Io confesso, I confess 1953

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view post Posted on 13/10/2010, 12:48     +1   -1
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Il film, ancora una volta,
gioca sul tema del trasferimento
del senso di colpa da un personaggio all'altro,
che in questo caso
è rafforzato dalla religione
e da un concetto assoluto della confessione.
Dal momento in cui Montgomery Clift
è venuto a conoscenza,
tramite la confessione di Otto Hasse,
del delitto che quest'ultimo
aveva commesso,
diventa lui stesso il colpevole
e l'assassino lo capisce bene.




Francois Truffaut



Edited by Milea - 13/10/2010, 17:10
 
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Io confesso
( I confess, 1939 )



di Alfred Hitchcock


Dal romanzo di Paul Anthelme "Nos deux consciences"



Montgomery Clift, Anne Baxter,
Karl Malden, Brian Aherne,
O.E. Hasse, Dolly Hass
Roger Dann, Cherles Andrè


Riprese - agosto-settembre 1952







La trama:

Padre Logan, non può difendersi dall'accusa di essere un omicida perché il vero assassino, il suo sacrestano, gli ha rivelato la verità in confessionale. Le prove sembrano tutte contro di lui. Anche l'alibi presentato dalla sua ex-fidanzata Ruth si traduce in un movente per l'omicidio. La vittima ricattava i due, minacciando rivelazioni relative alla loro precedente relazione. Ma coerentemente al suo credo sull'inviolabilità del segreto confessionale si rifiuta di fare il vero nome dell'assassino. Subirà per questo l'affronto di un processo e l'odio della gente, fino alla scoperta della verità.





 
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Il film:

Pare che Hitchcock si sia imbattuto per la prima volta nella commedia "Nos Deux Conscienses", scritta dal francese Paul Anthelme nel 1902, negli anni '30 rimanendone molto colpito.
Fu il drammatrurgo Louis Verneuil a proporre quella pièce all'attenzione di Hitch, nella convinzione che il soggetto, incentrato sul dramma di un sacerdote che, per rispettare il segreto della confessione tace l'identità di un omicida finendo lui stesso incriminato, avesse le carte in regola per suscitare l'interesse del regista inglese.



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Verneuil non si sbagliava: Hitchcock comprò i diritti negli anni '40 ma cominciò a lavorarci sopra solo dopo "L'altro uomo" (1951). In quel periodo faceva fatica a trovare soggetti a lui congeniali, tant'è vero che, in attesa di trovare la giusta ispirazione, si concesse una sosta relativamente lunga ( nel 1952 non uscì alcun film diretto da Hitch ed era la prima volta dall'inizio della sua carriera che il regista "mancava" un anno ).

Nella prima sceneggiatura, elaborata insieme allo scrittore George Tabori, Hitchcock si attenne fedelmente al testo teatrale, in cui il sacerdote viene infine condannato; pare tuttavia che ai membri cattolici della commissione di censura, l'idea di un prete in prigione non andasse proprio giù.
Hitch dovette richiamare Tabori a Hollywood per rivedere la sceneggiatura; lo scrittore contrariato dal diktat, non si prestò al gioco e se ne tornò a New York.
Hitchcock invece acconsentì a effettuare qualche cambiamento, probabilmente perchè interessato a ottenere dalle autorità ecclesiastiche il permesso di effettuare alcune riprese su proprietà appartenenti alla Chiesa; insieme a William Archibald stese un nuovo finale, in cui l'assassino si tradisce discolpando completamente il sacerdote. ( Mar L8v )



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Edited by Milea - 13/10/2010, 21:47
 
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Per soli cattolici ?:

Il film, intitolato "Io confesso" fu girato in parte in Canada, a Quebec, il luogo più vicino dove ambientare con una certa cura "filologica" quel dramma francese e cattolico.

Hitch ebbe qualche problema con gli attori principali: Anne Baxter gli fu imposta dalla produzione, mentree Montgomery Clift, nevrotico e tormentato, non andò molto d'accordo col regista.
Un punto fondamentale d'attrito consisteva nella differente concezione che i due avevano del ruolo dell'attore: per Hitchcock questi doveva limitarsi a comportarsi come una docile marionetta nelle mani del regista; Clift invece, formatosi sul metodo di recitazione Stanislavsky ( nell'elaborazione compiutane dall'Actors'Studio ) intendeva partecipare personalmente alla definizione dei personaggi da interpretare.



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"Io confesso" non riscosse tanto successo anche se, esaminando i risultati del box office, non fu nemmeno in fallimento, come sembra invece dall'intervista di Hitch a Truffaut.

Secondo Hitchcock il "peccato originale" del film consisteva nel basarsi sull'idea cattolica del segreto confessionale; la maggior parte dei non cattolici aveva difficoltà a considerarlo diversamente dal segreto a cui è tenuto l'avvocato o lo psichiatra, non più vincolante in caso di autodifesa.

