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Ama e ridi se amor risponde piangi forte se non ti sente dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior.
(Fabrizio De Andrè, Via del Campo)
LA PROSTITUTA NELLA PITTURA
Gli uomini sono tutti d'accordo per frequentare le prostitute, e lì si sfogano e non dànno più noia alle altre. Dunque le rispettino.
(Cesare Pavese)
A Genova c’è una strada, nel quartiere di Prè, che incrocia i caruggi del centro storico e che un tempo ospitava alcune rinomate case chiuse. Si chiama Via del Campo ed è diventata famosa grazie a una canzone del grande cantautore genovese Fabrizio De André (1940-1999), che ha raccontato nei suoi testi le storie degli ultimi, degli emarginati, dei diseredati. La canzone Via del Campo, musicata da Enzo Jannacci, uscì come singolo (45 giri) nel 1967, abbinata al brano (lato B) Bocca di Rosa, che sarebbe divenuto ancor più celebre. Se la popolarissima figura femminile di Bocca di Rosa, descritta da De André, rimanda, propriamente, a quella della “donna di facili costumi”, della “donnina allegra”, come si diceva un tempo, che non fa l’amore per noia o per professione ma solo per passione, il testo di Via del Campo affronta in modo specifico il tema della prostituzione e, come in tutte le canzoni di De André, presenta immagini di straordinaria efficacia comunicativa, tratteggiando, con poche parole, situazioni e personaggi memorabili (la graziosa che vende a tutti “la stessa rosa”, la bambina, l’illuso che si innamora della puttana e quello che nel casino trova il Paradiso). Non a caso, De André è considerato, unanimemente, più che un cantautore: ossia, un artista di altissimo livello. Questi argomenti, d’altro canto, vennero ampiamente indagati anche dai pittori di molte epoche storiche, soprattutto quelli ottocenteschi che, incoraggiati dal dilagante successo del Realismo in arte e in letteratura, guardarono con occhi particolarmente indulgenti, e non giudicanti, a queste donne costrette a vivere ai margini della società.
Via del Campo c’è una graziosa gli occhi grandi color di foglia tutta notte sta sulla soglia vende a tutti la stessa rosa.
Edgar Degas L’assenzio 1876 Olio su tela 92 x 68 cm Parigi, Musée d’Orsay La diretta e penetrante osservazione del mondo fu sempre un cardine nella pittura del maestro impressionista Edgar Degas (1834-1917), che amò dipingere i caffè più popolari di Parigi, frequentati abitualmente da operai, prostitute, artisti e scrittori bohémien. L’assenzio, del 1876, uno dei suoi grandi capolavori, affronta due importanti temi sociali: quello della prostituzione e quello dell’alcolismo da assenzio, un superalcolico a buon mercato fortemente tossico, vero flagello della società ottocentesca. Un’esile prostituta e un corpulento e volgare bohémien sono seduti una accanto all’altro ma chiusi nel loro isolamento silenzioso. In particolare, la ragazza, stordita dall’alcol e con lo sguardo perso nel vuoto, colpisce per i lineamenti disfatti e il pallore malsano del viso, che un tempo doveva essere grazioso e minuto. Certi particolari del suo abbigliamento appaiono tristemente grotteschi: ad esempio, il falso lusso dei fiocchi bianchi sulle scarpe, del volantino di tessuto increspato sul corsetto, del cappellino inclinato sul capo. "È una umanità smunta e sprecata, ferma nel tempo vuoto dello spazio stagnante: fredda come il marmo dei tavolini mal lavati, logora e stinta come il velluto dei divani, torbida come gli specchi offuscati" (G.C. Argan).
Il senso dell’immagine di Degas ricorda quello dei grandi fotografi. Il taglio fotografico della scena è infatti volutamente ricercato dall’artista che intendeva presentare questo soggetto come una tranche de vie, un pezzo di “vita vissuta” colto come d’improvviso. In primo piano, il pittore lascia il vuoto; sposta i personaggi sul fondo e verso destra e gioca la composizione sulle linee oblique, disegnate dai tavoli, dal bordo dello specchio, dai giornali e dalla sua stessa firma. Alcune parti sono tagliate e restano parzialmente fuori dall’inquadratura, come per esempio la pipa e la mano sinistra del personaggio maschile.
Via del Campo c’è una bambina con le labbra color rugiada gli occhi grigi come la strada nascon fiori dove cammina.
