Cap.8 - Così va spesso il mondo...

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view post Posted on 21/9/2010, 18:57     +2   +1   -1
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Cap.8 - Così va spesso il mondo...


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Quella che dallo stesso Manzoni è stata definita “la notte degli imbrogli e dei sotterfugi” è davvero gustosissima nella sua drammaticità e va letta con molta attenzione. Tutti i personaggi, attraverso il loro modo di agire (perché di sola azione si tratta, e di azione concitata), vengono bonariamente presentati nei loro limiti umani, che l'autore non fa nulla per nascondere; e, come sempre, vien fuori il vero cuore di ciascuno. Proverbiale il famoso “Carneade, chi era costui?” che apre il capitolo sulla serenità meditabonda di don Abbondio, sgarbatamente sconvolta dal susseguirsi di imprevisti; divertente la sagacia paesana della buona Agnese, che trova il punto debole di Perpetua rimasta zitella perché … credereste? (una conoscente) s'ostinava a dire che non vi siete maritata con Beppe Suolavecchia, né con Anselmo Lunghigna, perché non v'hanno voluta…; prudente il buon Tonio con le sue venticinque belle berlinghe nuove; indimenticabile il povero Gervaso, che ci resterà sempre nella mente per il suo saltellare senza senso e i suoi occhi spiritati… e così via fino al sagrestano Ambrogio, che per esser più lesto dà di piglio alle brache e (…) se le caccia sotto il braccio(…) e giù balzelloni per una scaletta di legno

Si tratta veramente di una notte memorabile e drammatica
che avrebbe potuto mettere fine alla vicenda dei due sposi; e invece segnano l'inizio di una lunghissima odissea assaporata alternativamente con dolore, con impazienza, con rassegnazione, con ribellione, in un intreccio sapientissimo con le vicende storiche di quel Seicento lombardo.

Naturalmente non è sufficiente, in tutto quell'agire concitato, la breve pausa di respiro che il Manzoni ci consente introducendo lo sfondo paesaggistico notturno e lunare, che segna il contrasto con l'agitazione di quelle ore. Occorre, come sempre, un respiro più ampio, che consenta al lettore una sia pur breve riflessione: “ In mezzo a questo serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s'era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l'apparenza di un oppressore; eppure, alla fin dei fatti era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente ai fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo…, cos' andava nel secolo decimo settimo.”

Molto si dovrebbe dire su questa pausa concessaci da Manzoni. La prima notazione riguarda quella capacità di fermarsi un momento, anche quando le circostanze hanno ormai preso il sopravvento e sembrano incontrollabili, per “fare il punto della situazione”.

Sembra ormai che anche l'uomo, assimilatosi agli animali, debba sempre e solo agire per istinto: è vero che quando l'imprevisto incombe, non è facile stare ad elucubrare, anche perché la reattività tante volte è l'unica possibilità di salvezza. Ma se “la reattività”, o meglio, la reazione, non nasce da un temperamento abituato a dare un giudizio sui fatti, facilmente si possono fare delle scelte irreparabili. Ecco perché è importante educare la libertà e l'intelligenza a dare il giusto valore a tutte le cose: solo in tal modo si diventa capaci di far fronte all'imprevisto con dignità. E questa è un'osservazione di carattere generale.

Nella fattispecie del racconto, invece, mi pare interessante la sottolineatura da parte dell'autore del pericolo di lasciarsi ingannare dalle apparenze: e non si tratta di una osservazione gratuita, come dimostra la bonaria conclusione: “Così va spesso il mondo…”.

Non ci vuole molta fantasia per rilevare che le cose vanno sempre così, anche nel secolo ventunesimo. Si è legati più all'apparenza che al significato di quel che accade e se non si conoscono tutti i fattori in gioco è molto facile ingannarsi. Il problema, allora, credo stia piuttosto nel chiederci: ma noi vogliamo davvero conoscere la verità? O ci accontentiamo delle apparenze?

E l'uomo è fatto per le apparenze o per la verità? Per rispondere non c'è che interrogare il proprio cuore.

La terza osservazione che si impone è certamente relativa l'uso delle apparenze per stravolgere la verità della realtà: si tratta purtroppo non più di un pericolo legato ad un atteggiamento irriflessivo, quanto piuttosto ad una prepotente volontà di dominare le persone e le circostanze sulla base di un giudizio volutamente menzognero. Ecco allora che il trionfo dell'apparenza diventa strumento della più odiosa ingiustizia.



