MARGUERITE DURAS - L'amore insensato, Vivere con un omosessuale è impossibile, atroce

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“L’amore insensato”.
Marguerite Duras su omosessualità, incesto, passioni scandalose


Vivere con un omosessuale è impossibile, atroce.


È il 2 agosto del 1981 ed è trascorso solo un anno dal coup de foudre con Yann Andréa, quando Marguerite Duras si confessa, per epistolari lamenti, con l’amica e collaboratrice Michelle Porte. L’ingresso in scena di Yann Lemée – non ancora ribattezzato Andréa –, giovane studente di filosofia a Caen, risale infatti al 30 agosto di un anno prima, sul finire dell’estate, dopo un susseguirsi di giornate tramontate senza amore. Le aveva scritto per cinque anni, senza ottenere risposta. Invitato, infine, a incontrarla a Trouville, resterà al suo fianco per i successivi sedici, fino al 1996, anno della morte di lei, da cui riceverà come lascito il diritto morale delle sue opere, in veste di “esecutore letterario”.


L’estate del 1980 è il crocevia esistenziale e letterario della Duras. L’arrivo di Yann ne inaugura una nuova stagione narrativa. Giovane fauno di osservanza omosessuale, trentasei primavere in meno e bipolarismo congenito, Yann Andréa, con cui instaura una relazione appassionata e conflittuale, diventa per Marguerite l’amante, l’amico, il fratello. Lo plasma, come una creatura, pura argilla fra le mani, fondendolo con le figure che sono emblema della sua immaginazione.

Nelle opere durassiane irrompe quindi il mito della passione tragica. Il desiderio incestuoso tra un fratello e una sorella (Agatha), la passione scandalosa tra una giovane ragazza bianca e un cinese (L’amante) - clicca , l’amore invivibile tra una donna e un omosessuale (La Maladie de la mort, Occhi blu, capelli neri, Yann Andréa Steiner).

Nei giorni a Trouville divampa l’idillio, durante il ritorno alla realtà parigina, invece, i primi scricchiolii di coppia. Ne scrive, così, Marguerite:

Michèle Porte c/o Marie-Pierre Thiébaut.

Valaurie. Les Bouillons. 84 220 Gordes

Parigi, 2 agosto [19]81

"Cara Michelle,

vorrei riprendermi la stanza affittata a Marie-Pierre, mi serve per Yann. Non posso pagargli l’affitto con una caparra che sarebbe comunque molto più alta di quella di Mont-Tonnerre 10. Michelle, non posso fare altrimenti. Tendenzialmente, la cosa dovrebbe durare solo pochi mesi. Dopodiché, ovviamente, restituirò l’uso della stanza a Marie-Pierre. Se non mi separo da Yann finirò per morire molto più velocemente di quanto dovrei, e sarebbe un peccato. Potete lasciare lì tutte le vostre cose – è un uomo molto pulito e discreto, non preoccuparti. Digli solo come procurarsi la chiave. Io parto per New York, vorrei che tutto fosse sistemato prima del mio ritorno. Vi prego entrambe di capirmi: vivere con un omosessuale è impossibile, atroce – e al contempo affascinante – perché l’omosessualità è inconsapevole, è alterità, non conosce lei stessa il senso del termine, e nemmeno la sofferenza.

Non sarei voluta arrivare a tanto, ma ormai è tardi. Ti ringrazio di tutto, non ho altra scelta.

Con affetto,

Marguerite

Yann si trova in via Saint-Benoît 5, potete incontrarvi lì al suo risveglio, vale a dire dopo l’una. Vi supplico di comprendermi.
"

Le lettere inviate a Michelle Porte, dialogo ininterrotto durato trent’anni, dal 1966 al 1996 – pubblicate da Gallimard (2022) nel volume Lettres retrouvées - clicca – evocano l’intimità di Marguerite Duras alla maniera di un journal esteso tra i confini di una collaborazione artistica che sconfina in affettuosa complicità, ma sono anche diretta testimonianza del “laboratorio” letterario proprio di una scrittura che offusca i confini fra cinema e letteratura. Michelle dedicherà poi alla sua mentore le produzioni di Les Lieux de Marguerite Duras e Savannah Bay, c’est toi.



