Nevermind, anatomia di un capolavoro: l'album dei Nirvana compie 25 anni, Il 24 settembre del 1991 la band di Kurt Cobain pubblicava il disco

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view post Posted on 24/9/2016, 11:26     +1   +1   -1
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Nevermind, anatomia di un capolavoro:
l'album dei Nirvana compie 25 anni


Il 24 settembre del 1991 la band di Kurt Cobain pubblicava
il disco che li avrebbe consegnati alla storia del rock





Secondo la leggenda il 24 settembre di venticinque anni fa, nove del mattino, fuso orario di Seattle, causa vibrazioni provocate da Smells like teen spirit suonata all'unisono da tutti gli impianti hi fi del pianeta, l'asse terrestre subì quella piccola ma fatale inclinazione che pose fine all'Olocene inaugurando una nuova era geologica fatta di rock e nient'altro. Secondo la stessa leggenda, quella mattina la settima tromba dell'Apocalisse intonando il riff di Come as you are mandò in frantumi il settimo sigillo liberando schiere di angeli iracondi in camicia di flanella a scacchi. Secondo la leggenda, in quell'inizio di autunno del 1991, centinaia di migliaia di persone furono improvvisamente teletrasportate in una dimensione dove le figure del sillogismo aristotelico non servivano più a nulla e l'unica logica da scoprire era quella sottesa alla successione di accordi di Lithium.

Leggenda, appunto. Falsa. Ma solo perché Nevermind dei Nirvana ci mise qualche mese per diventare l'album che polarizzò la discussione sul presente, sul futuro e sul passato del rock, l'album senza il quale gli ultimi venticinque anni di musica sarebbero semplicemente andati da tutt'altra parte. Quel giorno il mito-Nirvana - con la moda che ne seguì e con l'annesso e fastidioso alone di maledizione incombente ogni volta che il nome di Kurt Cobain viene scritto, pronunciato, ascoltato - non esisteva ancora. Nei negozi, allora solo splendidamente fisici, arrivò un disco che in copertina aveva un bimbo in piscina che, sotto il pelo dell'acqua, nuotava attratto da un'esca rappresentata da un dollaro. Bastò premere play o avviare il giradischi per capire che al proprio secondo album una band (non proprio) sconosciuta era riuscita nel miracolo - accaduto pochissime altre volte nella storia del rock - di realizzare il disco perfetto.



Seminale, inaugurale, l'anello mancante tra l'indie e il mainstream, l'urlo di una generazione, un capolavoro criptico e simbolico, potente e tenero. E anche: la-solita-solfa, in-fondo-poi-tanto-bello-non-è, tra-qualche-anno-non-lo-ricorderemo, un affronto per il vero-rock-underground. Definire Nevermind da quell'autunno di venticinque anni fa è stato uno dei principali hobby di critici, fan, detrattori, vicini di casa, addetti al settore, professori e discografici. Molto probabilmente perché, sin da quei giorni, è stato impossibile "calcolare" Nevermind, estrarre da quegli eventi - che portarono Kurt Cobain, Chris Novoselic e Dave Grhol dall'essere di tre ragazzi di una band di provincia a intestatari di un fenomeno planetario - qualcosa come un Algoritmo-Nirvana. Impossibile separare gli ingredienti, impossibile riprodurre in laboratorio quel miracolo fatto di libertà punk, melodie che ogni tormentone estivo può anche uscire dalla stanza, potenza, compassione, angoscia e rabbia.



Ci mise un po' di tempo: in vetta alla classifica americana ci arrivò l'11 gennaio dell'anno successivo scalzando - e mai sorpasso fu più simbolico - Dangerous del regnante sovrano del pop Michael Jackson. Dopo una settimana da quel 24 settembre I adore mi amor, una pessima canzone dei Color Me Bad, era ancora prima in classifica negli Stati Uniti, e Smells like teen spirit riuscì, nei mesi successivi, ad arrivare solo al sesto posto. Ma oramai il tremito nella Forza era palpabile. Perché a Nevermind accadde di diventare catalizzatore di quella scena rock che sfiancata dai plasticosi anni ottanta lottava per riprendersi il campo della musica popolare. In quell'anno, il 1991, in cui canzoni rock veicolavano come non accadeva da oltre un decennio sentimenti di massa - la spiritualità urbana di Losing my religion dei R.E.M., la potenza di Enter Sandman dei Metallica, la struggente lirica di Alive dei Pearl Jam, l'energia senza freni di Give it away dei Red Hot Chili Peppers - Nevermind comprese in se tutto e spostò tutto un centimetro più avanti, fornendo una prospettiva quasi di speranza: era possibile, ce la si poteva ancora fare, suonando, a passare da una cantina al mondo intero senza perdere nulla in autenticità, attitudine, integrità. E se questo sogno è stato da sempre la materia di cui è fatto il rock, il rock stesso ritrovava carburante, energia, ossigeno.



