PETRA, Giordania, distretto di Ma'an

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view post Posted on 25/8/2011, 21:35     +2   +1   -1
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Sono così tanti a zoppicare che chi cammina dritto, pare in difetto!

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PETRA



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Giordania, distretto di Ma'an



Incenso,zafferano, mirra, cardamomo, pepe, zenzero, cannella per insaporire i cibi e per ricavare profumi, balsami e medicine. E poi mussolina di cotone e sete che, dall’inizio del I secolo d.C., divennero il tessuto prediletto per le vesti dei romani più raffinati. Tutte queste merci, secondo quando riportato nel Periplo del Mare Eritreo, manuale a uso dei navigatori redatto da un anonimo mercante greco, arrivavano dall’India via mare fino ai porti dell’Hadramauth, nello Yemen della leggendaria regina di Saba. E da lì venivano prese in consegna dai nabatei che, in lunghe carovane, le trasportavano lungo la via nel deserto che risaliva la Penisola Arabica fino alla favolosa città di Petra per essere smistate verso il Mediterraneo, la Persia e la Mesopotamia.


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Poco si sa sull’origine di quel popolo di mercanti seminomadi che si erano guadagnati il rispetto dei romani e dei persiani per la capacità di rifornirli di merci così ambite. Alcuni studiosi li identificano con gli edomiti che fermarono l’esodo di Mosè. Ma la prima testimonianza scritta sui nabatei è molto più recente ed è contenuta nel Libro XIX della Biblioteca Historica di Diodoro Siculo (80-20 a.C.). gli eventi qui narrati risalgono al 315 a.C. e riguardano il tentativo, fallito, da parte dei Diadochi, successori di Alessandro, di sottomettere la popolazione nabatea insediata a Petra.

I nabatei balzano, per così dire, agli onori delle cronache nel 63 a.C., quando i romani guidati da Pompeo riescono a estendere il loro dominio sui territori corrispondenti alle attuali Siria e Giordania, abitate in gran parte da nabatei; i quali, però, riescono ad arroccarsi intorno alla loro capitale e a mantenere il monopolio delle merci provenienti dal Mar Rosso.


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Roma riuscirà ad avere la meglio su di loro soltanto nel 106 d.C., quando, alla morte del loro re, Rabbele II, i nabatei consegnano la città a Cornelio Palma, governatore della Siria sotto Traiano. I resoconti dell’epoca non narrano di epici scontri intorno a Petra. Probabilmente la resa nabatea è l’esito di un accordo diplomatico, ipotesi suffragata dalle monete coniate da Roma dopo l’annessione, sulle quali, a celebrare l’evento, si legge “Arabia adquisita”, e non “Arabia capta”, segno di un “passaggio di proprietà” di carattere amministrativo.


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In verità, nonostante la schiacciante superiorità di uomini e mezza, i romani non sarebbero stati in grado di prendere Petra con la forza. Il Siq, la stretta gola che il wadi Musa ha scavato per migliaia di anni, uno dei torrenti stagionali della zona, ha scavato per migliaia di anni, è l’unico accesso alla città.
E in più, l’imbocco alla fessura è praticamente invisibile. Da qui, per 1200 metri, si dipanano anse e curve a gomito tra pareti di arenaria alte fino a 100 metri: un passaggio obbligato, e un suicidio, anche per un esercito come quello romano.
Ora che non rappresenta più un ostacolo invalicabile di carattere militare, il Siq è “appena” un percorso di grande suggestione per raggiungere el Khashné el Farun (il “Tesoro del Faraone”), l’immenso edificio scavato nella roccia che è uno dei monumenti più straordinari del mondo antico, tanto che l’archeologo inglese Sir Charles Leonard Woolley ne scrisse affascinato: ”Gli architetti nabatei hanno dissezionato l’architettura classica e quindi giocato con i vari pezzi, disponendoli a loro piacere con sublime disinteresse per la funzione per la quale erano stati in precedenza destinati”.

Una via colonnata resa monumentale nel periodo tra il I e il II secolo d.C.,
attraversa la città in direzione ovest-est, dal tempio di Qasr el-Bint el-Farun fino alle tombe reali.


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Con una facciata su due piani, larga 28 metri e alta 40, el Khashné el-Farun è caratterizzato da una scansione architettonica molto elaborata. Il piano inferiore è costituito da un portico a sei colonne, mentre il secondo è diviso in un tholos rotondo con tetto conico sormontato da un’urna e, ai lati, in due semifrontoni inquadrati da colonne da racchiudono edicole. Ovunque vi sono motivi ornamentali di altissima qualità (capitelli, fregi continui raffiguranti ghirlande di foglie e bacche, statue) che richiamano modelli ellenistici.
Come gran parte dei monumenti di Petra, l’edificio aveva una funzione funebre e fu probabilmente scolpito in memoria di re Arete III (84-56 a.C.), il cui governo coincise con il periodo di massima prosperità dei nabatei.

