Cap.36/37/38 - La lotta continua di Lucia e il sugo della storia, Conclusione: Fra Cristoforo scioglie il voto, Renzo e Lucia finalmente sposi

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view post Posted on 1/10/2010, 20:54     +1   -1
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Cap.36/37/38

La lotta continua di Lucia e il sugo della storia




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Ai tempi di "lotta continua" negli anni '70 i giovani più sensibili erano certo affascinati da questa militia hominis che è la vita: il problema era ed è che la vera lotta continua non si attua contro gli altri, ma si ingaggia in modo veramente eroico contro se stessi. Un antico detto latino recitava: “imperium habere vis magnum? Impera tibi” (vuoi avere un vero potere? comanda a te stesso), ma è una frase poco conosciuta: oltretutto si fa di tutto per favorire l'ignoranza di questa lingua così preziosa che ce l'ha tramandata…
Lucia non ha studiato il latino, non ha partecipato al '68, però ha imparato a sue spese in che consista la vera lotta continua, la “militia hominis” nella vita.
Sappiamo le sue travagliate vicende; sappiamo del proditorio rapimento (che è solo una delle ultime angherie cui è stata sottoposta) e sappiamo del voto alla Madonna.
E sappiamo quanto ha dovuto lottare contro se stessa e contro le intrusioni indiscrete di donna Prassede per difendere la sua fedeltà a quel suo voto. L'ultima e più difficile tentazione è rappresentata per lei dall'incontro al lazzaretto con Renzo: è davvero troppo!
Era in via di guarigione dalla peste, aveva trovato un'affettuosa vedova come amica, con la quale attendeva il pieno ristabilirsi, s'era messa l'animo in pace dopo tante lotte contro il suo cuore sempre innamorato di Renzo…
Ed ecco ricomparire lui, che di mettersi l'animo in pace non ne ha la minima intenzione: è proprio la prova suprema. E la lotta diventa davvero impari per la giovane. Ma il progetto buono sulla loro vita si realizzerà, contro ogni previsione.
E' bene soffermarsi a questo punto per comprendere a fondo tutta la lotta di Lucia, che non ha fatto grandi studi, ma ha assimilato per osmosi il cristianesimo; e non trova strana o ingiusta la lotta contro sé stessa per affermare il progetto buono di Dio. Si scoprirà poi che non aveva diritto di impegnare anche la volontà di Renzo, cui si era promessa come sposa; ma la sua lotta non è stata vana, perché tutto concorre al bene del cristiano.

E' difficile comprendere che la vera realizzazione di sé, dal momento in cui i nostri progenitori hanno ceduto alla tentazione di essere loro a decidere del bene e del male, consiste in una continua lotta contro questa tentazione luciferina che è anche nostra. Si vorrebbe essere gli unici artefici della propria fortuna dimentichi del fatto che senza di Me non potete fare niente; si vorrebbe sempre fare quel che è meno faticoso e impegnativo, nell'illusione che ciò basti a realizzare la propria felicità… Ma, se non c'è sacrificio, se non c'è lotta, una lotta quotidiana soprattutto contro la propria istintività, non c'è possibilità di realizzare nulla di buono né per sé, né per le persone care. E il guaio è che non si è nemmeno coscienti del fatto che il sentimento, che è una delle componenti della conoscenza, non può essere eretto ad unico criterio della conoscenza stessa: il sentimento aiuta a focalizzare l'attenzione sull'oggetto, ma è la ragione che giudica, valuta e deve guidare la volontà.

Si tratta di un discorso davvero controcorrente, ma i cristiani per grazia hanno la possibilità anche di conoscerne le ragioni, che non sono un puro sadismo da parte di un Dio che ci ha scaraventati nella vita privi di qualsiasi possibilità di difesa e di comprensione; poiché l'immagine e somiglianza con il Creatore neppure la catastrofe del peccato delle origini ha potuto cancellarla; e tutta la vita ci è data per convertire mente e cuore a quell'immagine amabile. E il lavoro della conversione o metanoia è davvero faticoso, altrimenti è solo una caricatura della conversione e alla lunga l'inganno si svela.

Ma torniamo a Lucia. Padre Cristoforo poi la scioglierà dal voto di castità e sarà una gioia indicibile perché finalmente i due promessi potranno diventare sposi ed iniziare insieme l'avventura della vita.
Nascerà una bella nidiata di bambini ai quali Renzo (da buon padre) racconterà con affetto tutto quello che ha imparato dalla vita . "Ho imparato – diceva - a non mettermi ne' tumulti, ho imparato a non predicare in piazza, ho imparato a non alzar troppo il gomito(…) e cent'altre cose.
Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n'era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa(…) un giorno disse al suo moralista: e io , cosa volete che abbia imparato? io non sono andata a cercare i guai: son loro che son venuti a cercare me. Quando non voleste dire – aggiunse soavemente sorridendo – che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene e di promettermi a voi.”
E a questo punto lasciamo che sia il Manzoni stesso a far concludere ai due protagonisti: “Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dati cagione; ma che la volontà più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.”




Edited by Milea - 24/7/2021, 20:28
 
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view post Posted on 1/10/2010, 22:49     +1   -1
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Capitolo XXXVI



Arabesc497

Chi avrebbe mai detto a Renzo, qualche ora prima, che, nel forte d'una tal ricerca, al cominciar de' momenti più dubbiosi e più decisivi, il suo cuore sarebbe stato diviso tra Lucia e don Rodrigo? Eppure era così: quella figura veniva a mischiarsi con tutte l'immagini care o terribili che la speranza o il timore gli mettevan davanti a vicenda, in quel tragitto; le parole sentite appiè di quel covile, si cacciavano tra i sì e i no, ond'era combattuta la sua mente; e non poteva terminare una preghiera per l'esito felice del gran cimento, senza attaccarci quella che aveva principiata là, e che lo scocco della campana aveva troncata.
La cappella ottangolare che sorge, elevata d'alcuni scalini, nel mezzo del lazzeretto, era, nella sua costruzione primitiva, aperta da tutti i lati, senz'altro sostegno che di pilastri e di colonne, una fabbrica, per dir così, traforata: in ogni facciata un arco tra due intercolunni; dentro girava un portico intorno a quella che si direbbe più propriamente chiesa, non composta che d'otto archi, rispondenti a quelli delle facciate, con sopra una cupola; di maniera che l'altare eretto nel centro, poteva esser veduto da ogni finestra delle stanze del recinto, e quasi da ogni punto del campo. Ora, convertito l'edifizio a tutt'altr'uso, i vani delle facciate son murati; ma l'antica ossatura, rimasta intatta, indica chiaramente l'antico stato, e l'antica destinazione di quello.

Renzo s'era appena avviato, che vide il padre Felice comparire nel portico della cappella, e affacciarsi sull'arco di mezzo del lato che guarda verso la città; davanti al quale era radunata la comitiva, al piano, nella strada di mezzo; e subito dal suo contegno s'accorse che aveva cominciata la predica.
Girò per quelle viottole, per arrivare alla coda dell'uditorio, come gli era stato suggerito. Arrivatoci, si fermò cheto cheto, lo scorse tutto con lo sguardo; ma non vedeva di là altro che un folto, direi quasi un selciato di teste. Nel mezzo, ce n'era un certo numero coperte di fazzoletti, o di veli: in quella parte ficcò più attentamente gli occhi; ma, non arrivando a scoprirci dentro nulla di più, gli alzò anche lui dove tutti tenevan fissi i loro. Rimase tocco e compunto dalla venerabil figura del predicatore; e, con quel che gli poteva restar d'attenzione in un tal momento d'aspettativa, sentì questa parte del solenne ragionamento.
- Diamo un pensiero ai mille e mille che sono usciti di là -; e, col dito alzato sopra la spalla, accennava dietro sé la porta che mette al cimitero detto di san Gregorio, il quale allora era tutto, si può dire, una gran fossa: - diamo intorno un'occhiata ai mille e mille che rimangon qui, troppo incerti di dove sian per uscire; diamo un'occhiata a noi, così pochi, che n'usciamo a salvamento. Benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia! benedetto nella morte, benedetto nella salute! benedetto in questa scelta che ha voluto far di noi! Oh! perché l'ha voluto, figliuoli, se non per serbarsi un piccol popolo corretto dall'afflizione, e infervorato dalla gratitudine? se non a fine che, sentendo ora più vivamente, che la vita è un suo dono, ne facciamo quella stima che merita una cosa data da Lui, l'impieghiamo nell'opere che si possono offrire a Lui? se non a fine che la memoria de' nostri patimenti ci renda compassionevoli e soccorrevoli ai nostri prossimi? Questi intanto, in compagnia de' quali abbiamo penato, sperato, temuto; tra i quali lasciamo degli amici, de' congiunti; e che tutti son poi finalmente nostri fratelli; quelli tra questi, che ci vedranno passare in mezzo a loro, mentre forse riceveranno qualche sollievo nel pensare che qualcheduno esce pur salvo di qui, ricevano edificazione dal nostro contegno. Dio non voglia che possano vedere in noi una gioia rumorosa, una gioia mondana d'avere scansata quella morte, con la quale essi stanno ancor dibattendosi. Vedano che partiamo ringraziando per noi, e pregando per loro; e possan dire: anche fuor di qui, questi si ricorderanno di noi, continueranno a pregare per noi meschini. Cominciamo da questo viaggio, da' primi passi che siam per fare, una vita tutta di carità. Quelli che sono tornati nell'antico vigore, diano un braccio fraterno ai fiacchi; giovani, sostenete i vecchi; voi che siete rimasti senza figliuoli, vedete, intorno a voi, quanti figliuoli rimasti senza padre! siatelo per loro! E questa carità, ricoprendo i vostri peccati, raddolcirà anche i vostri dolori.
Qui un sordo mormorìo di gemiti, un singhiozzìo che andava crescendo nell'adunanza, fu sospeso a un tratto, nel vedere il predicatore mettersi una corda al collo, e buttarsi in ginocchio: e si stava in gran silenzio, aspettando quel che fosse per dire.
- Per me, - disse, - e per tutti i miei compagni, che, senza alcun nostro merito, siamo stati scelti all'alto privilegio di servir Cristo in voi; io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamo degnamente adempito un sì gran ministero. Se la pigrizia, se l'indocilità della carne ci ha resi meno attenti alle vostre necessità, men pronti alle vostre chiamate; se un'ingiusta impazienza, se un colpevol tedio ci ha fatti qualche volta comparirvi davanti con un volto annoiato e severo; se qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di noi, ci ha portati a non trattarvi con tutta quell'umiltà che si conveniva, se la nostra fragilità ci ha fatti trascorrere a qualche azione che vi sia stata di scandolo; perdonateci! Così Dio rimetta a voi ogni vostro debito, e vi benedica -. E, fatto sull'udienza un gran segno di croce, s'alzò.
Noi abbiam potuto riferire, se non le precise parole, il senso almeno, il tema di quelle che proferì davvero; ma la maniera con cui furon dette non è cosa da potersi descrivere. Era la maniera d'un uomo che chiamava privilegio quello di servir gli appestati, perché lo teneva per tale; che confessava di non averci degnamente corrisposto, perché sentiva di non averci corrisposto degnamente; che chiedeva perdono, perché era persuaso d'averne bisogno. Ma la gente che s'era veduti d'intorno que' cappuccini non occupati d'altro che di servirla, e tanti n'aveva veduti morire, e quello che parlava per tutti, sempre il primo alla fatica, come nell'autorità, se non quando s'era trovato anche lui in fin di morte; pensate con che singhiozzi, con che lacrime rispose a tali parole. Il mirabil frate prese poi una gran croce ch'era appoggiata a un pilastro, se la inalberò davanti, lasciò sull'orlo del portico esteriore i sandali, scese gli scalini, e, tra la folla che gli fece rispettosamente largo, s'avviò per mettersi alla testa di essa.

Renzo, tutto lacrimoso, né più né meno che se fosse stato uno di quelli a cui era chiesto quel singolare perdono, si ritirò anche lui, e andò a mettersi di fianco a una capanna; e stette lì aspettando, mezzo nascosto, con la persona indietro e la testa avanti, con gli occhi spalancati, con una gran palpitazion di cuore, ma insieme con una certa nuova e particolare fiducia, nata, cred'io, dalla tenerezza che gli aveva ispirata la predica, e lo spettacolo della tenerezza generale.
Ed ecco arrivare il padre Felice, scalzo, con quella corda al collo, con quella lunga e pesante croce alzata; pallido e scarno il viso, un viso che spirava compunzione insieme e coraggio; a passo lento, ma risoluto, come di chi pensa soltanto a risparmiare l'altrui debolezza; e in tutto come un uomo a cui un di più di fatiche e di disagi desse la forza di sostenere i tanti necessari e inseparabili da quel suo incarico. Subito dopo lui, venivano i fanciulli più grandini, scalzi una gran parte, ben pochi interamente vestiti, chi affatto in camicia. Venivan poi le donne, tenendo quasi tutte per la mano una bambina, e cantando alternativamente il Miserere; e il suono fiacco di quelle voci, il pallore e la languidezza di que' visi eran cose da occupar tutto di compassione l'animo di chiunque si fosse trovato lì come semplice spettatore. Ma Renzo guardava, esaminava, di fila in fila, di viso in viso, senza passarne uno; ché la processione andava tanto adagio, da dargliene tutto il comodo. Passa e passa; guarda e guarda; sempre inutilmente: dava qualche occhiata di corsa alle file che rimanevano ancora indietro: sono ormai poche; siamo all'ultima; son passate tutte; furon tutti visi sconosciuti. Con le braccia ciondoloni, e con la testa piegata sur una spalla, accompagnò con l'occhio quella schiera, mentre gli passava davanti quella degli uomini. Una nuova attenzione, una nuova speranza gli nacque nel veder, dopo questi, comparire alcuni carri, su cui erano i convalescenti che non erano ancora in istato di camminare. Lì le donne venivan l'ultime; e il treno andava così adagio che Renzo poté ugualmente esaminarle tutte, senza che gliene sfuggisse una. Ma che? esamina il primo carro, il secondo, il terzo, e via discorrendo, sempre con la stessa riuscita, fino a uno, dietro al quale non veniva più che un altro cappuccino, con un aspetto serio, e con un bastone in mano, come regolatore della comitiva. Era quel padre Michele che abbiam detto essere stato dato per compagno nel governo al padre Felice.