Forse l'insuccesso del film non dipese poi tanto dall'argomento specificatamente cattolico quanto dal fatto che il film si discostava parecchio dalla formula del "thriller alla Hitchcock" così com'era intesa allora dalla maggior parte dei critici e degli spettatori. ( Mar L8v )



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Ombre...:

"Penso che complessivamente il soggetto sia risultato piuttosto pesante. Il trattamento mancava di umorismo e finezza", confida Hitchcock a Truffaut a proposito di "Io confesso"; e, dopo qualche altra osservazione, conclude lapidariamente: "Non bisognava girarlo".

In effetti il film è caratterizzato da un'atmosfera severa, tesa; fin qui nulla di male, se quest'aria solenne non tradisse un evidente impaccio, un voler dire senza poterlo fare, che è poi il dramma dello stesso protagonista, legato e impacciato anch'egli, perfino nei gesti e nelle espressioni del volto.

"Montgomery Clift è notevole", osserva Truffaut. "Ha veramente un solo atteggiamanto e anche un solo sguardo dall'inizio alla fine del film: una dignità totale con una leggerissima sfumatura di stupore".
E ancora..."Clift cammina durante tutto il film: è un movimento in avanti coerente con la forma del film; è bello perchè concretizza l'idea della rettitudine".



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Ma il limite del personaggio di padre Logan risiede proprio in questa monoliticità e impenetrabilità, in questa rigidità anche fisica, vacillante solo nella sequenza in cui il sacerdote vaga angosciato per la città.
Come se Hitch non avesse saputo o potuto osare o approfondire i sentimenti del sacerdote; sfugge così, come è stato osservato da alcuni critici, anche la dimensione "spirituale" del personaggio e il senso stesso della sua scelta di vita.

La vocazione di Logan, è un dato di fatto, non è indagata nè motivata ( sappiamo soltanto, è lo stesso Logan ad affermarlo. che non l'ha mai intesa come un ripiego ) e ciò finisce per sottrarre spessore drammatico al personaggio e alla vicenda.
L'ambiguità e la drammaticità dell'"Altro uomo" - il film immediatamente precedente, con il quale "Io confesso" mostra più di un'analogia, sono qui assenti, nonostante, come nota Truffaut, ancora una volta Hitch giochi sul tema del trasferimento del senso di colpa da un personaggio all'altro.
Infatti dal momento in cui riceve la confessione di Keller, padre Logan "diventa lui stesso il colpevole e l'assassino lo capisce bene". Ma c'è di più: Logan stesso ha forse desiderato in cuor suo la scomparsa di Vilette. così come Guy Haines ( nell'"Altro uomo" ) quella della moglie, e può comunque aver accolto con sollievo la notizia della morte; eppure - a parte le ipotesi dell'ispettore Larrue, che ovviamente estremizzano questa possibilità - nulla trapela di questa ambiguità nè dal personaggio di padre Logan nè dagli altri elementi della messinscena.



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Così come è solo accennata e fondamentalmente inspiegata è la storia d'amore con Ruth, ripercorsa del resto solo attraverso i ricordi di lei ( strano quest'uso un pò insistito di flashback romantici eda clichè in un regista sobrio e rigoroso come Hitchcock ).
Anne Baxter "troppo enfatica e poco erotica accentua la tonalità patetica ed elide quella inquietante dell'amore proibito" notano i critici Bruzzone e Caprara.
Già, perchè anche l'elemento dell'"amore proibito", troppo forte e provocatorio per passare attraverso le norme di censura che non consentiva nemmeno che un prete , per quanto innocente, potesse finire in prigione, è come soffocato e compresso, pur facendo trasparire in filigrana la sua carica esplosiva.

"Lei crede che la pesantezza di "Io confesso" sia legata alla mia educazione dai gesuiti ?" chiede a un certo punto spontaneamente Hitchcock a Truffaut, formulando un'ipotesi che evidentemente riconosce aver fondamento in lui. Può darsi...sembra comunque che Hitchcock, il lucido maestro del sospetto e dell'ambiguità, capace di insinuare l'ombra del dubbio persino nelle situazioni più banali e quotidiane, si sia fermato con riverente e antico timore di fronte al mistero ( tale almeno pare nel film ) del sacerdozio, che solo ha osato sfiorare dall'esterno. ( Mar L8v )



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Edited by Milea - 16/10/2010, 10:33
 
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...e luci:

Eppure, comne c'è sempre da aspettarsi da Hitch, anche in "Io confesso" lì "dove la sceneggiatura fallisce il compito...l'abilità visionaria del regista inserisce guizzi di pura eleganza".

E' il caso per esempio delle splendide inquadrature dal basso che, oltre a conferire ai personaggi e alle scenografie la maestà di rigore, offrono spesso immagini di cieli, anche notturni, compenetrati di luce sui quali si stagliano, con forte valenza simbolica, le solenni moli delle chiese di Quebec.
Superba, come sempre la fotografia in bianco e nero, supervisionata da Robert Burks.



