L'arte di Van Gogh spiegata ai bambini, Idee creative nello stile di Vincent

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view post Posted on 29/6/2021, 19:28     +6   +1   -1
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Vincent Van Gogh, Il cortile dell'ospedale di Arles,1889
olio su tela,74×92 cm
Collezione Oskar Reinhart Am Römerholz, Winterthur, Svizzera


In fondo la mia vita non è poi tanto misera o penosa: passo quasi tutto il mio tempo in un giardino. Certo, è il giardino di un ospedale, anzi di un sanatorio, di una casa di assistenza, di un… beh, chiamiamolo col suo nome: un manicomio. Sono chiuso qui da più di un anno ormai. Gli antichi credevano che nel nome sia racchiuso un destino: che beffa, mi chiamo Vincent, ma sono un perdente nato.



Da quando sono ricoverato qui a Saint-Rémy-de-Provence, mi sento un po’ meglio. Certo ogni tanto mi tornano le crisi, soprattutto la notte; sento rumori e suoni che mi entrano nel cervello; vedo forme bizzarre, come fantasmi iridescenti, ma ho notato che anche altri ricoverati hanno sentito come me voci e suoni strani durante le loro crisi e che anche a loro le cose parevano vaghe, cangianti, inafferrabili.

Quando si capisce che queste visioni fanno parte della malattia, lo si accetta come tutto il resto e poi in fondo, diventare matti sembra quasi un rischio normale nel mestiere di pittore: quanti artisti hanno fatto la mia stessa fine! Ora penso senza timore a tutto quello che ho passato: la mia non è una sorte più atroce di quella di tanta gente affetta da malattie incurabili.

Eppure non credo di essere proprio matto: ci sono momenti in cui mi sento perfettamente normale e, almeno quando dipingo, mi pare di trovare il mio equilibrio. I dottori non ci capiscono granché; ogni volta che sono visitato ad Arles o a Saint-Rémy, hanno scritto una diagnosi diversa: secondo uno sono un epilettico grave, per un altro uno schizofrenico, oppure un demente precoce, un alcolizzato all’ultimo stadio, un paranoico ossessionato da sensi di colpa, un nevrotico, un depresso, o anche un sifilitico con gravi lesioni cerebrali.
E il pazzo sarei io…meno male che nessuno mi ha mai vietato di dipingere, anzi, pare che per me sia la terapia migliore.

Comunque i dottori hanno fatto bene a chiudermi nel sanatorio - va bene, va bene, chiamiamolo pure manicomio se preferite - di Saint-Rémy. Quando mi hanno portato qui, all’inizio mi sentivo come un naufrago impegnato a fare l’inventario delle poche cose che le tempeste dell’esistenza hanno sparso sulla riva: un paio di scarpe sfondate, una sedia impagliata che si sfibra, una pipa, il ricordo di un ramo di pesco in fiore.

La paura della follia mi sta passando a mano a mano che conosco quelli che ne sono colpiti: se non avessi visto gli altri alienati da vicino non avrei potuto smettere di pensarci continuamente, e forse avrei avuto altre crisi come quella di Arles, quando mi sono tagliato via l’orecchio sinistro, quando avrei voluto morire, quando sentivo il mondo crollarmi addosso con tutto il suo peso, quando mi sembrava che niente e nessuno avrebbe potuto salvarmi.
Ho cercato la morte, ho succhiato i colori appena spremuti dai tubetti, ho bevuto il petrolio delle lampade, ma sono ancora vivo e posso dipingere.

Voglio dipingere, devo dipingere, ma è inutile illudersi: per quanto possa studiare, impegnarmi, non sarò mai un pittore bravo come quelli delle accademie e dei musei, non riuscirò mai a dipingere come loro, tele lustre e scintillanti, figure perfette, luci attente e composte.
Forse non venderò mai un quadro in vita mia o forse, chissà, quando sarò morto le mie povere tele saranno considerate dei tesori, il frutto della mente e della mano di un genio pazzoide. Mio fratello Theo mi ha fatto avere un pacco di fotografie di dipinti: ho provato a copiarne qualcuno e mi vergogno dei risultati: in confronto i miei quadri sembrano sempre sudici, pasticciati, grossolani, impastati.

