti avvicini?” Era Gesù stesso che glielo domandava. Allora, commosso l’insetto volò fino alla culla e si posò sulla manina del Bambino. Era così emozionato per l’attenzione ricevuta, che gli occhi gli si colmarono di lacrime. Scivolando giù, una di queste, cadde proprio sul piccolo palmo di Gesù.

“Grazie”, sorrise il Bambinello. “Questo è un regalo bellissimo”. In quel momento un raggio di luna, che curiosava dalla finestra, illuminò la lacrima. “Ecco è diventata una goccia di luce!” disse Gesù sorridendo.
“Da oggi porterai sempre con te questo raggio luminoso e ti chiamerai lucciola.” Si dice che chi sogna una lucciola riceverà un dono inatteso, inoltre sono associate alla leggerezza della vita e lo stupore infantile



Suzuki Harunobu (1725-1770)
Alla ricerca di lucciole
1768 circa
Stampa su blocchi di legno a colori - 28,2 × 20,3 cm.
Collezione di Clarence Buckingham, Art Institute, Chicago



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La Lucciola e del Grano


Un tempo, le lucciole erano soltanto piccoli insetti scuri che vagavano per i campi di grano. Un giorno una di loro sentì un contadino che esclamava: “C’è un tesoro qui!”. La sera la piccola lucciola andò a riferirlo alle compagne, che l’ascoltarono meravigliate, senza saper che fare. Ma la regina, più astuta, propose: “Se c’è un tesoro, andiamo a prenderlo! Domani, di notte per non farci vedere dal contadino, andiamo, ognuna con un lumino piccolo piccolo, a cercarlo!“. Le lucciole uscirono, ognuna con il suo lumino, ma non trovarono il tesoro. Da allora, ogni notte d’estate lo cercano ancora, senza sapere che il tesoro è il grano.


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La Lucciola e gli abiti delle spose


Due bravissime sarte, sorelle ma povere, una sera dovevano terminare assolutamente per l’indomani l’abito da sposa della ricca figlia del mugnaio. Lavorando e lavorando, arrivarono a consumare tutte le candele che avevano in casa, e non sapevano più come fare. Abitavano in una casetta nel profondo del bosco, la notte era senza luna e loro si accorsero di non avere nemmeno più l’olio da mettere nelle lucerne. I loro lamenti, raccolti dal camino, furono uditi dal popolo delle lucciole, cui loro davano sempre da mangiare fiori e miele. Le lucciole allora discesero tutte dalla cappa del camino e illuminarono la stanza con milioni e milioni di lucine finché, sul far del giorno, il vestito fu pronto.

La figlia del mugnaio pagò molto bene l’abito ma non seppe mai spiegarsi il luccichio lunare che aveva la stoffa. Da allora le due sorelle cuciono abiti da sposa nella loro casa nel bosco, e le lucciole si tengono pronte ad andare a far luce con il loro lumino che conferisce ai tessuti lo splendore della luna. Noi le vediamo nelle sere d’estate mentre si avviano verso quella casa.

view post Posted: 1/12/2023, 19:32 by: RockCafè     +1Perché il gufo si nasconde (leggenda giapponese) - Favole, miti e leggende

Perché il gufo si nasconde

(leggenda giapponese)


Molto, ma molto tempo fa il gufo faceva il tintore. Tutti gli uccelli andavano da lui per farsi tingere le penne e il gufo gliele tingeva nei colori più belli, a seconda di come li desideravano.



Tutti erano soddisfatti di lui, all’infuori del corvo, che disprezzava l’arte del gufo tintore e si vantava sempre per le proprie candide penne. Ma un giorno si stancò di tanta bianchezza e volò dal gufo dicendogli: “Tingi anche le mie penne, però le voglio di un colore speciale, nessun altro al mondo le deve avere.”

Il gufo ci pensò un bel po’ prima di decidere il colore da dare alle penne del corvo. Alla fine scelse il nero: “Ora le tue penne sono di un colore unico al mondo”.

Quando il corvo si accorse che in realtà le sue penne erano completamente nere, come se fosse passato attraverso un camino, montò su tutte le furie. Ma che cosa poteva fare ormai? Più nulla! Infatti da quel giorno, tutti i corvi andarono vestiti di nero. Ma non hanno mai perdonato il gufo per l’affronto.

Così ogni volta che lo vedono, tentano di dargli una lezione: gli si avventano addosso e se potessero lo farebbero a pezzi. Ecco il motivo per cui il gufo resta nascosto durante l’intera giornata e vola all’aperto in cerca di preda soltanto di notte, quando tutti i corvi dormono.




