NIETZSCHE E LOU SALOMÉ - UN AMORE SFIORATO, L'amore impossibile fra il filosofo e la giovane scrittrice

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view post Posted on 23/6/2023, 12:47     +11   +1   -1
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“Toccarla. Toccarla.
Sentire che lei esiste accanto a te,
come qualcosa di inevitabile”



L'AMORE SFIORATO TRA
NIETZSCHE E LOU VON SALOMÉ


Orta San Giulio, piccolo borgo piemontese in provincia di Novara, è l’iconostasi del suo omonimo lago, un affresco di case e palazzotti variopinti che digradano verso l’acqua da una docile collina. Dall’alto, pare un’infiorescenza nei boschi, mentre dal suo interno, si presenta come un meandro di angiporti dai quali deflagrano scorci inenarrabili. Il vicolo principale, un calvario di ciottoli sconnessi (vietato, dunque, l’uso di qualsiasi tacco, tacchetto, zeppa, soprattutto stiletto), confluisce verso la piazza Motta, vero e proprio salotto novecentesco sul lago. E poi, a quattrocento metri dalla riva, la chicca, rara come il diamante rosso: un’isoletta che pare un drago pietrificato adagiato sulle acque e che ospita un’abbazia benedettina di monache di clausura. Inutile dire che a Orta si respira l’incantesimo. Lì tutto può accadere. Persino che uno dei più radicali e importanti filosofi di sempre, l’impenetrabile Friedrich Wilhelm Nietzsche, si consumi vagheggiando un amore con la bella Lou Von Salomé, spirito eletto e libero che – com’è noto – oltre a Nietzsche, stregò anche Rainer Maria Rilke e Sigmund Freud.



Hofatelier Elvira
Lou Andreas-Salomé
1897 circa
Con timbro a secco dell'Atelier Elvira


Chi ci narra questa storia dal fascino claustrale è Laura Pariani, prolifica ed eclettica autrice, tradotta in varie lingue, la quale, forse non a caso, ha eletto a dimora proprio Orta San Giulio. Il libro La foto di Orta. L’amore impossibile di Nietzsche e Lou Salomé, edito nel 2001 da Rizzoli e nel 2017 da Interlinea, è uno scrigno di esemplarità narrative e stilistiche. Nel 2001, su Il Messaggero, è stato definito da Renato Minore un affascinante romanzo congetturale a strati. Pariani, infatti, tra ricostruzione storica e fantasia, prova a immaginare patemi, gioie e rimpianti del filosofo nei suoi ultimi anni di vita, dando voce all’amore mai smarrito per la luminosa e irrequieta Lou. Quello dell’autrice è uno sguardo compassionevole e abissale che si intrufola, garbato, nell’animo di Nietzsche, al quale l’autrice stessa si rivolge con un Tu commosso e commovente che avvicina il suo spirito a quello del filosofo, sino a farli quasi combaciare in un vertiginoso volo atemporale. E poiché a Orta il tempo non esiste, come non esiste nella mente lacerata del professore, la narrazione, pur debuttando in analessi, non segue un percorso cronologico lineare, ma dà vita a una disordinata successione temporale di eventi.


In incipit, incontriamo Nietzsche che è ormai alla fine dei suoi giorni, coagulato nei suoi mali, smarrito nell’oscurità della mente, dedito al deliquio e al balbettio, ma soprattutto in balìa della sorella, che ne mortifica i rari barlumi di vita come fossero il canto del cigno di un folle; unico sollievo ai quotidiani tormenti è l’abbandono alle reminiscenze che lo conducono, appunto, al lago d’Orta, testimone del suo tormentato amore per la giovane russa. I ricordi, tuttavia, non affiorano ordinati, e, nell’avvicendarsi dei capitoli, non tornano immediatamente ai luoghi piemontesi, ma si soffermano in altre località visitate dal professore (Roma, Venezia, Nizza, Rapallo etc.) negli anni successivi; luoghi in cui egli ha portato con sé una fotografia scattata con Lou a Orta, ritrovando, ogni volta, echi evocativi di quei giorni. Gli eventi si intrecciano, così, con ritmo incalzante, in una narrazione frammentata che riproduce le allucinazioni del filosofo prossimo alla fine e interpone voci narranti e punti di vista diversi, sui quali domina la voce della stessa autrice.