Così svanì affatto quella cara speranza; e, andandosene, non solo portò via il conforto che aveva recato, ma, come accade le più volte, lasciò l'uomo in peggiore stato di prima. Ormai quel che ci poteva esser di meglio, era di trovar Lucia ammalata. Pure, all'ardore d'una speranza presente sottentrando quello del timore cresciuto, il poverino s'attaccò con tutte le forze dell'animo a quel tristo e debole filo; entrò nella corsia, e s'incamminò da quella parte di dove era venuta la processione. Quando fu appiè della cappella, andò a inginocchiarsi sull'ultimo scalino; e lì fece a Dio una preghiera, o, per dir meglio, una confusione di parole arruffate, di frasi interrotte, d'esclamazioni, d'istanze, di lamenti, di promesse: uno di que' discorsi che non si fanno agli uomini, perché non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, né pazienza per ascoltarli; non son grandi abbastanza per sentirne compassione senza disprezzo.
S'alzò alquanto più rincorato; girò intorno alla cappella; si trovò nell'altra corsia che non aveva ancora veduta, e che riusciva all'altra porta; dopo pochi passi, vide lo stecconato di cui gli aveva parlato il frate, ma interrotto qua e là, appunto come questo aveva detto; entrò per una di quelle aperture, e si trovò nel quartiere delle donne. Quasi al primo passo che fece, vide in terra un campanello, di quelli che i monatti portavano a un piede; gli venne in mente che un tale strumento avrebbe potuto servirgli come di passaporto là dentro; lo prese, guardò se nessuno lo guardava, e se lo legò come usavan quelli. E si mise subito alla ricerca, a quella ricerca, che, per la quantità sola degli oggetti sarebbe stata fieramente gravosa, quand'anche gli oggetti fossero stati tutt'altri; cominciò a scorrer con l'occhio, anzi a contemplar nuove miserie, così simili in parte alle già vedute, in parte così diverse: ché, sotto la stessa calamità, era qui un altro patire, per dir così, un altro languire, un altro lamentarsi, un altro sopportare, un altro compatirsi e soccorrersi a vicenda; era, in chi guardasse, un'altra pietà e un altro ribrezzo.

Aveva già fatto non so quanta strada, senza frutto e senza accidenti; quando si sentì dietro le spalle un - oh! - una chiamata, che pareva diretta a lui. Si voltò e vide, a una certa distanza, un commissario, che alzò una mano, accennando proprio a lui, e gridando: - là nelle stanze, ché c'è bisogno d'aiuto: qui s'è finito ora di sbrattare.
Renzo s'avvide subito per chi veniva preso, e che il campanello era la cagione dell'equivoco; si diede della bestia d'aver pensato solamente agl'impicci che quell'insegna gli poteva scansare, e non a quelli che gli poteva tirare addosso; ma pensò nello stesso tempo alla maniera di sbrigarsi subito da colui. Gli fece replicatamente e in fretta un cenno col capo, come per dire che aveva inteso, e che ubbidiva; e si levò dalla sua vista, cacciandosi da una parte tra le capanne.
Quando gli parve d'essere abbastanza lontano, pensò anche a liberarsi dalla causa dello scandolo; e, per far quell'operazione senz'essere osservato, andò a mettersi in un piccolo spazio tra due capanne che si voltavan, per dir così, la schiena. Si china per levarsi il campanello, e stando così col capo appoggiato alla parete di paglia d'una delle capanne, gli vien da quella all'orecchio una voce... Oh cielo! è possibile? Tutta la sua anima è in quell'orecchio: la respirazione è sospesa... Sì! sì! è quella voce!... - Paura di che? - diceva quella voce soave: - abbiam passato ben altro che un temporale. Chi ci ha custodite finora, ci custodirà anche adesso.

Se Renzo non cacciò un urlo, non fu per timore di farsi scorgere, fu perché non n'ebbe il fiato. Gli mancaron le ginocchia, gli s'appannò la vista; ma fu un primo momento; al secondo, era ritto, più desto, più vigoroso di prima; in tre salti girò la capanna, fu sull'uscio, vide colei che aveva parlato, la vide levata, chinata sopra un lettuccio. Si volta essa al rumore; guarda, crede di travedere, di sognare; guarda più attenta, e grida: - oh Signor benedetto!
- Lucia! v'ho trovata! vi trovo! siete proprio voi! siete viva! esclamò Renzo, avanzandosi, tutto tremante.
- Oh Signor benedetto! - replicò, ancor più tremante, Lucia: - voi? che cosa è questa! in che maniera? perché? La peste!
- L'ho avuta. E voi...?
- Ah!... anch'io. E di mia madre...?
- Non l'ho vista, perché è a Pasturo; credo però che stia bene. Ma voi... come siete ancora pallida! come parete debole! Guarita però, siete guarita?
- Il Signore m'ha voluto lasciare ancora quaggiù. Ah Renzo! perché siete voi qui?
- Perché? - disse Renzo avvicinandosele sempre più: - mi domandate perché? Perché ci dovevo venire? Avete bisogno che ve lo dica? Chi ho io a cui pensi? Non mi chiamo più Renzo, io? Non siete più Lucia, voi?
- Ah cosa dite! cosa dite! Ma non v'ha fatto scrivere mia madre...?
- Sì: pur troppo m'ha fatto scrivere. Belle cose da fare scrivere a un povero disgraziato, tribolato, ramingo, a un giovine che, dispetti almeno, non ve n'aveva mai fatti!
- Ma Renzo! Renzo! giacché sapevate... perché venire? perché?
- Perché venire! Oh Lucia! perché venire, mi dite? Dopo tante promesse! Non siam più noi? Non vi ricordate più? Che cosa ci mancava?
- Oh Signore! - esclamò dolorosamente Lucia, giungendo le mani, e alzando gli occhi al cielo: - perché non m'avete fatta la grazia di tirarmi a Voi...! Oh Renzo! cos'avete mai fatto? Ecco; cominciavo a sperare che... col tempo... mi sarei dimenticata...
- Bella speranza! belle cose da dirmele proprio sul viso!
- Ah, cos'avete fatto! E in questo luogo! tra queste miserie! tra questi spettacoli! qui dove non si fa altro che morire, avete potuto...!
- Quelli che moiono, bisogna pregare Iddio per loro, e sperare che anderanno in un buon luogo; ma non è giusto, né anche per questo, che quelli che vivono abbiano a viver disperati...
- Ma, Renzo! Renzo! voi non pensate a quel che dite. Una promessa alla Madonna!... Un voto!
- E io vi dico che son promesse che non contan nulla.
- Oh Signore! Cosa dite? Dove siete stato in questo tempo? Con chi avete trattato? Come parlate?
- Parlo da buon cristiano; e della Madonna penso meglio io che voi; perché credo che non vuol promesse in danno del prossimo. Se la Madonna avesse parlato, oh, allora! Ma cos'è stato? una vostra idea. Sapete cosa dovete promettere alla Madonna? Promettetele che la prima figlia che avremo, le metteremo nome Maria: ché questo son qui anch'io a prometterlo: queste son cose che fanno ben più onore alla Madonna: queste son divozioni che hanno più costrutto, e non portan danno a nessuno.
- No no; non dite così: non sapete quello che vi dite: non lo sapete voi cosa sia fare un voto: non ci siete stato voi in quel caso: non avete provato. Andate, andate, per amor del cielo!
E si scostò impetuosamente da lui, tornando verso il lettuccio.
- Lucia! - disse Renzo, senza moversi: - ditemi almeno, ditemi: se non fosse questa ragione... sareste la stessa per me?
- Uomo senza cuore! - rispose Lucia, voltandosi, e rattenendo a stento le lacrime: - quando m'aveste fatte dir delle parole inutili, delle parole che mi farebbero male, delle parole che sarebbero forse peccati, sareste contento? Andate, oh andate! dimenticatevi di me: si vede che non eravamo destinati! Ci rivedremo lassù: già non ci si deve star molto in questo mondo. Andate; cercate di far sapere a mia madre che son guarita, che anche qui Dio m'ha sempre assistita, che ho trovato un'anima buona, questa brava donna, che mi fa da madre; ditele che spero che lei sarà preservata da questo male, e che ci rivedremo quando Dio vorrà, e come vorrà... Andate, per amor del cielo, e non pensate a me... se non quando pregherete il Signore.
E, come chi non ha più altro da dire, né vuol sentir altro, come chi vuol sottrarsi a un pericolo, si ritirò ancor più vicino al lettuccio, dov'era la donna di cui aveva parlato.
- Sentite, Lucia, sentite! - disse Renzo, senza però accostarsele di più.
- No, no; andate per carità!
- Sentite: il padre Cristoforo...
- Che?
- È qui.
- Qui? dove? Come lo sapete?
- Gli ho parlato poco fa; sono stato un pezzo con lui: e un religioso della sua qualità, mi pare...
- È qui! per assistere i poveri appestati, sicuro. Ma lui? l'ha avuta la peste?
- Ah Lucia! ho paura, ho paura pur troppo... - e mentre Renzo esitava così a proferir la parola dolorosa per lui, e che doveva esserlo tanto a Lucia, questa s'era staccata di nuovo dal lettuccio, e si ravvicinava a lui: - ho paura che l'abbia adesso!
- Oh povero sant'uomo! Ma cosa dico, pover'uomo? Poveri noi! Com'è? è a letto? è assistito?
- È levato, gira, assiste gli altri; ma se lo vedeste, che colore che ha, come si regge! Se n'è visti tanti e tanti, che pur troppo... non si sbaglia!
- Oh poveri noi! E è proprio qui!
- Qui, e poco lontano: poco più che da casa vostra a casa mia... se vi ricordate...!
- Oh Vergine Santissima!
- Bene, poco più. E pensate se abbiam parlato di voi! M'ha detto delle cose... E se sapeste cosa m'ha fatto vedere! Sentirete; ma ora voglio cominciare a dirvi quel che m'ha detto prima, lui, con la sua propria bocca. M'ha detto che facevo bene a venirvi a cercare, e che al Signore gli piace che un giovine tratti così, e m'avrebbe aiutato a far che vi trovassi; come è proprio stato la verità: ma già è un santo. Sicché, vedete!
- Ma, se ha parlato così, è perché lui non sa...
- Che volete che sappia lui delle cose che avete fatte voi di vostra testa, senza regola e senza il parere di nessuno? Un brav'uomo, un uomo di giudizio, come è lui, non va a pensar cose di questa sorte. Ma quel che m'ha fatto vedere! - E qui raccontò la visita fatta a quella capanna: Lucia, quantunque i suoi sensi e il suo animo, avessero, in quel soggiorno, dovuto avvezzarsi alle più forti impressioni, stava tutta compresa d'orrore e di compassione.
- E anche lì, - proseguì Renzo, - ha parlato da santo: ha detto che il Signore forse ha destinato di far la grazia a quel meschino... (ora non potrei proprio dargli un altro nome)... che aspetta di prenderlo in un buon punto; ma vuole che noi preghiamo insieme per lui... Insieme! avete inteso?
- Sì, sì; lo pregheremo, ognuno dove il Signore ci terrà: le orazioni le sa mettere insieme Lui.
- Ma se vi dico le sue parole...!
- Ma Renzo, lui non sa...
- Ma non capite che, quando è un santo che parla, è il Signore che lo fa parlare? e che non avrebbe parlato così, se non dovesse esser proprio così?... E l'anima di quel poverino? Io ho bensì pregato, e pregherò per lui: di cuore ho pregato, proprio come se fosse stato per un mio fratello. Ma come volete che stia nel mondo di là, il poverino, se di qua non s'accomoda questa cosa, se non è disfatto il male che ha fatto lui? Che se voi intendete la ragione, allora tutto è come prima: quel che è stato è stato: lui ha fatto la sua penitenza di qua...
- No, Renzo, no: il Signore non vuole che facciamo del male, per far Lui misericordia. Lasciate fare a Lui, per questo: noi, il nostro dovere è di pregarlo. S'io fossi morta quella notte, non gli avrebbe dunque potuto perdonare? E se non son morta, se sono stata liberata...
- E vostra madre, quella povera Agnese, che m'ha sempre voluto tanto bene, e che si struggeva tanto di vederci marito e moglie, non ve l'ha detto anche lei che l'è un'idea storta? Lei, che v'ha fatto intender la ragione anche dell'altre volte, perché, in certe cose, pensa più giusto di voi...
- Mia madre! volete che mia madre mi desse il parere di mancare a un voto! Ma, Renzo! non siete in voi.
- Oh! volete che ve la dica? Voi altre donne, queste cose non le potete sapere. Il padre Cristoforo m'ha detto che tornassi da lui a raccontargli se v'avevo trovata. Vo: lo sentiremo: quel che dirà lui...
- Sì, sì; andate da quel sant'uomo; ditegli che prego per lui, e che preghi per me, che n'ho bisogno tanto tanto! Ma, per amor del cielo, per l'anima vostra, per l'anima mia, non venite più qui, a farmi del male, a... tentarmi. Il padre Cristoforo, lui saprà spiegarvi le cose, e farvi tornare in voi; lui vi farà mettere il cuore in pace.
- Il cuore in pace! Oh! questo, levatevelo dalla testa. Già me l'avete fatta scrivere questa parolaccia; e so io quel che m'ha fatto patire; e ora avete anche il cuore di dirmela. E io in vece vi dico chiaro e tondo che il cuore in pace non lo metterò mai. Voi volete dimenticarvi di me; e io non voglio dimenticarmi di voi. E vi prometto, vedete, che, se mi fate perdere il giudizio, non lo racquisto più. Al diavolo il mestiere, al diavolo la buona condotta! Volete condannarmi a essere arrabbiato per tutta la vita; e da arrabbiato viverò... E quel disgraziato! Lo sa il Signore se gli ho perdonato di cuore; ma voi... Volete dunque farmi pensare per tutta la vita che se non era lui...? Lucia! avete detto ch'io vi dimentichi: ch'io vi dimentichi! Come devo fare? A chi credete ch'io pensassi in tutto questo tempo?... E dopo tante cose! dopo tante promesse! Cosa v'ho fatto io, dopo che ci siamo lasciati? Perché ho patito, mi trattate così? perché ho avuto delle disgrazie? perché la gente del mondo m'ha perseguitato? perché ho passato tanto tempo fuori di casa, tristo, lontano da voi? perché, al primo momento che ho potuto, son venuto a cercarvi?

