Pippo non lo sa, ...che quando passa ride tutta la città

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view post Posted on 7/1/2011, 22:08     +1   -1
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Chi fosse il povero Pippo, non l'ha mai capito bene nessuno...

Qualcuno ritenne che a far ridere tutta la città fosse il segretario del Partito Fascista Achille Starace, altri, più benevoli, pensarono a un semplice sciocco del villaggio, ispirato magari dall'omonimo amico di Topolino, le cui avventure circolavano già da qualche anno in Italia. Secondo Paolo Limiti, il Maesto Rastelli svelò che Pippo era il garzone di un negozio particolarmente goffo. Ma nel 1962 Gorni Kramer raccontò: "Era il 1939, ero a Viareggio, dove mi esibivo al Kursaal. Ma capivo di non ingranare. I giovani volevano jazz e motivi americani, ma con l'aria che tirava, non sempre li si poteva accontentare. Una sera incontrai il Maestro Pippo Barzizza e mi sfogai con lui. 'Infine, che cosa vuole tutta questa gente? Io cerco di accontentare gli americanofili e gli autarchici, i seguaci dello swing e i patiti dei vecchi valzer paesani. Niente da fare. Che cosa non va?' Pippo si strinse nelle spalle. 'E chi lo sa? Io non lo so ma nemmeno voglio saperlo'. E mi piantò in asso. Piuttosto deluso, andai nel mio camerino. 'Pippo non lo sa, Pippo non lo sa', continuavo a ripetermi. Le parole, divenute quasi ossessive, si trasformavano in musica. Buttai giù le prime note, poi preso da una specie di smania e lì per lì con i miei colleghi orchestrammo il motivo. La musica, eseguita senza parole, piacque immediatamente. Ci voleva, forse, per tirare su gli spiriti piuttosto depressi. Qualche giorno dopo l'Europa precipitava nel baratro della guerra. Ma a Viareggio, già 'oscurata', si sentiva fischiare, nelle placide sere settembrine: 'Pippo non lo sa'…"

Anche se sullo spartito veniva presentato come "Foxtrot", il brano conteneva echi di charleston e parecchio swing: era quanto di più simile al jazz, difficilmente tollerato dal fascismo ("musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide" o "barbara anti-musica negroide"). Ma a divi come Natalino Otto, Alberto Rabagliati e lo stesso Trio Lescano si concedeva, in effetti, qualche influenza americana: sia Mussolini che Galeazzo Ciano erano grandi ammiratori delle tre sorelle olandesi - il Duce le invitò a Palazzo Venezia per conoscerle - anche se ciò non risparmiò loro il carcere nel 1943, per le origini ebraiche e per un fantasioso sospetto di spionaggio musicale.

La canzone di Mario Panzeri, Gorni Kramer e Nino Rastelli si è dimostrata irresistibile per due generazioni di italiani: quella che ne decretò il successo nel 1940, grazie all'interpretazione di Silvana Fioresi e del Trio Lescano, e quella che nel 1967 la rispedì nelle prime posizioni della hit-parade grazie a Rita Pavone. Infatti, quasi trent'anni dopo la prima incisione, la cantante andò al sesto posto in classifica proponendo "Pippo non lo sa" nella trasmissione per ragazzi "Chissà chi lo sa". La sua versione manteneva le cadenze del charleston, ma introduceva un banjo in stile dixieland e un trombone che accentuava le caratteristiche di "marcetta".

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Interpreti:

La voce solista della prima versione della canzone è di Silvana La Rosa, in arte Silvana Fioresi, genovese, nipote del direttore d’orchestra Armando La Rosa Parodi. Diplomata in pianoforte e canto al Conservatorio di Torino, lavorò per quattro anni con l’Orchestra Barzizza, per poi specializzarsi nelle canzoni a due voci (ad esempio “Piemontesina”, cantata con Gianni Di Palma). Nel 1940 ottenne due grandi successi: “L’uccellino della radio” (di Nizza – Morbelli – Filippini), e “Pippo non lo sa”. Dopo la guerra, ottenne un solo grande successo: “Il mio nome è donna” (1946).