Edited by Milea - 24/7/2021, 17:22
 
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view post Posted on 21/9/2010, 20:20     +1   +1   -1
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Arabesc497

...Tra il primo pensiero d'una impresa terribile, e l'esecuzione di essa (ha detto un barbaro che non era privo d'ingegno), l'intervallo è un sogno, pieno di fantasmi e di paure. Lucia era, da molte ore, nell'angosce d'un tal sogno: e Agnese, Agnese medesima, l'autrice del consiglio, stava sopra pensiero, e trovava a stento parole per rincorare la figlia. Ma, al momento di destarsi, al momento cioè di dar principio all'opera, l'animo si trova tutto trasformato. Al terrore e al coraggio che vi contrastavano, succede un altro terrore e un altro coraggio: l'impresa s'affaccia alla mente, come una nuova apparizione: ciò che prima spaventava di più, sembra talvolta divenuto agevole tutt'a un tratto: talvolta comparisce grande l'ostacolo a cui s'era appena badato; l'immaginazione dà indietro sgomentata; le membra par che ricusino d'ubbidire; e il cuore manca alle promesse che aveva fatte con più sicurezza. Al picchiare sommesso di Renzo, Lucia fu assalita da tanto terrore, che risolvette, in quel momento, di soffrire ogni cosa, di star sempre divisa da lui, piùttosto ch'eseguire quella risoluzione; ma quando si fu fatto vedere, ed ebbe detto: - son qui, andiamo -; quando tutti si mostraron pronti ad avviarsi, senza esitazione, come a cosa stabilita, irrevocabile; Lucia non ebbe tempo né forza di far difficoltà, e, come strascinata, prese tremando un braccio della madre, un braccio del promesso sposo, e si mosse con la brigata avventuriera.


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Zitti zitti, nelle tenebre, a passo misurato, usciron dalla casetta, e preser la strada fuori del paese. La più corta sarebbe stata d'attraversarlo: che s'andava diritto alla casa di don Abbondio; ma scelsero quella, per non esser visti. Per viottole, tra gli orti e i campi, arrivaron vicino a quella casa, e lì si divisero. I due promessi rimaser nascosti dietro l'angolo di essa; Agnese con loro, ma un po' più innanzi, per accorrere in tempo a fermar Perpetua, e a impadronirsene; Tonio, con lo scempiato di Gervaso, che non sapeva far nulla da sé, e senza il quale non si poteva far nulla, s'affacciaron bravamente alla porta, e picchiarono.
- Chi è, a quest'ora? - gridò una voce dalla finestra, che s'aprì in quel momento: era la voce di Perpetua. - Ammalati non ce n'è, ch'io sappia. È forse accaduta qualche disgrazia?
- Son io, - rispose Tonio, - con mio fratello, che abbiam bisogno di parlare al signor curato.
- È ora da cristiani questa? - disse bruscamente Perpetua. - Che discrezione? Tornate domani.
- Sentite: tornerò o non tornerò: ho riscosso non so che danari, e venivo a saldar quel debituccio che sapete: aveva qui venticinque belle berlinghe nuove; ma se non si può, pazienza: questi, so come spenderli, e tornerò quando n'abbia messi insieme degli altri.
- Aspettate, aspettate: vo e torno. Ma perché venire a quest'ora?
- Gli ho ricevuti, anch'io, poco fa; e ho pensato, come vi dico, che, se li tengo a dormir con me, non so di che parere sarò domattina. Però, se l'ora non vi piace, non so che dire: per me, son qui; e se non mi volete, me ne vo.
- No, no, aspettate un momento: torno con la risposta. Così dicendo, richiuse la finestra. A questo punto, Agnese si staccò dai promessi, e, detto sottovoce a Lucia: - coraggio; è un momento; è come farsi cavar un dente, - si riunì ai due fratelli, davanti all'uscio; e si mise a ciarlare con Tonio, in maniera che Perpetua, venendo ad aprire, dovesse credere che si fosse abbattuta lì a caso, e che Tonio l'avesse trattenuta un momento.

Capitolo VIII



“Carneade! Chi era costui?” ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l'imbasciata. "Carneade! questo nome mi par bene d'averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?" Tanto il pover'uomo era lontano da prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo!


Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino, che aveva un po' di libreria, gli prestava un libro dopo l'altro, il primo che gli veniva alle mani. Quello su cui meditava in quel momento don Abbondio, convalescente della febbre dello spavento, anzi più guarito (quanto alla febbre) che non volesse lasciar credere, era un panegirico in onore di san Carlo, detto con molta enfasi, e udito con molta ammirazione nel duomo di Milano, due anni prima. Il santo v'era paragonato, per l'amore allo studio, ad Archimede; e fin qui don Abbondio non trovava inciampo; perché Archimede ne ha fatte di così curiose, ha fatto dir tanto di sé, che, per saperne qualche cosa, non c'è bisogno d'un'erudizione molto vasta. Ma, dopo Archimede, l'oratore chiamava a paragone anche Carneade: e lì il lettore era rimasto arrenato. In quel momento entrò Perpetua ad annunziar la visita di Tonio.
- A quest'ora? - disse anche don Abbondio, com'era naturale.
- Cosa vuole? Non hanno discrezione: ma se non lo piglia al volo...
- Già: se non lo piglio ora, chi sa quando lo potrò pigliare! Fatelo venire... Ehi! ehi! siete poi ben sicura che sia proprio lui?
- Diavolo! - rispose Perpetua, e scese; aprì l'uscio, e disse: - dove siete? - Tonio si fece vedere; e, nello stesso tempo, venne avanti anche Agnese, e salutò Perpetua per nome.
- Buona sera, Agnese, - disse Perpetua: - di dove si viene, a quest'ora?
- Vengo da... - e nominò un paesetto vicino. - E se sapeste... - continuò: - mi son fermata di più, appunto in grazia vostra.
- Oh perché? - domandò Perpetua; e voltandosi a' due fratelli, - entrate, - disse, - che vengo anch'io.
- Perché, - rispose Agnese, - una donna di quelle che non sanno le cose, e voglion parlare... credereste? s'ostinava a dire che voi non vi siete maritata con Beppe Suolavecchia, né con Anselmo Lunghigna, perché non v'hanno voluta. Io sostenevo che siete stata voi che gli avete rifiutati, l'uno e l'altro...
- Sicuro. Oh la bugiarda! la bugiardona! Chi è costei?
- Non me lo domandate, che non mi piace metter male.
- Me lo direte, me l'avete a dire: oh la bugiarda!
- Basta... ma non potete credere quanto mi sia dispiaciuto di non saper bene tutta la storia, per confonder colei.
- Guardate se si può inventare, a questo modo! - esclamò di nuovo Perpetua; e riprese subito: - in quanto a Beppe, tutti sanno, e hanno potuto vedere... Ehi, Tonio! accostate l'uscio, e salite pure, che vengo -. Tonio, di dentro, rispose di sì; e Perpetua continuò la sua narrazione appassionata.
In faccia all'uscio di don Abbondio, s'apriva, tra due casipole, una stradetta, che, finite quelle, voltava in un campo. Agnese vi s'avviò, come se volesse tirarsi alquanto in disparte, per parlar più liberamente; e Perpetua dietro. Quand'ebbero voltato, e furono in luogo, donde non si poteva più veder ciò che accadesse davanti alla casa di don Abbondio, Agnese tossì forte. Era il segnale: Renzo lo sentì, fece coraggio a Lucia, con una stretta di braccio; e tutt'e due, in punta di piedi, vennero avanti, rasentando il muro, zitti zitti; arrivarono all'uscio, lo spinsero adagino adagino; cheti e chinati, entraron nell'andito, dov'erano i due fratelli ad aspettarli. Renzo accostò di nuovo l'uscio pian piano; e tutt'e quattro su per le scale, non facendo rumore neppur per uno. Giunti sul pianerottolo, i due fratelli s'avvicinarono all'uscio della stanza, ch'era di fianco alla scala; gli sposi si strinsero al muro.
- Deo gratias, - disse Tonio, a voce chiara.
- Tonio, eh? Entrate, - rispose la voce di dentro. Il chiamato aprì l'uscio, appena quanto bastava per poter passar lui e il fratello, a un per volta. La striscia di luce, che uscì d'improvviso per quella apertura, e si disegnò sul pavimento oscuro del pianerottolo, fece riscoter Lucia, come se fosse scoperta. Entrati i fratelli, Tonio si tirò dietro l'uscio: gli sposi rimasero immobili nelle tenebre, con l'orecchie tese, tenendo il fiato: il rumore più forte era il martellar che faceva il povero cuore di Lucia.
Don Abbondio stava, come abbiam detto, sur una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una vecchia papalina, che gli faceva cornice intorno alla faccia, al lume scarso d'una piccola lucerna. Due folte ciocche di capelli, che gli scappavano fuor della papalina, due folti sopraccigli, due folti baffi, un folto pizzo, tutti canuti, e sparsi su quella faccia bruna e rugosa, potevano assomigliarsi a cespugli coperti di neve, sporgenti da un dirupo, al chiaro di luna.
- Ah! ah! - fu il suo saluto, mentre si levava gli occhiali, e li riponeva nel libricciolo.
- Dirà il signor curato, che son venuto tardi, - disse Tonio, inchinandosi, come pure fece, ma più goffamente, Gervaso.
- Sicuro ch'è tardi: tardi in tutte le maniere. Lo sapete, che sono ammalato?
