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La capra
(Umberto Saba)
Ho parlato a una capra Era sola sul prato, era legata. Sazia d’erba, bagnata alla pioggia, belava. Quell’uguale belato era fraterno al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perchè il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria. In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita.
Marc Chagall Composizione con cerchi e capra (Composition with Circles and Goat) (Teatro d’arte ebraica), 1920 olio su cartone posato su legno agglomerato 38,1 x 49,5 cm. Collezione Privata “La capra” racconta il dialogo intimo, sincero, dell’autore con l’animale. Pubblicato per la prima volta nel 1912 nella raccolta “Coi miei occhi”, dal 1921 entrò a far parte della sezione “Casa e campagna”, de “Il canzoniere”, che comprende le liriche di Umberto Saba composte tra 1909 e 1910, In pochi versi dal ritmo lento e solenne Saba esprime la condizione universale del dolore e dell’angoscia della vita. Il componimento in endecasillabi e settenari è strutturato su tre strofe irregolari e si chiude con un quinario.
Nella prima strofa di quattro versi con una descrizione ridotta all’essenziale il poeta presenta la situazione: egli incontra una capra, legata, sazia e bagnata dalla pioggia, che bela. La poesia si apre con una affermazione che appare priva di senso: come è possibile infatti parlare con una capra? Il discorso successivo è rivolto proprio ad annullare questa incongruenza logica, trovando l’elemento capace di accumunare quei due termini apparentemente così lontani, il poeta e l’umile animale.
La capra “sazia d’erba e bagnata dalla pioggia” si lamenta belando in un prato, e in quel monotono verso d’animale, il poeta riconosce la voce del dolore simile al suo (“Quell’uguale belato era fraterno | al mio dolore”) e a quello di tanti altri uomini. Viene così posta una comunanza della condizione esistenziale delle creature: il dolore infatti, afferma il poeta, è “eterno”, è il destino comune di tutti coloro che si affannano sulla terra. Diventa così comprensibile l’aggettivo “fraterno”, che collega il belato della capra al pianto dell’uomo.
Ciò che conta per il poeta è l’identica dignità del dolore di tutte le creature viventi che, sotto le più diverse forme, lamentano i propri mali. La presenza di questo legame universale, fondato sulla sofferenza, è resa evidente nella poesia dai numerosi enjambement, che collegano tra loro i versi: bagnata/dalla pioggia; fraterno/al mio dolore; prima/per celia; sentiva/gemere. Di questi enjambement ben tre si appoggiano ad un elemento che indica disagio o dolore (pioggia, dolore, gemere). I versi conclusivi della poesia, operando un’ulteriore umanizzazione dell’animale attraverso l’espressione “dal viso semita”, completano l’armonia interna del componimento, e giustificano l’apertura iniziale “ho parlato con una capra” in una fraterna partecipazione alle pene di tutte le creature viventi. Dunque anche chi non dovrebbe soffrire, in realtà è lacerato dal dolore. L’afflizione non è prerogativa della ragione umana, ma è insita nel destino di tutte le cose.
All’animale è attribuito un “viso semita”: potrebbe sembrare che Saba riprenda lo stereotipo per cui gli ebrei hanno tratti somatici ben riconoscibili, ma in realtà quest’espressione è più un riferimento alla memoria delle proprie origini (Saba era di origine ebraica per parte materna) e ai trascorsi di sofferenza e persecuzione del popolo ebraico. Quel dialogo dunque si risolve in un soliloquio, un monologo del poeta con se stesso.
Il lessico del componimento è colloquiale e quotidiano, anche se presenta alcuni termini colti e letterati, come “celia”, “querelarsi” e l’uso della forma arcaica dell’imperfetto di prima persona singolare (“sentiva” invece di sentivo). La struttura della poesia è discorsiva e paratattica e prevale la coordinazione, ma presenta, anche in questo caso, scelte stilistiche arcaizzanti, come l’inversione al verso 9 del complemento oggetto, che precede, così, il verbo (“questa voce sentiva”); sistemazione sintattica atta a sottolineare e mettere in evidenza la parola “voce”.
Figure retoriche Varie sono le figure retoriche presenti nella poesia. Nei vv. 5-6 è ravvisabile una similitudine sottintesa (fraterno / al mio dolore; fraterno in questo caso sta per simile, affine; Saba fa quindi una similitudine fra il suo dolore e quello dell’animale). Al v. 7 si può notare un’iperbole (il dolore è eterno); il il v. 11 è una metafora (in una capra dal viso semita). Numerose sono le assonanze (vv. 1-2, capra/legata; vv. 3-4, bagnata/belava; vv. 6-9, prima/sentiva, vv. 11-12, semita/sentiva) così come numerosi sono gli enjambement (vv. 3-4; 5-6; 6-7; 9-10; 11-12).
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