Nuda sulle opere di Urs Fischer, la performance a Venezia, "Madame Fisscher" la mostra a Palazzo Grassi fino al 15 giugno

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Milea
view post Posted on 21/4/2012, 11:06 by: Milea     +1   -1
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Urs Fischer:
"Il mio filo rosso è l’ironia"



Linee di resina, torte sospese, strane macchine... Lo definiscono “scultore del movimento”, ma lui ama paradossi e humour. Come si scopre nella mostra che apre a Venezia

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Tatuaggi che si arrampicano sulle braccia, sul collo. Occhi azzurri e mani che piroettano nell’aria. Ha lo sguardo di un monello che non si lascia catturare facilmente. Ma nell’atrio altero di Palazzo Grassi Urs Fischer si muove con la disinvoltura e il garbo di un invitato atteso da tempo. È a suo agio nella storia architettonica di Venezia. «Palazzo Grassi is fantastic » dice l’artista. Tocca proprio a questo ragazzone, che a quasi quarant’anni sfoggia la bellezza disordinata di un punk, inaugurare il nuovo ciclo espositivo voluto da François Pinault, pronto quest’anno a lasciare spazio anche ai singoli e a consegnare loro le chiavi di un edificio favorevole a un dialogo che accetta nuove prospettive modificando volumi, esaltando la luce. E a dare dell’artista ospite una visione a tutto tondo, con incontri (il 20 giugno dibatte con Francesco Bonami), proiezioni (dodici le pellicole selezionate da Fischer «anche se nessuna è la preferita»), workshop e libri.

Le casse sigillate che aspettano di essere aperte solo da tecnici svizzeri, i fili tesi per misurare angoli e altezze, gli sguardi di complicità con Caroline Bourgeois, co-curatrice assieme a Fischer, raccontano quanto conti per lui il processo creativo. «Urs Fischer interagisce perfettamente con lo spazio perché è molto legato all’idea di come nasce un’opera d’arte» spiega Martin Bethenod, da due anni amministratore delegato e direttore di Palazzo Grassi e Punta della Dogana François Pinault Foundation. La dimora settecentesca diventa sede della creazione. All’insegna del cambiamento.

Così con Madame Fisscher, l’installazione che dà il titolo (un finto refuso disorientante) alla personale aperta dal 15 aprile al 15 luglio, la più importante realizzata in Europa, Fischer fa entrare gli spettatori nel suo studio londinese degli anni Novanta. Dentro le mura, ricostruite nell’atrio, gli arredi, i disegni, i quadri, la testa in creta, l’autoritratto scultura. Quanto conta il tempo per questo artista che esplora i meccanismi della percezione? «Il tempo è movimento» accenna. Poi ricorda di «aver sentito dire che le cellule del corpo umano si sostituiscono in sette anni, dopo questo periodo siamo altre persone. Chi siamo dopo sette anni? Il corpo umano è sempre in evoluzione». «È lo scultore del movimento, come Brancusi » sottolinea Caroline Bourgeois.

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Il motivo del movimento torna nelle opere in cera (entrambi Untitled) che iniziano la propria metamorfosi già a mostra conclusa, come l’autoritratto-candela, seduto al tavolo di un bar, realizzato assieme al ritratto dell’amico fraterno Rudolf Stingel; nei lavori alimentati da meccanismi meccanici che inducono un moto continuo (Nach Jugendstiel kam Roccoko), o ancora in Glasgow Installation, la ricostruzione di un atelier con bozzetti e modelle vere dove lo spazio dell’arte interagisce con quello pubblico.

Dall’atrio prende il via un percorso di oltre trenta opere, dagli anni Novanta a oggi, che svelano l’affezione per gli oggetti quotidiani, il gusto per il paradosso, la ricerca di soluzioni plastiche che rivoluzionano l’uso delle cose, delle proporzioni, la voglia di stupire di questo artista con alle spalle studi di fotografia a Zurigo, la sua città, interrotti per volare a Berlino, Londra e approdare poi nella Grande Mela «quando si è sentito pronto». Perché «New York è interessante per il mix e il mix è interessante per me. E New York è un luogo per l’arte» racconta mentre si aggira al piano nobile, dove ha squarciato il salone d’onore abbattendo un muro e creando una visuale aperta su Ca’ Rezzonico. Per lasciar fluttuare Spinoza Rhapsody, Cioran Handrail e Mackintosh Staccato, tre linee di pensiero (in resina) che si incrociano nell’aria come disegnate a mano libera. «Non ho scelto di allestirla secondo un criterio cronologico ma di proporre lavori di periodi diversi» accenna questo funambolo dell’arte in bilico tra logica e assurdo, violenza e humour. Anche se per Urs Fischer il paradosso “è normale”.

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Ama i giochi paradossali: abC, gli uccellini appesi al termine dello scalone, portano un peso enorme e allo stesso tempo mostrano i percorsi della mostra, sia a destra che a sinistra. In un gioco di simmetrie precise con le opere che si affacciano sul Canal Grande. Nessuna interruzione. Tutto scorre. Eppure Urs Fischer «che inizia a lavorare dai bozzetti e con i materiali, senza seguire una regola, apprezza l’imperfezione», tanto che il critico d’arte Francesco Bonami lo ha definito «il perfezionista dell’imperfezione».

I suoi lavori suscitano sorpresa, divertimento: «Quando la gente entra nei musei, spesso si dimentica del nome del museo stesso, delle opere. I lavori che contengono una buona dose di umorismo hanno più possibilità di essere ricordati». Fa il verso ai Dada, ai Surrealisti, sottolinea Martin Bethenod di fronte all’opera The Lock, replica di un sedile della metropolitana sul quale è sospesa nel vuoto una torta rosa. Si soffia delicatamente e lei si muove lieve.

Da generoso autodidatta - «non credo nella scuola» - ha coinvolto gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, tutti indistintamente, gli allievi delle classi di pittura, di scultura, di arti visive, invitandoli a un’operazione di creazione collettiva. Palazzo Grassi metterà a disposizione cinque tonnellate di creta e i ragazzi lavoreranno su tematiche suggerite da Fischer, i cani, i gatti, il movimento. Nulla è preordinato, le opere, di creta (materiale nuovo per lo scultore), si dissolveranno presto, alcune il giorno stesso dell’inaugurazione. Ciò che resta è l’emozione del gesto. Il risultato inatteso.

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