E ci riuscì perché non era un album caduto da altezze celesti, una rivelazione consegnata nelle mani di nuovi profeti, anzi: seppur inaspettato, Nevermind era perfettamente riconoscibile, collocabile: bastava solo aver la dose minima di buon gusto musicale e un po' di prossimità con la strada sotterranea percorsa dall'indie rock americano durante il decennio precedente: Melvins, Sonic Youth, Vaselines, Mudhoney furono gli apripista di Nevermind, i creatori di quel contesto sonoro nel quale si muoveva il gruppo di Kurt Cobain. Che nelle note di presentazione dell'album mise nero su bianco la sua ambizione di fondo: "Le nostre canzoni hanno una struttura 'pop' assolutamente standard". Non solo velocità, non solo potenza grezza. Ma l'attenzione alle canzoni, perché "una buona canzone è il miglior mondo per entrare realmente in contatto con qualcuno".



Quelle stesse righe definivano anche con precisione la natura del contatto che Cobain ricercava: "Qui si parla di amore. O di confusione, che spesso è il risultato dell'amore: perché tutte le nostre relazioni, ad un certo punto, diventano incomprensibili". Sotto quel vomito sonico alternato allo sconforto e all'opacità, si nascondeva il tentativo di stabilire una connessione con i propri simili utilizzando la più universale delle chiavi. Una corsa, registrata in appena tre settimane (tra maggio e giugno del '91), che attraversava il processo emotivo attraverso cui una relazione nasce, cresce, si distorce e muore. Partendo da Smells like teen spirit, che "riguarda l'apatia della mia generazione. Ne sono disgustato perché è la mia stessa apatia, l'assenza della volontà di combattere per qualcosa". Scalfire l'apatia, stabilire comportamenti e relazioni autentiche, diventava l'obiettivo di una lotta che andava avanti canzone dopo canzone. Attraversando Come as you are - "una vecchia canzone d'amore in tre movimenti" - passando per Polly - "che ha a che fare con la violenza nascosta in ogni rapporto" - per la feroce critica sociale di Territorial pissing e Stay Away, fino a concludersi nella cupa contemplazione priva di desideri di Something in the way, "semplicemente amore".



E settimana dopo settimana, ascolto dopo ascolto, sempre più persone riconobbero questo sforzo e delegarono a Nevermind il proprio tentativo di stabilire un autentico essere-nel-mondo. Nel 1991 della guerra del Golfo trasmessa in mondovisione, del crollo dell'Unione Sovietica e - per quello che ci riguarda - dell'Italia in cui con lo scandalo legato a Gladio venivano alla luce decenni di menzogna istituzionalizzata, ascoltare Nevermind divenne sinonimo di professione di verità, di sottrazione rispetto a un potere che richiedeva testa bassa e cecità. "Il rock non può più cambiare il mondo. Ma forse quello che possiamo fare noi è impedire a qualcuno di diventare un misero avvocatuccio", scrisse Cobain. Messaggio recepito in modo forte e chiaro, con centinaia di migliaia di persone che videro nel cantante una sorta di portavoce. Reazione che viste le dimensioni planetarie avrebbe scosso chiunque, figuriamoci tre ragazzi di neanche 25 anni che avevano "soltanto" preso sul serio la musica come modalità di espressione della propria condizione.



Che quella condizione fosse così universale determinò - e non si è mai più verificato da allora - una sorta di vertigine collettiva, di impazzimento: per i Nirvana, per i fan, per Kurt Cobain. Che reagì come reagì, che prese come prese la costruzione di quel mito a cui non voleva partecipare in nessun modo, che non lo riguardava, che lo allontanava dalla musica. Ma quel 24 settembre di venticinque anni fa il mito non c'era ancora e Cobain era solo un complicato e problematico ragazzo di ventiquattro anni, sorridente e soddisfatto per il disco che aveva appena pubblicato insieme con i suoi amici. Un puro e semplice capolavoro che non ci si stanca mai di ascoltare, di suggerire, di tenere a portata di stereo: come un amuleto capace di proteggere, oggi come allora, dall'assedio della bruttezza, della stupidità, della superficialità.





 
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view post Posted on 24/9/2016, 11:30     +1   +1   -1
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Nirvana, scatti inediti
dal backstage di "Nevermind”








































Edited by Milea - 24/9/2016, 12:31
 
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