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view post Posted: 27/11/2023, 21:23 by: Lottovolante     +1IL FASCINO DELLE ROVINE NEL DIPINTO - ARTISTICA




Cornelis van Poelenburgh
Donne che fanno il bagno in un paesaggio
(Women bathing in a Landscape)
1630 circa
Olio su tela
35 × 43.5 cm
Londra, National Gallery


Per chi viveva a Utrecht negli anni Trenta del Novecento, questo dipinto doveva sembrare una finestra su un mondo esotico e allettante. Una folla di donne nude posa elegantemente mentre parla e si bagna in un fiume. Dietro di loro si profilano la torre e gli archi di una rovina romana, mentre il cielo luminoso del mattino risplende dietro le fattorie, le colline e le montagne lontane di quello che sarebbe stato immediatamente riconoscibile come un paesaggio italiano.


Questo mondo fantastico è molto lontano dai pascoli pianeggianti, dai cieli grigi, dai frontoni ordinati e dalla moda modesta dell'Olanda contemporanea. Non c'è quindi da stupirsi che dipinti come questo fossero così popolari all'epoca: offrivano una visione del caldo sud e riferimenti intellettuali al mondo perduto dei classici, oltre che una scusa per godere della nudità femminile.


Diversi artisti olandesi dell'epoca viaggiarono per formarsi e studiare a Roma e trassero profitto da ciò che avevano visto e imparato una volta tornati in patria, sviluppando un mercato redditizio per i dipinti di questo genere. Van Poelenburgh trascorse un decennio in Italia, dal 1617 al 1627, e fu quindi uno di quelli che aveva sperimentato di persona la luce, i paesaggi e le rovine. Al suo ritorno divenne talmente apprezzato da essere invitato a Londra per lavorare per Carlo I, prima di tornare a Utrecht nel 1641, poco prima della guerra civile inglese.


Spesso i dipinti di questo genere rappresentano una scena di una storia classica o biblica. È possibile che in questo caso van Poelenburgh intendesse raffigurare Diana che fa il bagno con le sue ninfe, ma non è presente nessuno degli oggetti che di solito identificano la dea. L'allusione al mondo classico è invece più generica e si basa sulle pose assunte dai nudi per ricordare al pubblico la statuaria romana. Van Poelenburgh era considerato uno specialista nel dipingere tali figure, tanto da essere chiamato ad aiutare altri artisti aggiungendole ai loro paesaggi. Un esempio di questa collaborazione con l'artista Jan Both (che aveva studiato con lui a Roma) è presente alla National Gallery: "Paesaggio con il Giudizio di Parigi".





Jan Both and Cornelis van Poelenburgh
Paesaggio con il Giudizio di Parigi
(A Landscape with the Judgement of Paris)
1645-1650
Olio su tela
97 × 129 cm
Londra, National Gallery






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Ma c'è da chiedersi quanto van Poelenburgh sia riuscito a rappresentare le figure; le donne sono dipinte con cura e su base individuale. Si vedano le ombreggiature dei contorni e dei muscoli e i sottili cambiamenti di tonalità della pelle nelle tre figure in primo piano. Ma c'è qualcosa di non del tutto naturale nel modo in cui interagiscono: le pose sembrano essere state selezionate per un effetto individuale, piuttosto che per un raggruppamento naturalistico. Ancora più sorprendente è la donna seduta su una roccia sul lato destro, quella con il braccio alzato. Sembra che faccia parte del gruppo che fa il bagno in lontananza, ma sembra vicina a noi come le figure centrali. Di conseguenza, lei e i bagnanti con lei sembrano stranamente un gruppo di persone in miniatura. (Mar L8v)



view post Posted: 26/11/2023, 23:19 by: Milea     +1IL GIORNO DOPO - Maria Lisma - PRECIOUS MOMENTS

Il giorno dopo


Datemi il silenzio del giorno dopo,
senza panchine e senza scarpe rosse,
senza parole di commossa circostanza
e foto in posa dietro le bandiere.

Datemi la mano del segno della pace
e la carezza degli occhi del conforto,
la luce fioca della candela accesa
e il cuscino bianco della coscienza pura.




Datemi un letto dove riposare
e pagine nuove per poterlo dire,
l’anello eterno per il giuramento
e la testa alta per non dimenticare.

Datemi uno specchio per il mio ritratto
e compassione per il mio sguardo pesto,
un carillon per la mia bimba bella
che sogna ancora allodole e farfalle.




Datemi le bende sopra le ferite
e la cipria rosa sulle guance sfatte,
il sollievo dolce della consolazione
e il diritto certo della giustizia giusta.

Alle mie ali nuove ci penso io
da sola:
piuma su piuma, mi riprendo
il volo.


Maria Lisma




(per “Le parole delle donne”)





Edited by Milea - 26/11/2023, 23:35
view post Posted: 22/11/2023, 22:17 by: Lottovolante     +1CARITAS (Charity) - Lucas Cranach il Vecchio - ARTISTICA


E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo
per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe...





Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1534
Olio su tavola di faggio
52 x 36 cm
Sciaffusa, Museum zu Allerheiligen



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Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1535
Olio su tavola di faggio
50 x 34 cm
Niva, Nivaagaard Museum



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Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1537 circa
Olio su tavola di faggio
49.5 x 33 cm
Città del Messico, Juan Antonio Pérez Simón Collection



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Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1540
Olio su tavola di faggio
63.5 x 57.6 cm
Bruxelles, Royal Museums of Fine Arts of Belgium

view post Posted: 22/11/2023, 21:18 by: Lottovolante     +1CARITAS (Charity) - Lucas Cranach il Vecchio - ARTISTICA


E se avessi il dono della profezia,
se conoscessi tutti i misteri
e avessi tutta la conoscenza,
se possedessi tanta fede da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità, non sarei nulla...





Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1530-1540
Olio su tavola di faggio
56.3 × 36.2 cm
Londra, National Gallery


Nel verso tredici della prima lettera ai Corinzi San Paolo parla di tre caratteristiche che sarebbero diventate note come virtù teologali: fede, speranza e carità. Egli riteneva che la carità, espressione dell'amore per Dio e per il prossimo, fosse la più importante. Qui, l'iscrizione "CHARITAS" nella parte superiore dell'immagine identifica la figura femminile. La carità è stata personificata come una donna con i suoi figli nell'arte a partire dal XIV secolo.