L'amante di Jean-Jacques Annaud theme - clicca e ascolta


Dalla sinuosa corrispondenza fra le due, affiorano la genesi delle opere della Duras e gli instabili equilibri familiari – i rapporti con il figlio Jean “Outa” Mascolo, l’ex marito Dionys e quelli altalenanti con Solange, nuova moglie di lui. Si leva il côté di relazioni della scrittrice, dall’amicizia con Sonia Orwell, ultima moglie di George – a cui dedica Il rapimento di Lol V. Stein –, con Edgar Morin e Luc Moullet, fino alle vacanze sulla costa ligure con Ginetta ed Elio Vittorini – cui è dedicato, invece, il romanzo Les chevaux de Tarquinia. Non mancano l’abisso, con le cure di disintossicazione a Neully Sur-Seine, i numerosi viaggi e i lunghi periodi trascorsi a Trouville, all’Hôtel des Roches Noires, luogo di nodale importanza.

Già meta dei soggiorni di Marcel Proust, che vi alloggiò regolarmente negli anni Venti – appartamento 111, primo piano – ed eternato nelle sfumature di Monet, che lo ritrasse nell’estate del 1870, l’Hôtel des Roches Noires – appartamento 107 – è lo spazio in cui emergono, come meduse dai fondali marini della Normandia, le trame di seducente vischiosità delle opere di Marguerite Duras.

Ed è nella sua hall deserta e senza tempo, in un giorno di bruma invernale, che l’autrice ambienta il suggestivo Agatha et les lectures illimitées (1981), storia di incestuosa passione tra un fratello e una sorella, forse emersi da un amore appena consumato sulle gelide rive del mare, o solo sotto forma di arrendevole struggimento.

Nelle sequenze di Agatha – a cui l’INA (Institut national de l’audiovisuel) revocò ogni forma di finanziamento per la scabrosità del tema –, di cui la Duras si fa voce narrante, è rappresentata con spinosa maestria la rarefazione del desiderio, come quanto di più simile alla morte vi sia in vita.

«L’amore insensato che provo per lui rimane per me un insondabile mistero. Non so perché lo amassi al punto di voler morire della sua morte»

Scriverà successivamente ne L’amante, rievocando il tema con lo choc provocato dall’improvvisa scomparsa del fratello – nella realtà, Paul Donnadieu, morto a causa di una malattia infettiva nel 1942, a Saigon, durante l’occupazione giapponese.

In Agatha, che è una sorta di epifenomeno dell’estate 1980, costui è interpretato dall’onnipresente Yann Andréa – mentre Bulle Ogier è Agatha, muta incarnazione della stessa Duras. Sul perché avesse scelto Yann per rappresentare il fratello amato da Agatha, Marguerite – in un’intervista riportata ne Le Livre dit. Entretiens de Duras film - clicca (Gallimard, “Les Cahiers de la NRF”, 2014) – risponde che senza il suo arrivo l’opera probabilmente non avrebbe mai visto la luce, in nitida coerenza con l’estetica durassiana, sempre sdoppiata nella fusione spazio-tempo e realtà-immaginazione. E nello stesso volume sono riportati i pensieri – sotto forma di interviste rilasciate a Yann o al figlio Outa – attorno ai suoi temi capitali, incesto, omosessualità, desiderio.


Credeva soprattutto nel proibito, Marguerite Duras, e nell’impossibilità di rappresentarlo....



