Loveless - My Bloody Valentine, Arte astratta, una dimensione parallela, un sogno ad occhi aperti

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view post Posted on 13/5/2014, 20:57     +1   +1   -1
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LOVELESS
My Bloody Valentine


Il secondo album dei My Bloody Valentine capolavoro della scena "shoegazer" nonchè uno dei più influenti di tutti gli anni '90, costò sembra oltre 500.000 $, portando al fallimento la Creation. Soldi spesi bene..."Loveless" ha espanso le possibilità del rumore come forma di melodia, grazie alla combinazione del suo ubriacante ronzio chitarristico con la voce eterea di Blinda Butcher. (Mar L8v)

loveless


La stampa inglese, che più di tutto ama affibbiare etichette improbabili, se non totalmente strampalate, li chiamò gli "shoegazers", i "fissascarpe", per la loro abitudine, nemmeno poi così strana, a starsene a capo chino sugli strumenti durante i concerti, negandosi anche la minima forma di comunicazione con il pubblico. La spiegazione poteva cercarsi magari nel fatto che i cosiddetti "shoegazers" (vanno doverosamente citate band come Slowdive, Ride o Pale Saints) erano tutt'uno con la loro musica, o meglio con i loro inestricabili grumi sonori, con le loro chitarre sovraccaricate di feedback ed effetti stranianti e stordenti, con le voci e le melodie appena abbozzate, bisbigliate e sommerse da un oceano di rumore. La strada fu aperta a metà anni ottanta dagli scozzesi Jesus & Mary Chain, ma furono gli anglo-irlandesi My Bloody Valentine a elevare questo stile ai suoi livelli più eccelsi. La ricetta inventata dai Jesus & Mary Chain era di una semplicità estrema: innocue melodie pop nel più puro stile britannico venivano sistematicamente e brutalmente violentate da chitarre distorte ai limiti del noise. Ma laddove gli scozzesi erano ancora in qualche modo legati ai canoni della "canzone", i My Bloody Valentine, guidati dal chitarrista Kevin Shields, portarono questa ricerca sonora verso lidi totalmente inesplorati. Dopo anni di Ep e cambiamenti di formazione la parabola dei "veri" My Bloody Valentine (cioè il quartetto formato da Kevin Shields e Bilinda Butcher, voci e chitarre; Debbie Googe, basso; Colm O'Ciosoig, batteria) durò praticamente lo spazio di due soli, straordinari album, "Isn't Anything" e, appunto, "Loveless". In questi due lavori è racchiusa tutta l'enorme portata innovativa della loro opera, una vera e propria rivoluzione che avrebbe segnato molto del rock a venire: quello realizzato da Shields e compagni è un ibrido pressoché inconcepibile, eppure grazie a loro diventato realtà, tra le armonie stravolte dal rumore dei Velvet Underground e quelle fragili e sognanti dei Cocteau Twins; i My Bloody Valentine erano garage-rock e acid-rock, erano la psichedelia più lisergica e il dark-punk più oscuro, erano una pop-band di stampo beatlesiano travestita da noise-band "radicale", e viceversa. Erano tutto e il contrario di tutto, insomma, ed è chiaro che la loro testimonianza sonora ultima e definitiva, non poteva che essere un disco che richiamava e riassumeva trent'anni di storia del rock ma che non somigliava a nient'altro che fosse mai stato prodotto nella storia del rock: un macigno di suoni caotici, stratificati e sovrapposti, che non concede pause, che trascina in un viaggio che è insieme infernale e celestiale. Il tutto orchestrato dal luminoso e folle genio di Kevin Shields, che ha scritto, arrangiato e prodotto l'album: ed è sempre lui che, facendo largo uso di campionamenti e manipolazioni di ogni genere, è riuscito a deformare la musica fino a renderla un unico, compatto, muro di suoni stranianti e martellanti, toccando spesso e volentieri la pura avanguardia. L'iniziale "Only Shallow", con quel suo impasto di strati e strati di chitarre instabili e tremolanti, quel ritornello squarciato dall'elettronica, la voce della Butcher dolce e distante come quella di un angelo (o di un diavolo tentatore?), il tutto condotto a ritmi trascinanti, è subito rappresentativa delle intenzioni di Shields. A contare non sono più le canzoni o le melodie in sé (che pure sono bellissime nella loro semplicità), ma i