Andy Warhol: opere digitali scovate in un computer Amiga

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view post Posted on 25/4/2014, 12:16     +2   +1   -1
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Andy Warhol: opere digitali
scovate in un computer Amiga


Li ha scovati un artista di Brooklyn nei floppy disk conservati nel museo a lui dedicato a Pittsburgh. Nessuno aveva mai pensato di vedere cosa contenessero. Ora verranno esposte. Il direttore: "Non aveva paura delle nuove tecnologie, anzi le ha subito abbracciate, voleva padroneggiarle, usarle come nuovo mezzo espressivo"




I tempi cambiano. Ieri per trovare un tesoro, un'opera d'arte perduta, bisognava sperare nella soffitta di un collezionista distratto, o magari negli scavi di qualche opera pubblica. Oggi, invece, un tesoro si può trovare anche dentro dei floppy disk, i dischetti di plastica che usavamo sui computer fino a non troppi anni fa. E' successo a Cory Arcangel, artista americano di Brooklyn, New York, che nei dischi di un vecchio Commodore Amiga ha scoperto una dozzina di opere firmate da Andy Warhol. Era il 2011 e Arcangel si imbattè su YouTube in un filmato che mostra Andy Warhol alla presentazione del Commodore Amiga 1000 nel 1985. Era un computer all'avanguardia per quei tempi, capace di creare immagini con un massimo di 4096 colori quando la maggior dei pc dell'epoca ne mostrava 16. Invitato dalla compagnia americana, Warhol disegnò un ritratto della cantante Debbie Harry, leader dei Blondie. Tramite una fotocamera collegata al computer, una tecnologia ai tempi rivoluzionaria, Warhol prima scatta una foto alla Harry e quindi la modifica usando il software dedicato al disegno presente nell'Amiga. Quel computer fu poi regalato ad Andy Warhol. Cory Arcangel si è chiesto che fine avesse fatto quel ritratto, e se Warhol avesse usato l'Amiga per realizzare anche altre opere. Così si è messo in contatto con l'Andy Warhol Museum di Pittsburgh scoprendo che l'Amiga, e diversi floppy disk, erano conservati nel museo. Sono rimasti lì per più di vent'anni senza che nessuno pensasse di controllare cosa contenessero.



Leggere dischetti registrati oltre 20 anni fa però è un'operazione tutt'altro che semplice. Come tutti i supporti magnetici, i floppy disk possono deteriorarsi col tempo, sono estremamente delicati e il rischio, se semplicemente si provava a inserirli dentro un'Amiga ancora funzionante, era di perdere il loro contenuto. L'Andy Warhol Museum e Cory Arcangel hanno così chiesto l'aiuto del Computer Club della Carnegie Mellon University. Lungo tre anni di lavori, che saranno raccontati in un documentario che sarà mostrato il 10 maggio alla Carnegie Library di Pittsburgh, Arcangel e soci hanno recuperato 18 immagini, dodici delle quali firmate da Warhol. Tra queste, ci sono rivisitazioni digitali di alcune delle sue opere più famose, come il barattolo della zuppa Campbell, la banana della copertina dell'album di debutto dei Velvet Underground, il ritratto di Marilyn Monroe, un autoritratto e una versione a tre occhi della Nascita di Venere di Sandro Botticelli.


Queste opere, oltre a essere tra le ultime creazioni del genio americano (che morì due anni dopo l'arrivo dell'Amiga 1000, nel 1987), sono anche la dimostrazione, secondo il direttore dell'Andy Warhol Museum Eric Shiner, che il genio di Warhol non aveva limiti. "Non aveva paura delle nuove tecnologie, anzi le ha subito abbracciate, voleva padroneggiarle, usarle come nuovo mezzo espressivo", sostiene Shiner. L'artista Cory Arcangel riassume invece così la sua esperienza: "Quello che mi colpisce di questa storia è la velocità con cui Warhol abbracciò questa nuova realtà, trovandosi subito a suo agio anche con mouse e tastiera. Intuì subito le potenzialità del digitale". Le opere ritrovate saranno esposte all'Andy Warhol Museum, a Pittsburgh.











Edited by Milea - 30/8/2021, 16:07
 
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view post Posted on 19/7/2014, 17:06     +1   -1
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Ecco la computer art
firmata Andy Warhol presto in mostra



Una troupe del Carnegie Museum ha ripreso gli «scavi» sul materiale informatico del grande artista recuperato a Pittsburgh. Una squadra di studenti ha lavorato un anno per non danneggiare i supporti magnetici e in autunno le opere ritrovate andranno finalmente in mostra


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Andy Warhol? È come Michael Jackson, ha scritto Jean Baudrillard. Un «mutante solitario». Un personaggio artificiale, inventore di effimeri e decorativi «feticci desacralizzati». Non opere, ma «segni, allusioni, concetti». Idee: «L’arte è travestita dall’idea. L’idea è travestita dall’arte». Eppure, la meta di questo itinerario poetico non è la sparizione dell’arte. Secondo Baudrillard, quella disegnata dal padre della Pop Art è «una direzione che implica forse il suo ritorno (…) al savoir-faire (…) o all’artigianato rituale».

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Baudrillard coglie il senso profondo dell’opera di Warhol, che oscilla tra adesione al presente e distanziamento dal presente stesso. Per un verso, egli asseconda le regole della civiltà dell’industria. Per un altro verso, avverte il bisogno di non tagliare mai i ponti con la memoria. Si pensi a quel che avviene negli anni Ottanta. È una stagione segnata dall’insofferenza per i riti della società dello spettacolo e dal desiderio di isolamento. Ma anche dalla necessità di avviare un dialogo stringente con la storia dell’arte (Leonardo, Botticelli, de Chirico) e dall’urgenza di «riconquistare » la bellezza del fare con le mani e dello stratificare materie eterogenee sulla tela. Lungi dal ripiegarsi dentro un rassicurante anacronismo, però, Warhol conserva la voglia di misurarsi con media diversi.