- Oh! mi dispiace.
- L'avrete sentito dire; sono ammalato, e non so quando potrò lasciarmi vedere... Ma perché vi siete condotto dietro quel... quel figliuolo?
- Così per compagnia, signor curato.
- Basta, vediamo.
- Son venticinque berlinghe nuove, di quelle col sant'Ambrogio a cavallo, - disse Tonio, levandosi un involtino di tasca.
- Vediamo, - replicò don Abbondio: e, preso l'involtino, si rimesse gli occhiali, l'aprì, cavò le berlinghe, le contò, le voltò, le rivoltò, le trovò senza difetto.
- Ora, signor curato, mi darà la collana della mia Tecla.
- È giusto, - rispose don Abbondio; poi andò a un armadio, si levò una chiave di tasca, e, guardandosi intorno, come per tener lontani gli spettatori, aprì una parte di sportello, riempì l'apertura con la persona, mise dentro la testa, per guardare, e un braccio, per prender la collana; la prese, e, chiuso l'armadio, la consegnò a Tonio, dicendo: - va bene?
- Ora, - disse Tonio, - si contenti di mettere un po' di nero sul bianco.
- Anche questa! - disse don Abbondio: - le sanno tutte. Ih! com'è divenuto sospettoso il mondo! Non vi fidate di me?
- Come, signor curato! s'io mi fido? Lei mi fa torto. Ma siccome il mio nome è sul suo libraccio, dalla parte del debito... dunque, giacché ha già avuto l'incomodo di scrivere una volta, così... dalla vita alla morte...
- Bene bene, - interruppe don Abbondio, e brontolando, tirò a sé una cassetta del tavolino, levò fuori carta, penna e calamaio, e si mise a scrivere, ripetendo a viva voce le parole, di mano in mano che gli uscivan dalla penna. Frattanto Tonio e, a un suo cenno, Gervaso, si piantaron ritti davanti al tavolino, in maniera d'impedire allo scrivente la vista dell'uscio; e, come per ozio, andavano stropicciando, co' piedi, il pavimento, per dar segno a quei ch'erano fuori, d'entrare, e per confondere nello stesso tempo il rumore delle loro pedate. Don Abbondio, immerso nella sua scrittura, non badava ad altro. Allo stropiccìo de' quattro piedi, Renzo prese un braccio di Lucia, lo strinse, per darle coraggio, e si mosse, tirandosela dietro tutta tremante, che da sé non vi sarebbe potuta venire. Entraron pian piano, in punta di piedi, rattenendo il respiro; e si nascosero dietro i due fratelli. Intanto don Abbondio, finito di scrivere, rilesse attentamente, senza alzar gli occhi dalla carta; la piegò in quattro, dicendo: - ora, sarete contento? - e, levatosi con una mano gli occhiali dal naso, la porse con l'altra a Tonio, alzando il viso. Tonio, allungando la mano per prender la carta, si ritirò da una parte; Gervaso, a un suo cenno, dall'altra; e, nel mezzo, come al dividersi d'una scena, apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s'infuriò, pensò, prese una risoluzione: tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole: - signor curato, in presenza di questi testimoni, quest'è mia moglie -. Le sue labbra non erano ancora tornate al posto, che don Abbondio, lasciando cader la carta, aveva già afferrata e alzata, con la mancina, la lucerna, ghermito, con la diritta, il tappeto del tavolino, e tiratolo a sé, con furia, buttando in terra libro, carta, calamaio e polverino; e, balzando tra la seggiola e il tavolino, s'era avvicinato a Lucia. La poveretta, con quella sua voce soave, e allora tutta tremante, aveva appena potuto proferire: - e questo... - che don Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul viso, per impedirle di pronunziare intera la formola. E subito, lasciata cader la lucerna che teneva nell'altra mano, s'aiutò anche con quella a imbacuccarla col tappeto, che quasi la soffogava; e intanto gridava quanto n'aveva in canna: - Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto! - Il lucignolo, che moriva sul pavimento, mandava una luce languida e saltellante sopra Lucia, la quale, affatto smarrita, non tentava neppure di svolgersi, e poteva parere una statua abbozzata in creta, sulla quale l'artefice ha gettato un umido panno. Cessata ogni luce, don Abbondio lasciò la poveretta, e andò cercando a tastoni l'uscio che metteva a una stanza più interna; lo trovò, entrò in quella, si chiuse dentro, gridando tuttavia: - Perpetua! tradimento! aiuto! fuori di questa casa! fuori di questa casa! - Nell'altra stanza, tutto era confusione: Renzo, cercando di fermare il curato, e remando con le mani, come se facesse a mosca cieca, era arrivato all'uscio, e picchiava, gridando: - apra, apra; non faccia schiamazzo -. Lucia chiamava Renzo, con voce fioca, e diceva, pregando: - andiamo, andiamo, per l'amor di Dio -. Tonio, carpone, andava spazzando con le mani il pavimento, per veder di raccapezzare la sua ricevuta. Gervaso, spiritato, gridava e saltellava, cercando l'uscio di scala, per uscire a salvamento.