vortici di suoni amalgamati tra di loro fino a formare un unico insieme che potrebbe continuare a fluttuare così, senza peso e senza forma, per minuti e minuti (non a caso dal vivo le canzoni venivano dilatate a dismisura). "Loomer" è un brano che in altre mani sarebbe terrorizzante, un potenziale hardcore di potenza tellurica, ma con i My Bloody Valentine, grazie al contrasto con la voce sempre più eterea e impalpabile, anche il rumore più aggressivo diventa estasi paradisiaca. Il capolavoro nel capolavoro, un brano più unico che raro, che dimostra l'autentico genio musicale di Kevin Shields è "To Here Knows When", ovvero un tentativo inedito e probabilmente ineguagliabile di noise "da camera": la melodia c'è ed è dolcissima, lontana, quasi subliminale, sepolta sotto tonnellate di rumore, mentre la distorsione estrema ed informe della chitarra è qui accoppiata ad un quartetto d'archi "artificiale", ma nessuno di questi elementi è in contrasto con l'altro, tutto si fonde alla perfezione, con una naturalezza sconcertante. I brani centrali sono più regolari, veloci e potenti come si conviene a una vera rock-song, salvo essere qua e là solcati e resi "estranei" da strambi motivetti elettronici: ma poi si ascolta una canzone come "Come In Alone" e come per magia siamo tornati nei Sixties ad assistere a un immaginario duetto tra i Beatles e i Velvet Underground, ennesima dimostrazione di come il genio dei My Bloody Valentine sia tutto nella loro abilità davvero unica a rendere omogeneo ciò che apparentemente sembra inaccostabile. "Sometimes", introduce anche la chitarra acustica ad accompagnare il sussurro malinconico di Shields, ma il sottofondo noise è sempre lì, incombente e tumultuoso, pronto in ogni istante ad impadronirsi della canzone. Ma ancora una volta nessuno degli elementi in contrasto prende il sopravvento sull'altro: tutto è immobile, come in contemplazione: è l'equilibrio perfetto tra melodia e rumore, dolcezza e violenza, in definitiva tra ordine e caos. Inattesa e bellissima, come un improvviso squarcio di luce che trapela da nubi temporalesche, arriva "Blown A Wish", un coro di voci e suoni che sembrano volteggiare in un'atmosfera onirica, irreale, e in questo caso sembra davvero di vedere i magici Cocteau Twins alle prese con le alchimie di John Cale. Ancora un veloce garage-rock "What You Want", conduce al brano di chiusura, la lunga "Soon", ovvero quando il rock ‘n roll flirta con la tecnologia e la house-music, un'idea che sarà approfondita quasi contemporaneamente dai Primal Scream di Bobbie Gillespie (non a caso sarà proprio con i Primal Scream, che Shields avvierà una proficua e duratura collaborazione). Dato alle stampe questo capolavoro i My Bloody Valentine sparirono dalla circolazione. Insieme a loro giunse alla fine anche il grande sogno degli "shoegazers": una rivoluzione incompiuta, la loro, che si risolverà nel giro di pochi anni nella triste "restaurazione" del brit-pop, con gruppi come gli Oasis, i quali non faranno che banalizzare e rendere totalmente anonimo quel connubio tra chitarre distorte e melodie di impronta Sixties che, con quest'album soprattutto, ma anche con le altre loro opere, e con quelle dei loro compagni d'avventura, i My Bloody Valentine e gli "shoegazers" avevano portato a livelli extraterrestri. E "Loveless" resterà per sempre il loro manifesto: arte astratta, una dimensione parallela, un sogno ad occhi aperti.

Tracce:

Tutti i brani sono di Kevin Shields, eccetto dove indicato.

Only Shallow – 4:17 (Shields/Bilinda Butcher)
Loomer – 2:38 (Shields/Butcher)
Touched – 0:56 (Colm Ó Cíosóig)
To Here Knows When – 5:31 (Shields/Butcher)
When You Sleep – 4:11
I Only Said – 5:34
Come in Alone – 3:58
Sometimes – 5:19
Blown a Wish – 3:36 (Shields/Butcher)
What You Want – 5:33
Soon – 6:58


Formazione:

Kevin Shields: voce e chitarra
Bilinda Butcher: voce e chitarra
Debbie Googe: basso
Colm O'Ciosoig: batteria


Loveless:

Pubblicazione - 4 novembre 1991
Durata - 48 min : 36 s
Genere - Alternative rock
Dream pop
Shoegaze
Noise pop
Indie rock
Etichetta - Creation Records
Produttore - Kevin Shields, Colm Ó Cíosóig
 
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