“Eco di frasi da camminarci dentro, come nel fitto
di una foresta di storie. Ché scrivere la vicenda di altri
è quasi come raccontare un sogno: non
invento, ricostruisco, intuisco tutt’al più; passo le
dita compassionevoli delle parole sulla fragile
trama degli avvenimenti a cui le fotografie
alludono, sui loro sfilacciamenti, nell’acuto
bisogno che ogni buco del rompicapo accolga il
pezzo mancante con la sfumatura giusta – il
coltello di un’occhiata, un guantino abbandonato su
una consolle – fino al completarsi di un quadro.”






Jules Bonnet
Lou Salomé, Paul Ree e Friedrich Nietzsche
1882


Ed ecco il quadro, appunto.Maggio 1882: Lou von Salomé sbarca a Orta con la madre, il professor Nietzsche e il filosofo Paul Rée, anch’egli soggiogato dalla malìa della giovane russa. Il professore ha più di quarant’anni, le tempie incanutite, convive con terribili emicranie, mal d’occhi, angosce, e un’indomita ritrosia alle relazioni, che è probabile retaggio delle sudditanze infantili alla madre, alla governante, ma soprattutto alla sorella Elisabeth; quest’ultima, maligna perbenista con il vezzo della manipolazione, smania e trama affinché Lou si allontani dal fratello, infamandone senza requie la reputazione. D’altronde, la fanciulla, antesignana di un femminismo non contaminato dal disprezzo per l’uomo, si sollazza a fare la morale in lacerti, tanto che ha da poco concepito, insieme a Rée, l’idea di un marriage à trois, includendovi anche Nietzsche. Ed è in questa inusitata cornice che la triade Salomé, Nietzsche, Rée si ritrova a viaggiare per l’Italia, soggiornando qualche tempo anche a Orta San Giulio. In quel luogo, che è una bolla sospesa nel nulla, il professore pare trasfigurato da un sogno di felicità e persuaso a tradire la solitudine in cui, errando, vive da sempre. Il lago, in quei giorni, è un sortilegio di luci, sincrasi di mare e palude, un’altalena di sembianze spinta dai venti. La mattina, nella piazza anfiteatro, il silenzio agguanta e la rosea luce dell’alba è la sola compagna di passeggiata. L’amore, naturalmente, è indefettibile corollario dei luoghi. E Nietzsche, a Orta, è innamorato di Lou. Lei, invece, di lui ama lo scandaglio, la mente capace di attraversare millenni facendo polvere di convincimenti e di tradizioni, il vomere che recide le radici dell’uomo. Non pare interessarle, invece, l’uomo tormentato e maldestro che tenta di incenerire le sue repressioni. Ma in fin dei conti, Lou è creatura inquieta e sibillina, sicché, dopo aver condiviso una serata coi compagni di viaggio in un ristorante affacciato sul lago, prima di congedarsi, lascia scivolare nelle mani del professore un biglietto in cui gli dà appuntamento per l’indomani in cima al Sacro Monte, con la promessa di passare del tempo finalmente soli. È un invito dal sentore insidioso, la promessa del precipizio, la miccia, infine, che accende la lunga notte del lago, in cui Nietzsche, in un tempo sospeso fra desiderio e angoscia, spudorata autoanalisi e vergogna, attende, in affanno, l’alba nuova e con essa il coraggio di abbrancare l’occasione di una felicità mai raggiunta prima. E l’alba giunge, infine, illuminando i colori stemperati della piazza, dalla quale Nietzsche e Lou saliranno per raggiungere, in cima al promontorio boscoso, il Sacro Monte, un complesso di ventuno cappelle dedicate a San Francesco d’Assisi.