In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s'era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l'apparenza d'un oppressore; eppure, alla fin de' fatti, era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a' fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo... voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo.
L'assediato, vedendo che il nemico non dava segno di ritirarsi, aprì una finestra che guardava sulla piazza della chiesa, e si diede a gridare: - aiuto! aiuto! - Era il più bel chiaro di luna; l'ombra della chiesa, e più in fuori l'ombra lunga ed acuta del campanile, si stendeva bruna e spiccata sul piano erboso e lucente della piazza: ogni oggetto si poteva distinguere, quasi come di giorno. Ma, fin dove arrivava lo sguardo, non appariva indizio di persona vivente. Contiguo però al muro laterale della chiesa, e appunto dal lato che rispondeva verso la casa parrocchiale, era un piccolo abituro, un bugigattolo, dove dormiva il sagrestano. Fu questo riscosso da quel disordinato grido, fece un salto, scese il letto in furia, aprì l'impannata d'una sua finestrina, mise fuori la testa, con gli occhi tra' peli, e disse: - cosa c'è?
- Correte, Ambrogio! aiuto! gente in casa, - gridò verso lui don Abbondio. - Vengo subito, - rispose quello; tirò indietro la testa, richiuse la sua impannata, e, quantunque mezzo tra 'l sonno, e più che mezzo sbigottito, trovò su due piedi un espediente per dar più aiuto di quello che gli si chiedeva, senza mettersi lui nel tafferuglio, quale si fosse. Dà di piglio alle brache, che teneva sul letto; se le caccia sotto il braccio, come un cappello di gala, e giù balzelloni per una scaletta di legno; corre al campanile, afferra la corda della più grossa di due campanette che c'erano, e suona a martello.
Ton, ton, ton, ton: i contadini balzano a sedere sul letto; i giovinetti sdraiati sul fenile, tendon l'orecchio, si rizzano. - Cos'è? Cos'è? Campana a martello! fuoco? ladri? banditi? - Molte donne consigliano, pregano i mariti, di non moversi, di lasciar correre gli altri: alcuni s'alzano, e vanno alla finestra: i poltroni, come se si arrendessero alle preghiere, ritornan sotto: i più curiosi e più bravi scendono a prender le forche e gli schioppi, per correre al rumore: altri stanno a vedere.