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Ma non si tratta solo di eleganza formale; non sono pochi infatti i momenti di grande intensità: ad esempio la sequenza in cui Logan compie la sua Via Crucis camminando senza meta per la città o le scene del processo, nelle quali il dramma emerge tangibile al di là della paludata liturgia del cerimoniale ( bellissima anche la scena in cui padre Logan esce dal tribunale e vede assiepata davanti a sè una sterminata folla ostile: anticipa l'angoscia di certe inquadrature degli "Uccelli" ).

Un'attenzione particolare merita poi l'uso degli sguardi in tutta questa storia contrassegnata dall'impossibilità di parlare: "sguardi densi di significato, gravidi di una vertigine insondabile...linee direttrici della trama, canali conduttori destinati a far defluire l'eccedenza delle coscienze". ( Mar L8v )
 
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Un tocco di humour:

A giudizio di Hitchcock il principale difetto di "Io confesso" consiste in una certa pesantezza della vicenda, dovuta all'assenza di tocchi umoristici o, meglio, ironici, di cui il regista è maestro in tanti altri suoi film: confida infatti a Truffaut: "...avrei dovuto girare il film con un atteggiamento più ironico comne ho fatto con 'Psyco'; una storia vera raccontata con ironia...Se si volesse fare un film serio con 'Psyco' si mostrerebbe un caso clinico; non bisognerebbe introdurvi nè mistero nè suspense. Bisognerebbe che costituisse la documentazione di una storia e, a forza di verosimiglianza e di plausibilità, si fingerebbe per girare un documentario. Dunque nei film di mistero e di suspense non si può fare a meno dell'umorismo e penso che 'Io confesso' e 'Il ladro' risentano della mancanza di umorismo. Il problema che spesso devo pormi è: 'Devo mettere da parte o utilizzare il mio senso dell'umorismo per trattare un soggetto serio ?'". ( Mar L8v )



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Edited by Milea - 17/10/2010, 21:47
 
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Il realismo di Hitch:

Parlando con Hitchcock, Truffaut dice di essere stato particolarmente colpito da una scena di "Io confesso" in cui, al di là del banale dialogo fra alcuni preti durante una colazione, un abile gioco di sguardi molto "hitchcockiano", fra la signora Keller e padre Logan risulta invece estremamente carico di significati.
Risponde il collega inglese: "Vuol dire che il dialogo dice una cosa e l'immagine un'altra ? E' un punto fondamentale della regia. Mi sembra che le cose vadano spesso così nella vita. Gli uomini non esprimono i loro pensieri più profondi, cercano di leggere nello sguardo dei loro interlocutori e spesso si scambiano delle banalità cercando di indovinare qualcosa di profondo e sottile".
Per questo mi sembra che lei sia, per certi aspetti, un regista realista", conclude giustamente Truffaut. ( Mar L8v )



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Nulla per caso:

Osserva Truffaut che quando Montgomery Clift lascia la sala del tribunale circondato da una folla ostile, si vede a un certo punto dietro di lui "una donna piuttosto ripugnante che mangia una mela e il cui sguardo esprime una curiosità cattiva". Truffaut si domanda se quel particolare sia stato inserito consapevolmente da Hitchcock, e il regista inglese conferma: "Si, questa donna ce l'ho messa...deliberatamente, proprio così. Le ho dato la mela e le ho fatto vedere come doveva mangiarla". Un ulteriore dimostrazione della cura maniacale di Hitchcock per ogni dettaglio, anche per quelli che gli spettatori difficilmente possono cogliere quando la loro attenzione è rivolta ai personaggi principali. Del resto, osserva poi Hitchcock, è pur sempre possibile tornare a vedere un film che è piaciuto ( nell'epoca del videoregistratore e del dvd si tratta ormai di una pratica comune ) e quindi notare particolari importanti sfuggiti la prima volta. ( Mar L8v )



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Edited by Milea - 17/10/2010, 21:49
 
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Il materiale filmico:

Per scoprire i significati dei sogni, si sa, si ricorre al metodo delle libere associazioni, tramite le quali è possibile risalire al "materiale onirico", cioè a quell'insieme di pensieri, desideri e ricordi che ha dato origine al sogno.

Vi è una curiosa libera associazione che Hitchcock compie parlando con Truffaut di "Io confesso" che può contribuire a spiegare la genesi del film e parte del suo significato: Hitch infatti afferma di essersi ispirato per il verdetto relativo a Padre Logan ( non colpevolezza ma con formula dubitativa ), alla complicata vicenda di un triangolo amoroso conclusasi con un omicidio e un processo.

