VERUSCHKA - LA PRIMA TOP MODEL DELLA STORIA, La sua storia, il suo carattere di fuoco, che brucia ancora oggi

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view post Posted on 16/9/2023, 12:46     +13   +1   -1
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VERUSCHKA
LE AVVENTURE, L'ESORDIO, IL SUCCESSO




La sua storia e il suo carattere di fuoco, che brucia ancora oggi





Veruschka, abito di Bill Blass, New York, 4 gennaio 1967

Foto di Richard Avedon


Vera Gottliebe Anna von Lehndroff-Steinort, per il mondo Veruschka. Un carattere di fuoco che brucia ancora oggi e che nemmeno la vita tumultuosa dell’infanzia, quella più avventurosa degli esordi e un successo senza precedenti esploso d’improvviso, sono riusciti a mitigare. Nata nel 1939 nell’antica Konigsberg, figlia della nobiltà prussiana, dal padre -che è stato un membro chiave della resistenza al nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale- ha ereditato uno spirito incrollabile nella difesa della libertà, nel suo caso di quella di artista, prima ancora che di top model. Costretta a fuggire e rifugiarsi in diverse città proprio durante il Conflitto, ha frequentato tredici diversi istituti prima di fermarsi ad Amburgo e trasferirsi a Firenze per completare gli studi d’arte. Come tante adolescenti, non riesce ad accettare il proprio corpo: "Mi sentivo bruttissima, a quattordici anni già un metro e ottanta e con i piedi enormi, portavo il quarantatre. Scarpe da donna non ne trovavo mai". Per potersi mettere finalmente i tacchi, si fa operare, le riducono l’alluce. Dolore, però "che liberazione indossare scarpe da donna". E come per Andy Warhol, suo caro amico, le scarpe diventano un feticcio. Ma anche gli abiti non scherzano. "Cambiare abiti e colori era sfilarsi di continuo pelle e identità".



Veruschka, abito di Kimberly, acconciatura di Ara Gallant, New York, 4 gennaio 1967

Foto di Richard Avedon


L’Italia se ne innamora osservandola, ventenne, attraverso la lente di Ugo Mulas, anche lui giovane e già firma autoriale per periodici di architettura e design, oltre che per Bellezza e Novità (che poi diventerà Vogue). È lui a portarla negli Stati Uniti con la complicità della mitica Eileen Ford, a cui la presenta a Parigi e che la scrittura immediatamente nella sua agenzia, ma la scintilla non scatta; gli Stati Uniti sono il regno delle pin-up e lei, longilinea nel suo metro e novanta, glaciale nei tratti, ha già il corpo di domani – e infatti lì sarà osannata al suo ritorno, nei Settanta delle bionde, della disco music e dell’esterofilia al contrario, maturata per emulazione delle Twiggy e delle Shrimpton. Tornata in Europa non si dà per vinta, gioca a fare la misteriosa, si fa chiamare col vezzeggiativo russo di Veruschka, tace e divaga sulle sue origini: si inventa. Un copione che funziona; inizia una relazione d’amore e di ispirazione reciproca con Franco Rubatelli, arriva quasi a litigare con Michelangelo Antonioni, che per miracolo non cancella la sua scena in Blow Up – problemi di cachet, di espressione o di precedenze sceniche? non è dato saperlo con esattezza – e allo stesso modo, o quasi, fa con Carmelo Bene, che dissimula un’infatuazione e al rifiuto di lei di lasciare il fidanzato per trascorrere più tempo insieme, le taglia la parte in Salomè (il motivo addotto da lui sarà che non voleva indossare le lenti a contatto castane). Di pari passo c’è la carriera da modella, costruita tra copertine di Harper’s Bazaar e Vogue (saranno più di venti) firmate da Bert Stern, Irving Penn, Francesco Scavullo, Richard Avedon, Helmut Newton.



Veruschka, servizio fotografico per Vogue, ottobre 1966

Foto di Helmut Newton


Sono loro a mettere insieme un immaginario che, più di ogni altro, tratteggerà la silhouette, le pose e gli atteggiamenti delle top per come le concepiamo oggi. Complici sono Yves Saint Laurent -cosa sarebbe della sahariana senza Veruschka?-, Marc Bohan per Dior, Emilio Pucci, i couturier della Space Age e gli irriverenti della Swinging London. Pur negandosi alle passerelle perché non ama essere considerata una mannequin, non conosce rivali, si dice guadagni diecimila dollari al giorno; torna a New York e Diana Vreeland la accoglie con entusiasmo: è lei la donna ideale del suo Vogue, evanescente, misteriosa, trasformista, con un’anima che buca l’obiettivo. Le incomprensioni arrivano dopo, quando alla direzione della rivista entra Grace Mirabella, le cui visioni sono all’opposto di chi l’ha preceduta. Bisognava parlare di verità, di società e di pragmatismo, "MI voleva borghese, ordinaria, non lo sono mai stata, non potrò mai esserlo": siamo nel 1975 e Veruschka abbandona la moda. Sulla scena invece resta ancora a lungo, fino al presente.



Veruschka, involucro di Giorgio di Sant' Angelo, New York, marzo 1972

Foto di Richard Avedon


Proprio con Rubatelli e poi con Peter Beard, in Africa, si dedica a progetti artistici che sono un cross tra la performance e il body painting estetizzati per un glamour che non riusciamo a smettere di imitare. Tra le sue frequentazioni di quel periodo c’è, immancabile, Salvador Dalì, che con lei sembra dar maggiore sfogo al flusso creativo tra pensiero e azione; da tutte le foto in cui sono insieme, emerge un’intesa che va oltre quella tra musa e maestro, sì legge la sincerità di quell’amicizia che nasce solo tra sodali.



Giorgio di Sant'Angelo, Veruschka e Ara Gallant
Abito di Giorgio di Sant' Angelo, capelli e trucco di Ara Gallant,
New York, 7 dicembre 1973

Foto di Richard Avedon


Quando decide di darsi di nuovo alla moda siamo già nei Novanta. È lei a scegliere e l’avantgarde è inevitabilmente il suo territorio. Ritrova Paco Rabanne, incontra Helmut Lang, si concede addirittura per qualche sfilata. Indimenticabile il suo cameo, all’alba degli ottant’anni, in James Bond Casino Royale. Più di recente ha posato per Acne Studios, confermandosi come icona per un’altra generazione di creativi. Quell’affermazione di Avedon che la incoronava "la donna più bella del mondo", così, ha tutta un’altra profondità, perché supera la nozione temporale per proiettarla in quell’élite dell’immaginazione collettiva che va per estremi, per punti fissi, di cui fanno parte pochissime, mitiche, figure. (Mar L8v)



Veruschka, servizio fotografico per Vogue, gennaio 1968

Foto di Franco Rubartelli

 
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