Ma, prima che quelli fossero all'ordine, prima anzi che fosser ben desti, il rumore era giunto agli orecchi d'altre persone che vegliavano, non lontano, ritte e vestite: i bravi in un luogo, Agnese e Perpetua in un altro. Diremo prima brevemente ciò che facesser coloro, dal momento in cui gli abbiamo lasciati, parte nel casolare e parte all'osteria. Questi tre, quando videro tutti gli usci chiusi e la strada deserta, uscirono in fretta, come se si fossero avvisti d'aver fatto tardi, e dicendo di voler andar subito a casa; diedero una giravolta per il paese, per venire in chiaro se tutti eran ritirati- e in fatti, non incontrarono anima vivente, né sentirono il più piccolo strepito. Passarono anche, pian piano, davanti alla nostra povera casetta: la più quieta di tutte, giacché non c'era più nessuno. Andarono allora diviato al casolare, e fecero la loro relazione al signor Griso. Subito, questo si mise in testa un cappellaccio, sulle spalle un sanrocchino di tela incerata, sparso di conchiglie; prese un bordone da pellegrino, disse: - andiamo da bravi: zitti, e attenti agli ordini -, s'incamminò il primo, gli altri dietro; e, in un momento, arrivarono alla casetta, per una strada opposta a quella per cui se n'era allontanata la nostra brigatella, andando anch'essa alla sua spedizione. Il Griso trattenne la truppa, alcuni passi lontano, andò innanzi solo ad esplorare, e, visto tutto deserto e tranquillo di fuori fece venire avanti due di quei tristi, diede loro ordine di scalar adagino il muro che chiudeva il cortiletto, e, calati dentro, nascondersi in un angolo, dietro un folto fico, sul quale aveva messo l'occhio, la mattina. Ciò fatto, picchiò pian piano, con intenzione di dirsi un pellegrino smarrito, che chiedeva ricovero, fino a giorno. Nessun risponde: ripicchia un po' più forte; nemmeno uno zitto. Allora, va a chiamare un terzo malandrino, lo fa scendere nel cortiletto, come gli altri due, con l'ordine di sconficcare adagio il paletto, per aver libero l'ingresso e la ritirata. Tutto s'eseguisce con gran cautela, e con prospero successo. Va a chiamar gli altri, li fa entrar con sé, li manda a nascondersi accanto ai primi; accosta adagio adagio l'uscio di strada, vi posta due sentinelle di dentro; e va diritto all'uscio del terreno. Picchia anche lì, e aspetta: e' poteva ben aspettare. Sconficca pian pianissimo anche quell'uscio: nessuno di dentro dice: chi va là?; nessuno si fa sentire: meglio non può andare. Avanti dunque : - st -, chiama quei del fico, entra con loro nella stanza terrena, dove, la mattina, aveva scelleratamente accattato quel pezzo di pane. Cava fuori esca, pietra, acciarino e zolfanelli, accende un suo lanternino, entra nell'altra stanza più interna, per accertarsi che nessun ci sia: non c'è nessuno. Torna indietro, va all'uscio di scala, guarda, porge l'orecchio: solitudine e silenzio. Lascia due altre sentinelle a terreno, si fa venir dietro il Grignapoco, ch'era un bravo del contado di Bergamo, il quale solo doveva minacciare, acchetare, comandare, essere in somma il dicitore, affinché il suo linguaggio potesse far credere ad Agnese che la spedizione veniva da quella parte. Con costui al fianco, e gli altri dietro, il Griso sale adagio adagio, bestemmiando in cuor suo ogni scalino che scricchiolasse, ogni passo di que' mascalzoni che facesse rumore. Finalmente è in cima. Qui giace la lepre. Spinge mollemente l'uscio che mette alla prima stanza; l'uscio cede, si fa spiraglio: vi mette l'occhio; è buio: vi mette l'orecchio, per sentire se qualcheduno russa, fiata, brulica là dentro; niente. Dunque avanti: si mette la lanterna davanti al viso, per vedere, senza esser veduto, spalanca l'uscio, vede un letto; addosso: il letto è fatto e spianato, con la rimboccatura arrovesciata, e composta sul capezzale. Si stringe nelle spalle, si volta alla compagnia, accenna loro che va a vedere nell'altra stanza, e che gli vengan dietro pian piano; entra, fa le stesse cerimonie, trova la stessa cosa. - Che diavolo è questo? - dice allora: - che qualche cane traditore abbia fatto la spia? - Si metton tutti, con men cautela, a guardare, a tastare per ogni canto, buttan sottosopra la casa. Mentre costoro sono in tali faccende, i due che fan la guardia all'uscio di strada, sentono un calpestìo di passini frettolosi, che s'avvicinano in fretta; s'immaginano che, chiunque sia, passerà diritto; stan quieti, e, a buon conto, si mettono all'erta. In fatti, il calpestìo si ferma appunto all'uscio. Era Menico che veniva di corsa, mandato dal padre Cristoforo ad avvisar le due donne che, per l'amor del cielo, scappassero subito di casa, e si rifugiassero al convento, perché... il perché lo sapete. Prende la maniglia del paletto, per picchiare, e se lo sente tentennare in mano, schiodato e sconficcato. "Che è questo?" pensa; e spinge l'uscio con paura: quello s'apre. Menico mette il piede dentro, in gran sospetto, e si sente a un punto acchiappar per le braccia, e due voci sommesse, a destra e a sinistra, che dicono, in tono minaccioso: - zitto! o sei morto -. Lui in vece caccia un urlo: uno di que' malandrini gli mette una mano alla bocca; l'altro tira fuori un coltellaccio, per fargli paura. Il garzoncello trema come una foglia, e non tenta neppur di gridare; ma, tutt'a un tratto, in vece di lui, e con ben altro tono, si fa sentir quel primo tocco di campana così fatto, e dietro una tempesta di rintocchi in fila. Chi è in difetto è in sospetto, dice il proverbio milanese: all'uno e all'altro furfante parve di sentire in que' tocchi il suo nome, cognome e soprannome: lasciano andar le braccia di Menico, ritirano le loro in furia, spalancan la mano e la bocca, si guardano in viso, e corrono alla casa, dov'era il grosso della compagnia. Menico, via a gambe per la strada, alla volta del campanile, dove a buon conto qualcheduno ci doveva essere. Agli altri furfanti che frugavan la casa, dall'alto al basso, il terribile tocco fece la stessa impressione: si confondono, si scompigliano, s'urtano a vicenda: ognuno cerca la strada più corta, per arrivare all'uscio. Eppure era tutta gente provata e avvezza a mostrare il viso; ma non poterono star saldi contro un pericolo indeterminato, e che non s'era fatto vedere un po' da lontano, prima di venir loro addosso. Ci volle tutta la superiorità del Griso a tenerli insieme, tanto che fosse ritirata e non fuga.