E' da notare che il triangolo era formato da una coppia di coniugi e da un sacerdote. Di più !! Hitch aveva pensato di trarre da questa storia un film, ma soprattutto aveva immaginato con vividezza una scena erotica tra la donna e il prete, in presenza del marito, che gli sarebbe piaciuto girare.
Ce n'è abbastanza per supporre che la storia d'amore fra Ruth e Logan fosse un potente motivo ispiratore di "Io confesso", ridimensionato poi per ragioni di censura non solo "istituzionale" ma "interna" allo stesso Hitch. ( Mar L8v )



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Edited by Milea - 19/10/2010, 21:11
 
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Tormenti, torture e tentazioni...:

Pur costituendo un argomento difficile da affrontare sul grande schermo, le vicissitudini e i tormenti interiori di sacerdoti, monaci, pastori e suore hanno dato spunto a numerosi film, alcuni dei quali di grande intensità.

E' il caso di "Diario di un curato di campagna" di R,Bresson (1950), in cui si narra di un giovane curato che, nonostante la buona volontà è incompreso dai fedeli e dai superiori e finisce col morire abbandonato quasi da tutti.

Difficoltà e sconfitte segnano anche l'esperienza dell'abate Nazarin nel film omonimo di L.Bunuel (1958); fede, ascetismo, incomprensioni e tentazioni diaboliche sono al centro di un altro film del grande regista spagnolo, "Simon del deserto" (1965), ispirato alla figura di un monaco stilita vissuto in Siria nel V secolo.

I tormenti e i dubbi di un eremita trovano rappresentazione anche in un film dei fratelli Taviani, "Il sole anche di notte" (1990). Più felice l'ispirazione di un altro regista contemporaneo; in "La messa è finita" N.Moretti osserva con amara ironia, attraverso lo sguardo di un giovane sacerdote, gli effetti di una crisi che coinvolge religione, società.

E' dello svedese I.Bergman in "Luci d'inverno" (1963) il più desolato ritratto di un religioso ( un pastore protestante )che sta perdendo la fede, in un mondo impaurito e disperato.
Un contributo importante alla riflessione sul senso della fede ( e dell'arte ) in una società sconvolta dalla violenza è dato da "Andrey Rubljov" di A.Tarkovskij (1969), dedicato al famoso monaco pittore di icone vissuto in Russia a cavallo fra il XIV e il XV secolo.

Sul versante delle figure religiose femminili ricordiamo "Narciso nero" di M.Powell e E.Pressburger (1946), in cui le difficoltà materiali e tentazioni della carne funestano la missione di un gruppo di suore inglesi in Tibet, costringendola infine ad abbandonare l'impresa, e "Storia di una monaca" di F.Zinnemann (1959) in cui una suora missionaria, non condividendo le rigide regole del suo ordine, finisce con l'abbandonare la veste religiosa per meglio assolvere il suo compito.

Altri film si sono ispirati a religiosi vissuti in questo secolo, in particolare a uomini di fede che hanno dovuto affrontare difficoltà di vario tipo incontrando in alcuni casi una morte tragica. "La città dei ragazzi" di N.Taurog (1938) narra di padre Flanagan, fondatore in Nebraska di una comunità per ragazzi abbandonati; "Un prete scomodo" di P.Tosini (1975) ripercorre la storia di Don Milani e della sua azione a fianco dei poveri, costellata da polemiche e condanne da parte delle gerarchie ecclesiastichge; "Un prete da uccidere" di A.Holland (1988) ricostruisce le vicende che hanno portato alla morte di padre Popielusko, il sacerdote polacco vicino a Solidarnosc ucciso nel 1984 probabilmente da agenti della polizia segreta; "Romero" di J.Duigan (1989) racconta la vita del vescovo di El Salvador, trucidato in chiesa dai fascisti filogovernativi del suo paese.

Il tono dei film che hanno come protagonisti preti e suore non è però sempre drammatico: è il caso di commedie come "La mia via" e del suo seguito, "Le campane di Santa Maria" (1944-1945) entrambi diretti da L.McCarey, oppure della celebre serie di Peppone e Don Camillo.

Infine un'ultima curiosità: un prete ( Claude Rains il cattivo di Notorious ) è protagonista anche di uno dei telefilm di Alfred Hitchcock "The horseplayer" del 1961. Anche qui il sacerdote è in preda a un dilemma, ma meno grave che in "Io confesso": sfruttare o meno la sfortuna sfacciata di un fedele che scommette alle corse dei cavalli per raggranellare il denaro necessario a riparare la chiesa ? ( Mar L8v )



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Edited by Milea - 19/10/2010, 21:50
 
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Montgomery Clift:

Tormentato, introverso e taciturno, intenso e disperato, solitario fino quasi all'autolesionismo, emblema di una tipologia maschile che rifugge dal machismo, Montgomery Clift è stato sicuramente la faccia più sofferta e triste che si sia mai vista sullo schermo, incarnando, con perfetta aderenza, la gioventù americana del dopoguerra, con le sue insicurezze, le sue ansie, le sue frustazioni, i suoi fallimenti affettivi e sentimentali.
Insicurezze, ansie, frustazioni e fallimenti, accentuati e drammatizzati, forse, dalla vera o presunta omosessualità, sicuramente non liberata, indubbiamente non accettata, ma che, dolorosamente, traspariva, dai lineamenti tormentati del volto e dallo sguardo dei suoi bellissimi occhi verdi, luminosi e innocenti, ma al contempo, anche, mutevoli e sfuggenti.