Lucia, quando il pianto le permise di formar parole, esclamò, giungendo di nuovo le mani, e alzando al cielo gli occhi pregni di lacrime: - o Vergine santissima, aiutatemi voi! Voi sapete che, dopo quella notte, un momento come questo non l'ho mai passato. M'avete soccorsa allora; soccorretemi anche adesso!
- Sì, Lucia; fate bene d'invocar la Madonna; ma perché volete credere che Lei che è tanto buona, la madre delle misericordie, possa aver piacere di farci patire... me almeno... per una parola scappata in un momento che non sapevate quello che vi dicevate? Volete credere che v'abbia aiutata allora, per lasciarci imbrogliati dopo?... Se poi questa fosse una scusa; se è ch'io vi sia venuto in odio... ditemelo... parlate chiaro.
- Per carità, Renzo, per carità, per i vostri poveri morti, finitela, finitela; non mi fate morire... Non sarebbe un buon momento. Andate dal padre Cristoforo; raccomandatemi a lui, non tornate più qui, non tornate più qui.
- Vo; ma pensate se non voglio tornare! Tornerei se fosse in capo al mondo, tornerei -. E disparve.
Lucia andò a sedere, o piuttosto si lasciò cadere in terra, accanto al lettuccio; e, appoggiata a quello la testa, continuò a piangere dirottamente. La donna, che fin allora era stata a occhi e orecchi aperti, senza fiatare, domandò cosa fosse quell'apparizione, quella contesa, questo pianto. Ma forse il lettore domanda dal canto suo chi fosse costei; e, per soddisfarlo, non ci vorranno, né anche qui, troppe parole.

Era un'agiata mercantessa, di forse trent'anni. Nello spazio di pochi giorni, s'era visto morire in casa il marito e tutti i figliuoli: di lì a poco, venutale la peste anche a lei, era stata trasportata al lazzeretto, e messa in quella capannuccia, nel tempo che Lucia, dopo aver superata, senza avvedersene, la furia del male, e cambiate, ugualmente senza avvedersene, più compagne, cominciava a riaversi, e a tornare in sé; ché, fin dal principio della malattia, trovandosi ancora in casa di don Ferrante, era rimasta come insensata. La capanna non poteva contenere che due persone: e tra queste due, afflitte, derelitte, sbigottite, sole in tanta moltitudine, era presto nata un'intrinsichezza, un'affezione, che appena sarebbe potuta venire da un lungo vivere insieme. In poco tempo, Lucia era stata in grado di poter aiutar l'altra, che s'era trovata aggravatissima. Ora che questa pure era fuori di pericolo, si facevano compagnia e coraggio e guardia a vicenda; s'eran promesse di non uscir dal lazzeretto, se non insieme; e avevan presi altri concerti per non separarsi neppur dopo. La mercantessa che, avendo lasciata in custodia d'un suo fratello commissario della Sanità, la casa e il fondaco e la cassa, tutto ben fornito, era per trovarsi sola e trista padrona di molto più di quel che le bisognasse per viver comodamente, voleva tener Lucia con sé, come una figliuola o una sorella. Lucia aveva aderito, pensate con che gratitudine per lei, e per la Provvidenza; ma soltanto fin che potesse aver nuove di sua madre, e sapere, come sperava, la volontà di essa. Del resto, riservata com'era, né della promessa dello sposalizio, né dell'altre sue avventure straordinarie, non aveva mai detta una parola. Ma ora, in un così gran ribollimento d'affetti, aveva almen tanto bisogno di sfogarsi, quanto l'altra desiderio di sentire. E, stretta con tutt'e due le mani la destra di lei, si mise subito a soddisfare alla domanda, senz'altro ritegno, che quello che le facevano i singhiozzi.

Renzo intanto trottava verso il quartiere del buon frate. Con un po' di studio, e non senza dover rifare qualche pezzetto di strada, gli riuscì finalmente d'arrivarci. Trovò la capanna; lui non ce lo trovò; ma, ronzando e cercando nel contorno, lo vide in una baracca, che, piegato a terra, e quasi bocconi, stava confortando un moribondo. Si fermò lì, aspettando in silenzio. Poco dopo, lo vide chiuder gli occhi a quel poverino, poi mettersi in ginocchio, far orazione un momento, e alzarsi. Allora si mosse, e gli andò incontro
- Oh! - disse il frate, vistolo venire; - ebbene?
- La c'è: l'ho trovata!
- In che stato?
- Guarita, o almeno levata.
- Sia ringraziato il Signore!
- Ma... - disse Renzo, quando gli fu vicino da poter parlar sottovoce: - c'è un altro imbroglio.
- Cosa c'è?
- Voglio dire che... Già lei lo sa come è buona quella povera giovine; ma alle volte è un po' fissa nelle sue idee. Dopo tante promesse, dopo tutto quello che sa anche lei, ora dice che non mi può sposare, perché dice, che so io? che, quella notte della paura, s'è scaldata la testa, e s'è, come a dire, votata alla Madonna. Cose senza costrutto, n'è vero? Cose buone, chi ha la scienza e il fondamento da farle, ma per noi gente ordinaria, che non sappiamo bene come si devon fare... n'è vero che son cose che non valgono?
- Dimmi: è molto lontana di qui?
- Oh no: pochi passi di là dalla chiesa.
- Aspettami qui un momento, - disse il frate: - e poi ci anderemo insieme.
- Vuol dire che lei le farà intendere...
- Non so nulla, figliuolo; bisogna ch'io senta lei.
- Capisco, - disse Renzo, e stette con gli occhi fissi a terra, e con le braccia incrociate sul petto, a masticarsi la sua incertezza, rimasta intera. Il frate andò di nuovo in cerca di quel padre Vittore, lo pregò di supplire ancora per lui, entrò nella sua capanna, n'uscì con la sporta in braccio, tornò da Renzo, gli disse: - andiamo -; e andò innanzi, avviandosi a quella tal capanna, dove, qualche tempo prima, erano entrati insieme. Questa volta, entrò solo, e dopo un momento ricomparve, e disse: - niente! Preghiamo; preghiamo -. Poi riprese: - ora, conducimi tu.
E senza dir altro, s'avviarono.

Il tempo s'era andato sempre più rabbuiando, e annunziava ormai certa e poco lontana la burrasca. De' lampi fitti rompevano l'oscurità cresciuta, e lumeggiavano d'un chiarore istantaneo i lunghissimi tetti e gli archi de' portici, la cupola della cappella, i bassi comignoli delle capanne; e i tuoni scoppiati con istrepito repentino, scorrevano rumoreggiando dall'una all'altra regione del cielo. Andava innanzi il giovine, attento alla strada, con una grand'impazienza d'arrivare, e rallentando però il passo, per misurarlo alle forze del compagno; il quale, stanco dalle fatiche, aggravato dal male, oppresso dall'afa, camminava stentatamente, alzando ogni tanto al cielo la faccia smunta, come per cercare un respiro più libero.
Renzo, quando vide la capanna, si fermò, si voltò indietro, disse con voce tremante: - è qui.
Entrano... - Eccoli! - grida la donna del lettuccio. Lucia si volta, s'alza precipitosamente, va incontro al vecchio, gridando: - oh chi vedo! O padre Cristoforo!
- Ebbene, Lucia! da quante angustie v'ha liberata il Signore! Dovete esser ben contenta d'aver sempre sperato in Lui.
- Oh sì! Ma lei, padre? Povera me, come è cambiato! Come sta? dica: come sta?
- Come Dio vuole, e come, per sua grazia, voglio anch'io, rispose, con volto sereno, il frate. E, tiratala in un canto, soggiunse: - sentite: io non posso rimaner qui che pochi momenti. Siete voi disposta a confidarvi in me, come altre volte?
- Oh! non è lei sempre il mio padre?
- Figliuola, dunque; cos'è codesto voto che m'ha detto Renzo?
- È un voto che ho fatto alla Madonna... oh! in una gran tribolazione!... di non maritarmi.
- Poverina! Ma avete pensato allora, ch'eravate legata da una promessa?
- Trattandosi del Signore e della Madonna!... non ci ho pensato.
- Il Signore, figliuola, gradisce i sagrifizi, l'offerte, quando le facciamo del nostro. È il cuore che vuole, è la volontà: ma voi non potevate offrirgli la volontà d'un altro, al quale v'eravate già obbligata.
- Ho fatto male?
- No, poverina, non pensate a questo: io credo anzi che la Vergine santa avrà gradita l'intenzione del vostro cuore afflitto, e l'avrà offerta a Dio per voi. Ma ditemi; non vi siete mai consigliata con nessuno su questa cosa?
- Io non pensavo che fosse male, da dovermene confessare: e quel poco bene che si può fare, si sa che non bisogna raccontarlo.
- Non avete nessun altro motivo che vi trattenga dal mantener la promessa che avete fatta a Renzo?
- In quanto a questo... per me... che motivo...? Non potrei proprio dire... - rispose Lucia, con un'esitazione che indicava tutt'altro che un'incertezza del pensiero; e il suo viso ancora scolorito dalla malattia, fiorì tutt'a un tratto del più vivo rossore.
- Credete voi, - riprese il vecchio, abbassando gli occhi, - che Dio ha data alla sua Chiesa l'autorità di rimettere e di ritenere, secondo che torni in maggior bene, i debiti e gli obblighi che gli uomini possono aver contratti con Lui?
- Sì, che lo credo.
- Ora sappiate che noi, deputati alla cura dell'anime in questo luogo, abbiamo, per tutti quelli che ricorrono a noi, le più ampie facoltà della Chiesa; e che per conseguenza, io posso, quando voi lo chiediate, sciogliervi dall'obbligo, qualunque sia, che possiate aver contratto a cagion di codesto voto.
- Ma non è peccato tornare indietro, pentirsi d'una promessa fatta alla Madonna? Io allora l'ho fatta proprio di cuore... - disse Lucia, violentemente agitata dall'assalto d'una tale inaspettata, bisogna pur dire speranza, e dall'insorgere opposto d'un terrore fortificato da tutti i pensieri che, da tanto tempo, eran la principale occupazione dell'animo suo.

voto-sciolto

- Peccato, figliuola? - disse il padre: - peccato il ricorrere alla Chiesa, e chiedere al suo ministro che faccia uso dell'autorità che ha ricevuto da essa, e che essa ha ricevuta da Dio? Io ho veduto in che maniera voi due siete stati condotti ad unirvi; e, certo, se mai m'è parso che due fossero uniti da Dio, voi altri eravate quelli: ora non vedo perché Dio v'abbia a voler separati. E lo benedico che m'abbia dato, indegno come sono, il potere di parlare in suo nome, e di rendervi la vostra parola. E se voi mi chiedete ch'io vi dichiari sciolta da codesto voto, io non esiterò a farlo; e desidero anzi che me lo chiediate.