Angelo Morbelli Venduta 1897 Olio su tela 67 x 107 cm. Collezione privata Anche il pittore divisionista italiano Angelo Morbelli (1854-1919) si orientò verso una pittura di stampo realista, interessandosi a soggetti che nascevano dall’osservazione diretta del vero e privilegiando temi contadini e popolari. Uomo dal temperamento malinconico e pessimista, Morbelli volle dar voce a un’umanità impotente e sofferente; in particolare, amò dipingere il dolore dei vecchi abbandonati e dei ragazzi sfruttati. Egli affrontò con coraggio e spiccatissima sensibilità anche il tema della prostituzione minorile. Venduta, dipinta in una prima versione nel 1887 e successivamente riproposta nel 1897, mostra una ragazzina sdraiata su un letto, con lo sguardo assente, apparentemente malata. Il titolo, invece, chiarisce che si tratta di una bambina prematuramente avviata sulla strada della prostituzione, violata nel corpo e nell’anima, privata dell’infanzia e anche della speranza.
Via del Campo c’è una puttana gli occhi grandi color di foglia se di amarla ti vien la voglia basta prenderla per la mano.
Édouard Manet Olympia, 1863 Olio su tela 130,5 x 190 cm Parigi, Musée d’Orsay Uno dei quadri più scandalosi del XIX fu dipinto da Édouard Manet (1832-1883), considerato “il padre dell’Impressionismo”, che nel 1865 presentò al Salon di Parigi l’opera Olympia. I giudici tentarono di nascondere il più possibile questa tela, nella speranza di soffocare le prevedibili polemiche, e la appesero in un angolo della sala, bene in alto e lontano alla vista. Fu tutto inutile. Pubblico, critici e giornalisti furono attratti dallo scandaloso dipinto e seppellirono di critiche tanto l’opera quanto il suo autore. Prostitute e “allegre donnine” nella pittura dell’Ottocento
Olympia presenta una donna completamente nuda, sdraiata sopra il suo letto disfatto. Ornata solo da un bracciale d’oro e da un sottile collarino di velluto con una perla a goccia, e con una ciabattina ciondolante sul piede sinistro, la donna guarda direttamente verso l’osservatore con espressione sfacciata. La sua mano sinistra è posata sul pube, in un gesto di apparente pudore ma in verità piuttosto sfrontato. Il pubblico capì subito che si trattava di una prostituta, ritratta con l’atteggiamento impudente e confidenziale di chi riceve un cliente abituale. L’interpretazione era legittima. L’aspetto e la posa della donna rimandavano a foto di nudi pornografici che nella Parigi dell’epoca avevano un enorme mercato (ovviamente clandestino). Sullo sfondo, una domestica di colore si avvicina per consegnarle un bouquet di fiori. Anche la figura della “serva negra” rimandava al tema della prostituzione: le prostitute, infatti, non avevano domestiche bianche, la quali si rifiutavano di lavorare per donne così poco raccomandabili. Ai piedi del letto, un gatto nero, tradizionale simbolo di lussuria e tradimento, si spaventa per l’ingresso del cliente che la donna sta guardando e scatta sulle zampe rizzando il pelo. Per coloro che non avessero ancora capito, veniva in aiuto il titolo (decisamente audace) scelto da Manet: Olympia era infatti un nome diffuso tra le prostitute d’alto bordo. Il quadro, insomma, era una deliberata provocazione.
E ti sembra di andar lontano lei ti guarda con un sorriso non credevi che il paradiso fosse solo lì al primo piano.
Telemaco Signorini La toeletta del mattino 1898 Olio su tela, 120 x 175 cm Milano, Collezione privata Anche l’italiano Telemaco Signorini (1835-1901), colto e intelligente esponente del gruppo dei macchiaioli, affrontò il tema della prostituzione nell’opera "La toeletta del mattino", del 1898, un quadro che mostra chiaramente l’influsso della pittura impressionista. La tela rappresenta il momento del risveglio in un bordello fiorentino; una donna con le braccia nude al centro della scena si pettina davanti ad uno specchio, sotto lo sguardo incuriosito di una coppia che la osserva o che più probabilmente la sta ascoltando. Il gesto delle braccia sollevate a raccogliere i capelli in una crocchia è di una naturalezza magistrale. In primo piano, un’altra donna con le spalle scoperte è seduta su un divanetto tappezzato di rosso, e sembra intenta ad osservare qualcosa per terra; intravediamo un’altra figura accanto a lei. Il pavimento a mattonelle conduce il nostro sguardo sul fondo della stanza, verso un altro gruppo di donne; appena oltre la prostituta alla toeletta un caldo e suggestivo squarcio di sole, che proviene da una finestra, disegna per terra un rettangolo di luce.