Bello come pochi ma umiliato e offeso dalla vita, Montgomery Clift, Monty, come veniva affettuosamente chiamato dai pochissimi amici, nacque il 17 ottobre del 1920 a Omaha nel Nebraska (la stessa città di MARLON BRANDO), come Edward Montgomery Clift. Suo padre, William Brooks Clift era un affermato banchiere e agente di cambio di Wall Street, mentre la madre, Ethel Fogg, familiarmente chiamata Sunny, si occupava della casa e dell'educazione dei tre figli: Monty, la gemella Roberta-Ethel e il maggiore Brooks; ed è stata proprio lei, la madre, la figura femminile dominante della sua vita, che si concretizzerà, successivamente, in amicizie con donne più mature di lui.
Ethel in realtà non era una Fogg di nascita, ma era stata adottata da bambina da questa famiglia americana dell'alta borghesia, e solo da adolescente è venuta a sapere che i suoi genitori naturali erano Woodburry Blair, figlio di Montgomery Blair, segretario di Lincoln e Maria Anderson, figlia del colonello Robert Anderson, comandante le forze dell'Unione durante la guerra civile americana.

Quando il marito era impegnato a New York per lavoro, Sunny, spesso prendeva con sè i bambini e trascorreva lunghi periodi in viaggio per l'Europa, soggiornando nei vari paesi, fra cui l'Italia, alloggiando in hotel di lusso; oppure si trasferiva nella loro casa delle Bermude, portandosi dietro l'insegnante privato con il compito di istruire i bambini.
Quando nel 1929, il mercato azionario entrò in crisi, i Clift furono costretti a ridimensionare il loro tenore di vita: posero fine alla loro abitudine di viaggiare, e si trasferirono in un'abitazione più modesta a New York.
Fu questo il primo di una serie di trasferimenti, che porteranno, successivamente, la famiglia Clift, a stabilirsi, a Sarasota, in Florida, a Sharon, nel Massachusetts, ed infine fare ritorno a Manhattan, quando, con la ripresa della borsa, gli affari del padre tornarono ad essere positivi.

Nel 1933, a Sarasota, su suggerimento del suo insegnante privato, Walter Hayward, Monty entrò a far parte di una compagnia di attori dilettanti, messa su dalla gioventù locale, ottenendo una piccola parte nella commedia di Rachel Crothers 'As Husbands'.
La mamma, intuendo immediatamente le notevoli doti recitative del figlio, lo assseconda nella sua naturale predisposizione e lo incoraggia ad intraprendere la carriera artistica.
Dopo il trasferimento a Sharon nel Massachusetts, nel 1934, Monty sostenne un provino a Broadway, nel corso del quale stupisce tutti per l'intensità e la naturalezza della sua recitazione, ottenendo un ruolo nella commedia 'Fly Away Home'.
Lo spettacolo ottenne un grosso successo e le repliche si protrassero per ben due stagioni, facendo di Clift, a soli sedici anni, una delle star più importanti di Broadway.
Nel corso dei tre anni successivi, recita in parecchi allestimenti teatrali, compresi: 'There Shall Be No Night', 'The Skin of Our Theeth', 'Our Town' e 'Foxhole in the Parlor'.

Intanto, mentre Brooks, il fratello maggiore ed Ethel, la sua gemella, venivano mandati regolarmente a scuola, conseguendo una preparazione adeguata per poter frequentare l'università, Monty, su disposizione della madre, ha continuato ad essere seguito dall'insegnante privato (tranne una breve parentesi presso la Dalton School di New York), con la conseguenza di vedersi preclusa la possibilità di conseguire qualsiasi titolo di studio; cosa della quale si rammaricherà per tutta la vita.
Il motivo per cui questa donna potente, non volle far frequentare al figlio le scuole pubbliche, non è mai stato del tutto chiaro: forse perchè, sicura delle qualità artistiche del ragazzo, era convinta che non avesse bisogno di un'educazione scolastica o, più probabilmente, perchè volle, testardamente, esercitare sempre un controllo completo sulla vita del figlio.