Marguerite Duras e Yann Andréa



***

M.D. «Il cinema si fa d’inverno. Vale a dire durante l’assenza, l’assenza stessa del soggetto, l’evasione stessa dalle condizioni del soggetto, ovvero dal calore, dalla facilità del vivere, da una specie di vacanza dell’essere umano, dal suo gioco. Solo in inverno si può testimoniare la felicità del vivere. È in inverno – quando è impossibile, quasi impossibile, appunto, accedere a questa facilità –, che la si può testimoniare. […] Agatha non esisteva, la villa di Agatha non esisteva. Ed è ora, in pieno inverno, che la storia di una vacanza estiva tra un fratello e una sorella, che l’incesto – visto che è un film sull’incesto – si è dichiarato tale; solo ora, in pieno inverno, posso darne testimonianza. Si giunge così a una contraddizione essenziale, a un paradosso essenziale del cinema. È attraverso la mancanza che diciamo le cose, la mancanza di vivere, la mancanza di vedere. È per mancanza di luce che evochiamo la luce, per mancanza di vivere che evochiamo la vita, per mancanza di desiderio che evochiamo il desiderio, per mancanza d’amore che evochiamo l’amore; credo sia una regola assoluta».

***

M.D. «Posso dire qualcosa su Agatha. Posso dire di avere avuto un fratello morto durante la guerra per mancanza di cure mediche – aveva ventisette anni, forse ventotto, morì in pochi giorni – e che per me fu talmente straziante che desiderai morire. Volevo uccidermi. Volevo uccidermi perché mio fratello era morto, era sconvolgente. Ci ho pensato per molto tempo e ci penso ancora, e ci ho ripensato, nuovamente, la scorsa estate; e all’improvviso ho capito che questo giovane fratello era stato per me un amore molto… appassionato, immenso. […] Non sapevo che si potesse amare un fratello con passione, eppure è possibile».

M.D. [Su Agatha] «L’amore tra un fratello e una sorella, non è rappresentabile. Hanno le sembianze di una coppia normale, di cui si dice: “Guarda, si assomigliano, che strano…”. Si potrebbe pensare che si tratti di una coppia normale, un uomo e una donna, come ce ne sono ovunque, sempre. Ma invece è una coppia incestuosa e nulla può testimoniare l’incesto, tranne… […] Voglio dire, non ci sono prove dell’incesto, della natura dell’incesto, un bel nulla. Quindi non è rappresentabile; non c’era bisogno di rappresentarlo».

Y.A. Non c’è una contraddizione tra il fatto che non sia rappresentabile e il volerlo ridurre in una sequenza di immagini?

M.D. Sì, ma è tale contraddizione ad essere rappresentabile. Ciò che mostro al cinema è proprio questo paradosso – dico sempre paradosso al posto di contraddizione, forse non conosco bene la differenza –, è proprio questa impossibilità quella che porto sullo schermo. È questo che fa il mio cinema; è bizzarro, ma è così. Mostro ciò che non si può mostrare, è questo che mi interessa».

***

M.D. «Credo che nell’incesto ci sia tutto il desiderio, l’amore assoluto e che da qui fluisca tutto il resto. Che nella coppia, fra amanti, in quello che chiamano matrimonio – è una parola che io non uso mai –, ci sia forse una specie di tentativo di ritrovarlo. Un legame essenziale e insostituibile, come quello dell’incesto – inalienabile sarebbe il termine giusto – fra esseri dello stesso sangue. Solo fratelli e sorelle, e fratelli e fratelli, e sorelle e sorelle, hanno infatti lo stesso sangue. Non sono il marito e la moglie, non gli amanti, ad avere lo stesso sangue, ma solo i figli.

Y.A. Sì, ma non credi che la figura centrale dell’incesto, che è il proibito, sia proprio l’immagine dell’amore in quanto tale?

M.D. No… Perché oggi tutto tende a vietare il divieto. È un’epoca molto povera. E da quando non c’è più adulterio, non c’è più niente».

M.D. «Questo genere di povertà, di terribile impoverimento del desiderio, dell’amore, ecc., del sentimento in generale, viene dalla liberalizzazione – così si chiama – dei costumi. Ma come contrastarla? Ormai è stato stabilito, a partire da Marx, che il progresso coincide con questa forma di liberalismo, con questa liberalizzazione. Io provo pietà per tutta questa gioventù che non conosce più la passione, che vive in totale povertà d’amore e desiderio; la compatisco moltissimo. È estremamente ridotta nelle sue forze. Forse è un modo per morire, per avvicinarsi gradualmente alla morte».