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La Carità è avvolta in un velo trasparente che si incurva intorno al corpo. Indossa un girocollo e una catena d'oro nello stile dei gioielli indossati dalle donne della corte di Sassonia, dove Lucas Cranach il Vecchio lavorava. A differenza di Carità e dei suoi figli, che non indossano nulla, la bambola tenuta in braccio dalla ragazza sulla sinistra è vestita con un abito verde in stile contemporaneo. Cranach e la sua bottega hanno dipinto questo soggetto in sei versioni; in altre rappresentazioni, la Carità è raffigurata seduta in un paesaggio (Mar L8v)





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view post Posted: 22/11/2023, 19:07 by: Milea     +1Giuseppe Abbati - Chiostro di Santa Croce - I Macchiaioli



Giuseppe Abbati
Le Porte Sante
1862 circa
olio su tavola - 13 x 26 cm.
Collezione privata


Nel desolato disordine di un cimitero ancora in costruzione, una donna in gramaglie si avvicina veloce alle tombe, quasi un’apparizione, evocativa nel suo rapido incedere, della drammatica fatalità della morte. Il luogo raffigurato è a Firenze, sui bastioni attorno alla Basilica di San Miniato al Monte, dove nel 1861 sorse il nuovo luogo di sepoltura della città. La sottilissima materia pittorica ricopre a malapena la tavoletta, tanto che le venature del legno contribuiscono a suggerire la situazione atmosferica della giornata di vento, con il cielo striato di nuvole che passano sul sole, creando ombre trascorrenti sul terreno. Nell’ora meridiana la luce si posa intensa sul muro di fondo del camposanto, mentre per contro, rabbuia quello di fronte, accanto alle pareti delle case, lì addossate.


Il punto di vista ribassato avvicina in maniera risentita l’orizzonte e mette in risalto il severo tenore geometrico dell’impianto compositivo, concepito per meditare scansioni cromatiche che, nella loro rigorosa struttura di campi-colore, non lasciano spazio all’immaginazione. Una simile volontà di adesione ai principi dell’analisi positivista il più possibile esatta, induce a ritenere che il dipinto sia stato eseguito almeno nel 1862, quando l’artista, a Firenze da ormai più di un anno essendovi giunto nell’autunno del 1860 dopo aver preso parte alla Spedizione dei Mille, perdendo un occhio a Capua nella battaglia del Volturno. Nella città fiorentina si era fatto sempre più convinto delle teorie estetiche dei Macchiaioli, tese a tradurre secondo puntuali analogie la realtà pittorica.


Nel far propria la metodologia scientifica della “macchia”, Abbati su era imposto una chiusura alla spontaneità dell’espressione sentimentale, che aveva però portato l’artista napoletano d’animo allegro e giocoso, ad assumere un atteggiamento “melanconico e severo” : “la sua giocondità” , notava Diego Martelli col quale viveva in un appartamento di via dello Sprone, s’era trasformata in “misantropia, la sua malizia [in] asprezza, la sua natura [era divenuta] meditabonda e cupa”. (D: Martelli, minute per Giuseppe Abbati, Firenze, Biblioteca Marucelliana). In arte un tale mutamento di carattere comportò l’interesse per temi altrettanto malinconici, come nella tavola in esame, o addirittura attenti a escludere ogni piano di comunicabilità umana, fino “all’annientamento dell’assenza di tema, in un paesaggio qualsiasi: il nulla isolato”. Dipinti dal significato triste o laconico, ma che, date le doti eccelse d’artista del pittore, possiedono una straordinaria qualità formale, tale da infondere loro una poesia solenne e commovente a un tempo.

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Giuseppe Abbati
Il Camposanto di Pisa
1864
olio su tela - 41 x 62 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


La composizione riecheggia in modo palese l’impianto ordinato delle vedute meticolosamente oggettive della Restaurazione e di quelle immagini, sostenute da un descrittivismo minuzioso, ricrea anche il senso di staticità. Ma anziché confortante come un tempo, proprio perché allusiva alla tradizione e alla stabilità, ora la severa raffigurazione del cimitero monumentale, con i vasti loggiati dove le tombe moderne sono accostate ai sarcofagi antichi e del Rinascimento, è pervasa di un’atmosfera arcana che suscita sottili inquietudini, indicativa della consapevolezza dell’uomo moderno di come la semplicità e la quiete, tipiche di un passato appena trascorso, siano per lui motivo di rimpianto sì, ma comunque non lo distolgono dalla curiosità per l’ignoto che il futuro prospetta.

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Giuseppe Abbati
Loggiato con armigero
1864
olio su tavola - 45,5 x 72 cm.
Collezione privata


Un’inquadratura taglia drasticamente il cortile del Palazzo del Bargello, precluso alla vista, ma suggerito all’osservatore attraverso la figura di un soldato in armature rinascimentale, che si affaccia con atteggiamento distaccato fra i pilastri del loggiato del piano superiore dell’edificio. La malinconia che traspare dal dipinto, velata dal rigore della resa formale e luministica, viene interpretata, secondo la mentalità positivista di Diego Martelli, come l’ovvia conseguenza del dover lavorare senza troppa ispirazione, per necessità economica, a quadri d’interno raffiguranti il Bargello o qualche chiesa monumentale, quantunque innovativi “per la scelta e per il modo di esecuzione”.




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Giuseppe Abbati
La torre del Palazzo del Podestà
1865
olio su tavola - 39 x 32 cm.
Collezione privata


Un’immagine inconsueta del campanile della Badia Fiorentina, attraverso le arcate della torre del Bargello. Come nel “Camposanto di Pisa”, anche in questo caso il riferimento è il vedutismo romantico di pittori nordici come Caspar David Friedrich e Johan Christian Dahl, qui ancor più esplicito per la resa cristallina della luce che definisce con limpidezza le architetture e la veduta delle città fino all’orizzonte lontano, e mette in risalto la sagoma dell’uomo che si sporge oltre il parapetto. E’ proprio questa figuretta, colta in atteggiamento realisticamente semplice e casuale, a infondere alla scena di misteriosa, malinconica sospensione. (M.@rt)



view post Posted: 22/11/2023, 15:34 by: Milea     +1Giuseppe Abbati - Chiostro di Santa Croce - I Macchiaioli



Giuseppe Abbati
Ritratto di Teresa Fabbrini
1865 - 1866 circa
olio su tela - 59 x 38 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Il ritratto raffigura Teresa Fabbrini, donna di umili origine, compagna di Diego Martelli che l’aveva conosciuta in una casa di tolleranza prima di condividere con lei tutta la vita, nonostante le opposizioni della madre di Diego al loro legame. L’amicizia di Abbati con Teresa è testimoniata da alcuni scambi epistolari, ed una foto dell’epoca che ritrae la donna quasi nello stesso abbigliamento, molto simile a quello nel dipinto “L'Orazione”, conferma l’identità dell’effigiata. Nell’inventario del fondo Martelli da cui l’opera proviene, accanto al nome di Teresa Fabbrini è erroneamente posto, tra parentesi, il nome Teresa Abbati. L’anno di esecuzione sembra riferirsi alla fine del 1865 quando è certo che Teresa Fabbrini aveva soggiornato a Firenze, lasciando Castiglioncello dove risiedeva nella tenuta di Diego. Anche l’interno, appena evocato dalla tappezzeria, pare riferirsi ad un’abitazione cittadina. La sobrietà dei toni, giocata sui grigi e sui neri a contrasto col fondo chiaro e il rigore formale, ben si confà alla sottile analisi psicologica del volto di Teresa, la cui fissità mite ma austera è addolcita dai riflessi bianco rosati dell’incarnato.