“La Motta è un lungo e ripido sagrato in salita, tra
palazzi nobiliari… [OMISSIS] Non parlate più.
Non ne senti neppure il bisogno; ti fa bene
camminare così con lei, in questa gran quiete.
Segui il fruscìo del suo leggero vestito di seta
grigia, bottonato dietro, ampio intorno
all’ondeggiare dei fianchi; ti colpisce il fascino
erotico che emana irresistibilmente dal suo corpo
sottile. Quel suo giacchino violetto, colore della
solitudine, della sofferenza interiore, delle facce
asfissiate. Che strani pensieri ti frullano nella
testa. Con ansia speri che Lou si volti verso di te,
per poter guardare di nuovo i suoi occhi.
Contempli la sciarpa di pizzo grigio che ieri sera
le hai sottratto di nascosto e poi, nel chiuso della
tua stanza, hai mordicchiato ferocemente, baciato
con tenerezza, collocato sul ventre nudo tra
convulsioni e spasimi; a soddisfare per un
momento la tua cagna sensualità, in una
fiammata di imminenza e di fuoco e di
desolazione, lasciando che tutti i sensi si
dilatassero, finché non ti è rimasto sulla
lingua che un sottile gusto di sale”.






Ritratto di Friedrich Nietzsche, 1882
L'originale soprastante fa parte di una serie di 5 fotografie di profilo


I due viandanti s’inerpicano silenziosamente, raggiungono un cimitero; le lapidi sono i pensieri stessi di Nietzsche, l’oscura intuizione del dopo: cosa si sogna, come si vive dopo, egli si domanda, mentre a intermittenza una patina di tristezza gli vela il cuore, forse per colpa di quella luce così trasparente, forse per i cupi profili delle montagne, o forse perché non trova il coraggio di chiedere a Lou di far parte della sua vita per sempre, conscio che quella sarà l’ultima insperata occasione per farlo. Ed ecco che il giro delle cappelle comincia, mentre il cielo d’improvviso s’incupisce, come uno sguardo non corrisposto, un saluto mancato; ma Lou ne conserva bagliori nelle risate che solleticano la gola e in quel suo muoversi al vento come in controcanto, lasciandosi poi cadere su una panchina in posa disinvolta, demone dello scandalo. Al cospetto della giovane, della sua spregiudicatezza intransigente, i pensieri di Nietzsche si affastellano, scenari infausti si alternano nella sua mente a balenii di eccitazione, al desiderio di conquistare, con l’amata, l’epicureo giardino del benessere eterno, la salvezza oltre l’Oscuro eracliteo.

Prosegue così il pellegrinaggio fra le cappelle, insieme a una folla di popolani che berciano instupiditi al cospetto del sacro, e nel libro si avvicendano capitoli in cui ritroviamo Nietzsche sul Sacro Monte, e poi in viaggio, anni dopo, sempre con la fotografia di Lou nel taccuino, a rievocare, nostalgico, i giorni al lago e quella escursione fatale, a ripensare all’infanzia repressa, a riflettere sull’oscurità del mondo e sulla condanna alla solitudine. L’intersecarsi coerente delle narrazioni, fra salti temporali e geografici, incide scene di lirica e commovente bellezza, inframmezzate da passaggi di sofisticato umorismo, i quali sono innescati, fra l’altro, dal sapiente utilizzo di neologismi e idiomi regionali fra i più disparati.



Lou von Salomé, 1897


Lou, durante quella passeggiata, è deliziosa e la vita pare finalmente soave al professore, come mai prima di allora, come la danza che lei compie al suo cospetto, camminando sull’erba a piedi nudi, il volto estatico dell’infanzia. Ed è in quel frangente che viene scattata l’inobliabile fotografia che seguirà Nietzsche sino alla fine, nei pellegrinaggi, nelle camere d’albergo, e nella stanza a Weimar dove passerà gli ultimi giorni nel vilipendio del dolore e della follia. Quello scatto li obbliga a un avvicinamento, a stringersi, a sfiorarsi, e allora tutto d’improvviso trasfigura e l’idillio diventa una possibilità.

“Ma d’un tratto una paura ti gonfia la bocca come
un vomito di sangue; sentendotela battere contro
i denti, cerchi di inghiottirla – oddio, oddio, Lou
è senza stivaletti: cosa diranno sua madre e Paul
quando domani quest’uomo ci recapiterà la foto in
albergo? – però la ricacci giù, ti imponi un
sorriso di vento diventato prato fiorito e raggi di
luce tra gli agrifogli verdeggianti. Toccarla.
Toccarla. Sentire che lei esiste accanto a te, come
qualcosa di assolutamente inevitabile, presente,
qui con te, con questo pomeriggio di meraviglie
che sta accadendo e deve ancora accadere”.