***

M.D. «La consumazione del desiderio è comunque una questione secondaria. Quella principale, credo, sia il desiderio in quanto tale; il desiderio, anche il desiderio non vissuto. Il compimento del desiderio, in ogni caso, è una sorta di ritardo… sul desiderio stesso».


***

Y.A. «Quindi, che cos’è il desiderio? Si trova tra la nascita e la morte? È forse la morte stessa?

M.D. Nessuno sa cosa sia. È un impulso di forza ancestrale di cui non conosciamo la natura. Quando Kierkegaard, in Timore e tremore, parla dell’impulso di Abramo – che sta per uccidere, che riceve da Dio l’ordine di uccidere suo figlio e che, nella più totale cecità, nel buio assoluto, è pronto a farlo, si intravede la causa di questa ingiunzione –, penso sia la cosa più prossima a ciò che chiamiamo desiderio. Ma si tratterebbe, in tal caso, di una nozione che muore con la morte dell’umanità.

Y.A. Sì, ma allo stesso tempo, il desiderio è inevitabilmente colpito dalla mortalità, sei d’accordo?

M.D. No, assolutamente no. Il desiderio non ha natura mortale.

Y.A. Ma neanche natura immortale.

M.D. È di natura immortale, lo è eccome…Quando muore, diviene immortale. O muore in piena immortalità, o non è niente.

Y.A. Muore in piena immortalità?

M.D. In piena immortalità, sì. L’aspetto molto triste dell’omosessualità, ad esempio, è la mancanza di questa possibilità, di morire vivi.

Y.A. Non vedo bene il nesso…

M.D. Sì! Credo – opinione del tutto personale – che il desiderio sia uno scambio impossibile fra sessi diversi; tra sessi inconciliabili, quindi femminili e maschili. Che il desiderio, lo splendore del desiderio, la sua immensità, si manifesti tra sessi di natura diversa; e che la sua morte, la sua immensa limitatezza, dimori nell’omosessualità. […] L’omosessualità non esiste, è un modo per sostituire l’amore».

***

M.D. «Il punto in cui l’immaginazione raggiunge le sue vette, è nella differenza sessuale. È qui che non ci si può incontrare, tra uomo e donna. […] L’omosessualità è una relazione masturbatoria, non è altro che una relazione masturbatoria tra uomini. Mentre nell’eterosessualità si cerca di raggiungere l’impossibile. […] È masturbazione, l’omosessualità. Mentre l’eterosessualità è una specie di tentativo impossibile! È come voler raggiungere la dualità del desiderio. […] L’omosessuale, donna o uomo che sia, inoltre, è una soluzione. Mentre nell’eterosessualità non c’è soluzione. Uomo e donna sono assolutamente inconciliabili e l’impossibilità di questa conciliazione che ne rappresenta la grandezza, lo splendore, l’immensità».



Edited by Milea - 24/8/2022, 21:02
 
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Intervista a Marguerite Duras
“L’uomo è fatto per distruggere, per annientare il suo destino”


Per lo più ridotta a L’amante (1984), per lo più nella traduzione che ne diede, nel 1992, Jean-Jacques Annaud, l’Œuvres complètes - clicca di Marguerite Duras, in realtà, è pubblicata nella ‘Pléiade’ Gallimard, dal 2011 al 2014, in quattro tomi, da un paio di migliaia di pagine ciascuno. Si potrebbe pensare a una variazione verbale sul medesimo tema musicale – sguardo obliquo di Cassandra che fiocina. L’amore, la morte, in esodo umano.

L’amore insensato che provo per lui rimane per me un insondabile mistero. Non so perché lo amassi al punto di voler morire della sua morte. Ero lontana da lui da dieci anni quando è successo e pensavo a lui solo di rado. Come se lo amassi per sempre e niente di nuovo potesse succedere a questo amore. Avevo dimenticato la morte”. Di una fraternità allucinante racconta la donna un tempo ragazzina. L’Indocina non si sente nel liquefarsi esotico, ma in una nitidezza dello scritto.