Interamente intagliato nell’arenaria, il teatro ha una cavea che poteva ospitare 8500 spettattori.
In origine la frons scanae era rivestita da pannelli di marmo e da intonaco dipinto a colori vivaci.



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Il nome gli venne attribuito nel VII secolo dagli arabi, a lungo convinti che l’urna posta nel tholos celasse un tesoro. Ed è stata la loro furia iconoclasta a danneggiare le statue della facciata, come, più avanti nel tempo, la distinzione dell’anfora è stata responsabilità dei beduini in cerca del favoleggiato tesoro. Dal Khashné el-Farun la grandiosa città nabatea si apre in una conca cinta di pinnacoli rosati. E lì, l’unica costruzione che non è stata scavata nella roccia prende anch’essa il nome da un equivoco. E’ il Qasr el Bint el-Farun, il “Castello della figlia del faraone”. Si tratta di un vasto edificio templare, ricchissimo di decorazioni, che mutua la sua struttura dai templi della valle del Nilo. L’origine del nome è da imputare all’influenza egizia sulla cultura locale esercitata dai tempi più remoti a causa degli scambi commerciali tra Petra e Alessandria. Del resto fu la natura mercantile dei nabatei a far sì che assorbissero caratteri culturali e artistici propri dei popoli con i quali venne in contatto.

La Tomba degli Obelischi, che deve il nome ai quattro obelischi scolpiti a tutto tondo, simbolo dei defunti qui sepolti, fu scavata in modo da sormontare il triclinio di Ba bel- Siq. Tra i due edifici, entrambi notevoli per la raffinatezza della facciata, doveva intercorrere una relazione funzionale.


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Come in gran parte delle altre tombe di Petra, nella Tomba Giardino, nella zona di Wadi Farasa, la sala porticata doveva ospitare i banchetti in commemorazione del defunto che, probabilmente si tenevano nell’anniversario della morte.


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Spiccatamente ellenistico, al pari del Khashné el-Farun, è l’architettura del maestoso ed-Deyr, il “monastero”, eretto in onore di un sovrano (forse Oboda I), divinizzato dopo la morte. Situato sulla cima della montagna omonima, vi si accede attraverso interminabili scale scavate nella roccia, una sorta di “via sacra” scandita da tombe e nicchie votive. D’altra parte, molte tombe di Petra (come quella detta dell’”Urna”) e i triclini in pietra, dove venivano allestiti sontuosi banchetti funebri, recano fregi a scale di ispirazione assira.


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Quest’altra tomba a tempio della fine del I secolo d.C. è detta “del Soldato romano” per la presenza di una scultura virile con corazza, posta nella nicchia centrale: si tratta dell’effigie che rappresenta l’ufficiale di alto rango ivi sepolto.


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Le pareti del triclinio della Tomba del Soldato romano sono scandite da semicolonne e nicchie, mentre nel centro dell’ambiente si trovano banchi in pietra che servivano per far sedere i convenuti alle cerimonie funebri.


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La Tomba di Sextius Florentinus (sinistra), governatore della Provincia d’Arabia nel 127 d.C., presenta un grande arco centrale, una figura femminile. Si tratta probabilmente di una gorgone, un simbolo di chiara influenza ellenistica.
La facciata della Tomba Rinascimentale (a destra), nome fantasioso attribuitole per i dettagli del frontone che ricordano gli edifici italiani di quel periodo, presenta un bassorilievo che raffigura una scala, decorazione peculiare delle tombe di Petra.


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Nulla è rimasto delle abitazioni nabatee, probabilmente costruite con materiali deperibili. Come non si sa molto della fine di questo popolo, forse assorbito dagli arabi. Con l’arrivo dei romani, la città aveva gradualmente perso la sua importanza, anche se personaggi del calibro di Strabone, l’avevano descritta in termini entusiastici. Poi, nel III secolo d.C. con il declino dell’impero, i romani persero interesse per Petra e la memoria della città rimase custodita da sparuti gruppi di beduini fino al 22 agosto 1812, quando venne riscoperta dal viaggiatore svizzero Johann Ludwig Burckardt.
I suoi racconti, pubblicati in Travels in Syria and the Holy Land, trovano terreno fertile nell’Europa romantica dell’Ottocento e inducono, nel 1838, un pittore scozzese di umili origini a partire per quel luogo straordinario.
Il suo nome è David Roberts e i circa 100 schizzi e dipinti realizzati a Petra gli permettono di coronare il suo sogno di gloria. Di ritorno in patria, Roberts diventa famoso come il più grande vedutista del suo tempo. E, dopo il suo reportage, Petra è tornata a vivere. (M.@rt)




Edited by Milea - 26/9/2021, 18:30
 
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