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Depeche Mode, l'intervista: "Per molti siamo uno stile di vita"
A colloquio con Dave Gahan e Martin Gore. Il nuovo album, la band di sempre. E il calore del pubblico italiano
Martin Gore, principale autore dei Depeche Mode, non vuol parlare troppo del disco Spirit, che uscirà a primavera 2017, per un ottimo motivo: è ancora in fase di scrittura. Però Gore quel poco che avete fatto ascoltare ha colpito per la frase "Dov'è la rivoluzione? Dai, ci state deludendo". Siete diventati dei rivoluzionari? "Il mondo è un tale casino che è davvero difficile, sedendosi a scrivere canzoni, evitare di parlarne in qualche modo. Di certo non sarà intimistico. Ma è davvero troppo presto per dire qualcosa, anche sul sound: per Delta Machine era facile, l'avrei accostato a Violator e Songs of faith and devotion. Qui davvero è presto".
Definirvi leggende pop non è esagerato: oltre 100 milioni di dischi venduti, concerti spesso sold out, facilmente lo saranno anche quelli italiani di giugno 2017 (25 Roma, 27 Milano, 29 Bologna). Dove trovate motivazioni, voglia, forza? "Parlo per me, ma credo anche per Dave e Fletch, ed è semplice: mi piace far musica, mi diverto ancora. Anche quando non sono in fase di composizione vado ogni giorno nel mio studio, suonicchio qualcosa, mi svago. E poi crediamo di avere ancora molto da dire, non ci sentiamo a fine carriera in nessun senso".
La vostra amicizia vi aiuta? "Dopo 36 anni insieme siamo semmai tre fratelli. Certo, quando finisce un tour ognuno se ne va per i fatti propri, magari stiamo anche un anno senza parlarci. Ci dobbiamo disintossicare: quando iniziamo un progetto nuovo stiamo a contatto strettissimo per due anni almeno".
E avete ancora l'emozione di salire su un palco, di uno stadio tutto esaurito? Oppure riesce a essere routine? "Non scherziamo, non c'è niente come salire su un palco davanti a decine di migliaia di spettatori che cantano tutte le parole delle tue canzoni, e conoscono ogni nostro riff. Il nostro pubblico è il più grande di tutti. Quello italiano poi ama cantare: spesso finiamo una canzone e quello va avanti, e probabilmente continuerebbe tutta notte se noi non lo fermassimo".
Colpisce quanto siate ancora popolari tra le nuove generazioni. "Siamo piacevolmente sorpresi dalla giovane età media del pubblico, quando andiamo in giro a suonare. Molto è merito dei nostri fan di allora che hanno avuto figli ancora giovani e li hanno cresciuti col nostro sound. Ed è fantastico quanto in tutto il mondo la nostra musica sia suonata alle feste. Per molti fan i Depeche Mode non sono una band, ma uno stile di vita".
Per quel poco che si capisce al momento, Spirit sarà un disco di forte cambiamento per i Depeche Mode. E il cantante Dave Gahan spiega perché.
Cominciamo col divorzio dal produttore Ben Hillier: dopo 3 dischi ecco James Ford. "Con Ben avevamo lavorato bene, ma il nostro rapporto aveva dato quel che poteva dare. E James era in cima alla lista delle preferenze per rimpiazzarlo: ci piaceva assai quel che aveva fatto nei dischi di Florence and the Machine, Arctic Monkeys, Klaxons, Last Shadow Puppets. E fa parte dei Simian Mobile Disco, di cui mi ha colpito un album inciso all'aperto nel deserto (è Whorl, registrato al Joshua Tree National Park, ndr): era musica elettronica, ma vibrante e viva, direi umana. Ci siamo incontrati e il feeling è stato immediato".
E i brani come sono nati? "Abbiamo iniziato a pensarci un annetto fa circa: era comunque l'ora di un nuovo album dei Depeche visto che Delta Machine era del 2013. Io e Martin ci siamo ritrovati a scrivere indipendentemente senza neanche bisogno di parlarci e non sapevo neppure se queste canzoni sarebbero state per i Depeche, per il mio progetto con i Soulsavers, o per me come solista. Ma è bastato ascoltare il tutto per capire che era perfetto per noi".
Si può definire "Spirit" un disco impegnato? "Stavolta ci siamo guardati intorno, sì: e il titolo Spirit è un modo di chiederci dov'è lo spirito, l'anima, dove siamo finiti tutti. Abbiamo come la sensazione che qualcuno ci voglia tenere divisi, separati, e la musica è invece qualcosa che unisce le persone".
A giugno tre date italiane: ne ricorda qualcuna in particolare tra le passate? "Non dei Depeche: sono ancora emozionato pensando al Fabrique di Milano, a novembre 2015, coi Soulsavers. Era tutto intimo, naturale, quella sera".
Trova differenze nel suonare e cantare con Depeche Mode e Soulsavers? "Coi Soulsavers è più spontaneo, immediato, è un progetto anzitutto live. Coi Depeche tutto è più studiato, a partire da scenografie ed effetti speciali, per non dire naturalmente i dettagli nella scrittura delle canzoni nuove, per questo ci mettiamo 2-3 anni per un disco. Sono progetti complementari e sono molto fortunato a non doverne scegliere uno".
Impossibile non chiudere col Nobel a Dylan. "Fico, spettacolare che posso dire? Non la metto neanche sul discorso della musica che viene premiata come se fosse letteratura: Dylan è letteratura, è poesia, e come tale ha avuto questo riconoscimento".
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