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Giuseppe Abbati
Ritratto di signora in grigio
1865 - 1866 circa
olio su tavola - 26 x 14 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Nella donna, ritratta in un interno domestico di profilo in piedi con le mani poggiate sulla spalliera di una seggiola bianca, è raffigurata Teresa Fabbrini, compagna di Diego Martelli. Rispetto ad altre immagini di Teresa, risalenti alla fine del 1865, nei mesi in cui ella soggiorna a Firenze, il “Ritratto in grigio”, presenta una condotta pittorica molto più sintetica, dove la magrezza dell’impasto cromatico lascia trasparire con evidenza le venature del legno, come spesso accade in altre opere di Abbati e con più frequenza negli ultimi anni. Ma il ritratto di Teresa potrebbe aver risentito nello stile per la pennellata più rapida e sommaria, anche della presenza del ferrarese Boldini; quest’ultimo aveva, infatti, frequentato Castiglioncello nell’estate del 1865. Al Gabinetto Disegni e Stampe di Firenze sono conservati due disegni a matita su carta grigia strettamente analoghi a quest’opera; in uno Teresa indossa un doppio scialle, anzichè la mantella; nell'altro veste gli stessi abiti, ma è voltata quasi interamente di spalle.

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Giuseppe Abbati
Signora in piedi, di spalle
1865 circa
disegno a matita nera su carta grezza - 18,7 x 11 cm.
Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze


Il disegno ritrae una donna avvolta nel mantello e con un elegante cappellino, appoggiata alla spalliera di una sedia modesta. Con ogni probabilità il foglio risale al tempo in cui Abbati lavorava ad un ritratto di Teresa Fabbrini, quasi terminato nel gennaio del 1866 come si deduce da una lettera inviata dal pittore napoletano alla donna per la quale provava stima e simpatia: “Cara Teresina, fra giorni spero venire a stringerle la mano...il ritratto è quasi finito...la cornice è ordinata? Suo Beppe”. Nello studio preparatorio, la donna indossa il medesimo cappello che porta nella stesura definitiva, lo stesso del disegno, ed è appoggiata alla spalliera tornita di una sedia. (M.@rt)

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Giuseppe Abbati
Figura femminile
datazione incerta
disegno (matita nera su carta azzurrina) - 29,1 x 21 cm.
Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze




view post Posted: 22/11/2023, 13:51 by: Costantine Rose     +1PALAZZO MORONI - A Bergamo riapre il gioiello seicentesco - CAFFE' LETTERARIO


PALAZZO MORONI
A BERGAMO RIAPRE AL PUBBLICO IL GIOIELLO SEICENTESCO




Nel 2019, l’accordo tra la Fondazione istituita dalla famiglia Moroni e il FAI garantiva
l’avvio del cantiere di restauro che oggi consente di ampliare l’offerta culturale della città.
La visita tra capolavori di pittura rinascimentale, affreschi barocchi,
arredi ottocenteschi e uno straordinario giardino con orto urbano...






Bergamo, Palazzo Moroni, Scalone d'onore


Non è stato casuale, nel giugno 2020, il momento scelto dal FAI per restituire a Bergamo la fruizione di uno degli spazi all’aperto più preziosi della Città Alta: i giardini di Palazzo Moroni – estesi conterrazzamenti panoramici ai piedi della Rocca civica, sul colle di Sant’Eufemia – e la cosiddetta ortaglia, due ettari di campagna nel cuore dell’abitato storico, terreno acquisito nell’Ottocento per scopi agricoli, che conserva viti a pergola, alberi da frutto e di gelso, e il circolo di carpini che costituiva una voliera naturale per la caccia agli uccelli.



Bergamo, Palazzo Moroni, Sala Gialla



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Bergamo, Palazzo Moroni, Sala Gialla


Tre anni fa, la città lombarda diventava suo malgrado il simbolo della lotta al Covid: il recupero e la riapertura dei giardini, a concludere la fase più inaspettata e drammatica della pandemia, segnalavano la voglia di ripartire, facendo affidamento sul patrimonio culturale e l’identità bergamasca. Ma il restauro di Palazzo Moroni, per la messa in sicurezza, la conservazione e la valorizzazione dell’edificio seicentesco, che prende il nome dalla famiglia che l’ha fondato e attualmente presiede la Fondazione Museo Palazzo Moroni istituita nel 2008, era iniziato nel 2019, quando l’immobile, con tutte le sue pertinenze, veniva affidato alla gestione del Fai, con l’intenzione di rendere il bene un patrimonio collettivo. Così Palazzo Moroni, grazie alla lungimiranza del conte Antonio Moroni (1919 – 2009), oggi rinsaldata da sua figlia Lucretia, fautrice dell’accordo con il FAI – diventava il primo palazzo urbano del Fondo per l’Ambiente Italiano: "La scelta di Antonio Moroni, nobile come quelle di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, di Pasino Bagatti Valsecchi e di Antonio e Marieda Boschi di Stefano, fa parte della storia più civile del nostro Paese dove ancora c’è chi ritiene che un gesto a favore della collettività sia un punto d’onore per il proprio nome e quello della propria famiglia" spiega il presidente FAI Marco Magnifico "E come tale ha dunque diritto di essere affidato al futuro e raccontato esattamente come le opere d’arte e di architettura oggetto di tanto dono. Nel segno della migliore tradizione italiana".



Bergamo, Palazzo Moroni, Sala Turca



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Bergamo, Palazzo Moroni, Sala Azzurra


Dunque alla riapertura dei giardini e dell’ortaglia (estesa per un decimo dell’intera Bergamo Alta) ha fatto seguito, nel 2021, la restituzione di quattro sale con affreschi barocchi seicenteschi (a opera del cremasco Gian Giacomo Barbelli), in concomitanza con le celebrazioni per il 500° anniversario della nascita di Giovanni Battista Moroni (Albino, 1520-1578) – tra i pittori più rappresentativi del Cinquecento lombardo e della ritrattistica rinascimentale italiana – di cui gli ambienti in questione conservano "Il Ritratto di Isotta Brembati", quello di "Giovanni Gerolamo Grumelli", meglio noto come Il Cavaliere in rosa, e il Ritratto di signora anziana.