- Allora...! allora...! lo chiedo; - disse Lucia, con un volto non turbato più che di pudore.
Il frate chiamò con un cenno il giovine, il quale se ne stava nel cantuccio il più lontano, guardando (giacché non poteva far altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato; e, quando quello fu lì, disse, a voce più alta, a Lucia: - con l'autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto di verginità, annullando ciò che ci poté essere d'inconsiderato, e liberandovi da ogni obbligazione che poteste averne contratta.
Pensi il lettore che suono facessero all'orecchio di Renzo tali parole. Ringraziò vivamente con gli occhi colui che le aveva proferite; e cercò subito, ma invano, quelli di Lucia.
- Tornate, con sicurezza e con pace, ai pensieri d'una volta, seguì a dirle il cappuccino: - chiedete di nuovo al Signore le grazie che Gli chiedevate, per essere una moglie santa; e confidate che ve le concederà più abbondanti, dopo tanti guai. E tu, - disse, voltandosi a Renzo, - ricordati, figliuolo, che se la Chiesa ti rende questa compagna, non lo fa per procurarti una consolazione temporale e mondana, la quale, se anche potesse essere intera, e senza mistura d'alcun dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento di lasciarvi; ma lo fa per avviarvi tutt'e due sulla strada della consolazione che non avrà fine.

cap36s_0

Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero d'avere a lasciarvi, e con la speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che v'ha condotti a questo stato, non per mezzo dell'allegrezze turbolente e passeggiere, ma co' travagli e tra le miserie, per disporvi a una allegrezza raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira d'allevarli per Lui, d'istillar loro l'amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto. Lucia! v'ha detto, - e accennava Renzo, - chi ha visto qui?
- Oh padre, me l'ha detto!
- Voi pregherete per lui! Non ve ne stancate. E anche per me pregherete!... Figliuoli! voglio che abbiate un ricordo del povero frate -. E qui levò dalla sporta una scatola d'un legno ordinario, ma tornita e lustrata con una certa finitezza cappuccinesca; e proseguì: - qui dentro c'è il resto di quel pane... il primo che ho chiesto per carità; quel pane, di cui avete sentito parlare! Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a' superbi e a' provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che preghino, anche loro, per il povero frate!
E porse la scatola a Lucia, che la prese con rispetto, come si farebbe d'una reliquia. Poi, con voce più tranquilla, riprese: - ora ditemi; che appoggi avete qui in Milano? Dove pensate d'andare a alloggiare, appena uscita di qui? E chi vi condurrà da vostra madre, che Dio voglia aver conservata in salute?
- Questa buona signora mi fa lei intanto da madre: noi due usciremo di qui insieme, e poi essa penserà a tutto.
- Dio la benedica, - disse il frate, accostandosi al lettuccio.
- La ringrazio anch'io, - disse la vedova, - della consolazione che ha data a queste povere creature; sebbene io avessi fatto conto di tenerla sempre con me, questa cara Lucia. Ma la terrò intanto; l'accompagnerò io al suo paese, la consegnerò a sua madre; e, soggiunse poi sottovoce, - voglio farle io il corredo. N'ho troppa della roba; e di quelli che dovevan goderla con me, non ho più nessuno!
- Così, - rispose il frate, - lei può fare un gran sacrifizio al Signore, e del bene al prossimo. Non le raccomando questa giovine: già vedo che è come sua: non c'è che da lodare il Signore, il quale sa mostrarsi padre anche ne' flagelli, e che, col farle trovare insieme, ha dato un così chiaro segno d'amore all'una e all'altra. Orsù, riprese poi, voltandosi a Renzo, e prendendolo per una mano: noi due non abbiam più nulla da far qui: e ci siamo stati anche troppo. Andiamo.
- Oh padre! - disse Lucia: - la vedrò ancora? Io sono guarita, io che non fo nulla di bene a questo mondo; e lei...!
- È già molto tempo, - rispose con tono serio e dolce il vecchio, - che chiedo al Signore una grazia, e ben grande: di finire i miei giorni in servizio del prossimo. Se me la volesse ora concedere, ho bisogno che tutti quelli che hanno carità per me, m'aiutino a ringraziarlo. Via; date a Renzo le vostre commissioni per vostra madre.
- Raccontatele quel che avete veduto, - disse Lucia al promesso sposo: - che ho trovata qui un'altra madre, che verrò con questa più presto che potrò, e che spero, spero di trovarla sana.
- Se avete bisogno di danari, - disse Renzo, - ho qui tutti quelli che m'avete mandati, e...
- No, no, - interruppe la vedova: - ne ho io anche troppi.
- Andiamo, - replicò il frate.
- A rivederci, Lucia...! e anche lei, dunque, quella buona signora, - disse Renzo, non trovando parole che significassero quello che sentiva.
- Chi sa che il Signore ci faccia la grazia di rivederci ancora tutti! - esclamò Lucia.
- Sia Egli sempre con voi, e vi benedica, - disse alle due compagne fra Cristoforo; e uscì con Renzo dalla capanna.
Mancava poco alla sera, e il tempo pareva sempre più vicino a risolversi. Il cappuccino esibì di nuovo al giovine di ricoverarlo per quella notte nella sua baracca. - Compagnia, non te ne potrò fare, - soggiunse: - ma avrai da stare al coperto.
Renzo però si sentiva una smania d'andare; e non si curava di rimaner più a lungo in un luogo simile, quando non poteva profittarne per veder Lucia, e non avrebbe neppur potuto starsene un po' col buon frate. In quanto all'ora e al tempo, si può dire che notte e giorno, sole e pioggia, zeffiro e tramontano, eran tutt'uno per lui in quel momento. Ringraziò dunque il frate, dicendo che voleva andar più presto che fosse possibile in cerca d'Agnese.
Quando furono nella strada di mezzo, il frate gli strinse la mano, e disse: - se la trovi, che Dio voglia! quella buona Agnese, salutala anche in mio nome; e a lei, e a tutti quelli che rimangono, e si ricordano di fra Cristoforo, dì che preghin per lui. Dio t'accompagni, e ti benedica per sempre.
- Oh caro padre...! ci rivedremo? ci rivedremo?
- Lassù, spero -. E con queste parole, si staccò da Renzo; il quale, stato lì a guardarlo fin che non l'ebbe perso di vista, prese in fretta verso la porta, dando a destra e a sinistra l'ultime occhiate di compassione a quel luogo di dolori. C'era un movimento straordinario, un correr di monatti, un trasportar di roba, un accomodar le tende delle baracche, uno strascicarsi di convalescenti a queste e ai portici, per ripararsi dalla burrasca imminente.




Edited by Milea - 24/7/2021, 20:30
 
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Capitolo XXXVII


Arabesc497

Appena infatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto e preso a diritta, per ritrovar la viottola di dov'era sboccato la mattina sotto le mura, principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi, che, battendo e risaltando sulla strada bianca e arida, sollevavano un minuto polverìo; in un momento, diventaron fitti; e prima che arrivasse alla viottola, la veniva giù a secchie. Renzo, in vece d'inquietarsene, ci sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata, in quel susurrìo, in quel brulichìo dell'erbe e delle foglie, tremolanti, gocciolanti, rinverdite, lustre; metteva certi respironi larghi e pieni; e in quel risolvimento della natura sentiva come più liberamente e più vivamente quello che s'era fatto nel suo destino.
Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimento, se Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo: che quell'acqua portava via il contagio; che, dopo quella, il lazzeretto, se non era per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva, almeno non n'avrebbe più ingoiati altri; che, tra una settimana, si vedrebbero riaperti usci e botteghe, non si parlerebbe quasi più che di quarantina; e della peste non rimarrebbe se non qualche resticciolo qua e là; quello strascico che un tal flagello lasciava sempre dietro a sé per qualche tempo.
Andava dunque il nostro viaggiatore allegramente, senza aver disegnato né dove, né come, né quando, né se avesse da fermarsi la notte, premuroso soltanto di portarsi avanti, d'arrivar presto al suo paese, di trovar con chi parlare, a chi raccontare, soprattutto di poter presto rimettersi in cammino per Pasturo, in cerca d'Agnese. Andava, con la mente tutta sottosopra dalle cose di quel giorno; ma di sotto le miserie, gli orrori, i pericoli, veniva sempre a galla un pensierino: l'ho trovata; è guarita; è mia! E allora faceva uno sgambetto, e con ciò dava un'annaffiata all'intorno, come un can barbone uscito dall'acqua; qualche volta si contentava d'una fregatina di mani; e avanti, con più ardore di prima. Guardando per la strada, raccattava, per dir così, i pensieri, che ci aveva lasciati la mattina e il giorno avanti, nel venire; e con più piacere quelli appunto che allora aveva più cercato di scacciare, i dubbi, le difficoltà, trovarla, trovarla viva, tra tanti morti e moribondi! "E l'ho trovata viva!" concludeva. Si rimetteva col pensiero nelle circostanze più terribili di quella giornata; si figurava con quel martello in mano: ci sarà o non ci sarà? e una risposta così poco allegra; e non aver nemmeno il tempo di masticarla, che addosso quella furia di matti birboni; e quel lazzeretto, quel mare! lì ti volevo a trovarla! E averla trovata! Ritornava su quel momento quando fu finita di passare la processione de' convalescenti: che momento! che crepacore non trovarcela! e ora non gliene importava più nulla. E quel quartiere delle donne! E là dietro a quella capanna, quando meno se l'aspettava, quella voce, quella voce proprio! E vederla, vederla levata! Ma che? c'era ancora quel nodo del voto, e più stretto che mai. Sciolto anche questo. E quell'odio contro don Rodrigo, quel rodìo continuo che esacerbava tutti i guai, e avvelenava tutte le consolazioni, scomparso anche quello. Talmenteché non saprei immaginare una contentezza più viva, se non fosse stata l'incertezza intorno ad Agnese, il tristo presentimento intorno al padre Cristoforo, e quel trovarsi ancora in mezzo a una peste.

Arrivò a Sesto, sulla sera; né pareva che l'acqua volesse cessare. Ma, sentendosi più in gambe che mai, e con tante difficoltà di trovar dove alloggiare, e così inzuppato, non ci pensò neppure. La sola cosa che l'incomodasse, era un grand'appetito: ché una consolazione come quella gli avrebbe fatto smaltire altro che la poca minestra del cappuccino. Guardò se trovasse anche qui una bottega di fornaio; ne vide una; ebbe due pani con le molle, e con quell'altre cerimonie. Uno in tasca e l'altro alla bocca, e avanti.
Quando passò per Monza, era notte fatta: nonostante, gli riuscì di trovar la porta che metteva sulla strada giusta. Ma meno questo, che, per dir la verità, era un gran merito, potete immaginarvi come fosse quella strada, e come andasse facendosi di momento in momento. Affondata (com'eran tutte; e dobbiamo averlo detto altrove) tra due rive, quasi un letto di fiume, si sarebbe a quell'ora potuta dire, se non un fiume, una gora davvero; e ogni tanto pozze, da volerci del buono e del bello a levarne i piedi, non che le scarpe. Ma Renzo n'usciva come poteva, senz'atti d'impazienza, senza parolacce, senza pentimenti; pensando che ogni passo, per quanto costasse, lo conduceva avanti, e che l'acqua cesserebbe quando a Dio piacesse, e che, a suo tempo, spunterebbe il giorno, e che la strada che faceva intanto, allora sarebbe fatta.
E dirò anche che non ci pensava se non proprio quando non poteva far di meno. Eran distrazioni queste; il gran lavoro della sua mente era di riandare la storia di que' tristi anni passati: tant'imbrogli, tante traversìe, tanti momenti in cui era stato per perdere anche la speranza, e fare andata ogni cosa; e di contrapporci l'immaginazioni d'un avvenire così diverso: e l'arrivar di Lucia, e le nozze, e il metter su casa, e il raccontarsi le vicende passate, e tutta la vita.

Come la facesse quando trovava due strade; se quella poca pratica, con quel poco barlume, fossero quelli che l'aiutassero a trovar sempre la buona, o se l'indovinasse sempre alla ventura, non ve lo saprei dire; ché lui medesimo, il quale soleva raccontar la sua storia molto per minuto, lunghettamente anzi che no (e tutto conduce a credere che il nostro anonimo l'avesse sentita da lui più d'una volta), lui medesimo, a questo punto, diceva che, di quella notte, non se ne rammentava che come se l'avesse passata in letto a sognare. Il fatto sta che, sul finir di essa, si trovò alla riva dell'Adda.
Non era mai spiovuto; ma, a un certo tempo, da diluvio era diventata pioggia, e poi un'acquerugiola fine fine, cheta cheta, ugual uguale: i nuvoli alti e radi stendevano un velo non interrotto, ma leggiero e diafano; e il lume del crepuscolo fece vedere a Renzo il paese d'intorno. C'era dentro il suo; e quel che sentì, a quella vista, non si saprebbe spiegare. Altro non vi so dire, se non che que' monti, quel Resegone vicino, il territorio di Lecco, era diventato tutto come roba sua. Diede un'occhiata anche a sé, e si trovò un po' strano, quale, per dir la verità, da quel che si sentiva, s'immaginava già di dover parere: sciupata e attaccata addosso ogni cosa: dalla testa alla vita, tutto un fradiciume, una grondaia; dalla vita alla punta de' piedi, melletta e mota: le parti dove non ce ne fosse si sarebbero potute chiamare esse zacchere e schizzi. E se si fosse visto tutt'intero in uno specchio, con la tesa del cappello floscia e cascante, e i capelli stesi e incollati sul viso, si sarebbe fatto ancor più specie. In quanto a stanco, lo poteva essere, ma non ne sapeva nulla: e il frescolino dell'alba aggiunto a quello della notte e di quel poco bagno, non gli dava altro che una fierezza, una voglia di camminar più presto.