Come il cane che scorta una mandra di porci, corre or qua or là a quei che si sbandano; ne addenta uno per un orecchio, e lo tira in ischiera; ne spinge un altro col muso; abbaia a un altro che esce di fila in quel momento; così il pellegrino acciuffa un di coloro, che già toccava la soglia, e lo strappa indietro; caccia indietro col bordone uno e un altro che s'avviavan da quella parte: grida agli altri che corron qua e là, senza saper dove; tanto che li raccozzò tutti nel mezzo del cortiletto. - Presto, presto! pistole in mano, coltelli in pronto, tutti insieme; e poi anderemo: così si va. Chi volete che ci tocchi, se stiam ben insieme, sciocconi? Ma, se ci lasciamo acchiappare a uno a uno, anche i villani ce ne daranno. Vergogna! Dietro a me, e uniti -. Dopo questa breve aringa, si mise alla fronte, e uscì il primo. La casa, come abbiam detto, era in fondo al villaggio; il Griso prese la strada che metteva fuori, e tutti gli andaron dietro in buon ordine.

Lasciamoli andare, e torniamo un passo indietro a prendere Agnese e Perpetua, che abbiam lasciate in una certa stradetta. Agnese aveva procurato d'allontanar l'altra dalla casa di don Abbondio, il più che fosse possibile; e, fino a un certo punto, la cosa era andata bene. Ma tutt'a un tratto, la serva s'era ricordata dell'uscio rimasto aperto, e aveva voluto tornare indietro. Non c'era che ridire: Agnese, per non farle nascere qualche sospetto, aveva dovuto voltar con lei, e andarle dietro, cercando di trattenerla, ogni volta che la vedesse riscaldata ben bene nel racconto di que' tali matrimoni andati a monte. Mostrava di darle molta udienza, e, ogni tanto, per far vedere che stava attenta, o per ravviare il cicalìo, diceva: - sicuro: adesso capisco: va benissimo: è chiara: e poi? e lui? e voi? - Ma intanto, faceva un altro discorso con sé stessa. "Saranno usciti a quest'ora? o saranno ancor dentro? Che sciocchi che siamo stati tutt'e tre, a non concertar qualche segnale, per avvisarmi, quando la cosa fosse riuscita! È stata proprio grossa! Ma è fatta: ora non c'è altro che tener costei a bada, più che posso: alla peggio, sarà un po' di tempo perduto". Così, a corserelle e a fermatine, eran tornate poco distante dalla casa di don Abbondio, la quale però non vedevano, per ragione di quella cantonata: e Perpetua, trovandosi a un punto importante del racconto, s'era lasciata fermare senza far resistenza, anzi senza avvedersene; quando, tutt'a un tratto, si sentì venir rimbombando dall'alto, nel vano immoto dell'aria, per l'ampio silenzio della notte, quel primo sgangherato grido di don Abbondio: - aiuto! aiuto!