Bergamo, Palazzo Moroni, Scalone d'onore


E ora si completa il cantiere di restauro avviato nel 2020, che nell’ultima fase, a partire dal 2022, ha interessato cinque stanze ancora chiuse al pubblico, frutto delle modifiche che hanno interessato il palazzo intorno al 1835, in vista del matrimonio di Alessandro Moroni con la nobile milanese Giulia Resta (1838). Spazi raffinati per l’allestimento che fa largo uso di sete preziose, ceramiche orientali e francesi, arredi laccati e in stile impero, con decorazioni ad affresco che riproducono stucchi a trompe-l’oeil e si alternano a soggetti ispirati dal mondo classico ed esotico. A partire dal 22 novembre 2023, quindi, Palazzo Moroni torna ad aprire integralmente ai visitatori, che potranno percorrere l’intero piano nobile e tutto il mezzanino, oltre a continuare a godere dei giardini, che pure hanno beneficiato della sostituzione degli alberi e degli arbusti che si presentavano in condizioni fitosanitarie critiche, dell’integrazione di piante ornamentali nelle aiuole, della potatura dei tassi in forma e della realizzazione di percorsi in ghiaia a tutela dei prati. Oltre agli ambienti seicenteschi, il percorso di visita ampliato si articola tra Sala Gialla, Sala Rosa, Sala Azzurra, Salottino Cinese e Sala Turca – con arredi, tappezzerie antiche (restaurate con il contributo del Centro per la Conservazione e il Restauro La Venaria Reale) oggetti e opere d’arte originali che documentano il gusto e il modo di vivere aristocratico dell’Ottocento – e mezzanino, con il cucinone e l’appartamento utilizzato fino al 2009 dal conte Antonio Moroni. Si inaugurano, inoltre, gli spazi di accoglienza rinnovati, come la biglietteria con negozio, e nuovi servizi e strumenti di accompagnamento alla visita: proprio nel cucinone, un video-racconto con proiezioni immersive racconta, con la voce dell’attore e baritono Luca Micheletti, la storia della famiglia e del palazzo.



Bergamo, Palazzo Moroni, Sala Gerusalemme Liberata


Al cantiere di restauro si è infatti associato un "cantiere della conoscenza", avviando studi e ricerche coordinati dal FAI, a cominciare dall’archivio storico di famiglia. Nel 2024 queste informazioni confluiranno anche nel volume guida a Palazzo Moroni, edito da Skira. E sempre dal prossimo anno, in tema con l’impegno per l’accessibilità del sito museale, sarà disponibile una guida in linguaggio semplificato per orientare alla visita persone con disabilità intellettiva. Si organizzeranno, inoltre, visite guidate in LIS per persone sorde, mentre già allestiti sono i supporti tattili per non vedenti.

Dopo l’inaugurazione, Palazzo Moroni sarà visitabile dal mercoledì alla domenica, dalle 10 alle 18, al costo di 11 euro (salvo riduzioni).



Giovanni Battista Moroni
Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli (Il Cavaliere in rosa)
1560
Olio su tela
216 x 123 cm
Bergamo, Palazzo Moroni



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Giovanni Battista Moroni
Ritratto di Isotta Brembati
1552
Olio su tela
160 x 115 cm
Bergamo, Palazzo Moroni

view post Posted: 21/11/2023, 21:57 by: Lottovolante     +1CARITAS (Charity) - Lucas Cranach il Vecchio - ARTISTICA


Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità,
sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita...





Lucas Cranach il Vecchio
Caritas
(Charity)
1537-1540
Olio su tavola
50 x 34 cm
Anversa, Royal Museum of Fine Arts


Lucas Cranach il Vecchio, accreditato come l'artista tedesco di maggior successo del suo tempo, fu pittore di corte degli Elettori di Sassonia per la maggior parte della sua carriera ed è noto per i suoi ritratti di principi tedeschi, per la sua collezione di nudi e per i suoi ritratti dei leader della Riforma protestante, di cui abbracciò con entusiasmo la causa. Fu un amico intimo di Martin Lutero. Cranach dipinse anche soggetti religiosi, dapprima nella tradizione cattolica, poi cercando di trovare nuovi modi per trasmettere nell'arte le istanze religiose luterane. Per tutta la sua carriera continuò a dipingere soggetti nudi tratti dalla mitologia e dalla religione.


I dipinti di scene mitologiche di Cranach, che presentano quasi sempre almeno una figura femminile esile, nuda tranne che per un drappo trasparente o un grande cappello, realizzati all'inizio della sua carriera, mostrano influenze italiane, tra cui quella di Jacopo de' Barberi, che fu alla corte di Sassonia per un periodo fino al 1505; diventano poi rari fino a dopo la morte di Federico il Saggio. I nudi successivi presentano uno stile caratteristico che abbandona l'influenza italiana per una ripresa dello stile tardogotico.


In quest'opera, una giovane madre - identificata come la Carità, personificazione della benevolenza - con il corpo nudo coperto solo da una garza trasparente, allatta un bambino. È abbracciata a un altro bambino. Un ragazzo è seduto a terra davanti a lei e le tocca una gamba. Siede su un blocco di pietra sotto un albero di mele. Sullo sfondo è visibile un paesaggio montuoso intorno al cespuglio alle spalle della giovane madre. Max J. Friedländer e Jakob Rosenberg hanno citato sei diverse varianti di quest'opera, datando il dipinto di Anversa a dopo il 1537.





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A partire dal 1529, le rappresentazioni della Carità da sola entrano a far parte dell'opera di Cranach. In questi dipinti, Cranach isolò (e monumentalizzò) un soggetto che prima di allora era solitamente integrato in una serie di virtù e vizi. Cranach fu anche un innovatore in quanto le sue allegorie della Carità erano figure più o meno nude, poiché il velo trasparente non offriva altro che una foglia di fico simbolica, contribuendo allo stesso tempo ad aumentare il piacere visivo.


Rappresentando la Caritas nuda, o Carità, circondata da tre bambini, il protestante Cranach infondeva al suo soggetto e al dipinto una qualità di amore materno; l'artista, tuttavia, era più interessato alla rappresentazione fisica che agli aspetti simbolistici della pittura. I nudi di Cranach, che fanno parte della sua serie con la stessa donna, sono facilmente riconoscibili ed egli li ha più volte glorificati facendoli apparire in scene mitologiche e bibliche. (Mar L8v)


view post Posted: 21/11/2023, 21:42 by: Milea     +1Giuseppe Abbati - Chiostro di Santa Croce - I Macchiaioli



Giuseppe Abbati
Via di campagna con cipressi
1863 - 1865
olio su tela - 28 x 38 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Citata anche col titolo “Via di campagna con cipressi” o “Strada toscana”, l’opera è stata esposta per la prima volta a Roma nel 1956. La datazione corrisponde al periodo in cui Abbati dipinge, oltre che a Castiglioncello, anche nei dintorni di Firenze: proposta convincente se si confronta questo dipinto ad altri capolavori di quegli anni come “Le mura di San Giminiano” o “La via di Montughi” di Abbati o la si mette in rapporto con “Radura nel bosco” di Sernesi, opera concepita probabilmente negli anni del sodalizio artistico di Piagentina.

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Giuseppe Abbati
L’Arno alla casaccia
1863 circa
olio su tela - 27 x 38 cm.
Collezione privata


Oltre Porta della Croce, uno degli edifici più antichi eretto lungo l’Arno, era “La Casaccia” in località Bellariva, una bella villa quattrocentesca con un ampio loggiato che dà sul fiume, più volte danneggiata dalle piene dell’Arno e quindi ricostruita Si dice fosse appartenuta prima alla famiglia Alighieri, poi a Giuliano di Jacopo che vi aprì una bottega d’arte ed infine alla famiglia livornese dei Tommasi. Sin dal primo costituirsi della cosiddetta scuola di Piagentina, Giuseppe Abbati prese parte alle esperienze che Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi conducevano in quella zona, corrispondente oggi a un tratto del lungarno Colombo. Ritrassero spesso quello scorcio della periferia fiorentina, dalla stagione in cui, sull’esempio di Lega, avevano preso l’abitudine di recarvisi a dipingere. [...] Quanto furono piene di passione, di entusiasmo, di attività febbrile, quelle belle giornate passate [...] in quel piccolo e studioso cenacolo di amici (...) E quali deliziose giornate furono quelle passate dipingendo lungo le arginature dell’Affrico, o fra i pioppi sulle rive dell’Arno. (Telemaco Signorini, Per Silvestro Lega, Firenze 1896).