Henri de Toulouse-Lautrec Al salon di rue des Moulins 1894. Pastello su carta Albi, Musée Toulouse-Lautrec
Il pittore francese Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901) fu addirittura definito “il pittore delle prostitute”. Lautrec, pur appartenendo a una famiglia nobile di antiche origini, scelse di fare il pittore. Fu così che, nel 1884, egli si trasferì nel quartiere parigino di Montmartre, fonte inesauribile di ispirazione per molti artisti del suo tempo, diventando un tipico bohémien, assiduo frequentatore degli ambienti più equivoci della Belle Époque parigina: teatri, circhi, cabaret, caffè-concerto, bordelli, diventando così l’interprete più diretto e fedele della vita mondana del tempo, che illustrò senza falsi moralismi, senza compiacimenti volgari, certamente mai in maniera scabrosa. Lautrec soggiornò per lunghi periodi in un bordello,la Casa di rue des Moulins, partecipando alla vita quotidiana delle ragazze che vi lavoravano. Così, rappresentò le prostitute mentre aspettavano stanche e annoiate che arrivasse un cliente oppure intente alla toeletta quotidiana o ancora addormentarsi stremate assieme in un solo letto. "Al salon di rue des Moulins", del 1894, mostra per esempio un gruppo di prostitute sedute sui divanetti del loro bordello, tutte completamente vestite, che lì aspettano di essere “scelte”; non sono ancora obbligate a recitare la loro parte, non devono ancora mostrare quell’allegria che nella loro vita reale non conoscono. Del valore di queste opere ben si accorse il vecchio maestro impressionista Renoir, che le definì “disperatamente tristi”.
Henri de Toulouse-Lautrec La Toilette 1896-1889 Olio alla trementina su cartone 67 x 54cm Parigi, Musée d'Orsay
La toilette, realizzato nel 1889 dal pittore Henri de Toulouse-Lautrec è un dipinto realizzato dal vero, proprio in una di quelle case d'appuntamento nelle quali l'artista passava molte ore della sua giornata. Il taglio è fotografico, con evidente accentuazione del punto di vista dall'alto verso il basso. Il soggetto, i poveri oggetti dell'ambientazione rimandano a Degas, del quale Lautrec si considerava ideale prosecutore. I colori sono utilizzati con parsimonia, in alcuni punti affiora persino il colore del cartone che funge da sfondo esso stesso. Le intuizioni impressioniste sono raccolte e superate, grazie anche a suggestioni realistiche vicine a Van Gogh. Il dipinto è attualmente conservato nel Musée d'Orsay. La donna viene vista di spalle presentandosi in un aspetto di fragilità quasi commovente. Le spalle hanno una linea molto armoniosa. Su di esse la testa ha una postura molto diritta e serena. I capelli sono di un rosso molto delicato, raccolti in modo seducente. Le braccia e le gambe sono magre e delicate. Tutto ciò crea un contrasto evidente con l'attività della donna la quale, proprio per questa sua bellezza che non scompare, conserva una sua purezza virginale. La simpatia del pittore è tutta per lei. La donna ha appena finito di lavarsi in una vasca che si intravede accanto alla sua testa. Si sta asciugando seduta a terra su degli asciugamani. Il fatto che sia appena uscita dall'acqua ne accentua simbolicamente l'avvenuta purificazione. La stanza si presenta povera e spoglia. Il pavimento è un normale parquet a listoni paralleli su cui sono posati pochi oggetti: la poltroncina e il divanetto di vimini, la tinozza per il bagno. La tecnica pittorica risulta molto sapiente e sicura. Toulouse-Lautrec stende i colori secondo linee veloci e marcate. L'immagine prende mirabilmente forma con tratti che si intessono senza perdere la loro evidenza lineare. I colori sono molto delicati e definiscono dei riflessi che danno alle cose una sensazione di grande verità. La pittura di Toulouse-Lautrec ha anch'essa decisamente superato l'impressionismo. Benché egli si consideri il continuatore di Degas, di cui conserva il tipo di inquadratura evidente anche in questo quadro, la sua pittura è oramai alla ricerca di significati e di contenuti che non sono più quelli superficiali e festosi della pittura impressionista.
Via del Campo ci va un illuso a pregarla di maritare a vederla salir le scale fino a quando il balcone ha chiuso.