È a Pescate; costeggia quell'ultimo tratto dell'Adda, dando però un'occhiata malinconica a Pescarenico; passa il ponte; per istrade e campi, arriva in un momento alla casa dell'ospite amico. Questo, che s'era levato allora, e stava sull'uscio, a guardare il tempo, alzò gli occhi a quella figura così inzuppata, così infangata, diciam pure così lercia, e insieme così viva e disinvolta: a' suoi giorni non aveva visto un uomo peggio conciato e più contento.
- Ohe! - disse: - già qui? e con questo tempo? Com'è andata?
- La c'è, - disse Renzo: - la c'è: la c'è.
- Sana?
- Guarita, che è meglio. Devo ringraziare il Signore e la Madonna fin che campo. Ma cose grandi, cose di fuoco: ti racconterò poi tutto.
- Ma come sei conciato!
- Son bello eh?
- A dir la verità, potresti adoprare il da tanto in su, per lavare il da tanto in giù. Ma, aspetta, aspetta; che ti faccia un buon fuoco.
- Non dico di no. Sai dove la m'ha preso? proprio alla porta del lazzeretto. Ma niente! il tempo il suo mestiere, e io il mio.
L'amico andò e tornò con due bracciate di stipa: ne mise una in terra, l'altra sul focolare, e, con un po' di brace rimasta della sera avanti, fece presto una bella fiammata. Renzo intanto s'era levato il cappello, e, dopo averlo scosso due o tre volte, l'aveva buttato in terra: e, non così facilmente, s'era tirato via anche il farsetto. Levò poi dal taschino de' calzoni il coltello, col fodero tutto fradicio, che pareva stato in molle; lo mise su un panchetto, e disse: - anche costui è accomodato a dovere; ma l'è acqua! l'è acqua! sia ringraziato il Signore... Sono stato lì lì...! Ti dirò poi -. E si fregava le mani. - Ora fammi un altro piacere, - soggiunse: - quel fagottino che ho lasciato su in camera, va' a prendermelo, ché prima che s'asciughi questa roba che ho addosso...!
Tornato col fagotto, l'amico disse: - penso che avrai anche appetito: capisco che da bere, per la strada, non te ne sarà mancato; ma da mangiare...
- Ho trovato da comprar due pani, ieri sul tardi; ma, per dir la verità, non m'hanno toccato un dente.
- Lascia fare, - disse l'amico; mise l'acqua in un paiolo, che attaccò poi alla catena; e soggiunse: - vado a mungere: quando tornerò col latte, l'acqua sarà all'ordine; e si fa una buona polenta. Tu intanto fa' il tuo comodo.
Renzo, rimasto solo, si levò, non senza fatica, il resto de' panni, che gli s'eran come appiccicati addosso; s'asciugò, si rivestì da capo a piedi. L'amico tornò, e andò al suo paiolo: Renzo intanto si mise a sedere, aspettando.
- Ora sento che sono stanco, - disse: - ma è una bella tirata! Però questo è nulla! Ne ho da raccontartene per tutta la giornata. Com'è conciato Milano! Le cose che bisogna vedere! Le cose che bisogna toccare! Cose da farsi poi schifo a se medesimo. Sto per dire che non ci voleva meno di quel bucatino che ho avuto. E quel che m'hanno voluto fare que' signori di laggiù! Sentirai. Ma se tu vedessi il lazzeretto! C'è da perdersi nelle miserie. Basta; ti racconterò tutto... E la c'è, e la verrà qui, e sarà mia moglie; e tu devi far da testimonio, e, peste o non peste, almeno qualche ora, voglio che stiamo allegri.
Del resto mantenne ciò, che aveva detto all'amico, di voler raccontargliene per tutta la giornata; tanto più, che, avendo sempre continuato a piovigginare, questo la passò tutta in casa, parte seduto accanto all'amico, parte in faccende intorno a un suo piccolo tino, e a una botticina, e ad altri lavori, in preparazione della vendemmia; ne' quali Renzo non lasciò di dargli una mano; ché, come soleva dire, era di quelli che si stancano più a star senza far nulla, che a lavorare. Non poté però tenersi di non fare una scappatina alla casa d'Agnese, per rivedere una certa finestra, e per dare anche lì una fregatina di mani. Tornò senza essere stato visto da nessuno; e andò subito a letto. S'alzò prima che facesse giorno; e, vedendo cessata l'acqua, se non ritornato il sereno, si mise in cammino per Pasturo.

Era ancor presto quando ci arrivò: ché non aveva meno fretta e voglia di finire, di quel che possa averne il lettore. Cercò d'Agnese; sentì che stava bene, e gli fu insegnata una casuccia isolata dove abitava. Ci andò; la chiamò dalla strada: a una tal voce, essa s'affacciò di corsa alla finestra; e, mentre stava a bocca aperta per mandar fuori non so che parola, non so che suono, Renzo la prevenne dicendo: - Lucia è guarita: l'ho veduta ierlaltro; vi saluta; verrà presto. E poi ne ho, ne ho delle cose da dirvi.
Tra la sorpresa dell'apparizione, e la contentezza della notizia, e la smania di saperne di più, Agnese cominciava ora un'esclamazione, ora una domanda, senza finir nulla: poi, dimenticando le precauzioni ch'era solita a prendere da molto tempo, disse: - vengo ad aprirvi.
- Aspettate: e la peste? - disse Renzo: - voi non l'avete avuta, credo.
- Io no: e voi?
- Io sì; ma voi dunque dovete aver giudizio. Vengo da Milano; e, sentirete, sono proprio stato nel contagio fino agli occhi. È vero che mi son mutato tutto da capo a piedi; ma l'è una porcheria che s'attacca alle volte come un malefizio. E giacché il Signore v'ha preservata finora, voglio che stiate riguardata fin che non è finito quest'influsso; perché siete la nostra mamma: e voglio che campiamo insieme un bel pezzo allegramente, a conto del gran patire che abbiam fatto, almeno io.
- Ma... - cominciava Agnese.
- Eh! - interruppe Renzo: - non c'è ma che tenga. So quel che volete dire; ma sentirete, sentirete, che de' ma non ce n'è più. Andiamo in qualche luogo all'aperto, dove si possa parlar con comodo, senza pericolo; e sentirete.
Agnese gl'indicò un orto ch'era dietro alla casa; e soggiunse: - entrate lì, e vedrete che c'è due panche, l'una in faccia all'altra, che paion messe apposta. Io vengo subito.
Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento dopo, Agnese si trovò lì sull'altra: e son certo che, se il lettore, informato come è delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi lì in terzo, a veder con gli occhi quella conversazione così animata, a sentir con gli orecchi que' racconti, quelle domande, quelle spiegazioni, quell'esclamare, quel condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre Cristoforo, e tutto il resto, e quelle descrizioni dell'avvenire, chiare e positive come quelle del passato, son certo, dico, che ci avrebbe preso gusto, e sarebbe stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla sulla carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte d'inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di parere che non se ne curi molto, e che gli piaccia più d'indovinarla da sé. La conclusione fu che s'anderebbe a metter su casa tutti insieme in quel paese del bergamasco dove Renzo aveva già un buon avviamento: in quanto al tempo, non si poteva decider nulla, perché dipendeva dalla peste, e da altre circostanze: appena cessato il pericolo, Agnese tornerebbe a casa, ad aspettarvi Lucia, o Lucia ve l'aspetterebbe: intanto Renzo farebbe spesso qualche altra corsa a Pasturo, a veder la sua mamma, e a tenerla informata di quel che potesse accadere.
Prima di partire, offrì anche a lei danari, dicendo: - gli ho qui tutti, vedete, que' tali: avevo fatto voto anch'io di non toccarli, fin che la cosa non fosse venuta in chiaro. Ora, se n'avete bisogno, portate qui una scodella d'acqua e aceto; vi butto dentro i cinquanta scudi belli e lampanti.
- No, no, - disse Agnese: - ne ho ancora più del bisogno per me: i vostri, serbateli, che saran buoni per metter su casa.
Renzo tornò al paese con questa consolazione di più d'aver trovata sana e salva una persona tanto cara. Stette il rimanente di quella giornata, e la notte, in casa dell'amico; il giorno dopo, in viaggio di nuovo, ma da un'altra parte, cioè verso il paese adottivo.

Trovò Bortolo, in buona salute anche lui, e in minor timore di perderla; ché, in que' pochi giorni, le cose, anche là, avevan preso rapidamente una bonissima piega. Pochi eran quelli che s'ammalavano; e il male non era più quello; non più que' lividi mortali, né quella violenza di sintomi; ma febbriciattole, intermittenti la maggior parte, con al più qualche piccol bubbone scolorito, che si curava come un fignolo ordinario. Già l'aspetto del paese compariva mutato; i rimasti vivi cominciavano a uscir fuori, a contarsi tra loro, a farsi a vicenda condoglianze e congratulazioni. Si parlava già di ravviare i lavori: i padroni pensavano già a cercare e a caparrare operai, e in quell'arti principalmente dove il numero n'era stato scarso anche prima del contagio, com'era quella della seta. Renzo, senza fare il lezioso, promise (salve però le debite approvazioni) al cugino di rimettersi al lavoro, quando verrebbe accompagnato, a stabilirsi in paese. S'occupò intanto de' preparativi più necessari: trovò una casa più grande; cosa divenuta pur troppo facile e poco costosa; e la fornì di mobili e d'attrezzi, intaccando questa volta il tesoro, ma senza farci un gran buco, ché tutto era a buon mercato, essendoci molta più roba che gente che la comprassero.
Dopo non so quanti giorni, ritornò al paese nativo, che trovò ancor più notabilmente cambiato in bene. Trottò subito a Pasturo; trovò Agnese rincoraggiata affatto, e disposta a ritornare a casa quando si fosse; di maniera che ce la condusse lui: né diremo quali fossero i loro sentimenti, quali le parole, al rivedere insieme que' luoghi.
Agnese trovò ogni cosa come l'aveva lasciata. Sicché non poté far a meno di non dire che, questa volta, trattandosi d'una povera vedova e d'una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli.
- E l'altra volta, - soggiungeva, - che si sarebbe creduto che il Signore guardasse altrove, e non pensasse a noi, giacché lasciava portar via il povero fatto nostro; ecco che ha fatto vedere il contrario, perché m'ha mandato da un'altra parte di bei danari, con cui ho potuto rimettere ogni cosa. Dico ogni cosa, e non dico bene; perché il corredo di Lucia che coloro avevan portato via bell'e nuovo, insieme col resto, quello mancava ancora; ma ecco che ora ci viene da un'altra parte. Chi m'avesse detto, quando io m'arrapinavo tanto a allestir quell'altro: tu credi di lavorar per Lucia: eh povera donna! lavori per chi non sai: sa il cielo, questa tela, questi panni, a che sorte di creature anderanno indosso: quelli per Lucia, il corredo davvero che ha da servire per lei, ci penserà un'anima buona, la quale tu non sai né anche che la sia in questo mondo.
Il primo pensiero d'Agnese fu quello di preparare nella sua povera casuccia l'alloggio il più decente che potesse, a quell'anima buona: poi andò in cerca di seta da annaspare; e lavorando ingannava il tempo.
Renzo, dal canto suo, non passò in ozio que' giorni già tanto lunghi per sé: sapeva far due mestieri per buona sorte; si rimise a quello del contadino. Parte aiutava il suo ospite, per il quale era una gran fortuna l'avere in tal tempo spesso al suo comando un'opera, e un'opera di quell'abilità; parte coltivava, anzi dissodava l'orticello d'Agnese, trasandato affatto nell'assenza di lei. In quanto al suo proprio podere, non se n'occupava punto, dicendo ch'era una parrucca troppo arruffata, e che ci voleva altro che due braccia a ravviarla. E non ci metteva neppure i piedi; come né anche in casa: ché gli avrebbe fatto male a vedere quella desolazione; e aveva già preso il partito di disfarsi d'ogni cosa, a qualunque prezzo, e d'impiegar nella nuova patria quel tanto che ne potrebbe ricavare.