Nell’ora mattutina, la sagoma della città avvolta nella luce sospesa dell’alba si delinea con delicatezza sul cielo lattiginoso che si riflette a specchio nell’acqua quasi immobile del fiume, dove una barca dondola lenta. Eseguita attorno al 1863, quando ormai da tempo Giuseppe Abbati partecipava al “piccolo e studioso cenacolo” di Piagentina, la veduta riflette la disposizione spirituale di quegli artisti che si erano ritirati a dipingere lontano dalla confusione della città, dedicandosi con coscienza critica alla ricomposizione della realtà attraverso rigorose analogie formali, secondo le indicazioni della filosofia positivista più aperta e meno sistematica.





Nella quiete della campagna, essi applicarono il metodo dell’analisi lenta e meditata, infondendo ai soggetti semplici e quotidiani che erano a loro cari il tono solenne e astraente delle predelle quattrocentesche toscane, sottolineate da una tavolozza ricca di colori complementari. Il dipinto, che non fu completamente ultimato come si denota dalla figura del barcaiolo, fu acquistato nel 1928, in occasione dell’asta delle opere più prestigiose della collezione di Enrico Checcucci, da Arturo Toscanini.



Giuseppe Abbati
Lungo L’Arno
olio su tela - 31 x 77 cm.
Collezione privata




In questo momento di produzione dell’artista napoletano si colloca stilisticamente e cronologicamente anche l’opera “Lungo l’Arno” per il profilo delle colline fiorentine che appaiono sullo sfondo del dipinto, e “L’Arno alla Casaccia” conservato alla Pinacoteca di Bari, dove le argentee trasparenze sembrano rarefarsi al sole del mattino.



Giuseppe Abbati
L’Arno alla casaccia
1862 - 1863 circa
olio su tela - 23,6 x 47,6 cm.
Pinacoteca Metropolitana, Bari






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Giuseppe Abbati
Dalla cantina di Diego Martelli
1866 circa
olio su tavola - 38 x 29 cm.
Collezione privata


Tornato dalla prigionia, dopo la terza guerra di indipendenza, nel 1866, Abbati “prese stanza a Castelnuovo della Misericordia”, come ricorda Diego Martelli, “Ivi, tranquillo e solitario divideva il suo tempo tra la lettura, le lunghe passeggiate pedestri e lo studio dal vero”. E’ molto probabile che il dipinto in esame sia uno dei primi eseguiti dal pittore che ora a Castelnuovo volge la propria ricerca verso espressioni più sentimentali, soffuse di poesia per le cose semplici, pittoricamente risolte con una luce vibrante che suggerisce la molteplicità e la mutevolezza degli stati d’animo. (M.@rt)




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Giuseppe Abbati
Lungo l’Arno alle Cascine
1860 circa
olio su tela - 55 x 29,8 cm.
Collezione privata, Livorno



view post Posted: 20/11/2023, 16:47 by: Milea     +1Odoardo Borrani - Renaioli sul Mugnone - I Macchiaioli



Odoardo Borrani
Il Mugnone
1870
olio su tavola -25,5 x 38,5 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Tra gli animatori della scuola di Piagentina, solitamente legata a tematiche di interni e di riflessione sulle dinamiche del vivere quotidiano, Borrani concentrò nel decennio 1870-1880 l’attenzione nei confronti del lavoro “en plein air” e del paesaggio, di cui, nei primi anni Sessanta, fu uno dei massimi innovatori, grazie alle sperimentali tavolette dipinte a Castiglioncello, splendenti di luce. Retaggio di quel periodo sono gli incastri cromatici che creano le zone illuminate e quelle in ombra del dipinto in esame (ad esempio nei diversi toni di verde della vegetazione, nelle ombre violette, nelle tarsie bianche e grigie che creano le case in fondo) e che lasciano trasparire, inoltre, una vicinanza con le coeve opere di Giuseppe Abbati, anch’egli molto preso dalle vedute del Mugnone alle Cure, un torrente nei pressi di Firenze.


Borrani dedica al soggetto una seria di dipinti, fra cui “Prime ombre sul Mugnone” (collezione privata) e “Il Mugnone presso Parterre”, generalmente di piccole dimensioni, e la grande tela “Renaioli sul Mugnone” (1880, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti). Esattamente un confronto con le opere di analogo soggetto, nonché una certa affinità con alcuni disegni di paesaggi eseguiti dall’artista in quel periodo, permette di datare il dipinto, appartenuto a Mario Galli e Luigi Sambalino, intorno al 1870. (M.@rt)



Odoardo Borrani
Il Mugnone presso Parterre
1880
olio su tavola
Viareggio, Istituto Matteucci




view post Posted: 19/11/2023, 14:33 by: Milea     +1Giuseppe Abbati - Chiostro di Santa Croce - I Macchiaioli



Giuseppe Abbati
Casa sul botro
1863 circa
olio su tavola - 24 x 36,5 cm.
Collezione privata


Il meditatissimo impianto disegnativo costruisce per partiture cromatiche, intonate a una gamma pacata di tinte, che ha il suo culmine nel verde chiaro dell’erba nuova, la veduta solitaria della casa affacciata sul botro, il profondo e scosceso fossato, dove ristagna l’acqua. Il riflesso della casa e del pagliaio, che le sta di fianco, nell’acqua ferma del fiumiciattolo riconduce a unità spaziale l’immagine e attenua il tenore intellettualistico della composizione concepita per piani di colore nettamente definiti, che infondono alla visione, quasi astrattistica nel suo rigore geometrico, il tono lacerante di una contemplazione. Eseguito con ogni probabilità al tempo dei primi soggiorni del pittore a Castiglioncello, dove, dal 1862 (anno in cui la familiarità con Diego Martelli “era divenuta tenacissima ed intima”) egli ebbe l’opportunità di trascorrere lunghi mesi, durante i quali si dedicava con passione a dipingere all’aria aperta nella tenuta sul litorale livornese dell’amico, facendo proprie le teorie artistiche professate dai giovani frequentatori del Caffè Michelangiolo, tese a tradurre, secondo i dettami della disciplina positivista, la realtà circostante tramite severe analogie figurative che avevano nella pittura dei quattrocentisti toscani il loro precedente più illustre.



