TIME OF MY MIND - Storia del capolavoro di Bob Dylan, In attesa di "Fragments" il 25esimo dell'album di Dylan

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view post Posted on 25/1/2023, 11:03     +4   +1   -1
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TIME OF MY MIND
MORTE E RINASCITA DI BOB DYLAN NEGLI ANNI '90




In attesa di "Fragments", la storia del capolavoro, uscito nel '97





Bob Dylan è nato, morto, rinato, molte volte nella sua lunga vita. E ogni volta la sua morte e la sua rinascita hanno significato qualcosa, per qualcuno o per molti. La morte degli anni '90 fu profetica per almeno per un paio di motivi non piccoli, il primo fra tutti il rapporto con la tecnologia e lo studio di registrazione, il secondo quello della fine della ‘forma canzone’ come Dylan stesso l’aveva intesa e vissuta, scavalcata dall’avvento dell’hip hop come lingua musicale nuova e rilevante. Ovviamente storico era il momento: il rock, in generale, attorno al 1990 non viveva in buone condizioni di salute. Prima dell'esplosione del grunge qualcosa di interessante ovviamente, in termini discografici, catturava motivatamente l’attenzione, il rock indipendente e alternativo americano scaldava l’atmosfera, Pixies, Sonic Youth, Nine Inch Nails, Soundgarden, Jane’s Addiction, tanto rap, l’Inghilterra elettronica e quella di Manchester, Paul Simon e Neil Young… citando alla rinfusa.

Sotto un cielo rosso

Ma per chi volesse ascoltare storie davvero rilevanti c’era obbiettivamente poco da fare. Dopo "Oh mercy", prima collaborazione con Daniel Lanois, Bob Dylan raschiò il fondo del barile, realizzò un risibile “Under the Red Sky” con l’improbabile aiuto di Don Was. Poi capì che per lui non c’era più niente da raccontare, decise di chiudere bottega, dopo un decennio in cui tra cambiamenti, altre morti e altre rinascite, aveva realizzato ben sette album in dieci anni. Niente canzoni nuove fino al 1997, quando uscì “Time out of mind” - nuovo frutto della (anche conflittuale) collaborazione con Daniel Lanois. Nel frattempo, ovviamente, il rock in generale aveva fatto scorrere lacrime e sangue di passione elettrica, da Seattle al Brit-pop, l’ultima grande fiammata del secolo. Mel 1996, quando Dylan decise di rinascere e di rimettersi a scrivere nuova musica, la situazione era davvero cambiata, il pubblico era diverso, i suoni erano diversi, la tecnologia soprattutto in studio di registrazione, con il trionfo del CD che stava portando alla scomparsa del vinile, era cambiata e stava diventando sempre più centrale nella realizzazione del suono di un album. Tecnologia che lui sembrava voler rifiutare, andando in direzione contraria con i due album che realizzò nel 1992 e nel 1993, due dischi di cover folk e blues totalmente acustiche (cosa che non faceva sostanzialmente dalla metà degli anni Sessanta, da quando aveva ‘attaccato la spina’), scelta che confermò anche con l’MTV Unplugged del 1994, che non era esattamente acustico ma totalmente orientato al passato.


Il risveglio (e il ritorno con Daniel Lanois)

Quando si ‘risveglia’ dal sonno creativo e inizia nel 1996 a scrivere finalmente nuovi brani, il ‘nulla’ di “Under the Red Sky” è scomparso. E’ anche accaduto qualcosa che lo ha, non sapremmo dire in quale misura, scosso: la morte di Jerry Garcia, al cui funerale partecipa. Quando torna nella sua fattoria in Minnesota riprende in mano carta, penna, chitarra, e ricomincia a scrivere e a provare. Quando crede di aver scritto tutto quello che serve richiama Daniel Lanois, per mettere le mani sulla ‘tecnologia’ e sul suono. Con lui aveva già lavorato a “Oh Mercy” e nel frattempo il produttore aveva firmato due altri capolavori come “Achtung Baby” degli U2 e “Us” di Peter Gabriel. Dylan convoca Lanois in un albergo a New York, gli legge i testi delle canzoni, forse gli accenna qualcosa delle musiche, gli chiede se tutto questo è secondo lui un album finito e Lanois gli risponde di si.

E il lavoro inizia, al Criteria Studio di Miami...

Registrazioni che, come hanno sottolineato in molti parlando dell’album e del lavoro di Lanois, sono tra le più ‘sofisticate’, tecnologicamente caricate, dell’intera produzione di Dylan. La ‘rinascita’ insomma, è completa, perché non solo Dylan scrive in maniera diretta e potente di disperazione, amore e morte, di tristezza e abbandono, ma trasforma le sue parole in musica usando la tecnologia per dare corpo a sentimenti che altrimenti non sarebbero venuti alla luce. Prova e riprova, discute e ragiona con Lanois, lo fa, come testimonia Lanois in molte interviste, persino nel parcheggio dello studio, cercando di trovare un ‘centro’ sonoro che permetta all’album di essere completametne contemporaneo e quindi completamente comprensibile per chi ascolta. Non più un album del vecchio Dylan, che si diletta con le cover, che suona dal vivo per un pubblico di nostalgici del bel tempo che fu, ma un Dylan che, con l’aiuto di Lanois, gioca a fare il ‘raccoglitore’, a prendere ispirazione da ogni cosa che ama, in termini di suono (mette nelle mani di Lanois i dischi di Charley Patton, Little Willy John, Little Walter, per farlo studiare e capire) per ricercare un passato irreale, ‘post-modernamente’, in una condizione tecnologica nuova.



ASCOLTA L'ALBUM


Un "nuovo vecchio" suono

Visto che il suono del passato non si può più avere, che quel calore, quel fuoco, quell’immediatezza non sono ottenibili, tanto vale rifondarlo quel suono, anzi creare un ‘nuovo suono vecchio’, che è irreale, fantastico, misterioso e inafferrabile. Ed è quello che fa, creando un sound che viene ‘dalla notte dei tempi’, come dice il titolo stesso dell’album. Il lavoro è certosino, ci vogliono circa sei mesi di ripensamenti, riscritture, missaggi diversi, sovraincisioni, un esercito di sessionman tra i migliori di Nashville, ma anche il cervello musicale di Jim Dickinson, il verbo ritmico di Jim Keltner e un paio di amici di Lanois, per produrre un album che, nella visione di Dylan, doveva avere il feeling degli album degli anni ’50 ma alla fine del Novecento. Il risultato sono undici canzoni con le quali Dylan rinasce di nuovo, visionario e doloroso, con un album che parla di dolore, morte, abbandono, disillusione, poche speranze e poco amore, e la verità, nient’altro che la verità, sulla vita.

La malattia

E per aggiungere un elemento drammatico a tutto questo c’è anche il rischio della morte vera, che Dylan corre quattro mesi prima dell’uscita del disco, pochi giorni dopo la celebrazione del suo cinquantaseiesimo compleanno. Viene ricoverato in ospedale per dolori che assomigliano a quelli di un infarto. Invece è un ‘istoplasmosi polmonare’ una pericolosa infezione dovuta ad animali, che infiamma l’area attorno al cuore e lo porta, davvero, vicino alla morte. Ma la rinascita è completa, simbolicamente e fisicamente: Dylan torna in circolazione in tempo per l’uscita dell’album e anche per la storica esibizione davanti a Giovanni Paolo II, oltre che per vincere, con “Time out of mind”, tre Grammy. E dare inizio a una ennesima nuova vita.

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