Della Duras non va sottovalutato l’essere partigiana senza patria, in espatrio perfino dalle proprie antiche convinzioni. Vomitare vorticosamente sulla antica appartenenza politica; non distrarsi dalla dissipazione; la giovinezza defraudata. Un sentore di morte, più che di amore, nei suoi testi. “Ora so che da giovanissima, a diciotto, quindici anni, il mio viso era una premonizione del viso che mi sarebbe toccato poi, per il troppo bere, nell’età di mezzo della vita. L’alcool ha assunto le funzioni a cui Dio è mancato, inclusa quella di uccidermi, di uccidere”.

Leggo Fabula mistica di Michel de Certeau. Lo studioso, il gesuita, cita più volte, tra Dionigi l’Areopagita e Freud, Isaia e Henri de Lubac, proprio la Duras. “In India song la mendicante rimane invisibile. Senza nome e senza figura. Solo la sua ombra attraversa l’immagine mentre, lontano dalle altre voci, va e viene il suo canto di Savannakhet, innocente, interminabile. È la passante attraverso i testi di Marguerite Duras. Non parla. Fa parlare. Portando la fame dentro di sé, raggiunge la soglia delle cucine. ‘Magrezza di Calcutta durante questa notte grassa, se ne sta seduta tra i folli. La testa vuota, il cuore morto, è semplicemente lì, sempre in attesa del cibo’. Rimane lì, con gli avanzi. Immemore. Slegata, cioè assoluta”. Leggere la Duras come quella che fa razzia dell’infimo, dell’infinitamente umiliando – cogliendo la sua umiliazione di scrittrice che negli ultimi lustri si relega al silenzio, si regala il tacere.

De Certeau cita in particolare India Song e Il viceconsole, libri quasi introvabili, qui, dove la Duras è stata durevole moda. Perfino la scrittura – di cui con difficoltà apprezzo il minimalismo, mentre amo il minimo – si regola in sibilo, in fruscio, anatema al moribondo. Allora, cerco della Duras questa abitudine allo scandalo, al candore dei contrari. Trovo ciò che propongo qui. Frammenti di una intervista del 1983, pubblicata su un numero speciale di “Alternatives théâtrales”, realizzata da Jacqueline Aubenas. (d.b.)



Una pagina di Alternatives théâtrales da cui fu tratta l'intervista


***

In tutti i suoi lavori, libri, film, parla di amore, attesa, desiderio.

Questo è il mondo. Si dice da sempre. In Francia questa specie di grazia non c’è più… L’attesa è un fine… non dovremmo sopravvivere a un amore. No, non dovremmo. India song dice la morte. I segni sono di ordine religioso, sacrale. Una cerimonia funebre.

Che atteggiamento ha attualmente verso la politica?


Non credo più nelle virtù della politica. Penso che dovremmo arrangiare le cose, limitare il dolore. Ma credo anche che non potremo cambiare la società. C’è una disfunzione interna alla società. Irrimediabile. Assolutamente irrimediabile… Per prima cosa, l’uomo non è un animale intelligente. La sua natura è malefica. È una malefica emanazione di Dio. Questo è definito e definitivo. L’uomo è fatto per distruggere, annienterà sempre ogni proposta atta a migliorare il suo destino. L’uomo ama il suo destino per ciò che è: gli si presenta, e lo annienta. Questa è la sua grandezza, questo è “l’intollerabile del mondo”.

Come agire agitati da questo pessimismo?

Questo non è pessimismo, si chiama vedere le cose. Sento i problemi del mondo – e l’amore per il mondo. I bambini lo provano. I bambini sono di una abominevole crudeltà. Non li educhiamo, cerchiamo di addomesticarli.

Oltre all’amore, nella sua opera è presente il malvagio, la malvagità…

Vedere è intollerabile, ciò che vedo è difficile. Allora, dico, parlo! Ad esempio, vorrei uccidere gli assassini di Pierre Goldmann. Non sono una persona buona. Come tutti, appartengo alla sfortuna del mondo, alla fattura del mondo. E rispondo a tale disgrazia. Ecco, se potessi uccidere, li avrei massacrati, come cani. Questa è la mia natura. Questa è la natura e l’omicidio ne è parte. In Outside ho scritto del “felice sogno del crimine”. Dico che sono capace di uccidere, e la differenza tra me e un nazista è che io sono consapevole di questo. Il nazista è ingenuo, manca di immaginazione, non crede di poter uccidere, e si giustifica. La donna che indossa la pelliccia di un cucciolo di foca, di questo animale assassinato, a Dallas, del tutto tranquilla, per lei non posso fare nulla. Lei è completamente perduta. Nonostante milioni di parole sul massacro, lei manca di immaginazione. Non vuole nemmeno uccidermi. È perduta.