“Tutti […] quelli che ritornavano alle pure e antiche tradizioni dell’arte”, scriveva Martelli nel tentativo di far comprendere il metodo approntato da Abbati in questi studi dal vero a Castiglioncello, “si occupavano di trovare la teoria del chiaroscuro e dei rapporti di un colore con l’altro sia che si trovano accanto sullo stesso piano prospettico, sia se sono accanto sulla tela ma in piani prospettici differenti”. Martelli poi, consapevole del “carattere orgogliosissimo” e assolutamente individualista del pittore, “superiore per ingegno e cultura alla massa ignorante dei suoi compagni”, aggiungeva che l’adozione di un simile linguaggio imponeva una ricerca personalissima al fine di ottenere risultati “tutti propri”. Un bisogno di esprimere sentimenti e pensieri individuali che traspare dall’accorato tono lirico della “Casa sul botro”, una poesia che lascia intendere la “solitudine da far paura” di Abbati, la sua fatica spirituale per aver rinunciato all’emozione, sotto l’apparenza di una austerità, che deriva dalla applicazione rigorosa dell’analisi positiva.

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Giuseppe Abbati
Il Mugnone alle Cure
1865 circa
olio su tavola - 23 x 33,5 cm.
Collezione privata


La luce calda di un pomeriggio assolato investe il muro bianco eretto al margine del Mugnone, oltre il quale svettano i rami frondosi di un filare di alberi. Il cielo pallido, appena striato di nuvole ariose, si riflette nella poca acqua ferma del torrente, sopravvissuta alla calura estiva e così la veduta quieta e solitaria della periferia, estranea al frastuono della città moderna, si amplifica confacendosi alla serenità di spirito che l’ha ispirata. Se infatti, l’immagine è pervasa dall’atmosfera sospesa ed evocativa che distingue la produzione di Abbati a Piagentina, quando si recava nella campagna alle porte di Firenze, trascorrendo “deliziose giornate” lavorando “lungo le argitudine dell’Affrico, o fra i pioppi delle rive dell’Arno”, insieme a Silvestro Lega, Odoardo Borrani e a Raffaello Sernesi “in una continua rispondenza d’ideali artistici”. Una resa più toccante dei valori luministici e una stesura più palpitante, realizzata con rapidi tocchi di pennello e di velature delicate, che sfiorano la superficie e ammorbidisce i contorni, suggeriscono la datazione del dipinto ad un periodo appena successivo alle esperienze compiute da Abbati a Piagentina, quando l’artista trascura ogni implicazione narrativa del tema, per soffermarsi prevalentemente su problemi formali.


Nella tela in esame, al contrario, la luce avvolgente sostituisce quella severa e indagatrice imposta dall’analisi positivista e infonde alla scena il senso di una ritrovata disponibilità per l’espressione del sentimento. Il dipinto, o più propriamente lo studio, data l’estrema sottigliezza della materia pittorica che lascia intravedere il supporto, sia stato eseguito dopo il marzo di quell’anno, periodo in cui Abbati, insieme a Martelli e a Federico Zandomeneghi, lasciò l’appartamento di via dello sprone per trasferirsi fuori di porta San Gallo, a San Marco Vecchio, in una modesta casa di periferia, molto vicina alla zona raffigurata nel quadro. Il dipinto, considerato dal critico d’arte Dario Durbè una delle “opere più straordinarie e limpide” di Giuseppe Abbati, appartenne allo scultore Rinaldo Carnielo.

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Giuseppe Abbati
Paese di Vada nella Maremma
1867 circa
olio su tavola - 46,5 x 74 cm.
Collezione privata


Il quadro raffigura un tratto della costa maremmana con sullo sfondo, ben riconoscibile, il paese di Vada; si tratta di un paesaggio ampio, colto da un punto di vista leggermente rialzato, che accentua l’effetto di vastità solenne dell’insieme, dove da un primo piano in cui si intravedono figure di pescatori affaccendati alla loro barca, lo sguarda spazia lungo le insenature della spiaggia fino all’agglomerato di case raccolte intorno alla chiesa e al fortino. Grandi nuvole tempestose attraversano il cielo e creano scintillanti effetti di luce e d’ombra tra il cupo del mare e gli edifici colpiti dai raggi del sole al tramonto. Proprio questo sentimento struggente dell’ora e del trascorrere della luce sulle cose, assieme al gusto per una visione monumentale più ampia di quanto non fosse di solito usuale per l’artista, induce a supporre una datazione tarda dell’opera, al tempo del “Carro e bovi nella Maremma toscana”, e cioè nell’estate del 1867, periodo che Abbati trascorse appunto a Castiglioncello ospite di Diego Martelli, lavorando accanto a Odoardo Borrani e Giovanni Fattori.


Un contesto di particolare intensità creativa che se particolarmente tormentato, frutto della concentrazione assoluta che l’artista si era imposto da quando, nell’inverno precedente, si era stabilito a Castelnuovo della Misericordia, nei pressi della tenuta dell’amico, dove aveva vissuto isolato, fra difficoltà quotidiane di sopravvivenza e meditazioni artistiche. Quali sarebbero stati gli esiti ulteriori di questa pittura dalla forte carica emozionale, che sembra voler contraddire la razionalità pausata del positivismo abbatiano, è impossibile sapere: l’artista morì pochi mesi dopo. La tavola in esame, faceva parte del materiale dello studio di Abbati, messo in vendita alla Promotrice veneziana, dopo la sua morte dall’amico e collega Federico Zandomeneghi, per sopperire alle necessità della famiglia dell’artista. (M.@rt)






Edited by Milea - 19/11/2023, 22:46
view post Posted: 18/11/2023, 16:04 by: Milea     +1Giuseppe Abbati - Chiostro di Santa Croce - I Macchiaioli



Giuseppe Abbati
Marina a Castiglioncello
1863
olio su tela - 35 × 68 cm.
Collezione privata


Tratto dagli studi eseguiti a Castiglioncello nell’estate del 1862, il quadro è il risultato delle meditazioni sulla resa “dell’aria della campagna”, tentate con successo da Giuseppe Abbati, quando è ospite di Diego Martelli, nella tenuta sul litorale livornese. Nella visione ampia e dilatata della baia, la grande casa di Diego, isolata sulla collina, domina il paesaggio reso aspro e malinconico dalla luminosità livida della giornata di scirocco. Come molti dei quadri riferibili a quelle prime estati trascorse a Castiglioncello, il dipinto testimonia delle nuove ricerche del pittore, volte alla resa più sobria e solenne dei toni di luce e colore.

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Giuseppe Abbati
Campagna a Castiglioncello
1863 circa
olio su tavola - 10 x 30 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Come la tela intitolata “Collina maremmana” anche questa tavoletta illustra l’attività di Abbati negli anni di Castiglioncello. Nelle piccole dimensioni del supporto, l’artista riproduce, grazie all’analisi attenta e meditata, il susseguirsi dei piani fino all’orizzonte lontano, e la completezza delle sensazioni suscitate dalla giornata estiva senza sole. La tavolozza è qui tenuta su una variazione di toni molto ristretta, ma che accosta, con grande poetica, il verde cupo dei solitari pini ai marroni e ai grigi della campagna e di un cielo che pare al tramonto. Una lettura accurata dell’immagine contraddice l’apparente riduzione degli elementi figurativi: si distinguono così i pini dagli alberi da frutto, mentre le piante di granturco e una distesa di papaveri risaltano nel verde dei campi. Secondo una tecnica consueta in questi anni e che andrà accentuandosi nelle opere tarde, Abbati sceglie di lasciar trasparire le venature del legno con una stesura particolarmente magra dell'impasto pittorico.