Il Trio Lescano, che nell’incisione originale si limita ad accompagnare la cantante solista, segnò un’epoca. Le sorelle Leschan erano figlie di un contorsionista ungherese e di una cantante di operetta olandese. Crescute in Olanda, Alexandra e Judith avevano lavorato come acrobate; quando Kitty ebbe 16 anni formarono un trio, cui venne italianizzato il nome in Lescano. Entrate all’Eiar di Torino, dopo aver accompagnato Enzo Aita in “Ma le gambe” e Maria Jottini in “Maramao perché sei morto” divennero talmente popolari da essere riconosciute da Mussolini per strada (“Passò sotto il nostro balcone, e gridò: ‘Salve, Lescano!’, ha dichiarato Alessandra), venivano definite dai giornali dell’epoca "Le tre grazie del microfono", "Il fenomeno del secolo", "Le sorelle che realizzano il mistero della trinità celeste".
In un’intervista realizzata da Natalia Aspesi de “La Repubblica”, Sandra Leschan raccontò: “Nel 1939, l'anno in cui Gilberto Mazzi cantava ‘Se potessi avere mille lire al mese’, noi guadagnavamo mille lire al giorno. Avevamo comprato un bellissimo appartamento a Torino, possedevamo una Balilla fuori serie a 4 porte, i nostri armadi erano pieni di vestiti". Nel 1941 tutti i giornali pubblicarono la notizia che le Lescano avevano preso la cittadinanza italiana. "Ma rifiutammo sempre la tessera fascista”. Gli ultimi anni del conflitto furono molto difficili per loro: vennero arrestate a causa dell’origine ebraica della madre; furono rinchiuse nel carcere di Genova e accusate di mandare messaggi cifrati in canzoni come “Tuli tulipan”. Subito dopo la guerra, vennero dimenticate dal pubblico italiano – non restò loro che trasferirsi dove le ascoltavano ancora con piacere: in Sudamerica, dove altri artisti (ad esempio Rabagliati) riscuotevano un certo successo. Nel 1987 Sandra, ultima superstite del trio, si è spenta a Salsomaggiore. Altri interpreti, Rita Pavone, Claudio Villa, Lelio Luttazzi Trio.











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1940, G.Kramer-M.Panzeri-N.Rastelli





Ma Pippo, Pippo non lo sa
che quando passa ride tutta la città
e le sartine,
dalle vetrine,
gli fan mille mossettine.
Ma lui con grande serietà
saluta tutti, fa un inchino e se ne va,
si crede bello
come un Apollo
e saltella come un pollo.

Sopra il cappotto porta la giacca
e sopra il gilè la camicia.
Sopra le scarpe porta le calze,
non ha un botton e con le stringhe tien su i calzon.

Ma Pippo, Pippo non lo sa
e serio, serio se ne va per la città,
si crede bello
come un Apollo
e saltella come un pollo.

 
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view post Posted on 8/1/2011, 12:54     +1   -1
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"La poesia italiana del XX secolo dell'era antica, fu poesia della crisi, virilmente conscia del destino incombente; e fu insieme poesia della fede, della purezza e della grazia. Poesia della fede: abbiamo qui un verso, ahimè l'unico leggibile, di quello che doveva essere un canto di lode dello Spirito Santo: "Vola, colomba bianca vola...", mentre subito dopo ci colpiscono questi versi di un canto di giovinette: "Giovinezza, Giovinezza - primavera di bellezza ...", le cui dolcissime parole ci evocano l'immagine di fanciulle avvolte in bianchi veli, danzanti nel plenilunio di qualche magico “pervigilium”. Altrove, troviamo invece senso di disperazione, di lucida coscienza della crisi, come in questa spietata rappresentazione della solitudine e della incomunicabilità che forse, se dobbiamo credere a quanto l'Enciclopedia Britannica dice di questo autore, dobbiamo ascrivere al drammaturgo Luigi Pirandello: "Ma Pippo Pippo non lo sa - che quando passa ride tutta la città ..." (Umberto Eco, “Diario Minimo”)

“Le canzoni erano usate - interpretate - per sfottere il fascismo senza incappare nella censura. Si cantava ‘Illusione, dolce chimera sei tu’, per prendere in giro il ‘Vincere, e vinceremo’ con cui Mussolini aveva dichiarato la guerra. Si cantava ‘Un' ora sola ti vorrei’, con successiva variante: ‘per darti quello che non sai’ (invece che ‘per dirti quello che non sai’) per spiegare al duce di cosa era fatto il ‘consenso’ di cui godeva. E per sgonfiare la prosopopea di Starace si cantava: e Pippo Pippo non lo sa, che quando passa ride tutta la città” (Beniamino Placido, “La Repubblica”).
 
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