Nel 1939, nel corso di una vacanza in Messico col suo amico Lehman Engel, durante il quale conobbe, tra gli altri, l'attore John Garfield, Clift venne colpito da una grave forma di dissenteria, che lo costrinse ad interrompere il viaggio; circostanza che si ripresenterà frequentemente negli anni a venire, tanto da essere esonerato dal servizio militare.
L'anno successivo recita nel dramma di guerra 'There Shall Be No Night' di Robert E. Sherwood, nel quale ha come partner Alfred Lunt e Lynn Fontanne. Costoro iniziano a prendere sotto la loro protezione il giovane attore, arrivando a considerarlo quasi come un figlio; la loro influenza è stata talmente grande e positiva che Monty, per un certo periodo di tempo, smise di bere alcolici; sarà proprio il ritorno alla dipendenza dall'alcol che raffredderà, in seguito, il loro rapporto. Comunque. il lavoro ottiene molto successo e le recite si protraggono fino al 1941.
Del cast faceva anche parte l'attrice Phyllis Thaxter, con cui Monty instaura una certa relazione, ma la sua passione reale era per un giovane attore, con cui formava coppia fissa, fino a quando, costui, nel 1942, non si arruolò in marina. La sua vita privata, in quel momento, era di una confusione sessuale estrema: tendenzialmente gay, cercava di reprimere la sua inclinazione, intrattenendo rapporti insoddisfacenti anche con donne. Ed è stata, probabilmente, questa sua incapacità a gestire la propria sessualità a spingerlo verso le droghe e l'alcol.

Il 1942 ha rappresentato un anno molto significativo della sua vita; è apparso nello spettacolo sperimentale, 'Mexican Mural', ed ha fatto conoscenza con Mira Rostava, Kevin McCarthy e Libby Holman.
Con Kevin McCarthy e con sua moglie Augusta, Monty intrattenne un rapporto di amicizia molto intenso: divennero i loro confidenti più intimi, spesso facevano le vacanze insieme, insomma riuscirono a fargli sentire quel calore familiare di cui aveva estremo bisogno; tuttavia, pur restandogli a lungo fedeli, alla fine furono messi, dallo stesso Monty, nella condizione di non poterlo aiutare nella sua galoppante nevrosi.
Mira Rostova, invece, era un'attrice di origine russa, elettasi sua consigliera artistica, che prese l'abitudine di accompagnarlo sul set dei suoi film e ad interferire nel suo lavoro, approvando o disapprovando, con un gesto della testa, il suo modo di recitare, suscitando così, l'ira dei registi.
Una curiosa storia di amore e morte, invece, lega Clift a Libby Holman, una ex cantante, più anziana di lui tanto da poter essere sua madre, vedova di un magnate del tabacco, morto in circostanze misteriose, per una ferita di arma da fuoco, della cui morte è stata accusata e sottoposta a processo, la Holman stessa. Scagionata, ha ereditato una fortuna e si è messa ad idolatrare Clift, tanto che qualcuno sospetta essere stata la cattiva consigliera dell'attore, che dietro suo suggerimento si abituò ad alcol e pillole. Qualcuno sospettò che il loro rapporto fosse di natura sessuale, altri decisamente lo negano, ma ammettono che lei lo dominò più o meno allo stesso modo della madre. Quando Clift morì, anche lei si suicidò, facendosi intossicare dai gas di scarico della sua auto.
Intanto il legame di Monty con la vera madre si era trasformato in un rapporto di odio-amore: Monty non sopportava la dipendenza da lei, eppure non ne poteva fare a meno. Comunque nel 1943 l'attore trovò la forza di farsi una casa propria, dove andare a trascorrere da solo, almeno i fine settimana.

Nel 1944, Clift prese parte ad un lavoro di Lillian Hellmans, 'The Searching Wind', un altro dramma di guerra che lo fa diventare l'attore giovane più importante di Broadway, e di cui, per un certo tempo, si studiò la possibilità di farne un versione cinematografica. Invece continò a lavorare in teatro, e sostenne il suo ultimo ruolo teatrale, nel lavoro di Tennesee Williams - Donald Windham, 'You Touched Me!'

Durante questo lasso di tempo, grazie alla popolarità acquisita sui palcoscenici di Broadway, Monty è stato fatto oggetto di forti pressioni, da parte dei rappresentanti dell'industria cinematografica, che cercavano di convincerlo a trasferirsi a Hollywood, per dedicarsi al cinema.
Ma, Clift, giustamente, continuò a rifiutare tutte le offerte: amava il cinema, ma per il momento preferiva continuare a recitare a Broadway.
Solo parecchi anni più tardi, si decise di recarsi a Hollywood per sottoporsi ad alcuni provini, chiarendo subito che avrebbe accettato di lavorare nel cinema soltanto alle sue condizioni.
Nel 1948, finalmente, firma il suo primo contratto e gira, dimostrandosi superlativo, e meritandondosi subito la prima nomination ai premi Oscar, il drammatico "ODISSEA TRAGICA", di Fred Zinemann, che narra la storia di un bambino cecoslovacco, reduce dai campi di concentramento nazisti, e di un soldato americano che lo raccoglie e lo accudisce, mentre la madre, disperata, lo cerca per tutta Berlino.
Quasi contemporaneo, tanto da non riuscire ancora, a stabilire con certezza quale sia la sua pellicola d'esordio, è il film di Howard Hawks, "FIUME ROSSO", uno dei western più belli di tutti i tempi, nel quale si confronta con John Wayne, suo padre adottivo, in uno scontro edipico, durante un viaggio di trasferimento di una mandria, dal Texas al Missuri, culminato in un combatimento selvaggio, al loro arrivo ad Abilane.