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Giuseppe Abbati
Collina maremmana
1864 -1865 circa
olio su tela - 35 x 68 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Come la tela intitolata “Campagna a Castiglioncello”, anche questo è uno degli studi di pese attenti alla resa delle sensazioni luministiche atmosferiche eseguiti durante le prime estati trascorse da Giuseppe Abbati sul litorale livornese. Il paesaggio raffigurato può ritenersi quello delle colline declinanti verso il mare presso Castiglioncello. La visione nitida e limpida del paesaggio nella giornata estiva senza sole, con le nuvole che proiettano sul terreno estese zone d’ombra, infonde un sottile senso di inquietudine all’immagine della campagna incontaminata. Il quadro, insieme a “Campagna a Castiglioncello” apparteneva a Diego Martelli, che morendo lo lasciò insieme a tutta la sua collezione al Comune di Firenze.

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Giuseppe Abbati
Bimbi a Castiglioncello
1862- 1863 circa
olio su tavola - 11,5 x 37,5 cm.
Collezione privata


Nella luminosità pulviscolare di un pomeriggio d’estate, alcuni bambini trascorrono il tempo chiacchierando fra loro. L’inquadratura ampia è costruita secondo un meditato impianto compositivo: i muri definiscono quinte prospettiche così da accentuare la visione di grande respiro della campagna affacciata sulla distesa azzurrina del mare, immagine esaltata dalla porticina in legno nel muro di fondo, aperta sull’immensità dell’orizzonte. Dei numerosi amici della “macchia”, Abbati fu tra i primi a essere ospitato nella tenuta ereditata nel 1861 da Diego Martelli a Castiglioncello, e cominciò a frequentare la zona con assiduità, tanto da decidere di trasferirvisi nel 1866, rimanendo fino al compiersi, due anni più tardi, del suo tragico destino. Qui certamente aveva trovato la bellezza di una natura incontaminata e selvaggia e grazie alla serenità dei luoghi e al fraterno supporto di cui godeva, la concentrazione necessaria alla sua arte.


Ne scaturirono capolavori assoluti di poesia, affidati a una sintassi minimale ma densa, spesso (come in questo caso, ridotti nelle dimensioni, ma scanditi con la precisione metrica di un distico. Una grazia lieve, infatti, anima questo “cerottino” (così chiama i suoi piccoli studi in una lettera a Odoardo Borrani del 20 dicembre del 1866, specchio di una felicità creativa che ha fatto supporre trattarsi di un’opera del 1862 circa, quando, da poco scoperto il luogo, il severo Abbati dovette subirne il fascino prorompente, e lavorando fianco a fianco con Borrani, gareggiò con lui a racchiudere la radiosa bellezza di quella campagna solatìa, illuminata dal riverbero accecante del sole, in piccole tavole preziose dai colori smaltati, dove la presenza umana, spesso sporadica, partecipa del variare degli accordi di colore e si fonde nella natura intorno. Il quadro faceva parte della raccolta di opere di artisti contemporanei, del pittore Cristiano Banti.

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Giuseppe Abbati
Veduta di Castiglioncello
1867 circa
olio su tavola - 10 × 86 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Un lungo piano sequenza accarezza luoghi noti e lungamente contemplati: la luce ha la regia della scena, articolando spazi e volumi in un equilibrio geometrico dalle lunghe pause. La veduta, nel taglio basso e allargatissimo della tavola, è concepita come una prolungata visione di un luogo noto e amato, quasi che l’analisi rigorosa con cui l’artista definisce le case di Diego e il promontorio di Castiglioncello nella luce dorata del tramonto rifletta il tempo lento di una meditazione interiore. La scelta del supporto di dimensioni così inconsuete è tipica della ricerca svolta a Castiglioncello, tesa a creare coinvolgenti analogie sentimentali tra l’atmosfera trasognata dei paesaggi e lo stato d’animo soffuso di malinconia per la precarietà di quella quiete minata dal progresso.







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Giuseppe Abbati
Caletta a Castiglioncello
1862 circa
olio su tavola
Collezione privata



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Giuseppe Abbati
Il lattaio di Piagentina
1864
olio su tavola - 36 x 44 cm.
Museo Civico di Castel Nuovo, Napoli


Nella luce dorata di un primo mattino solatio, un lattaio spinge il proprio carretto lungo la via segnata dai solchi delle ruote. Il senso di quiete e di semplicità, legato a consuetudini antiche, è accentuato dal cromatismo del dipinto impostato sulla gamma delle terre, accentuato da un sapiente uso della luce che si posa intensa sul muretto, sulle tegole e sii comignoli delle vecchie architetture coloniche, sulla tesa del cappello dell’uomo, e accende il rosso dei pochi papaveri nati ai bordi della via. La resa vibrante delle chiome degli alberi sullo sfondo riflette l’interesse del pittore per i dipinti di Signorini ideati a Piagentina. Nel corso del 1864, il quadro fu presentato alle mostre delle Società Promotrici di Torino, Milano e Napoli.

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Giuseppe Abbati
La casa di Diego Martelli a Castiglioncello
1862
olio su tela - 21 x 50 cm.
Collezione Borgiotti





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Giuseppe Abbati
Il pergolato della casa di Diego Martelli a Castiglioncello
1866 c.
olio su cartone - 16 x 30,5 cm.
Collezione privata



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Giuseppe Abbati
Il prato dello Strozzino
1850 circa
olio su tavola - 55 x 20,1 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Il Prato dello Strozzino è un piccolo e romantico giardino sulla collina di Bellosguardo, che offre una vista spettacolare su Firenze; il suo nome deriva non già come potrebbe sembrare da un qualche usuraio del luogo, ma fa riferimento alla prospiciente Villa dello Strozzino, appartenuta ad un ramo secondario della famiglia Strozzi, detto Strozzino proprio perché cadetto rispetto a quella che fu per diversi secoli la famiglia più ricca di Firenze, che, oltre al magnifico Palazzo omonimo nei pressi di Piazza della Repubblica, aveva enormi possedimenti nella zona tra Soffiano, Bellosguardo e Legnaia. Il piccolo Prato dello Strozzino, contrassegnato da una pigna scolpita nella pietra, è separato dalla Villa omonima da via di Monteoliveto, dalla quale si sale incrociando sul cammino il Monastero che fu dei monaci Olivetani e la chiesa dei Santi Vito e Modesto. La Villa dello Strozzino, adorna di una splendida altana a loggia, che guarda dalla parte del Prato, fu chiamata anche “Villa Le Lune” per via delle mezzelune bicorni, mutuate dallo stemma degli Strozzi, che adornano la sommità della facciata della Villa.