Se i rimasti vivi erano, l'uno per l'altro, come morti resuscitati, Renzo, per quelli del suo paese, lo era, come a dire, due volte: ognuno gli faceva accoglienze e congratulazioni, ognuno voleva sentir da lui la sua storia. Direte forse: come andava col bando? L'andava benone: lui non ci pensava quasi più, supponendo che quelli i quali avrebbero potuto eseguirlo, non ci pensassero più né anche loro: e non s'ingannava. E questo non nasceva solo dalla peste che aveva fatto monte di tante cose; ma era, come s'è potuto vedere anche in vari luoghi di questa storia, cosa comune a que' tempi, che i decreti, tanto generali quanto speciali, contro le persone, se non c'era qualche animosità privata e potente che li tenesse vivi, e li facesse valere, rimanevano spesso senza effetto, quando non l'avessero avuto sul primo momento; come palle di schioppo, che, se non fanno colpo, restano in terra, dove non dànno fastidio a nessuno. Conseguenza necessaria della gran facilità con cui li seminavano que' decreti. L'attività dell'uomo è limitata; e tutto il di più che c'era nel comandare, doveva tornare in tanto meno nell'eseguire. Quel che va nelle maniche, non può andar ne' gheroni.

Chi volesse anche sapere come Renzo se la passasse con don Abbondio, in quel tempo d'aspetto, dirò che stavano alla larga l'uno dall'altro: don Abbondio, per timore di sentire intonar qualcosa di matrimonio: e, al solo pensarci, si vedeva davanti agli occhi don Rodrigo da una parte, co' suoi bravi, il cardinale dall'altra, co' suoi argomenti: Renzo, perché aveva fissato di non parlargliene che al momento di concludere, non volendo risicare di farlo inalberar prima del tempo, di suscitar, chi sa mai? qualche difficoltà, e d'imbrogliar le cose con chiacchiere inutili. Le sue chiacchiere, le faceva con Agnese. - Credete voi che verrà presto? - domandava l'uno. - Io spero di sì, - rispondeva l'altro: e spesso quello che aveva data la risposta, faceva poco dopo la domanda medesima. E con queste e con simili furberie, s'ingegnavano a far passare il tempo, che pareva loro più lungo, di mano in mano che n'era più passato.
Al lettore noi lo faremo passare in un momento tutto quel tempo, dicendo in compendio che, qualche giorno dopo la visita di Renzo al lazzeretto, Lucia n'uscì con la buona vedova; che, essendo stata ordinata una quarantina generale, la fecero insieme, rinchiuse nella casa di quest'ultima; che una parte del tempo fu spesa in allestire il corredo di Lucia, al quale, dopo aver fatto un po' di cerimonie, dovette lavorare anche lei; e che, terminata che fu la quarantina, la vedova lasciò in consegna il fondaco e la casa a quel suo fratello commissario; e si fecero i preparativi per il viaggio. Potremmo anche soggiunger subito: partirono, arrivarono, e quel che segue; ma, con tutta la volontà che abbiamo di secondar la fretta del lettore, ci son tre cose appartenenti a quell'intervallo di tempo, che non vorremmo passar sotto silenzio; e, per due almeno, crediamo che il lettore stesso dirà che avremmo fatto male.

La prima, che, quando Lucia tornò a parlare alla vedova delle sue avventure, più in particolare, e più ordinatamente di quel che avesse potuto in quell'agitazione della prima confidenza, e fece menzione più espressa della signora che l'aveva ricoverata nel monastero di Monza, venne a sapere di costei cose che, dandole la chiave di molti misteri, le riempiron l'animo d'una dolorosa e paurosa maraviglia. Seppe dalla vedova che la sciagurata, caduta in sospetto d'atrocissimi fatti, era stata, per ordine del cardinale, trasportata in un monastero di Milano; che lì, dopo molto infuriare e dibattersi, s'era ravveduta, s'era accusata; e che la sua vita attuale era supplizio volontario tale, che nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare un più severo. Chi volesse conoscere un po' più in particolare questa trista storia, la troverà nel libro e al luogo che abbiam citato altrove, a proposito della stessa persona (Ripam. Hist. Pat., Dec. V, Lib. VI, Cap. III.).
L'altra cosa è che Lucia, domandando del padre Cristoforo a tutti i cappuccini che poté vedere nel lazzeretto, sentì, con più dolore che maraviglia, ch'era morto di peste.

Finalmente, prima di partire, avrebbe anche desiderato di saper qualcosa de' suoi antichi padroni, e di fare, come diceva, un atto del suo dovere, se alcuno ne rimaneva. La vedova l'accompagnò alla casa, dove seppero che l'uno e l'altra erano andati tra que' più. Di donna Prassede, quando si dice ch'era morta, è detto tutto; ma intorno a don Ferrante, trattandosi ch'era stato dotto, l'anonimo ha creduto d'estendersi un po' più; e noi, a nostro rischio, trascriveremo a un di presso quello che ne lasciò scritto.
Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de' più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all'ultimo, quell'opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione.
- “In rerum natura,” - diceva, - non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l'uno né l'altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse tale, in vece di passar da un corpo all'altro, volerebbe subito alla sua sfera. Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da' venti. Non è ignea; perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanza composta, neppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibile all'occhio o al tatto; e questo contagio, chi l'ha veduto? chi l'ha toccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un corpo all'altro; ché questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente trasportato: due parole che fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di questa: che un accidente non può passar da un soggetto all'altro. Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente prodotto, dànno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare di vibici, d'esantemi, d'antraci...?
- Tutte corbellerie, - scappò fuori una volta un tale.
- No, no, - riprese don Ferrante: - non dico questo: la scienza è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, furoncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro significato bell'e buono; ma dico che non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano.

Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva che dare addosso all'opinion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti: perché non si può spiegare quanto sia grande l'autorità d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler dimostrare che l'errore di que' medici non consisteva già nell'affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma nell'assegnarne la cagione; allora (parlo de' primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d'orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a distesa era finita; e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi.
- La c'è pur troppo la vera cagione, - diceva; - e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell'altra così in aria... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s'è sentito dire che l'influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de' corpi terreni, potesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno?
“His fretus,” vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s'attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.
E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per i muriccioli.


Edited by Milea - 24/7/2021, 20:32
 
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Capitolo XXXVIII



Arabesc497

Una sera, Agnese sente fermarsi un legno all'uscio. - È lei, di certo! - Era proprio lei, con la buona vedova. L'accoglienze vicendevoli se le immagini il lettore.
La mattina seguente, di buon'ora, capita Renzo che non sa nulla, e vien solamente per isfogarsi un po' con Agnese su quel gran tardare di Lucia. Gli atti che fece, e le cose che disse, al trovarsela davanti, si rimettono anche quelli all'immaginazion del lettore. Le dimostrazioni di Lucia in vece furon tali, che non ci vuol molto a descriverle. - Vi saluto: come state? - disse, a occhi bassi, e senza scomporsi. E non crediate che Renzo trovasse quel fare troppo asciutto, e se l'avesse per male. Prese benissimo la cosa per il suo verso; e, come, tra gente educata, si sa far la tara ai complimenti, così lui intendeva bene che quelle parole non esprimevan tutto ciò che passava nel cuore di Lucia. Del resto, era facile accorgersi che aveva due maniere di pronunziarle: una per Renzo, e un'altra per tutta la gente che potesse conoscere.
- Sto bene quando vi vedo, - rispose il giovine, con una frase vecchia, ma che avrebbe inventata lui, in quel momento.
- Il nostro povero padre Cristoforo...! - disse Lucia: - pregate per l'anima sua: benché si può esser quasi sicuri che a quest'ora prega lui per noi lassù.
- Me l'aspettavo, pur troppo, - disse Renzo. E non fu questa la sola trista corda che si toccasse in quel colloquio. Ma che? di qualunque cosa si parlasse, il colloquio gli riusciva sempre delizioso. Come que' cavalli bisbetici che s'impuntano, e si piantan lì, e alzano una zampa e poi un'altra, e le ripiantano al medesimo posto, e fanno mille cerimonie prima di fare un passo, e poi tutto a un tratto prendon l'andare, e via, come se il vento li portasse, così era divenuto il tempo per lui: prima i minuti gli parevan ore; poi l'ore gli parevan minuti.
La vedova, non solo non guastava la compagnia, ma ci faceva dentro molto bene; e certamente, Renzo, quando la vide in quel lettuccio, non se la sarebbe potuta immaginare d'un umore così socievole e gioviale. Ma il lazzeretto e la campagna, la morte e le nozze, non son tutt'uno. Con Agnese essa aveva già fatto amicizia; con Lucia poi era un piacere a vederla, tenera insieme e scherzevole, e come la stuzzicava garbatamente, e senza spinger troppo, appena quanto ci voleva per obbligarla a dimostrar tutta l'allegria che aveva in cuore.
Renzo disse finalmente che andava da don Abbondio, a prendere i concerti per lo sposalizio. Ci andò, e, con un certo fare tra burlesco e rispettoso, - signor curato, - gli disse: - le è poi passato quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare? Ora siamo a tempo; la sposa c'è: e son qui per sentire quando le sia di comodo: ma questa volta, sarei a pregarla di far presto -. Don Abbondio non disse di no; ma cominciò a tentennare, a trovar cert'altre scuse, a far cert'altre insinuazioni: e perché mettersi in piazza, e far gridare il suo nome, con quella cattura addosso? e che la cosa potrebbe farsi ugualmente altrove; e questo e quest'altro.
- Ho inteso, - disse Renzo: - lei ha ancora un po' di quel mal di capo. Ma senta, senta -. E cominciò a descrivere in che stato aveva visto quel povero don Rodrigo; e che già a quell'ora doveva sicuramente essere andato. - Speriamo, - concluse, - che il Signore gli avrà usato misericordia.
- Questo non ci ha che fare, - disse don Abbondio: - v'ho forse detto di no? Io non dico di no; parlo... parlo per delle buone ragioni. Del resto, vedete, fin che c'è fiato... Guardatemi me: sono una conca fessa; sono stato anch'io, più di là che di qua: e son qui; e... se non mi vengono addosso de' guai... basta... posso sperare di starci ancora un pochino. Figuratevi poi certi temperamenti. Ma, come dico, questo non ci ha che far nulla.

Dopo qualche altra botta e risposta, né più né meno concludenti, Renzo strisciò una bella riverenza, se ne tornò alla sua compagnia, fece la sua relazione, e finì con dire: - son venuto via, che n'ero pieno, e per non risicar di perdere la pazienza, e di levargli il rispetto. In certi momenti, pareva proprio quello dell'altra volta; proprio quella mutria, quelle ragioni: son sicuro che, se la durava ancora un poco, mi tornava in campo con qualche parola in latino. Vedo che vuol essere un'altra lungagnata: è meglio fare addirittura come dice lui, andare a maritarsi dove andiamo a stare.
- Sapete cosa faremo? - disse la vedova: - voglio che andiamo noi altre donne a fare un'altra prova, e vedere se ci riesce meglio. Così avrò anch'io il gusto di conoscerlo quest'uomo, se è proprio come dite. Dopo desinare voglio che andiamo; per non tornare a dargli addosso subito. Ora, signore sposo, menateci un po' a spasso noi altre due, intanto che Agnese è in faccende: ché a Lucia farò io da mamma: e ho proprio voglia di vedere un po' meglio queste montagne, questo lago, di cui ho sentito tanto parlare; e il poco che n'ho già visto, mi pare una gran bella cosa.
Renzo le condusse prima di tutto alla casa del suo ospite, dove fu un'altra festa: e gli fecero promettere che, non solo quel giorno, ma tutti i giorni, se potesse, verrebbe a desinare con loro.
Passeggiato, desinato, Renzo se n'andò, senza dir dove. Le donne rimasero un pezzetto a discorrere, a concertarsi sulla maniera di prender don Abbondio; e finalmente andarono all'assalto.
"Son qui loro", disse questo tra sé; ma fece faccia tosta: gran congratulazioni a Lucia, saluti ad Agnese, complimenti alla forestiera. Le fece mettere a sedere, e poi entrò subito a parlar della peste: volle sentir da Lucia come l'aveva passata in que' guai: il lazzeretto diede opportunità di far parlare anche quella che l'era stata compagna; poi, com'era giusto, don Abbondio parlò anche della sua burrasca; poi de' gran mirallegri anche a Agnese, che l'aveva passata liscia. La cosa andava in lungo: già fin dal primo momento, le due anziane stavano alle velette, se mai venisse l'occasione d'entrar nel discorso essenziale: finalmente non so quale delle due ruppe il ghiaccio. Ma cosa volete? Don Abbondio era sordo da quell'orecchio. Non che dicesse di no; ma eccolo di nuovo a quel suo serpeggiare, volteggiare e saltar di palo in frasca. - Bisognerebbe, - diceva, - poter far levare quella catturaccia. Lei, signora, che è di Milano, conoscerà più o meno il filo delle cose, avrà delle buone protezioni, qualche cavaliere di peso: ché con questi mezzi si sana ogni piaga. Se poi si volesse andar per la più corta, senza imbarcarsi in tante storie; giacché codesti giovani, e qui la nostra Agnese, hanno già intenzione di spatriarsi (e io non saprei cosa dire: la patria è dove si sta bene), mi pare che si potrebbe far tutto là, dove non c'è cattura che tenga. Non vedo proprio l'ora di saperlo concluso questo parentado, ma lo vorrei concluso bene, tranquillamente. Dico la verità: qui, con quella cattura viva, spiattellar dall'altare quel nome di Lorenzo Tramaglino, non lo farei col cuor quieto: gli voglio troppo bene; avrei paura di fargli un cattivo servizio. Veda lei; vedete voi altre.