Rivelandosi interprete di altissimo livello, recitando in modo assolutamente nuovo, più coi gesti e la mimica che con le battute e i dialoghi, Monty, con solo due film, conquista una vasta popolarità riscuotendo un grandissimo successo in tutto il mondo.
Campione dell'esistenzialismo americano, tutta la 'gioventù bruciata' e i 'ribelli' che gli sono stati contemporanei o sono venuti dopo, da Brando a Dean, da De Niro a Penn, gli devono qualcosa, soprattutto per aver loro indicato la strada da seguire, e aver fatto del cinema lo strumento per capire il vuoto morale delle nuove generazioni uscite dalla guerra, sovvertendo, in questo modo, i canoni recitativi, mielosi e superficiali, che fino ad allora, i personaggi hollywoodiani avevano rappresentato.
Trasformatosi in una stella di Hollywood, continuò il suo legame con Mira Rostova, che si improvvisò sua insegnante di recitazione, dopo l'abbandono, da parte di Monty, dell'Actor's Studio di Lee Strasberg, che, in quegli anni, andava diffondendo, tra i giovani attori americani, il famoso 'Metodo Stanislavskij'; metodo che lui trovava non adatto e dispersivo.
Dopo aver sostenuto, nel 1949, il ruolo del pretendente, avido e senza scrupoli, di una ricca ragazza, nella New York del 1850, in "L'EREDITIERA", di William Wyler; l'anno successivo è protagonista del bellico "LA CITTA' ASSEDIATA", nel quale interpreta il ruolo di un pilota americano a Berlino, alla fine della seconda guerra mondiale, che si innamora di una ragazza tedesca che, però, nasconde un segreto.

Un'altra profonda, tenera amicizia, lo legherà negli anni, a ELIZABETH TAYLOR (una delle poche donne che Montgomery Clift accettò nella sua vita), l'attrice dagli occhi viola conosciuta sul set di "UN POSTO AL SOLE".
Per la verità, la Taylor, fin dal loro primo incontro, rimase folgorata dalla bellezza di Clift, e se ne innamorò perdutamente; amore che poi si trasformò in sincera amicizia, quando Monty esplicitamene, le fece capire (presentandosi sul set in compagnia di un ragazzo francese di nome Giles), che non avrebbe mai potuto amarla: 'per qualunque cosa tu abbia bisogno, io ci sarò sempre e comunque', gli disse Liz.
Nel dramma di George Stevens, Montgomery delinea un altro dei suoi personagi negativi, che caratterizzarono, per un certo periodo di tempo, la sua carriera, che lasceranno poi il posto a delle caratterizzazioni più raffinate e romantiche, e a una recitazione più struggente e introspettiva, presente in lui, a dire il vero, fin dai primissimi esordi, che ne faranno l'interprete ideale di opere melodrammatiche e sentimentali.

Dopo 'UN POSTO AL SOLE', che gli procura la seconda nomination agli Oscar, Clift accetta volentieri di venire in Italia (da bambino aveva dimorato a lungo a Milano, Firenze, Roma e Napoli), per girare con Vittorio De Sica il film "STAZIONE TERMINI", con Jennifer Jones, un'intensa e infelice storia d'amore tra un professore e una turista americana in vacanza a Roma.
Notevole è la sua interpretazione di Padre Logan, il sacerdote, ingiustamente accusato di omicidio e impossibilitato a rivelare il nome del vero assassino, perchè legato al segreto confessionale, nel dramma di Alfred Hitchcock, "IO CONFESSO"; così come quella, sofferta e nevrotica, di Robert Prewit, ex pugile e soldato, di stanza alle Hawai, alla vigilia di Pearl Harbor, nel film di Fred Zinnemann, "DA QUI ALL'ETERNITA'", un forte messaggio antimilitarista, tratto dal romanzo omonimo di James Jones, che mostra, senza compiacimento ma con crudo realismo, tutta la corruzione, la meschinità, la durezza e la brutalità fine a sè stessa, dell'esercito e della vita di caserma. Puntuale, a riconoscimento della sua classe e della sua arte, arriva la terza nomination agli Oscar, come miglior attore protagonista.