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Giuseppe Abbati
Paese
datazione sconosciuta
olio su tavola - 55 x 28,9 cm.
Collezione privata



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Giuseppe Abbati
Strada di paese (o di campagna)
1860 -1862 circa
olio su cartone - 17 x 22 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


La veduta di una “Strada di paese” (o di campagna, titolo con cui figura nell’inventario della Galleria del 1949) si inserisce in un gruppo di studi degli anni 1861-1862. Qui, Abbati, dopo aver esordito con le vedute dei chiostri e dei cortili dei monumenti fiorentini, prosegue la sua ricerca negli effetti di luce e nei calibrati rapporti volumetrici, nelle strade di città, o nelle vie della campagna, come il celebrato capolavoro de “La stradina al sole”. L'impianto compositivo di quest’opera può ritenersi molto vicino alla “Stradina” e per questo va datato in un arco di tempo affine. La concisione espressiva scelta dall’artista nel suggerire con grande economia di mezzi (la pennellata magra lascia trasparire il cartone) un angolo di Toscana antica andrà proseguendo anche in opere successive come la “Via di Montughi”.

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Giuseppe Abbati
Via di Montughi
1863 circa
olio su tavola - 22 x 13,5 cm.
Collezione privata





La nitida definizione prospettica, la cura formale e compositiva, costituiscono la sigla della pittura di Abbati, che attinge ad una limpida e serena classicità, e appare spesso percorsa da una composta vena malinconica.

Nelle opere di Abbati la ricerca formale della pittura di “macchia” appare pienamente risolta nell’armonia di volumi e colori, immersi in una luce perlacea e immota, in virtù della quale il momento contingente viene sublimato ad assoluto, pur nella modesta quotidianità dei soggetti prescelti.

La perfetta impostazione architettonica della composizione risalta in alcuni dipinti su tavola di piccolo formato, come nella “Via di Montughi” dove l’orizzonte chiuso da un muro (al di sopra del quale spunta il moto ascensionale di un gruppo di scuri cipressi) e la prospettiva ribassata (a rendere il senso di fatica con cui il viandante affronta la salita), appaiono assurgere a metafora esistenziale di una visione severamente stoica delle vicende umane, toccando un’essenzialità formale che dovremo attendere quasi un secolo per ritrovare in certi paesaggi morandiani degli anni Quaranta del Novecento. (M.@rt)




Edited by Milea - 18/11/2023, 16:51
view post Posted: 17/11/2023, 21:22 by: Milea     +1Giuseppe Abbati - Chiostro di Santa Croce - I Macchiaioli




Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi, 1931)
Ritratto di Giuseppe Abbati
1865
olio su tavola - 87,5 x 22 cm.
Collezione privata




Risolto in un concerto di bianchi e di neri, il ritratto raffigura il volto di un giovane uomo: neri i capelli e la barba, bianca la fronte spaziosa. Quel volto fissa l’osservatore con un solo occhio nero dietro una lente limpida; l’altro è un’orbita vuota, nascosta da una benda nera. E’ in piedi, scuri il vestito e il soprabito; la mano destra in tasca, la sinistra, rilasciata lungo il fianco, quasi sfiora il muso di un pointer dal lucido manto corvino.

Il cane si chiama Moro e il giovane è il pittore Giuseppe Abbati, ritratti da Giovanni Boldini, nel novembre del 1865, a Firenze, nello studio di Michele Gordigiani: Boldini ha ventitré anni, l’amico e collega ventinove. Abbati, autore di alcune tra le opere più rilevanti della ricerca pittorica pura, alla base di meditazioni che attraversano un secolo e costituiscono tuttora un presupposto della speculazione in pittura, è celebrato da pochi.

Della sua grandezza erano ben consapevoli però artisti come Fattori - «mi ricordo di una quistione d’un nero all’ombra e un nero al sole» - e critici come Diego Martelli, sodale di Abbati, che scrisse: «Considerato che come colore preso in se stesso nulla più chiaro possa trovarsi sulla tavolozza della biacca d’argento e nulla di più nero del nero fumo, egli tentava, in un tono più basso del vero, di dare tutta intera la tonalità del vero, rendendosi così possibile ogni gradazione di passaggi, per un trasporto matematico di proporzioni fra le potenze coloranti della luce e le combinazioni possibili della pittura. Così facendo si avviò sempre più a dei resultati di colore stupendi dove, con una apparente parsimonia di mezzi e con sapere grandissimo, otteneva luce, risparmio di crudità violente negli scuri e modestia grandissima di intonazione».

Dopo gli anni di studio e di apprendistato, la ricerca di Abbati si svolge nel corso di sette anni, dal 1861 al 1867, con particolare intensità tra il ’63 e il ’65. Nel 1860 era con Garibaldi e perse l’occhio destro nella battaglia del Volturno, ma, di nuovo, nell’agosto del 1862 e nel maggio del 1866 è ancora volontario garibaldino. A luglio è fatto prigioniero e condotto in Croazia. Torna a Firenze in autunno. Il 1867 sarà l’ultimo anno della breve vita di Abbati. Il Moro è morto: «Ne pianse come della perdita di un amico», scrive Martelli. Cerca di consolarsi acquistando un cucciolo di mastino. Lo chiama Cennino, in ricordo dell’autore del «Libro dell’Arte», nome augurale, quasi a protezione del pittore che si dispone a un lavoro solitario in Maremma. Sul finire dell’anno, il 13 dicembre, Cennino lo addenta. Contratta l’idrofobia, Abbati muore il 21 febbraio 1868; il 13 gennaio aveva compiuto trentadue anni. (M.@rt)




Edited by Milea - 17/11/2023, 23:08
view post Posted: 15/11/2023, 19:19 by: Milea     +1Federico Zandomeneghi - Interno del Palazzo del Podestà - I Macchiaioli



Federico Zandomeneghi
Il ricciolo (La toilette)
1894 - 1905
olio su tela - 75 x 93,5 cm.
Milano, Pinacoteca di Brera (opera non esposta)


L’opera fu eseguita a Parigi nei primi anni del Novecento. Ispirata ai lavori dei maestri espressionisti e dalle scelte tematiche e linguistiche di Renoir e di Degas, l’artista creò qui un’immagine dalla costruzione semplificata e dal sapore malinconico e crepuscolare. (M.@rt)

view post Posted: 15/11/2023, 18:54 by: Milea     +1Federico Zandomeneghi - Interno del Palazzo del Podestà - I Macchiaioli




Federico Zandomeneghi
Gli innamorati
1866
olio su tela - 50 x 30 cm.
Collezione privata






Una coppia di amanti si sporge dalla balaustra di una loggia per guardare di sotto. Nell’atto la donna, come intimorita dal vuoto, appoggia il braccio attorno al collo dell’innamorato.

Le due figure di spalle sono racchiuse fra i pochi elementi architettonici, una colonna, lo spiovente del tetto in alto, il muro, secondo un’austera concezione compositiva, che richiama il primo Rinascimento toscano.

Ma l’atteggiamento umanissimo della coppia, la luce del crepuscolo, i vasi di fiori, infondono alla scena un sentimento nuovo, più trepido e indulgente per la fragilità della vita. (M.@rt)



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