Qui, parte Agnese, parte la vedova, a ribatter quelle ragioni; don Abbondio a rimetterle in campo, sott'altra forma: s'era sempre da capo; quando entra Renzo, con un passo risoluto, e con una notizia in viso; e dice: - è arrivato il signor marchese ***.
- Cosa vuol dir questo? arrivato dove? - domanda don Abbondio, alzandosi.
- E arrivato nel suo palazzo, ch'era quello di don Rodrigo; perché questo signor marchese è l'erede per fidecommisso, come dicono; sicché non c'è più dubbio. Per me, ne sarei contento, se potessi sapere che quel pover'uomo fosse morto bene. A buon conto, finora ho detto per lui de' paternostri, adesso gli dirò de' De profundis. E questo signor marchese è un bravissim'uomo.
- Sicuro, - disse don Abbondio: - l'ho sentito nominar più d'una volta per un bravo signore davvero, per un uomo della stampa antica. Ma che sia proprio vero...?
- Al sagrestano gli crede?
- Perché?
- Perché lui l'ha veduto co' suoi occhi. Io sono stato solamente lì ne' contorni, e, per dir la verità, ci sono andato appunto perché ho pensato: qualcosa là si dovrebbe sapere. E più d'uno m'ha detto lo stesso. Ho poi incontrato Ambrogio che veniva proprio di lassu, e che l'ha veduto, come dico, far da padrone. Lo vuol sentire, Ambrogio? L'ho fatto aspettar qui fuori apposta.
- Sentiamo, - disse don Abbondio. Renzo andò a chiamare il sagrestano. Questo confermò la cosa in tutto e per tutto, ci aggiunse altre circostanze, sciolse tutti i dubbi; e poi se n'andò.
- Ah! è morto dunque! è proprio andato! - esclamò don Abbondio. - Vedete, figliuoli, se la Provvidenza arriva alla fine certa gente. Sapete che l'è una gran cosa! un gran respiro per questo povero paese! che non ci si poteva vivere con colui. E stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una “scopa;” ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più: verdi, freschi, prosperosi: bisognava dire che chi era destinato a far loro l'esequie, era ancora in seminario, a fare i latinucci. E in un batter d'occhio, sono spariti, a cento per volta. Non lo vedremo più andare in giro con quegli sgherri dietro, con quell'albagìa, con quell'aria, con quel palo in corpo, con quel guardar la gente, che pareva che si stesse tutti al mondo per sua degnazione. Intanto, lui non c'è più, e noi ci siamo. Non manderà più di quell'imbasciate ai galantuomini. Ci ha dato un gran fastidio a tutti, vedete: ché adesso lo possiamo dire.
- Io gli ho perdonato di cuore, - disse Renzo.
- E fai il tuo dovere, - rispose don Abbondio: - ma si può anche ringraziare il cielo, che ce n'abbia liberati. Ora, tornando a noi, vi ripeto: fate voi altri quel che credete. Se volete che vi mariti io, son qui; se vi torna più comodo in altra maniera, fate voi altri. In quanto alla cattura, vedo anch'io che, non essendoci ora più nessuno che vi tenga di mira, e voglia farvi del male, non è cosa da prendersene gran pensiero: tanto più, che c'è stato di mezzo quel decreto grazioso, per la nascita del serenissimo infante. E poi la peste! la peste! ha dato di bianco a di gran cose la peste! Sicché, se volete... oggi è giovedì... domenica vi dico in chiesa; perché quel che s'è fatto l'altra volta, non conta più niente, dopo tanto tempo; e poi ho la consolazione di maritarvi io.
- Lei sa bene ch'eravamo venuti appunto per questo, - disse Renzo.
- Benissimo; e io vi servirò: e voglio darne parte subito a sua eminenza.
- Chi è sua eminenza? - domandò Agnese.
- Sua eminenza, - rispose don Abbondio, - è il nostro cardinale arcivescovo, che Dio conservi.
- Oh! in quanto a questo mi scusi, - replicò Agnese: - ché, sebbene io sia una povera ignorante, le posso accertare che non gli si dice così; perché, quando siamo state la seconda volta per parlargli, come parlo a lei, uno di que' signori preti mi tirò da parte, e m'insegnò come si doveva trattare con quel signore, e che gli si doveva dire vossignoria illustrissima, e monsignore.
- E ora, se vi dovesse tornare a insegnare, vi direbbe che gli va dato dell'eminenza: avete inteso? Perché il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali si dia questo titolo. E sapete perché sarà venuto a questa risoluzione? Perché l'illustrissimo, ch'era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche voi altri, cos'è diventato, a quanti si dà: e come se lo succiano volentieri! E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a tutti? Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, continuar come prima. Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a poco poi, si comincerà a dar dell'eminenza ai vescovi; poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perché gli uomini son fatti così; sempre voglion salire, sempre salire; poi i canonici...
- Poi i curati, - disse la vedova.
- No no, - riprese don Abbondio: - i curati a tirar la carretta: non abbiate paura che gli avvezzin male, i curati: del reverendo, fino alla fin del mondo. Piuttosto, non mi maraviglierei punto che i cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirsi dar dell'illustrissimo, a esser trattati come i cardinali, un giorno volessero dell'eminenza anche loro. E se la vogliono, vedete, troveranno chi gliene darà. E allora, il papa che ci sarà allora, troverà qualche altra cosa per i cardinali. Orsù, ritorniamo alle nostre cose: domenica vi dirò in chiesa; e intanto, sapete cos'ho pensato per servirvi meglio? Intanto chiederemo la dispensa per l'altre due denunzie. Hanno a avere un bel da fare laggiù in curia, a dar dispense, se la va per tutto come qui. Per domenica ne ho già... uno... due... tre; senza contarvi voi altri: e ne può capitare ancora. E poi vedrete, andando avanti, che affare vuol essere: non ne deve rimanere uno scompagnato. Ha proprio fatto uno sproposito Perpetua a morire ora; ché questo era il momento che trovava l'avventore anche lei. E a Milano, signora, mi figuro che sarà lo stesso.
- Eccome! si figuri che, solamente nella mia cura, domenica passata, cinquanta denunzie.
- Se lo dico; il mondo non vuol finire. E lei, signora, non hanno principiato a ronzarle intorno de' mosconi?
- No, no; io non ci penso, né ci voglio pensare.
- Sì, sì, che vorrà esser lei sola. Anche Agnese, veda; anche Agnese...
- Uh! ha voglia di scherzare, lei, - disse questa.
- Sicuro che ho voglia di scherzare: e mi pare che sia ora finalmente. Ne abbiam passate delle brutte, n'è vero, i miei giovani? delle brutte n'abbiam passate: questi quattro giorni che dobbiamo stare in questo mondo, si può sperare che vogliano essere un po' meglio. Ma! fortunati voi altri, che, non succedendo disgrazie, avete ancora un pezzo da parlare de' guai passati: io in vece, sono alle ventitre e tre quarti, e... i birboni posson morire; della peste si può guarire; ma agli anni non c'è rimedio: e, come dice, senectus ipsa est morbus.
- Ora, - disse Renzo, - parli pur latino quanto vuole; che non me n'importa nulla.
- Tu l'hai ancora col latino, tu: bene bene, t'accomoderò io: quando mi verrai davanti, con questa creatura, per sentirvi dire appunto certe paroline in latino, ti dirò: latino tu non ne vuoi: vattene in pace. Ti piacerà?
- Eh! so io quel che dico, - riprese Renzo: - non è quel latino lì che mi fa paura: quello è un latino sincero, sacrosanto, come quel della messa: anche loro, lì, bisogna che leggano quel che c'è sul libro. Parlo di quel latino birbone, fuor di chiesa, che viene addosso a tradimento, nel buono d'un discorso. Per esempio, ora che siam qui, che tutto è finito; quel latino che andava cavando fuori, lì proprio, in quel canto, per darmi ad intendere che non poteva, e che ci voleva dell'altre cose, e che so io? me lo volti un po' in volgare ora.
- Sta' zitto, buffone, sta' zitto: non rimestar queste cose; ché, se dovessimo ora fare i conti, non so chi avanzerebbe. Io ho perdonato tutto: non ne parliam più: ma me n'avete fatti de' tiri. Di te non mi fa specie, che sei un malandrinaccio; ma dico quest'acqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a guardarsene. Ma già, lo so io chi l'aveva ammaestrata, lo so io, lo so io -. Così dicendo, accennava Agnese col dito, che prima aveva tenuto rivolto a Lucia: e non si potrebbe spiegare con che bonarietà, con che piacevolezza facesse que' rimproveri. Quella notizia gli aveva dato una disinvoltura, una parlantina, insolita da gran tempo; e saremmo ancor ben lontani dalla fine, se volessimo riferir tutto il rimanente di que' discorsi, che lui tirò in lungo, ritenendo più d'una volta la compagnia che voleva andarsene, e fermandola poi ancora un pochino sull'uscio di strada, sempre a parlar di bubbole.

Il giorno seguente, gli capitò una visita, quanto meno aspettata tanto più gradita: il signor marchese del quale s'era parlato: un uomo tra la virilità e la vecchiezza, il cui aspetto era come un attestato di ciò che la fama diceva di lui: aperto, cortese, placido, umile, dignitoso, e qualcosa che indicava una mestizia rassegnata.
- Vengo, - disse, - a portarle i saluti del cardinale arcivescovo.
- Oh che degnazione di tutt'e due!
- Quando fui a prender congedo da quest'uomo incomparabile, che m'onora della sua amicizia, mi parlò di due giovani di codesta cura, ch'eran promessi sposi, e che hanno avuto de' guai, per causa di quel povero don Rodrigo. Monsignore desidera d'averne notizia. Son vivi? E le loro cose sono accomodate?
- Accomodato ogni cosa. Anzi, io m'era proposto di scriverne a sua eminenza; ma ora che ho l'onore...
- Si trovan qui?
- Qui; e, più presto che si potrà, saranno marito e moglie.
- E io la prego di volermi dire se si possa far loro del bene, e anche d'insegnarmi la maniera più conveniente. In questa calamità, ho perduto i due soli figli che avevo, e la madre loro, e ho avute tre eredità considerabili. Del superfluo, n'avevo anche prima: sicché lei vede che il darmi una occasione d'impiegarne, e tanto più una come questa, è farmi veramente un servizio.
- Il cielo la benedica! Perché non sono tutti come lei i...? Basta; la ringrazio anch'io di cuore per questi miei figliuoli. E giacché vossignoria illustrissima mi dà tanto coraggio, sì signore, che ho un espediente da suggerirle, il quale forse non le dispiacerà. Sappia dunque che questa buona gente son risoluti d'andare a metter su casa altrove, e di vender quel poco che hanno al sole qui: una vignetta il giovine, di nove o dieci pertiche, salvo il vero, ma trasandata affatto: bisogna far conto del terreno, nient'altro; di più una casuccia lui, e un'altra la sposa: due topaie, veda. Un signore come vossignoria non può sapere come la vada per i poveri, quando voglion disfarsi del loro. Finisce sempre a andare in bocca di qualche furbo, che forse sarà già un pezzo che fa all'amore a quelle quattro braccia di terra, e quando sa che l'altro ha bisogno di vendere, si ritira, fa lo svogliato; bisogna corrergli dietro, e dargliele per un pezzo di pane: specialmente poi in circostanze come queste. Il signor marchese ha già veduto dove vada a parare il mio discorso. La carità più fiorita che vossignoria illustrissima possa fare a questa gente, è di cavarli da quest'impiccio, comprando quel poco fatto loro. Io, ner dir la verità, do un parere interessato, perché verrei ad acquistare nella mia cura un compadrone come il signor marchese; ma vossignoria deciderà secondo che le parrà meglio: io ho parlato per ubbidienza.

Il marchese lodò molto il suggerimento; ringraziò don Abbondio, e lo pregò di voler esser arbitro del prezzo, e di fissarlo alto bene; e lo fece poi restar di sasso, col proporgli che s'andasse subito insieme a casa della sposa, dove sarebbe probabilmente anche lo sposo.
Per la strada, don Abbondio, tutto gongolante, come vi potete immaginare, ne pensò e ne disse un'altra. - Giacché vossignoria illustrissima è tanto inclinato a far del bene a questa gente, ci sarebbe un altro servizio da render loro. Il giovine ha addosso una cattura, una specie di bando, per qualche scappatuccia che ha fatta in Milano, due anni sono, quel giorno del gran fracasso, dove s'è trovato impicciato, senza malizia, da ignorante, come un topo nella trappola: nulla di serio, veda: ragazzate, scapataggini: di far del male veramente, non è capace: e io posso dirlo, che l'ho battezzato, e l'ho veduto venir su: e poi, se vossignoria vuol prendersi il divertimento di sentir questa povera gente ragionar su alla carlona, potrà fargli raccontar la storia a lui, e sentirà. Ora, trattandosi di cose vecchie, nessuno gli dà fastidio; e, come le ho detto, lui pensa d'andarsene fuor di stato; ma, col tempo, o tornando qui, o altro, non si sa mai, lei m'insegna che è sempre meglio non esser su que' libri. Il signor marchese, in Milano, conta, come è giusto, e per quel gran cavaliere, e per quel grand'uomo che è... No, no, mi lasci dire; ché la verità vuole avere il suo luogo. Una raccomandazione, una parolina d'un par suo, è più del bisogno per ottenere una buona assolutoria.
- Non c'è impegni forti contro codesto giovine?
- No, no; non crederei. Gli hanno fatto fuoco addosso nel primo momento; ma ora credo che non ci sia più altro che la semplice formalità.
- Essendo così, la cosa sarà facile; e la prendo volentieri sopra di me.
- E poi non vorrà che si dica che è un grand'uomo. Lo dico, e lo voglio dire; a suo dispetto, lo voglio dire. E anche se io stessi zitto, già non servirebbe a nulla, perché parlan tutti; e vox populi, vox Dei.