A un certo punto, però, hai creduto nel sistema riformista…


Certo, ero comunista. Possiamo fare il male? Faccio dire a Walesa, “Anche il male può servire. Basta allontanarlo…”.

Cosa significa?

Che il desiderio di uccidere è una delle costanti della mia vita. L’ho detto. È una delle costanti più costanti…

Ma questo è il tabù primordiale. Se non ci fosse il divieto di uccidere, non sarebbe possibile la società. Freud è molto chiaro in proposito…

Freud non è moralista. Lo è la filosofia. Kierkegaard, Sartre, sono moralisti. Kierkegaard si concede qualche libertà nella scrittura, il suo genio. Sartre no. Non dobbiamo dimenticare che l’esistenzialismo è una mortale. Dalla A alla Z. Ci fanno arrabbiare da decenni. Il comunismo è una piaga morale. Non c’è parola che non sia di ordine morale. La noia mortale è la morale. Lì è peggio della morale cristiana.

Come ne è uscita?

Sono stata cacciata, eliminata. Non ho sofferto. I miei amici sì. Mio marito è quasi morto. Altri sono stati straziati; qualcuno è diventato fascista.

Non ne scrive più?

No, non vale più la pena scrivere del Partito Comunista. Dobbiamo lasciarli morire, senza una parola. Come questo risveglio del fascismo a proposito del martirio degli ebrei, il massacro di sette milioni, ora c’è gente che fa carriera dicendo che non è successo niente, che la storia è fessa, sbagliata. Se nessuno parla di queste assurdità, esse muoiono. Ed è qui che il giornalismo è criminale: non c’è da denunciare, c’è la deontologia del silenzio. Il solo rimedio. Cosa fare contro questo? Non bisogna parlarne. Altrimenti ne parli per nulla. Usano nazisti con le fruste nei film porno. Nessuna critica. Mi sono vergognato per lei, per la Cavani, quando ho visto Il portiere di notte.

Quali sono le sue azioni riguardo a tutto questo, a parte il silenzio?

Aiuto gli obbiettori di coscienza. Presto il mio appartamento per conferenze stampa. Appartengo, con la mia vera identità, ad Amnesty. Mi fido di loro. Per difendere i sindacalisti somali o gli studiosi sovietici. Questa è la mia identità. La sola. Sono arrivata quasi all’indifferenza verso la mia morte. L’idea della mia morte è legata alla totale inutilità dello sforzo per raddrizzare il mondo dal male. C’è un malinteso fondamentale, originario, non lontano dall’idea di Dio. La vita è un accidente matematico, come i batteri dell’influenza ci sono i virus della vita. Non è disperazione. La disperazione c’è quando c’è speranza. Sono stata così per lungo tempo quando avevo 33 anni. Un aborto spontaneo. Svuotata del sangue. Due trasfusioni. Non riuscivo a riprendermi. Ero completamente tranquilla. Ho riso. Non provavo più niente. Mio marito urlava, singhiozzava. Era una sensazione dolce, gradevole, come un consenso. Non conta l’età, ma l’esperienza… Il vantaggio di uscire fuori di sé, come i miei dieci anni di militanza, le ragioni fuori di me per cui dovevo morire. Come il destino dell’ebreo, il dolore di vedere gente torturata, l’ingiustizia arrecata agli arabi durante la guerra d’Algeria, ragioni esterne alla mia vita: una lezione politica tratta dall’errore politico perché è un errore politico militare per dieci anni, di cui, però, non mi pento. La vita è tentacolare, ti porta verso cose più grandi di te, verso una cosa che chiamo alterità.



Marguerite Duras e il giovane compagno Yann Andréa


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