LA GIOCONDA
Leonardo da Vinci Ritratto di Monna Lisa del Giocondo 1503 - 1504 circa olio su tavola di pioppo - 77 x 53 cm. Parigi, Museo del Louvre Adesso devo proprio trovare una buona scusa: messer Francesco del Giocondo comincia a essere impaziente. Finora l’ho tenuto a bada con i soliti trucchetti: ritardi, difficoltà, altri impegni…, ma ormai ho esaurito i pretesti. Sono anni che tiro in lungo, è arrivato il momento di farmi coraggio e dirlo chiaro:” Mi spiace, messer Francesco. Il ritratto di sua moglie monna Lisa è a buon punto, ma non lo consegnerò né domani, né mai. Mi sto preparando per lasciare Firenze e tornare a Milano e il quadro non lo mollo: me lo terrò io e sono pronto a restituire i soldi che mi ha versato come anticipo”.
Il denaro non mi manca: ricavi dei dipinti sono ben poca cosa rispetto a quanto guadagno con le consulenze tecniche, le perizie sui canali e sulle acque, i progetti di macchine, i disegni di bombarde e fortificazioni, gli incarichi di cartografia, l’allestimento di feste e ricevimenti, l’illustrazione di libri, i disegni di costumi e mille altre cose. In fondo non è certo la prima volta che io, Leonardo da Vinci, lascio un’opera incompiuta. Anzi se mi guardo indietro, ora che ho passato la cinquantina, di dipinti finiti e consegnati ne ho fatti ben pochi: forse neanche una decina, a ben vedere, senza contare le rovine dei dipinti murali! C’è da chiedersi come mai sia diventato un pittore famoso, addirittura un “genio universale”.
Penso ai miei coetanei o comunque ai pittori della mia generazione, come Perugino o Botticelli : loro sono stati capaci di sfornare decine e decine di tavole e affreschi. Adesso c’è questo ragazzino, Raffaello, che trasforma in oro, anzi in pittura, tutto quello che tocca! Io no, ho bisogno di tempo e non sono mai soddisfatto di quello che faccio. Mi pare che ci sia sempre la possibilità, anzi il dovere, di ritoccare, migliorare, aggiungere, dare una pennellata in più.
Michelangelo, che mi detesta, non fa che ripetere che l’arte si fa “per forza di levare”: certo, lavora di scalpello sui blocchi di pietra e secondo lui il vero artista dovrebbe affannarsi, sudare e sbuffare in maniche di camicia, picchiando col martello, in una nuvola di polvere di marmo, fino a liberare la figura imprigionata nella grezza materia. Ma la mia arte è completamente diversa, per fortuna sono pittore, non scultore; posso lavorare indossando abiti raffinati, muovendo il pennello leggero senza nessuna fatica e mentre dipingo nella pace del mio studio ordinato e pulito posso ascoltare la musica o la lettura di poesie.
Non pensate che la fatica fisica mi faccia paura: lo sanno tutti, ho ancora le mani ben forti, posso piegare e raddrizzare un ferro di cavallo e, anche se questo Michelangelo ha vent’anni meno di me, non avrei il benché minimo timore a sfidarlo a braccio di ferro! Semplicemente detesto la fretta: dipingere non è come zappare l’orto, il valore di un artista non si misura con il rintocco delle campane e a chi mi accusa di esser pigro, rispondo che le persone intelligenti sono quelle che si danno il tempo per pensare.
Un quadro non è come un libro a stampa, che si mette sotto il torchio del tipografo e se ne fanno centinaia di copie e se tutti i bambini, magari a furia di esercizi e bacchettate, imparano le tabelline, non c’è scuola che possa insegnare a diventare un grande artista. E’ un dono: o lo si possiede oppure no. In questo secondo caso bisogna limitarsi a imitare le opere dei maestri e rassegnarsi a considerare anche l’arte un “mestiere” noioso e prevedibile come gli altri, fatto di orari, di monotonia, di ripetitività. Per me non è così: quando sento l’ispirazione posso lavorare freneticamente per ore e ore, senza interrompermi, senza avvertire la fame né la sete, senza sforzo, non parliamo poi di disegnare; ma quando invece sento il bisogno di fermarmi a riflettere, posso dare due o tre pennellate e poi non dipingere più per tutto il resto della giornata.
Eccola qua allora, questa monna Lisa, che mi guarda dal cavalletto, con le mani in grembo, i bei capelli lisci, le sopracciglia sottili, il volto ovale, rilassato. La posa, l’espressione, il sorriso mi sono venuti di getto, lì per lì, mentre avevo la signora seduta di fronte a me. All’inizio era quasi uno scherzo: una che si chiama Gioconda deve per forza essere allegra e sorridente! Ma poi mi sono bloccato: ho incominciato a sentire che il quadro che stava nascendo non era, non poteva essere semplicemente il ritratto di una pacifica signora fiorentina.