Meno male che c’è Rembrandt, olandese come me. Mi ricordo bene i suoi quadri, al Rijksmuseum di Amsterdam: come vorrei rivederli! Potrei restare giorni interi davanti alla Ronda di Notte, mi basterebbero un tozzo di pane, un po’ d’acqua e una tela di Rembrandt per essere davvero felice. Se penso come sono conciati, invece, i suoi dipinti al Louvre! I quadri di Rembrandt del museo sono rovinati e gli amministratori non li restaurano! Ah, certo, solo un pazzo come me può criticare Parigi, la Ville Lumière, la città delle luci, della gioia, dei balli, degli aperitivi, delle donne allegre, dei pittori che si riuniscono in gruppi, che fanno mostre collettive, che mettono i loro quadri nelle vetrine ben illuminate dei mercanti d’arte.



Paesaggio con cielo cupo
olio su tela 50 x 65 cm.
Zurigo, proprietà privata


Via, via, lontano da quelle luci false, da quella vita banale: ho bisogno di respirare, di luce, di natura. Ho passato troppi anni nel grigiore, nelle giornate spente e nebbiose del Nord, nel fumo di Londra, nel “paese nero” dei minatori di carbone. Adesso che ho scoperto il sole della Provenza non voglio più perderlo.

Ho smesso di cercare uno stile preciso, anzi, attualmente non seguo alcuna tecnica di pennellata. Prima di tutto ho deciso di non tracciare mai più i contorni di un quadro con il carboncino e che mai più preparerò un disegno preliminare: basta, la tela va aggredita direttamente con il colore e con il pennello. Credo che sarebbe davvero impossibile catalogarmi all’interno di un gruppo, come gli impressionisti o i nabis (dalla parola ebraica che significa profeti, gruppo di artisti parigini dell'avanguardia post-impressionista, attivi negli anni '90 del XIX secolo).

stanza_vincent

Window in the Studio, Saint-Rémy-de-Provence,
September-October 1889
chalk, brush and oil paint and watercolour, on paper, 62 x 47.6 cm
Van Gogh Museum, Amsterdam


Ho allestito un piccolo atelier nella mia stanza, mi serve quando c’è brutto tempo, quando dipingo ritratti o vasi di fiori, ma appena posso vado a dipingere all’aperto, con il cavalletto piantato nella terra; spremo direttamente i colori dal tubetto (non li mescolo mai sulla tavolozza, mi sembra che perdano forza e purezza), sbatto sulla tela colpi di pennello irregolari e li lascio così come vengono, come capita, senza preoccuparmi dell’uniformità.

Sui miei quadri si trova di tutto: strati sovrapposti di colore macchie dense, pennellate lunghe come coltellate, angoli di tela incompiuti, ripetizioni, violenze. Il risultato è, almeno a mio parere, abbastanza misterioso e provocante, roba da indisporre i critici e le persone che hanno idee preconcette sulla tecnica…
Le mie giornate qui dovrebbero trascorrere senza sorprese: per me e per gli altri matti di Saint-Rémy sono prescritti riposo, vita sana all’aria aperta e assenza di emozioni violente.



Notte stellata sul Rodano, 1888
olio su tela, 72,5×92 cm
Parigi, Musée d’Orsay


Ma come si fa a non provare emozioni davanti alla natura! Per me è tutto vivo, sento la natura che mi parla: vedo stelle che roteano nel firmamento, ulivi contorti che dilagano sulle colline, l’onda infinita del grano maturo, i cipressi dritti e scuri come antichi obelischi, la terra solcata profondamente dagli aratri, i fiori che nascono anche nel cortile di un manicomio, una farfalla che vola via tra le pietre di un carcere. E allora, anche se secondo i dottori non dovrei espormi alle emozioni, usando il giallo, il rosso, il verde lascio esplodere nei miei quadri terribili, grandiose passioni. Di solito la sveglia suona alle sei e un sorvegliante mi accompagna in giardino.

Comincio a dipingere presto e sfrutto tutta la luce possibile: in certi giorni riesco addirittura a finire due quadri, da cima a fondo. Sono calmo da mesi, ormai, tengo sotto controllo le mie crisi, tanto che qualche volta mi permettono di uscire nei campi.
Seguo con ansia il susseguirsi delle stagioni: ho visto sbocciare tutti i fiori della primavera, gli alberi coprirsi di foglie; adesso è appena iniziata l’estate e, non so, ho un presagio come di triste, forse per me sarà l’ultima.