Ancora qualche affresco da contemplare, brani di conversazioni che sfiniscono nel silenzio, passi rimbombanti e il vestito di seta che fruscia; i pensieri sono un fiotto, talvolta incontrollabile, e il professore sente vacillare le intenzioni. È stanco della camminata, degli affreschi, delle statue, dell’odore di fiori appassiti che impregna le cappelle, e del Santo che tutto ha amato, lo schifo e la sofferenza di tutti. È stanco di un’attesa che brilla di disincanto, perché in fondo lui è un vecchio professore già in pensione e lei una irrequieta giovane anima che non potrà mai lasciarsi amalgamare nella sintonia perfetta. Allora, il coraggio viene meno, tornano i tremori alle mani, e negli abiti si insinua un vento sibillino, indizio di un temporale che, infine, sopraggiunge dal lago. Nietzsche e Lou sono costretti ad aspettare che spiova, e quella prossimità nella folla, il buio improvviso, illuminato soltanto dai fiammiferi, innescano il gesto immaginato così tante volte e altrettante ripudiato: è l’attimo del bacio, la mano guantata che si ritrae, poi il tentativo estremo, una maldestra e titubante proposta di matrimonio. Infine, il rifiuto stentoreo di Lou, la sua fuga fra le nuvole che offuscano il monte sacro, giù per il pendio, mentre l’idillio è già nostalgia.

Come muore un amore sfiorato? Forse soltanto nell’insanabile appassire dei ricordi. E i ricordi di Nietzsche, alla fine, fra oppio e idrato di cloralio, nel decadimento fisico e nella follia, illanguidiscono in una solitudine cancerosa terminale.

“Non è più vivo quest’uomo. O meglio, respira
ancora, squittisce garbugli di parole battendo le
mascelle con quel verso umido che fanno le
gengive molli e parzialmente sdentate;
mangiucchia, anche se sempre di meno. A volte si
riscuote dalla sua apatia per scalmanarsi in insulti
canaglieschi, proprio da squilibrato…”






Friedrich Nietzsche. Fotografia della serie "Der kranke Nietzsche" di Hans Olde,1899. Originale dell'Archivio Goethe e Schiller di Weimar


Ma è una solitudine imperfetta quella del fine vita, poiché accanto al filosofo c’è ancora e sempre l’implacabile, distruttiva Elisabeth, che non tollera le sue grida improvvise, il fetore della stanza, le bave, i sussulti, il farfugliare delle mascelle sgangherate; Elisabeth, che vorrebbe fosse già morto, che, senza esitazione, straccia davanti ai suoi occhi atterriti la foto di Orta con Lou, per umiliare lui e debellare, definitivamente, la giovane depravata. Tuttavia, nemmeno quel gesto di apicale acrimonia e meschinità riesce ad annientare il ricordo dell’amata, e dunque l’amore in sé, poiché il Nietzsche non ha dimenticato l’istante ritratto al Sacro Monte, lo cerca, lo implora, e quel ritratto vive nei precordi, come l’amore per Lou, vive nel calco vizzo della sua mente frenetica e accanita.

Tuttavia, come sostiene Pariani, “chi scrive non può cambiare a piacimento il finale di una storia”. E la fine, quel morire presto che Sileno, ne La nascita della tragedia, identificava come il miglior destino dopo quello di non esser mai nati, la fine arriva anche per Nietzsche e tutti gli sforzi compiuti per conservare l’effimero Eden del lago si smorzano adagio nell’oblio eterno. La sola possibilità di resurrezione è, naturalmente, la parola, la quale, narrando, ravviva l’ultima favilla accesa, il solo atomo di luce risparmiato dalla voracità della notte perenne. Ed è proprio la parola ad aver permesso all’amore del filosofo per Lou di rivivere nel sublime racconto di Laura Pariani, che altro non è se non il tentativo estremo di un colloquio oltre il tempo, nei dintorni dell’anima.


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