In questa direzione vanno i suoi anticipatori progetti televisivi (l’Andy Warhol’s tv). E i suoi esercizi di computer art, sui quali ci sono stati di recente importanti ritrovamenti. Un’avventura ancora poco conosciuta.
Primi anni Ottanta. Una sequenza digitale animata, You are the One, realizzata con la tecnologia di un computer Amiga: accompagnati da una colonna sonora, si succedono scatti di Marilyn Monroe, sottoposti a un gioco di variazioni cromatiche (la sequenza è stata ritrovata e restaurata dal Moma nel 2001). 1985. Warhol ha l’incarico di progettare il design del Commodore Amiga 1000. 14 giugno.

Nei Diari, l’artista annota: «In mattinata sono andato nel palazzo Seagram per quei video Come si impara a dipingere per il quale la Commodore vuole che io faccia il dimostratore. (…) È una macchina simile a quella della Apple, ma in grado di fare cento volte di più». Ancora i Diari. 22 luglio: «Sono dovuto tornare a casa presto per tingermi i capelli per la mia apparizione in pubblico il giorno dopo (…) per la Commodore. Mi sono tinto anche le sopracciglia. (…) Sono artistico, dolcezza». 23 luglio. Una serata di gala organizzata al Vivian Beaumont Theater. Viene presentato l’Amiga 1000: una macchina capace di creare immagini servendosi di una varietà di 4.096 colori. Invitato come testimonial, Warhol, servendosi di una fotocamera collegata al computer, esegue una fotografia della cantante punk-rock Debbie Harry. In seguito, la modifica grazie a un software offerto dall’Amiga. Quel computer, poi, verrà regalato a Warhol. Che sosterrà: «Ho detto che avrei voluto essere Walt Disney e che se avessi avuto quella macchina dieci anni prima ce l’avrei fatta».

Da questo episodio è nata la curiosità dell’artista newyorkese Cory Angel. Nel 2011, Angel si è recato al Warhol Museum di Pittsburgh, dove sono conservati quell’Amiga 1000, insieme con un mouse, una fotocamera e alcuni floppy disk. Nessuno aveva mai provato a frugare dentro quei «reperti». Angel ha incontrato la curatrice Tina Kukielski.

Dopo è cominciato un difficile lavoro archeologico: recuperare i files salvati sui floppy. Decisivo è stato l’aiuto del Computer Club della Carnegie Mellon University. Questo team ha dovuto affrontare un problema: guardando all’interno dei dischetti, si correva il rischio di cancellarne il contenuto. È servito un anno per approntare una strategia che ne consentisse la consultazione «sicura». Solo allora i ricercatori della Carnegie Mellon hanno visto affiorare una lista di file. Che, però, erano stati salvati in un formato sconosciuto. Per accedere a quei documenti, si è creato un apposito software, che ha permesso di visualizzare un archivio fatto di 12 «quadri» realizzati da Warhol utilizzando la tecnologia dell’Amiga. Rivisitazioni digitali di alcuni classici: la Campbell’s Soup, la banana della copertina dell’album dei Velvet Underground, il ritratto di Marilyn Monroe, un autoritratto e una versione «monstruos» della Nascita di Venere di Botticelli.

Siamo ad aprile 2014. Una troupe del Carnegie Museum ha ripreso questo «scavo». In attesa di una mostra, in programma per il prossimo autunno al Warhol Museum.
La piccola pinacoteca «sepolta» nell’Amiga 1000 per trent’anni ci fa capire quanto sia stato ambiguo il rapporto di Warhol con il concetto di «riproducibilità tecnica». Sorretto dalla volontà di far coincidere l’artista con la macchina, egli impiega soprattutto media meccanici: foto, pellicola, videocamera, registratore a bobine. Ricerca l’automatismo. Aspira a mimare i procedimenti industriali nella fabbricazione di immagini impersonali. La pratica artistica, per lui, è: distanziamento dalla vita, rito della neutralità. La registrazione di qualcosa è più importante della cosa registrata; il medium conta più del messaggio.

Ma questo è solo il lato più evidente della poetica di Warhol. In lui, freddezza e impassibilità emotiva convivono con ansie, commozioni segrete. E anche con la voglia di ritornare alla disciplina «umanistica» della pittura.
In questo senso, le avventure di computer art sono rivelatrici. Una felice sintesi. Warhol non si fa mai dominare dal computer, ma se ne serve. Adopera il mouse come una protesi della sua mano. Tratta la «cartella colori» dell’Amiga come una tavolozza. Concepisce lo schermo come una tela su cui stratificare cromie e soluzioni dinamiche. Si tratta di un dinamismo che nasconde rabbia, inquietudine. È come se, negli ultimi anni di vita, Warhol avesse voluto mettere in discussione se stesso. Egli assume alcune celebri icone pop — la Campbell’s Soup, la banana dei Velvet Underground, Marilyn Monroe — e ne viola la solennità. Le sfigura, le aggredisce: arriva quasi a cancellarle, immettendole dentro grafemi infantili. A proposito della performance del 23 luglio 1985, non senza ironia, scrive: «È venuto fuori un disegno orribile, e io l’ho definito “un capolavoro”. Un vero disastro».



Vincenzo Trione






Edited by Milea - 30/8/2021, 15:54
 
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