Trovarono appunto le tre donne e Renzo. Come questi rimanessero, lo lascio considerare a voi: io credo che anche quelle nude e ruvide pareti, e l'impannate, e i panchetti, e le stoviglie si maravigliassero di ricever tra loro una visita così straordinaria. Avviò lui la conversazione, parlando del cardinale e dell'altre cose, con aperta cordialità, e insieme con delicati riguardi. Passò poi a far la proposta per cui era venuto. Don Abbondio, pregato da lui di fissare il prezzo, si fece avanti; e, dopo un po' di cerimonie e di scuse, e che non era sua farina, e che non potrebbe altro che andare a tastoni, e che parlava per ubbidienza, e che si rimetteva, proferì, a parer suo, uno sproposito. Il compratore disse che, per la parte sua, era contentissimo, e, come se avesse franteso, ripeté il doppio; non volle sentir rettificazioni, e troncò e concluse ogni discorso invitando la compagnia a desinare per il giorno dopo le nozze, al suo palazzo, dove si farebbe l'istrumento in regola.
"Ah! - diceva poi tra sé don Abbondio, tornato a casa: - se la peste facesse sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne male: quasi quasi ce ne vorrebbe una, ogni generazione; e si potrebbe stare a patti d'averla; ma guarire, ve'".

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Venne la dispensa, venne l'assolutoria, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella chiesa, dove, proprio per bocca di don Abbondio, furono sposi. Un altro trionfo, e ben più singolare, fu l'andare a quel palazzotto; e vi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mente, in far quella salita, all'entrare in quella porta; e che discorsi dovessero fare, ognuno secondo il suo naturale. Accennerò soltanto che, in mezzo all'allegria, ora l'uno, ora l'altro motivò più d'una volta, che, per compir la festa, ci mancava il povero padre Cristoforo. - Ma per lui, - dicevan poi, - sta meglio di noi sicuramente.
Il marchese fece loro una gran festa, li condusse in un bel tinello, mise a tavola gli sposi, con Agnese e con la mercantessa; e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Abbondio, volle star lì un poco a far compagnia agl'invitati, e aiutò anzi a servirli. A nessuno verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa più semplice fare addirittura una tavola sola. Ve l'ho dato per un brav'uomo, ma non per un originale, come si direbbe ora; v'ho detto ch'era umile, non già che fosse un portento d'umiltà. N'aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari.
Dopo i due pranzi, fu steso il contratto per mano d'un dottore, il quale non fu l'Azzecca-garbugli. Questo, voglio dire la sua spoglia, era ed è tuttavia a Canterelli. E per chi non è di quelle parti, capisco anch'io che qui ci vuole una spiegazione.

Sopra Lecco forse un mezzo miglio, e quasi sul fianco dell'altro paese chiamato Castello, c'è un luogo detto Canterelli, dove s'incrocian due strade; e da una parte del crocicchio, si vede un rialto, come un poggetto artificiale, con una croce in cima; il quale non è altro che un gran mucchio di morti in quel contagio. La tradizione, per dir la verità, dice semplicemente i morti del contagio; ma dev'esser quello senz'altro, che fu l'ultimo, e il più micidiale di cui rimanga memoria. E sapete che le tradizioni, chi non le aiuta, da sé dicon sempre troppo poco.
Nel ritorno non ci fu altro inconveniente, se non che Renzo era un po' incomodato dal peso de' quattrini che portava via. Ma l'uomo, come sapete, aveva fatto ben altre vite. Non parlo del lavoro della mente, che non era piccolo, a pensare alla miglior maniera di farli fruttare. A vedere i progetti che passavan per quella mente, le riflessioni, l'immaginazioni; a sentire i pro e i contro, per l'agricoltura e per l'industria, era come se ci si fossero incontrate due accademie del secolo passato. E per lui l'impiccio era ben più reale; perché, essendo un uomo solo, non gli si poteva dire: che bisogno c'è di scegliere? l'uno e l'altro, alla buon'ora; ché i mezzi, in sostanza, sono i medesimi; e son due cose come le gambe, che due vanno meglio d'una sola.
Non si pensò più che a fare i fagotti, e a mettersi in viaggio: casa Tramaglino per la nuova patria, e la vedova per Milano. Le lacrime, i ringraziamenti, le promesse d'andarsi a trovare furon molte. Non meno tenera, eccettuate le lacrime, fu la separazione di Renzo e della famiglia dall'ospite amico: e non crediate che con don Abbondio le cose passassero freddamente. Quelle buone creature avevan sempre conservato un certo attaccamento rispettoso per il loro curato; e questo, in fondo, aveva sempre voluto bene a loro. Son que' benedetti affari, che imbroglian gli affetti.

Chi domandasse se non ci fu anche del dolore in distaccarsi dal paese nativo, da quelle montagne; ce ne fu sicuro: ché del dolore, ce n'è, sto per dire, un po' per tutto. Bisogna però che non fosse molto forte, giacché avrebbero potuto risparmiarselo, stando a casa loro, ora che i due grand'inciampi, don Rodrigo e il bando, eran levati. Ma, già da qualche tempo, erano avvezzi tutt'e tre a riguardar come loro il paese dove andavano. Renzo l'aveva fatto entrare in grazia alle donne, raccontando l'agevolezze che ci trovavano gli operai, e cento cose della bella vita che si faceva là. Del resto, avevan tutti passato de' momenti ben amari in quello a cui voltavan le spalle; e le memorie triste, alla lunga guastan sempre nella mente i luoghi che le richiamano. E se que' luoghi son quelli dove siam nati, c'è forse in tali memorie qualcosa di più aspro e pungente. Anche il bambino, dice il manoscritto, riposa volentieri sul seno della balia, cerca con avidità e con fiducia la poppa che l'ha dolcemente alimentato fino allora; ma se la balia, per divezzarlo, la bagna d'assenzio, il bambino ritira la bocca, poi torna a provare, ma finalmente se ne stacca; piangendo sì, ma se ne stacca.
Cosa direte ora, sentendo che, appena arrivati e accomodati nel nuovo paese, Renzo ci trovò de' disgusti bell'e preparati? Miserie; ma ci vuol così poco a disturbare uno stato felice! Ecco, in poche parole, la cosa.
Il parlare che, in quel paese, s'era fatto di Lucia, molto tempo prima che la ci arrivasse; il saper che Renzo aveva avuto a patir tanto per lei, e sempre fermo, sempre fedele; forse qualche parola di qualche amico parziale per lui e per tutte le cose sue, avevan fatto nascere una certa curiosità di veder la giovine, e una certa aspettativa della sua bellezza. Ora sapete come è l'aspettativa: immaginosa, credula, sicura; alla prova poi, difficile, schizzinosa: non trova mai tanto che le basti, perché, in sostanza, non sapeva quello che si volesse; e fa scontare senza pietà il dolce che aveva dato senza ragione. Quando comparve questa Lucia, molti i quali credevan forse che dovesse avere i capelli proprio d'oro, e le gote proprio di rosa, e due occhi l'uno più bello dell'altro, e che so io? cominciarono a alzar le spalle, ad arricciar il naso, e a dire: - eh! l'è questa? Dopo tanto tempo, dopo tanti discorsi, s'aspettava qualcosa di meglio. Cos'è poi? Una contadina come tant'altre. Eh! di queste e delle meglio, ce n'è per tutto -. Venendo poi a esaminarla in particolare, notavan chi un difetto, chi un altro: e ci furon fin di quelli che la trovavan brutta affatto.
Siccome però nessuno le andava a dir sul viso a Renzo, queste cose; così non c'era gran male fin lì. Chi lo fece il male, furon certi tali che gliele rapportarono: e Renzo, che volete? ne fu tocco sul vivo. Cominciò a ruminarci sopra, a farne di gran lamenti, e con chi gliene parlava, e più a lungo tra sé. "E cosa v'importa a voi altri? E chi v'ha detto d'aspettare? Son mai venuto io a parlarvene? a dirvi che la fosse bella? E quando me lo dicevate voi altri, v'ho mai risposto altro, se non che era una buona giovine? È una contadina! V'ho detto mai che v'avrei menato qui una principessa? Non vi piace? Non la guardate. N'avete delle belle donne: guardate quelle".
E vedete un poco come alle volte una corbelleria basta a decidere dello stato d'un uomo per tutta la vita. Se Renzo avesse dovuto passar la sua in quel paese, secondo il suo primo disegno, sarebbe stata una vita poco allegra. A forza d'esser disgustato, era ormai diventato disgustoso. Era sgarbato con tutti, perché ognuno poteva essere uno de' critici di Lucia. Non già che trattasse proprio contro il galateo; ma sapete quante belle cose si posson fare senza offender le regole della buona creanza: fino sbudellarsi. Aveva un non so che di sardonico in ogni sua parola; in tutto trovava anche lui da criticare, a segno che, se faceva cattivo tempo due giorni di seguito, subito diceva: - eh già, in questo paese! - Vi dico che non eran pochi quelli che l'avevan già preso a noia, e anche persone che prima gli volevan bene; e col tempo, d'una cosa nell'altra, si sarebbe trovato, per dir così, in guerra con quasi tutta la popolazione, senza poter forse né anche lui conoscer la prima cagione d'un così gran male.

Ma si direbbe che la peste avesse preso l'impegno di raccomodar tutte le malefatte di costui. Aveva essa portato via il padrone d'un altro filatoio, situato quasi sulle porte di Bergamo; e l'erede, giovine scapestrato, che in tutto quell'edifizio non trovava che ci fosse nulla di divertente, era deliberato, anzi smanioso di vendere, anche a mezzo prezzo; ma voleva i danari l'uno sopra l'altro, per poterli impiegar subito in consumazioni improduttive. Venuta la cosa agli orecchi di Bortolo, corse a vedere; trattò: patti più grassi non si sarebbero potuti sperare; ma quella condizione de' pronti contanti guastava tutto, perché quelli che aveva messi da parte, a poco a poco, a forza di risparmi, erano ancor lontani da arrivare alla somma. Tenne l'amico in mezza parola, tornò indietro in fretta, comunicò l'affare al cugino, e gli propose di farlo a mezzo. Una così bella proposta troncò i dubbi economici di Renzo, che si risolvette subito per l'industria, e disse di sì. Andarono insieme, e si strinse il contratto. Quando poi i nuovi padroni vennero a stare sul loro, Lucia, che lì non era aspettata per nulla, non solo non andò soggetta a critiche, ma si può dire che non dispiacque; e Renzo venne a risapere che s'era detto da più d'uno: - avete veduto quella bella baggiana che c'è venuta? - L'epiteto faceva passare il sostantivo.

E anche del dispiacere che aveva provato nell'altro paese, gli restò un utile ammaestramento. Prima d'allora era stato un po' lesto nel sentenziare, e si lasciava andar volentieri a criticar la donna d'altri, e ogni cosa. Allora s'accorse che le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi; e prese un po' più d'abitudine d'ascoltar di dentro le sue, prima di proferirle.
Non crediate però che non ci fosse qualche fastidiuccio anche lì. L'uomo (dice il nostro anonimo: e già sapete per prova che aveva un gusto un po' strano in fatto di similitudini; ma passategli anche questa, che avrebbe a esser l'ultima), l'uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s'è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima. E per questo, soggiunge l'anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. È tirata un po' con gli argani, e proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altro, prosegue, dolori e imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam raccontati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se ve l'avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte.

Gli affari andavan d'incanto: sul principio ci fu un po' d'incaglio per la scarsezza de' lavoranti e per lo sviamento e le pretensioni de' pochi ch'eran rimasti. Furon pubblicati editti che limitavano le paghe degli operai; malgrado quest'aiuto, le cose si rincamminarono, perché alla fine bisogna che si rincamminino. Arrivò da Venezia un altro editto, un po' più ragionevole: esenzione, per dieci anni, da ogni carico reale e personale ai forestieri che venissero a abitare in quello stato. Per i nostri fu una nuova cuccagna.
Prima che finisse l'anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d'adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant'altri, dell'uno e dell'altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l'uno dopo l'altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de' bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c'era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro.
Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire. - Ho imparato, - diceva, - a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d'aver pensato quel che possa nascere -. E cent'altre cose.
Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n'era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, - e io, - disse un giorno al suo moralista, - cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercar me. Quando non voleste dire, - aggiunse, soavemente sorridendo, - che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi.
Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.
La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta.



Nozze




Edited by Milea - 24/7/2021, 20:33
 
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