Davanti allo sguardo che cominciava ad affiorare nel dipinto, era come se dipingessi un’immagine che parla di me: attraverso il viso sorridente di questa donna, mi è parso di cominciare a intuire i segreti del mondo, a capire le leggi dell’universo, a intravedere i destini del cosmo. Molti pensano che io sia ateo, che non creda in Dio, solo perché spesso, se scocca l’ispirazione, dipingo anche la domenica, invece di andare a messa. Dovrei “santificare la festa” e non lavorare, mi rimproverano i bigotti: ma esiste un modo migliore per ringraziare il Creatore, di utilizzare le doti che ho ricevuto e cercare con il mio pennello di riprodurre la meraviglia di un universo che vive, vibra, respira intorno a noi?
Monna Lisa sorride: ha fiducia nel mondo, ne vede la bellezza, ne coglie la ribollente attività. Sente, come lo sento io, che lo scorrere dei fiumi è simile al palpito del sangue che pulsa nelle vene di questa nostra madre Terra; sfiora con gli occhi le cime delle montagne, che sono come le ossa che sostengono il corpo del mondo; partecipa all’incessante flusso e riflusso della natura, che vive e si rigenera, che non muore mai, capisce che l’umida nebbia è come rugiada che bagna e alimenta la campagna. Tutto scorre, come dice un filosofo antico, o meglio ancora tutto si muove e non mi stupirei affatto di scoprire che la Terra non è affatto immobile, ma ruota intorno al sole… mmh, meglio lasciar perdere… ci penserà qualcun altro.
Io ho vissuto quasi sempre in città, a Firenze e a Milano, ma sono nato in campagna e amo l’aria fresca, gli spazi ampi, le passeggiate lungo i fiumi o in collina. Tutti i miei sensi si sono sviluppati: ho imparato a gustare il sapore di un lampone o di una mora, a distinguere le diverse tonalità di verde delle foglie, a riconoscere il profumo delle erbe aromatiche, a sentire il soffio del vento e i rintocchi lontani delle campane delle pievi, a sfiorare con le dita il freddo della neve, il velluto del petalo di un fiore appena sbocciato o il soffice pelo di un leprotto… Potrei stare ore a guardare le nuvole che scorrono… oh, quante ne ho viste in Lombardia, dalle parti del Lago Maggiore, ai piedi del Monte Rosa! Oppure a seguire la lentissima discesa di una goccia d’acqua lungo un filo d’erba, o i pazzi ghirigori che fanno le rondini nel cielo.
Quando giro in città, c’è sempre una moltitudine di aspiranti pittori o semplici curiosi che mi circondano, mi assediano con le loro chiacchiere; ma quando esco dalle porte e mi inoltro nel verde, finalmente rimango solo e quando sei solo sei davvero tutto tuo.
Torno dalle mie passeggiate in campagna con i piedi fradici, il taccuino pieno di disegni, il cuore in tempesta; viene buio, mi metto a letto, cerco di addormentarmi, ma mi ritornano in mente tutte le immagini e le meraviglie che mi hanno bombardato durante la giornata. E allora sto lì, con gli occhi aperti, nella notte, lasciando che i ricordi si fissino nella mia memoria. Ho imparato tutto dalla natura! Sto raccogliendo migliaia e migliaia di fogli pieni di appunti per scrivere un trattato, ma è difficile dare un ordine: ogni giorno scopro qualcosa di nuovo e mi viene voglia di ricominciare da capo. Ho anche imparato ad aspettare: tutti gli anni ritorna la bella stagione, crescono le foglie sugli alberi, si mutano le penne degli uccelli, i ruscelli si riempiono di acque impetuose, all’inverno segue la primavera. E allora, anche se ho meno capelli, ho la fronte solcata dalle rughe e una lunga barba bianca, mi sento pieno di speranza, mi viene voglia di correre nei prati, su e giù per i campi, come facevo da ragazzino, insieme a mio zio Francesco.
Intorno al volto e al busto della Gioconda dipingerò un intero universo di acqua e terra, di cielo e nuvole, di montagne e pianure. Vorrei che niente, nel ritratto, desse l’impressione di essere fermo, vorrei che ci fosse dentro il senso della natura, del cambiamento, dell’inesauribile attività della Terra e della vita. Non so se avrò un’altra occasione, se negli anni che mi restano da vivere potrò dipingere un altro quadro così. Povero messer Giocondo: non gli permetterò mai di appendere nel salotto di casa il pacioso ritratto della sua sposa. Finché vivrò, voglio tenerlo con me e non pensare mai che sia davvero “finito”. Questo quadro mi guarda, mi riguarda, è per me: questo quadro sono io!
Stefano Zuffi
Il mondo dipinto Ventidue capolavori di grandi maestri raccontano la loro storia
Ed. FeltrinelliKIDS
|