ANNIE VIVANTI - La Circe che stregò l'orco Carducci, Breve storia di Annie Vivanti, una Circe ottocentesca

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view post Posted on 8/12/2022, 21:06     +4   +1   -1
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"Batto alla chiusa imposta con un ramicello di fiori
Glauchi ed azzurri come i tuoi occhi, o Annie"


Giosuè Carducci
(Epitaffio sulla tomba di Annie Vivanti)




“SONO DONNA VOGLIO VEDERVI”.
Breve storia di Annie Vivanti, una Circe ottocentesca




La poetessa che incantò Carducci




Divorò il cuore dei salotti letterari. E quello di Giosuè Carducci. Fasciata da chanteuse, dama cosmopolita e spregiudicata, Annie Vivanti cantò liriche ambizioni frammiste a errabonde virtù. Lui ne amò la mancanza di forma. E di formazione. Equipaggiata di scarna preparazione letteraria, Annie invase la dimora bolognese del poeta il 5 dicembre 1889, dopo una breve missiva di presentazione.

"…Sono donna, ho vent’anni, e vengo da lontano
assai onde vederVi. Non sono italiana, ma
profonda ammiratrice del Vostro linguaggio e di Voi,
il più forte dei suoi poeti. Sventura vuole ch’io scriva versi…".


Ha in mano le Odi Barbare acquistate solo un quarto d’ora prima, nell’altra il manoscritto delle sue poesie. Obiettivo dell’incontro è ottenere “una prefazione del Carducci”. Realizzare l’irrealizzabile suggerito dall’editore Treves per scrollarsi di dosso le istanze di pubblicazione della giovane donna. Ma vanità e tenacia, di Annie costituiscono la spina dorsale. Dopo meno di due anni, l’editore milanese che ne aveva demolito gli scritti ma non gli entusiasmi darà alle stampe Lirica, il volumetto di poesie di un’eccentrica sciantosa introdotto dal più grande poeta italiano...

Possederlo diviene puro capriccio...



New York, Parigi, Londra, Roma, Chicago, Napoli, il nome di Annie Vivanti rimbalza dalle cronache letterarie a quelle scandalistiche. Sconvenienti affair di mondana nobiltà si tramutano in livorose stroncature sulla stampa; qualcuno ne contrappone l’opera a quella di Amalia Guglieminetti; poi le scommesse su Heine, Praga, Stecchetti, si punta a cogliere chi l’abbia ispirata.

La scrittura di Annie è puro orpello, seduce con insolito esotismo, il più lirico fraseggio italiano si mescola al severo rigore del linguaggio britannico, la germanica drammaticità viene addolcita da espressioni di foggia francese. È una scrittura vagabonda, specchio della sua anima. Che ricompare oggi – come di ritorno da uno dei suoi innumerabili peregrinaggi – con "Il fascino delle solitudini" (readerforblind, 2022), un omaggio alla prosa breve, architettura narrativa in cui la Vivanti si destreggia con grazia, infilzando farfalle in punta di penna con sferzante umorismo.

"Io sono nata colla passione delle lontananze"

annuncia nel “Preludietto boemo” che apre il volume. Di raminga vocazione, Annie invoca Dio per chiedere un’unica grazia. Che per quanto lontano possano errare i suoi passi, vi sia sempre chi ne attenda il ritorno. E ad ogni suo ritorno c’è il marito John Chartes, avvocato e giornalista irlandese, la figlia Vivien, prodigiosa violinista – a dodici anni suona il violino alla Albert Hall di Londra, a quarantotto muore suicida. Ma soprattutto, presenza costante, l’amato Carducci.

"Annie, Ben tornata in Italia! Ma non ritornata nella mia memoria, dove tu abitasti perpetua signora"

le scrive il poeta, da Bologna, il 9 novembre 1897 (il carteggio fra i due è pubblicato nel volume Addio caro Orco, Feltrinelli 2004).




Circe ottocentesca, la Vivanti lo ha trasformato in bestia, il poeta assume progressivamente fattezze orsine – "Qui tutti ricordano te, i luoghi, le persone, le bestie; e tra queste io sopra tutte" – lei affettuosamente lo appella Orco, ne ricorda “la barba grigia, il cipiglio, il cappello alla Buffalo Bill, la bocca ostinata che stona con la serenità dello sguardo”. Lui le legge Orazio e Shelley – “Oh ignorante” – e in questa muliebre assenza di cultura dimora il riposo della sua ultima stagione.