Durante la lavorazione del film di Edward Dmytryk, "L'ALBERO DELLA VITA", ancora con ELIZABETH TAYLOR, una sera di maggio del 1957, Clift, di ritorno da una festa nella villa della diva e del marito Michael Wilding, subisce un tragico incidente d'auto (i più dicono un fallito tentativo di suicidio, dopo una incomprensione con Kevin McCarthy, il giovane attore che Clift considerava il suo amico e confidente più intimo), che gli sfigurò gravemente il viso, "il più bel viso di Hollywood", rendendolo quasi irriconoscibile, e costringendolo a sottoporsi ad una serie di interventi di chirurgia plastica che, tuttavia, non gli restituiranno più i lineamenti bellissimi di una volta.
Fra i primi ad accorre sul luogo dell'incidente, la Taylor riuscì, ascoltando i lamenti dell'amico, a salvargli la vita, cavandogli, letteralmente i denti dalla gola, che minacciavano di soffocarlo.
Gli ricucirono il viso con sottili fili metallici, ma il labbro superiore cambiò forma, il naso, perfetto, divenne fotografabile solo da sinistra, e un innaturale rigonfiamento gli si formò sotto gli occhi. Solo gli occhi restarono gli stessi, ma persero quella luce di romantica tristezza, diventando, invece, lo specchio del suo terrore.

Dopo una degenza in ospedale di solo otto settimane, appena ristabilito (anche se in realtà Monty non si riprese mai più dall'incidente, sia fisicamente che mentalmente), torna sul set e gira, ancora per la regia di Edward Dmytryk, il kolossal bellico "I GIOVANI LEONI", con MARLON BRANDO, tratto dal romanzo di Irvin Shaw, sulla seconda guerra mondiale e sui tragici destini incrociati, di un giovane ufficiale nazista che, a poco a poco prende coscienza dei suoi errori, e di un timido studente ebreo, coinvolto, suo malgrado, nell'immane conflitto.
Successivamente è protagonista della commedia sentimentale "NON DESIDERARE LA DONNA D'ALTRI"; poi torna a recitare, per la terza volta, accanto a ELIZABETH TAYLOR, in uno dei suoi film più belli, "IMPROVVISAMENTE L'ESTATE SCORSA", di Joseph Mankiewicz, nel quale interpreta il ruolo di un dottore di un ospedale psichiatrico, al quale si rivolge Katherine Hepburn, per far lobotomizzare la nipote, rimasta traumatizzata dalla misteriosa morte del cugino.
Straordinariamente aderente è poi l'interpretazione del suo personaggio in "FANGO SULLE STELLE", dove impersona un inviato dell'amministrazione Roosvelt nel Teennesse, per cercare di convincere i contadini a far costruire una diga sui loro terreni, ma dovrà fare i conti con una testarda vedova e con l'ostilità dei razzisti locali.
Nel 1961 c'è l'incontro con MARILYN MONROE, sua compagna d'insonnie e d'infelicità, che dirà di lui: "è l'unica persona che io conosco che sta peggio di me". La conoscenza avviene sul set della pellicola "GLI SPOSTATI", di John Huston, un western disperato e crepuscolare che rappresenta il testamento spirituale, sia della stessa Marilyn che dell'altro interprete maschile, CLARK GABLE, i quali moriranno di lì a poco, a breve distanza l'uno dell'altra, subito dopo la fine delle riprese del film.
Già minato dalle nevrosi, Clift si convinse che anche la sua fine era vicina, ma trova lo stesso la forza di volontà di interpretare "VINCITORI E VINTI", il film di Stanley Kramer sul processo di Norimberga ai criminali nazisti. Il film, con un cast veramente stellare (Spencer Tracy, Burt Lancaster, MARLENE DIETRICH, Richard Widmark, Maxmilian Shell), rappresenta uno straordinario contributo alla più spaventosa e inumana tragedia del ventesimo secolo; con un'agghiacciante sequenza, quella della sconvolta tesimonianza davanti alla corte, dello stesso Clift (che ottenne la terza nomination agli Oscar), nel ruolo di un ebreo tedesco, sterilizzato dai nazisti perchè omosessuale e figlio di comunista.
Nel 1962 lavora di nuovo con John Huston nel biografico "FREUD - PASSIONI SEGRETE", nel quale la sua recitazione diviene di una intensità drammatica così affinata e profonda da traboccare, quasi dallo schermo. Poi, le sue nevrosi e le sue insicurezze lo tengono lontano dagli schermi per quasi quattro anni.

Tremante, spiritato, l'ombra di se stesso e del bellissimo uomo che era stato, torna a recitare nel 1966, in un film francese da guerra fredda, mediocre e malriuscito, "L'AFFARE GOSHENKO", che rappresenta la sua ultima, definitiva apparizione.
Mentre attendeva di girare "Riflessi in un occhio d'oro", con ELIZABETH TAYLOR, ponendo fine al "più lungo suicidio di tutta la storia del cinema", colpito da un attacco di cuore, già minato dall'alcol e dalle droghe, muore il 23 luglio del 1966, a quarantasei anni, lasciando un segno indelebile nel mondo del cinema, ma anche una pesante eredità ai giovani attori che sono venuti dopo di lui.
E' sepolto di cimitero di Quaker.
 
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view post Posted on 19/10/2010, 20:23     +1   -1
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Dov'è Hitch ?:


Appare sullo schermo attraversando la parte superiore di una grande scalinata.
Minuto dell'apparizione: 1'



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