Henri Gervex Rolla 1878 Olio su tela 175 x 220 cm. Parigi, Musée D’Orsay Un altro quadro-scandalo del XIX secolo fu quello dipinto dal pittore francese Henri Gervex (1852-1929), autore nel 1878 di Rolla, rifiutato dal Salon di quell’anno. E questo benché, all’epoca, Gervex fosse un pittore oramai affermato e avesse già vinto una medaglia nella precedente edizione del Salon (ciò, teoricamente, gli dava quell’anno il diritto di ammissione). La causa di un tale, clamoroso diniego è il contenuto del quadro, giudicato all’epoca “immorale”. Gervex, come il titolo della sua opera chiaramente conferma, aveva tratto ispirazione da un poema di Afred de Musset (1810-1857), pubblicato nel 1833, che racconta della vita oziosa e dissoluta di un giovane borghese, Jacques Rolla. Questi si era innamorato di Marie, una seducente ragazzina di appena quindici anni che si prostituiva per necessità. Quell’amore scandaloso lo avrebbe portato alla perdizione, alla miseria e alla disperazione, fino all’epilogo drammatico del suicidio. Una storia, questa, che avremmo potuto ritrovare in una canzone di De André. Nella scena immaginata da Gervex, Rolla, oramai caduto in rovina, è appoggiato alla finestra e guarda la giovane amante addormentata sul letto disfatto. Marie è nuda e sensuale. Accanto a lei, sulla poltrona e per terra, i vestiti ammucchiati mostrano la fretta con cui la coppia si è precedentemente denudata e quindi alludono all’enfasi di quella passione tanto travolgente quanto peccaminosa e come tale maledetta.
Balthus (Balthasar Klossowski) Thérèse Dreaming 1938 Olio su tela 149.9 × 129.5 cm New York, Metropolitan Museum of Art
Passando al secolo successivo, non si può far menzione a quest'ambigua opera di Balthus da sempre molto discussa. Thérèse è abbandonata su di un grande cuscino verde, indossa una camicetta bianca, le scarpette rosse, la gonna anch’essa rossa, una gamba a terra, l’altra piegata sulla sedia, a lasciare intravedere la biancheria intima. Lo scivolamento in avanti del corpo legnoso e la leggera apertura delle gambe determinano lo spostamento della gonna fin sopra il grembo. Alla stregua degli artisti d'avanguardia dei primi del Novecento, da Gauguin a Picasso, che rappresentavano la sessualità adolescenziale senza inibizione, anche Balthus considerava l’infanzia un momento incorrotto, non ancora plasmato dalle aspettative della società. E così traduce in pittura questo passaggio catturando il momento effimero, con le sue protagoniste che oscillano tra innocenza ed erotismo. Anche i temi e le pratiche surrealiste trovano un richiamo nel crudo realismo con cui Balthus , quattro anni prima di "Thérèse Dreaming", aveva realizzato La lezione di chitarra. Ad un primo sguardo, si potrebbe pensare ad una scena violenta, con una donna che afferra dai capelli una bambina durante una lezione di musica. Ma, ad un’osservazione più acuta, l’immagine diventa ambigua e si carica di nuovi elementi perturbanti: la mano dell'adolescente che scopre il seno alla donna, il totale abbandono della sua posa, ma soprattutto un’espressione del volto a metà fra dolore e piacere. Anche il volto di Thérèse comunica una certa ambiguità. I lineamenti del viso aggraziati, gli occhi socchiusi contribuiscono a conferire al personaggio un aspetto sensuale, sicuro di sé. Thérèse non sa di essere vista o sta esercitando consapevolmente il suo potere seducente sullo spettatore? Non lo sapremo mai.
“Molti considerano le mie fanciulle nude erotiche. Ma non le ho mai dipinte con questo intento, che le avrebbe rese semplici oggetti di pettegolezzi. Ho mirato esattamente al contrario, a circondarle di un alone di silenzio e profondità, come se volessi creare attorno a loro una vertigine” diceva Balthus , attribuendo quelle pose spensierate ad un atteggiamento peculiare dell’infanzia.
Le prostitute sono più vicine a Dio delle donne oneste: han perduto la superbia e non hanno più l'orgoglio. Non si gloriano di quel nulla di cui la matrona si onora. Possiedono l'umiltà, pietra angolare delle virtù gradite al Cielo.
Anatole France
(Mar L8v)
Vincent van Gogh Head of a Prostitute 1885 Olio su tela 35 x 24 cm Amsterdam, Van Gogh Museum
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