La computer art firmata Andy Warhol presto in mostra, Una troupe del Carnegie Museum ha ripreso gli «scavi» sul materiale informatico del grande artista

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view post Posted on 19/7/2014, 17:08     +2   +1   -1
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Ecco la computer art
firmata Andy Warhol presto in mostra



Una troupe del Carnegie Museum ha ripreso gli «scavi» sul materiale informatico del grande artista recuperato a Pittsburgh. Una squadra di studenti ha lavorato un anno per non danneggiare i supporti magnetici e in autunno le opere ritrovate andranno finalmente in mostra



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Andy Warhol? È come Michael Jackson, ha scritto Jean Baudrillard. Un «mutante solitario». Un personaggio artificiale, inventore di effimeri e decorativi «feticci desacralizzati». Non opere, ma «segni, allusioni, concetti». Idee: «L’arte è travestita dall’idea. L’idea è travestita dall’arte». Eppure, la meta di questo itinerario poetico non è la sparizione dell’arte. Secondo Baudrillard, quella disegnata dal padre della Pop Art è «una direzione che implica forse il suo ritorno (…) al savoir-faire (…) o all’artigianato rituale».

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Baudrillard coglie il senso profondo dell’opera di Warhol, che oscilla tra adesione al presente e distanziamento dal presente stesso. Per un verso, egli asseconda le regole della civiltà dell’industria. Per un altro verso, avverte il bisogno di non tagliare mai i ponti con la memoria. Si pensi a quel che avviene negli anni Ottanta. È una stagione segnata dall’insofferenza per i riti della società dello spettacolo e dal desiderio di isolamento. Ma anche dalla necessità di avviare un dialogo stringente con la storia dell’arte (Leonardo, Botticelli, de Chirico) e dall’urgenza di «riconquistare » la bellezza del fare con le mani e dello stratificare materie eterogenee sulla tela. Lungi dal ripiegarsi dentro un rassicurante anacronismo, però, Warhol conserva la voglia di misurarsi con media diversi.

In questa direzione vanno i suoi anticipatori progetti televisivi (l’Andy Warhol’s tv). E i suoi esercizi di computer art, sui quali ci sono stati di recente importanti ritrovamenti. Un’avventura ancora poco conosciuta.
Primi anni Ottanta. Una sequenza digitale animata, You are the One, realizzata con la tecnologia di un computer Amiga: accompagnati da una colonna sonora, si succedono scatti di Marilyn Monroe, sottoposti a un gioco di variazioni cromatiche (la sequenza è stata ritrovata e restaurata dal Moma nel 2001). 1985. Warhol ha l’incarico di progettare il design del Commodore Amiga 1000. 14 giugno.

Nei Diari, l’artista annota: «In mattinata sono andato nel palazzo Seagram per quei video Come si impara a dipingere per il quale la Commodore vuole che io faccia il dimostratore. (…) È una macchina simile a quella della Apple, ma in grado di fare cento volte di più». Ancora i Diari. 22 luglio: «Sono dovuto tornare a casa presto per tingermi i capelli per la mia apparizione in pubblico il giorno dopo (…) per la Commodore. Mi sono tinto anche le sopracciglia. (…) Sono artistico, dolcezza». 23 luglio. Una serata di gala organizzata al Vivian Beaumont Theater. Viene presentato l’Amiga 1000: una macchina capace di creare immagini servendosi di una varietà di 4.096 colori. Invitato come testimonial, Warhol, servendosi di una fotocamera collegata al computer, esegue una fotografia della cantante punk-rock Debbie Harry. In seguito, la modifica grazie a un software offerto dall’Amiga. Quel computer, poi, verrà regalato a Warhol. Che sosterrà: «Ho detto che avrei voluto essere Walt Disney e che se avessi avuto quella macchina dieci anni prima ce l’avrei fatta».

Da questo episodio è nata la curiosità dell’artista newyorkese Cory Angel. Nel 2011, Angel si è recato al Warhol Museum di Pittsburgh, dove sono conservati quell’Amiga 1000, insieme con un mouse, una fotocamera e alcuni floppy disk. Nessuno aveva mai provato a frugare dentro quei «reperti». Angel ha incontrato la curatrice Tina Kukielski.

Dopo è cominciato un difficile lavoro archeologico: recuperare i files salvati sui floppy. Decisivo è stato l’aiuto del Computer Club della Carnegie Mellon University. Questo team ha dovuto affrontare un problema: guardando all’interno dei dischetti, si correva il rischio di cancellarne il contenuto. È servito un anno per approntare una strategia che ne consentisse la consultazione «sicura». Solo allora i ricercatori della Carnegie Mellon hanno visto affiorare una lista di file. Che, però, erano stati salvati in un formato sconosciuto. Per accedere a quei documenti, si è creato un apposito software, che ha permesso di visualizzare un archivio fatto di 12 «quadri» realizzati da Warhol utilizzando la tecnologia dell’Amiga. Rivisitazioni digitali di alcuni classici: la Campbell’s Soup, la banana della copertina dell’album dei Velvet Underground, il ritratto di Marilyn Monroe, un autoritratto e una versione «monstruos» della Nascita di Venere di Botticelli.

Siamo ad aprile 2014. Una troupe del Carnegie Museum ha ripreso questo «scavo». In attesa di una mostra, in programma per il prossimo autunno al Warhol Museum.
La piccola pinacoteca «sepolta» nell’Amiga 1000 per trent’anni ci fa capire quanto sia stato ambiguo il rapporto di Warhol con il concetto di «riproducibilità tecnica». Sorretto dalla volontà di far coincidere l’artista con la macchina, egli impiega soprattutto media meccanici: foto, pellicola, videocamera, registratore a bobine. Ricerca l’automatismo. Aspira a mimare i procedimenti industriali nella fabbricazione di immagini impersonali. La pratica artistica, per lui, è: distanziamento dalla vita, rito della neutralità. La registrazione di qualcosa è più importante della cosa registrata; il medium conta più del messaggio.

Ma questo è solo il lato più evidente della poetica di Warhol. In lui, freddezza e impassibilità emotiva convivono con ansie, commozioni segrete. E anche con la voglia di ritornare alla disciplina «umanistica» della pittura.
In questo senso, le avventure di computer art sono rivelatrici. Una felice sintesi. Warhol non si fa mai dominare dal computer, ma se ne serve. Adopera il mouse come una protesi della sua mano. Tratta la «cartella colori» dell’Amiga come una tavolozza. Concepisce lo schermo come una tela su cui stratificare cromie e soluzioni dinamiche. Si tratta di un dinamismo che nasconde rabbia, inquietudine. È come se, negli ultimi anni di vita, Warhol avesse voluto mettere in discussione se stesso. Egli assume alcune celebri icone pop — la Campbell’s Soup, la banana dei Velvet Underground, Marilyn Monroe — e ne viola la solennità. Le sfigura, le aggredisce: arriva quasi a cancellarle, immettendole dentro grafemi infantili. A proposito della performance del 23 luglio 1985, non senza ironia, scrive: «È venuto fuori un disegno orribile, e io l’ho definito “un capolavoro”. Un vero disastro».



WARHOL
Vincenzo Trione






Edited by Milea - 29/7/2021, 23:27
 
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