Autrice polifonica – poesie, romanzi, racconti, novelle, commedie – e spirito apolide, Annie è di casa ovunque e in nessun luogo. Si destreggia fra cafés-concerts e gite sul Tamigi, garden party e ranch texani, lunch letterari e ricevimenti di gala.

Scrive di lei Matilde Serao, da Napoli, il 23 marzo 1891:

"Ho veduto la simpaticissima signorina Vivanti: e la rivedrò.
Mi piace tanto e spero di essere piaciuta anche a lei"





Durante il soggiorno partenopeo, vive bordata dal lusso, fra una casa in via Caracciolo e una suite all’Hotel Washington. Le cene a Posillipo sono regali, i cantori locali le dedicano musica e versi. Il consorte, intanto, la introduce a G.B. Shaw, affidando alle cure di quest’ultimo alcuni lavori di Annie per il teatro. L’irlandese, dopo un primo incontro, ne resta folgorato. Scriverà a John:

"[…] Sono andato subito a cercare la Signora
Chartres, ma temo di non esserle stato di grande
utilità, un po’ perché avendo lei un vantaggio di
dieci minuti su di me conosceva già più cose
di Londra di quanto io sia mai stato capace di
scoprire in vent’anni. […] Non sarei sorpreso di
ricevere un telegramma che mi chiedesse di
incontrarla alle tre e mezzo domani pomeriggio
al Polo Sud, e di portare assolutamente Sir Henry
Irving, la Duse, il direttore del Times, il manager
della Comédie Française e l’imperatore di Germania.
E probabilmente mi adopererei per rispettare
l’appuntamento con o senza di loro. Se le capita di
incontrarla, sia così gentile da descriverle la mia
disposizione d’animo nei suoi confronti"


Suo, con invidia, George Bernard Shaw


La società e il suo frivolo struggimento divengono soggetto privilegiato della sua opera. Conosce la vanità d’ogni cosa, Annie Vivanti, e non ha bisogno di ammantare disinibite note di costume di presunte profondità o intrinseche moralità. Le sue brevi prose restituiscono l’esistenza per ciò che è, come una donna vestita solo d’una parure di diamanti. Sa ammaliare col dettaglio. Il patetismo femminile di una spalla nuda, l’importanza di parlare solo quando non si ha nulla da dire, lo scintillio dell’argenteria, i boccoli arricciati da un parrucchiere americano.


Il suo romanzo più celebre – I Divoratori (1910) – lo scrive in inglese e per vanità lo ritraduce in italiano. Sei lunghi mesi prima di liberarsi di personaggi che la ossessionano come fantasmi diurni.

Dalla poesia gradualmente si allontana, ma senza mai perdere quel lirico temperamento che Carducci ebbe il privilegio d’intravedere “in certi occhi, del colore glauco cilestre d’una specie di giacinti, quali i poeti amano imaginare fossero gli occhi delle Nereidi…

Bologna, 19 febbraio 1890

Signorina,

Nel mio codice poetico c’è questo articolo: – Ai preti e alle donne è vietato far versi. – Per i preti no, ma per Lei l’ho abrogato.

La sua poesia, Signorina, è ciò che è (io non prendo dai critici la pretesa di imporre gli argomenti e il modo di trattarli), ma poesia è; quale dee quasi fatalmente prorompere da un temperamento di femmina lirico (caso rarissimo). E per la immediatezza della rappresentazione e per la verginità dell’espressione mi piace molto. Ciò che nel mestiere del verseggiare italiano dicesi con neologismo pedantesco la forma – un che di postumo al concetto, per lo più, un che di appiccicato, tra la posa e la smorfia, – a Lei manca. A Lei, la fisonomia dell’imagine, la tempera del colorito, la qualità della frase e l’andamento del verso vengono e spirano col movimento del fantasma e della passione che Le dan la poesia. Tutto ciò è sempre bene? Io so e Le dico che molte volte mi rapisce.

E Le bacio la mano.

Giosuè Carducci



Annie Vivanti
Lirica
Edited by Giosuè Carducci
Firenze: R. Bemporad e figlio, 1921

SAGGIO CRITICO DI GIOSUE CARDUCCI

 
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