Campo di grano con volo di corvi, luglio 1890
olio su tela, 50,5 x103 cm
Amsterdam, Van Gogh Museum


Ho chiesto e ottenuto una autorizzazione speciale: in una di queste lunghe e serene notti di fine giugno mi hanno permesso di uscire sul poggio sopra il paese e dipingere il cielo stellato, in una tarda sera di luna crescente.
Forse il dottor Payot pensava che una passeggiata notturna mi avrebbe fatto bene e che il cielo punteggiato di stelle sia una quieta, romantica poesia.

Insieme all’infermiere che mi guardava a vista, sono arrivato in cima la breve declivio sotto il quale se ne sta rannicchiato il paese di Saint-Rémy; di fronte a me, nella notte limpida, si riconosceva bene il profilo scuro delle montagne.
Alla luce di una lanterna ho sistemato il cavalletto e la cassetta dei colori e dei pennelli. Ho alzato gli occhi e il firmamento ha iniziato a palpitare.


Ho visto la Via Lattea scorrere come un flusso di luce, avvolgersi come un’onda d’oro nel cielo blu; la luna arancione si è accesa di un alone giallo, come se contenesse dentro di sé anche il calore del sole; le stelle mi sono apparse enormi, come immensi fiori di luce, ho visto le sagome dei cipressi allungarsi come fiamme scure come a cercare il cielo sfolgorante.

Per un istante, nell’incanto della volta stellata ho visto passare i millenni, la storia, i destini. Mi sono sentito prima minuscolo, insignificante, un nulla davanti a quello spettacolo; poi quel senso di inutilità e piccolezza è sparito, ho capito che in questo fiume di luce e di energia, anche per me c’è un posto. Sulla terra o nel cielo, in questo mondo o in un altro, tra gli uomini o davanti a Dio, io non lo so. Non chiedetemi una risposta, non sono un filosofo: in fondo, sono solo un povero pittore pazzo. (M.@rt)




Notte stellata,1889
olio su tela, 72×92 cm
New York, Museum of Modern Art



Notte stellata (De sterrennacht) è un dipinto di Van Gogh, che raffigura un paesaggio notturno di Saint-Rémy-de-Provence, poco prima del sorgere del sole del 19 giugno 1889, durante l'anno di permanenza nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy-de-Provence.
Questa datazione sarebbe avvallata da una lettera di pugno dello stesso Vincent, desideroso di comunicare al fratello di aver realizzato “un paesaggio con gli ulivi e anche uno studio di cielo stellato”.

La sua pennellata anziché avere una stesura “a virgola” tipica degli impressionisti, tendeva a dare colpetti di pennellate di un certo spessore, interrotte e punteggiate, vorticosamente “allungate”.
Sicuramente la cosa che si nota maggiormente nella Notte Stellata è l’effetto della sua pennellata: il cielo sembra avvolgere gli astri. Ma com’è riuscito a creare questo effetto? Semplicemente con una pennellata blu tondeggiante intorno ai “puntini gialli”, le stelle.




Stefano Zuffi

Il mondo dipinto
Ventidue capolavori di grandi maestri
raccontano la loro storia

Ed. FeltrinelliKIDS

 
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Ricreiamo la sedia di van Gogh in 3D con la tecnica pop-up


la-sedia-di-van-gogh-623

La sedia di Van Gogh (ad Arles, con pipa)” 1888/89
olio su tela, 93 x 73,5 cm.
Londra, Tate Gallery



Occorrente:
-foglio A4 o cartoncino sottile da disegno
-forbici
-lapis e matite per colorare
- colla

Usare un foglio di carta, ma sarebbe meglio un cartoncino sottile da disegno. Il foglio di carta si piegherà meglio, ma sul cartoncino si colora più agevolmente e il risultato sarà migliore.
Piegare il foglio di carta, tagliare due linee sul lato piegato e poi spingere la sezione verso l'interno del foglio.
Disegnare prima la sedia e poi creare la stanza tutto intorno. Decorarla sullo stile della camera di Van Gogh. Per un effetto migliore, disegnare il pavimento in prospettiva. Il disegno potrà essere poi incollato su un cartoncino più grande piegato in due. (M.@rt)



















 
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Van Gogh's Chair




La sedia di Van Gogh da colorare

 
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