Houses of the Holy, Led Zeppelin, Pensammo di mettere sulla copertina i passi, per aiutarvi a ballare

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view post Posted on 17/5/2014, 14:21     +1   -1
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HOUSES OF HOLY
Led Zeppelin


I Led Zeppelin nei loro album precedenti erano rimasti fedeli al nucleo del loro suono, blues sovraccarico, folk celestiale, ma fu qui che iniziarono a fare sul serio. "D'yer Mak'er" è la loro versione del reggae, e "The Crunge" un tributo a James Brown. "Pensammo di mettere sulla copertina i passi, per aiutarvi a ballare", disse Jimy Page. Il gruppo assecondò anche il suo lato cosmico con "The rain song" (con una delle interpretazioni più incredibili di Plant), "The song Remains the Same" e il canto di morte vichinga "No Quarter". Confermando di essere il più grande gruppo al mondo, quell'estate il tour americano degli Zeppelin infranse al botteghino record stabiliti dai Beatles...( Mar L8v )

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Il quinto album del Dirigibile vede un rallentamento della sua incredibile ascesa. Nel senso che questa raccolta di canzoni è di qualità eccelsa ma stavolta non c’è da rimanerne stupefatti, come puntualmente era successo per ognuno dei dischi precedenti. Per la prima volta la sensazione è ottima ma non eccezionale, con un mantenimento delle irraggiungibili posizioni di vertice nel campo dell’hard e del folk rock, mentre la fase blues viene qui messa in temporanea stasi. Pareri personali chiaramente, seppure largamente condivisi. Ciò non toglie che, fra le legioni di ammiratori degli Zeppelin, un robusto manipolo di essi trovi quest’album semplicemente il migliore. E perché no poi, si tratta di bellissima musica dopotutto, di un disco comunque epocale e influente, passaggio obbligato per qualunque appassionato di musica rock. “The Song Remains The Same” che inaugura l’album era all’origine solo strumentale e si sente, perché le strofe di Robert Plant paiono attaccate con lo scotch, suonando forzate e poco incisive. Peccato, perché la solare cavalcata sulla dodici corde elettrica di Jimmy Page, supportata dalla inevitabilmente tonica “pacca” ritmica di John Bonham, è trascinante e brillantissima. Il batterista costringe Page e il bassista John Paul Jones a tutta una serie di break e di stop&go mozzafiato, Jimmy alterna accordi pieni, arpeggi e assoli in una vorticosa dimostrazione di creatività e senso armonico. Un grande brano a cui manca, ripeto, la giusta ispirazione nelle linee vocali per entrare fra i capolavori zeppeliniani. Capolavoro è invece “The Rain Song”, la romantica ballata che segue a ruota, con un passaggio a contrasto così riuscito che il gruppo penserà bene di mantenerlo anche dal vivo, suonando questi due pezzi sempre uno dopo l’altro. Page riesuma e sublima qui i suoi studi sulle inusuali accordature folk, apprese dai grandi suoi maestri Bert Jansch e John Reinbourn, sfornando una successione di accordi acustici ad altissimo grado evocativo. Per ricrearli, bisogna “tirare” la prima, seconda, terza e sesta corda della chitarra su di un tono rispetto all’accordatura normale, dopodiché le posizioni da prendere con le dita risultano molto semplici. Jimmy Page è tra i tre, quattro chitarristi rock più famosi e rispettati di ogni tempo, e qui se ne ascolta uno dei motivi: la successione armonica è pura magia, la squisitezza del suo lavoro per tutti i sette abbondanti minuti del brano è una gioia per le orecchie. Il compare John Paul Jones ci aggiunge molto del suo, smanettando pesantemente col mellotron sì da rendere la faccenda molto sinfonica e progressive, allo stesso tempo struggente e barocca, forse compromettendo un poco le cose, forse no. “Over The Hills And Far Away” è l’ennesimo mirabile capitolo di una fra le più tipiche e trascinanti situazioni zeppeliniane: Page e Plant cominciano da soli, uno all’acustica e l’altro al canto tranquillo e serafico, poi cala la mazzata di Bonham, più che mai terremotante, e salta tutto per aria. Plant passa a cantare due ottave sopra, Page imbraccia l’elettrica, Jones cuce il tutto col suo sapiente basso e, fra strappi e stacchi, si va verso una stranissima e lunga sfumata del pezzo. La parte centrale del disco è quella più disimpegnata e superficiale: “The Crunge” è una cosa molto alla James Brown che lo stile di Bonham impedisce di essere solo funky, “Dancing Days” si regge su poche cose, un riffotto di Page e le bordate di Bonham, “D’Yer Mak’er” è un omaggio all’allora nascente affermazione internazionale del reggae. Quando sembra che gli Zeppelin vogliano cazzeggiare fino alla fine arriva la botta straniante di “No Quarter”: tutto si può dire di questo brano meno che possa passare inosservato, è talmente unico e diverso nella discografia degli Zeppelin che non può essere omesso quando si sottolinea la fenomenale ecletticità e multifunzionalità della loro musica. Il riservato e genialoide John Paul Jones si inventa una cosa al pianoforte elettrico che è quanto di più fangoso e darkeggainte ci possa essere. Inserita poi in un disco decisamente solare, sin dalla copertina, quale è in effetti “Houses Of The Holy”, essa riesce a rappresentare e smuovere con ancora più efficacia il lato oscuro delle cose e di ciascuno di noi. Page si adegua alla grande alle voglie del suo bassista/tastierista, manovrando la Gibson su sentieri acid jazz e Plant si fa aiutare da filtri e leslie per straniare adeguatamente il suo pulito timbro vocale, abbastanza per star dietro ai suoi compagni in momentaneo e profondo darkeggiamento. Un pezzo della madonna, che piaccia o non piaccia il genere, una suprema dimostrazione di forza, di evoluzione, di apertura mental/musicale. L’epilogo dell’album è affidato al bel riff in tempo dispari di “The Ocean”, una composizione a cui Page non è stato capace di trovare un ponte ed infatti sfuma mentre Plant si chiede scherzosamente quando arriva ‘sto benedetto bridge. Uno dei tanti riti del super patito degli Zeppelin è quello di andare a visitare le Giant Causeway, un tratto delle coste nordirlandesi dove è stata scattata la foto, poi pesantemente trattata e rifinita dal celebre studio fotografico Hipgnosys, che costituisce la magnifica copertina di questo magnifico disco di questo magnifico gruppo. A risentirci per “Physical Graffiti”. credits

Tracce:

The Song Remains the Same (Jimmy Page, Robert Plant) - 5:30
The Rain Song (Jimmy Page, Robert Plant) - 7:38
Over the Hills and Far Away (Jimmy Page, Robert Plant) - 4:49
The Crunge (Jimmy Page, Robert Plant, John Bonham, John Paul Jones) - 3:17
Dancing Days (Jimmy Page, Robert Plant) - 3:43
D'yer Mak'er (Jimmy Page, Robert Plant, John Bonham, John Paul Jones) - 4:22
No Quarter (Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones) - 7:00
The Ocean (Jimmy Page, Robert Plant, John Bonham, John Paul Jones) - 4:31


Formazione:

Jimmy Page - chitarra acustica, elettrica, steel, cori
Robert Plant - voce, armonica a bocca
John Paul Jones - organo, basso, cori
John Bonham - batteria, cori


Houses of Holy:

Pubblicazione - 1973
Durata - 41 min : 00 s
Tracce - 8
Genere - Album-oriented rock
Blues rock
Hard rock
Heavy metal
Arena rock
Etichetta - Atlantic Records
 
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