Albrecht Durer (1471 - 1528)
Il piccolo gufo (The Little Owl)
1506 circa
acquerello su carta acquerello brunastra, con bianco opaco intensificato,
pennello e penna in inchiostro nero marrone e grigio
19,2 x 14 cm.
Albertina Museum, Vienna



view post Posted: 30/11/2023, 20:30 by: Lottovolante     +1PIETÀ CON LE TRE MARIE - Annibale Carracci - ARTISTICA




Annibale Carracci
Pietà con le tre Marie
(The Dead Christ Mourned-The Three Maries)
1604 circa
Olio su tela
92.8 × 103.2 cm
Londra, National Gallery


Questa è forse l'immagine più toccante della collezione della National Gallery della pietà - il lamento su Cristo morto dopo la sua crocifissione - e una delle più grandi espressioni di dolore dell'arte barocca. Il corpo floscio e senza vita di Cristo giace in grembo a sua madre, la Vergine Maria. Una Maddalena sconvolta, nel suo tradizionale abito rosso e con lunghi capelli chiari, è inginocchiata sulla destra, con le mani alzate e la bocca aperta in un gemito di angoscia. In fondo, una donna anziana in verde scuro si protende verso la Vergine svenuta, il cui peso è sostenuto da una giovane donna dai capelli chiari. Dietro di loro si profila l'ingresso buio del sepolcro di pietra in cui Cristo sarà sepolto.


I quattro Vangeli differiscono nel raccontare ciò che accadde dopo la crocifissione, ma il lutto per Cristo da parte delle donne a lui più vicine non è raccontato in nessuno di essi. Le rappresentazioni convenzionali degli eventi successivi alla crocifissione tendevano a concentrarsi sul lamento per il Cristo morto, sull'inumazione o sul momento in cui le tre Marie scoprirono la tomba vuota di Cristo dopo la risurrezione. Annibale Carracci ha compresso questi episodi per ottenere il massimo impatto emotivo. L'identità di alcune delle donne presenti nel quadro rimane incerta, ma si dice che il trio al sepolcro fosse composto dalla Vergine Maria, da Maria Cleofa e da Maria Salomè, tutte presenti anche alla crocifissione. La donna più anziana sullo sfondo è forse Maria Cleofa, mentre quella più giovane a sinistra potrebbe essere Maria Salomè.





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È l'ultima di una serie di variazioni sul tema della pietà, su cui Annibale Carracci tornò spesso, soprattutto nell'ultimo decennio della sua vita. La composizione è fortemente dipendente dall'opera di Correggio, il cui Compianto (Galleria Nazionale, Parma) Annibale avrebbe avuto modo di studiare durante la sua visita a Parma negli anni Ottanta del Quattrocento. La composizione è costruita su forti diagonali e l'occhio è guidato dal colore, dallo sguardo e dall'espressione. Il corpo flaccido e senza vita di Cristo è disposto in primo piano, e la disposizione delle sue membra fa eco a quelle della madre inconsapevole, collegandole sia strutturalmente che emotivamente.





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La mano sinistra della Vergine Maria - l'unica nel quadro a toccarlo - è appoggiata sulla sua spalla e anche il suo volto grigio, che suggerisce l'inizio del rigor mortis, è riflesso dal pallore mortale di lei. L'occhio risale il busto allungato di Cristo fino al volto della madre, poi i toni passano dai blu freddi ai colori più caldi dell'incarnato, al corpetto rosso e ai capelli dorati della ragazza che sostiene la Vergine. Il suo sguardo, puntato verso la donna anziana, reindirizza il nostro. Da questa figura in penombra il nostro occhio è attirato in avanti e in basso verso le vesti luminose di Maria Maddalena, la cui angoscia concentrata è diretta verso Cristo, riportando la nostra attenzione su di lui.


Annibale ha abilmente concentrato la nostra attenzione su ogni figura e sulla sua risposta emotiva a turno. La sua capacità di dipingere emozioni diverse è esattamente ciò che ha attratto gli ammiratori successivi di questo dipinto. La sua brillante combinazione di classicismo formale e intenso sentimento umano pone l'arte di Annibale al pari di quella dei grandi pittori rinascimentali Correggio e Raffaello, e prefigura le opere di Nicolas Poussin. (Mar L8v)





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view post Posted: 29/11/2023, 13:33 by: Milea     +1IL GIORNO DOPO - Maria Lisma - PRECIOUS MOMENTS

Autodefinizione


Sono Teresa Wilms Montt
e anche se sono nata cento anni prima di te,
la mia vita non è stata tanto diversa dalla tua.
Anche io ho avuto il privilegio d’essere donna.

E’ difficile essere donne in questo mondo.
Tu lo sai meglio di tutti.
Ho vissuto intensamente ogni respiro e ogni istante della mia vita.
Ho distillato una donna.

Hanno cercato di reprimermi ma non ci sono riusciti con me.
Quando mi hanno voltato le spalle, io ci ho messo la faccia.
Quando mi hanno lasciato sola, ho dato compagnia
Quando hanno voluto uccidermi, ho dato vita.

Quando hanno voluto rinchiudermi, ho cercato la libertà.
Quando mi amavano senza amore, ho dato ancora più amore.
Quando hanno cercato di zittirmi, ho urlato.
Quando mi hanno picchiato, ho risposto.

Sono stata crocifissa, morta e sepolta,
dalla mia famiglia e la società.
Sono nata cento anni prima di te
comunque ti vedo uguale a me.

Sono Teresa Wilms Montt,
e non sono adatta per le signorine.

(Teresa Wilms Montt, Cile 1893-1921)





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