Misericordia-abbondioe-perp

- Misericordia! cos'è stato? - gridò Perpetua, e volle correre.
- Cosa c'è? cosa c'è? - disse Agnese, tenendola per la sottana.
- Misericordia! non avete sentito? - replicò quella, svincolandosi.
- Cosa c'è? cosa c'è? - ripeté Agnese, afferrandola per un braccio.
- Diavolo d'una donna! - esclamò Perpetua, rispingendola, per mettersi in libertà; e prese la rincorsa. Quando, più lontano, più acuto, più istantaneo, si sente l'urlo di Menico.
- Misericordia! - grida anche Agnese; e di galoppo dietro l'altra. Avevan quasi appena alzati i calcagni, quando scoccò la campana: un tocco, e due, e tre, e seguita: sarebbero stati sproni, se quelle ne avessero avuto bisogno. Perpetua arriva, un momento prima dell'altra; mentre vuole spinger l'uscio, l'uscio si spalanca di dentro, e sulla soglia compariscono Tonio, Gervaso, Renzo, Lucia, che, trovata la scala, eran venuti giù saltelloni; e, sentendo poi quel terribile scampanìo, correvano in furia, a mettersi in salvo.
- Cosa c'è? cosa c'è? - domandò Perpetua ansante ai fratelli, che le risposero con un urtone, e scantonarono. - E voi! come! che fate qui voi? - domandò poscia all'altra coppia, quando l'ebbe raffigurata. Ma quelli pure usciron senza rispondere. Perpetua, per accorrere dove il bisogno era maggiore, non domandò altro, entrò in fretta nell'andito, e corse, come poteva al buio, verso la scala. I due sposi rimasti promessi si trovarono in faccia Agnese, che arrivava tutt'affannata. - Ah siete qui! - disse questa, cavando fuori la parola a stento: - com'è andata? cos'è la campana? mi par d'aver sentito...
- A casa, a casa, - diceva Renzo, - prima che venga gente -. E s avviavano; ma arriva Menico di corsa, li riconosce, li ferma, e, ancor tutto tremante, con voce mezza fioca, dice: - dove andate? indietro, indietro! per di qua, al convento!
- Sei tu che...? - cominciava Agnese.
- Cosa c'è d'altro? - domandava Renzo. Lucia, tutta smarrita, taceva e tremava.
- C'è il diavolo in casa, - riprese Menico ansante. - Gli ho visti io: m'hanno voluto ammazzare: l'ha detto il padre Cristoforo: e anche voi, Renzo, ha detto che veniate subito: e poi gli ho visti io: provvidenza che vi trovo qui tutti! vi dirò poi, quando saremo fuori.
Renzo, ch'era il più in sé di tutti, pensò che, di qua o di là, conveniva andar subito, prima che la gente accorresse; e che la più sicura era di far ciò che Menico consigliava, anzi comandava, con la forza d'uno spaventato. Per istrada poi, e fuor del pericolo, si potrebbe domandare al ragazzo una spiegazione più chiara. - Cammina avanti, - gli disse. - Andiam con lui, - disse alle donne. Voltarono, s'incamminarono in fretta verso la chiesa, attraversaron la piazza, dove per grazia del eielo, non c'era ancora anima vivente; entrarono in una stradetta che era tra la chiesa e la casa di don Abbondio; al primo buco che videro in una siepe, dentro, e via per i campi.
Non s'eran forse allontanati un cinquanta passi, quando la gente cominciò ad accorrere sulla piazza, e ingrossava ogni momento. Si guardavano in viso gli uni con gli altri: ognuno aveva una domanda da fare, nessuno una risposta da dare. I primi arrivati corsero alla porta della chiesa: era serrata. Corsero al campanile di fuori; e uno di quelli, messa la bocca a un finestrino, una specie di feritoia, cacciò dentro un: - che diavolo c'è? - Quando Ambrogio sentì una voce conosciuta, lasciò andar la corda; e assicurato dal ronzìo, ch'era accorso molto popolo, rispose: - vengo ad aprire -. Si mise in fretta l'arnese che aveva portato sotto il braccio, venne, dalla parte di dentro, alla porta della chiesa, e l'aprì.
- Cos'è tutto questo fracasso? - Cos'è? - Dov'è? - Chi è?
- Come, chi è? - disse Ambrogio, tenendo con una mano un battente della porta, e, con l'altra, il lembo di quel tale arnese, che s'era messo così in fretta: - come! non lo sapete? gente in casa del signor curato. Animo, figliuoli: aiuto -. Si voltan tutti a quella casa, vi s'avvicinano in folla, guardano in su, stanno in orecchi: tutto quieto. Altri corrono dalla parte dove c'era l'uscio: è chiuso, e non par che sia stato toccato. Guardano in su anche loro: non c'è una finestra aperta: non si sente uno zitto.
- Chi è là dentro? - Ohe, ohe! - Signor curato! - Signor curato!
Don Abbondio, il quale, appena accortosi della fuga degl'invasori, s'era ritirato dalla finestra, e l'aveva richiusa, e che in questo momento stava a bisticciar sottovoce con Perpetua, che l'aveva lasciato solo in quell'imbroglio, dovette, quando si sentì chiamare a voce di popolo, venir di nuovo alla finestra; e visto quel gran soccorso, si pentì d'averlo chiesto.
- Cos'è stato? - Che le hanno fatto? - Chi sono costoro? - Dove sono? - gli veniva gridato da cinquanta voci a un tratto.
- Non c'è più nessuno: vi ringrazio: tornate pure a casa.
- Ma chi è stato? - Dove sono andati? - Che è accaduto?
- Cattiva gente, gente che gira di notte; ma sono fuggiti: tornate a casa; non c'è più niente: un'altra volta, figliuoli: vi ringrazio del vostro buon cuore -. E, detto questo, si ritirò, e chiuse la finestra. Qui alcuni cominciarono a brontolare, altri a canzonare, altri a sagrare; altri si stringevan nelle spalle, e se n'andavano: quando arriva uno tutto trafelato, che stentava a formar le parole. Stava costui di casa quasi dirimpetto alle nostre donne, ed essendosi, al rumore, affacciato alla finestra, aveva veduto nel cortiletto quello scompiglio de' bravi, quando il Griso s'affannava a raccoglierli. Quand'ebbe ripreso fiato, gridò: - che fate qui, figliuoli? non è qui il diavolo; è giù in fondo alla strada, alla casa d'Agnese Mondella: gente armata; son dentro; par che vogliano ammazzare un pellegrino; chi sa che diavolo c'è!
- Che? - Che? - Che? - E comincia una consulta tumultuosa. - Bisogna andare. - Bisogna vedere. - Quanti sono? - Quanti siamo? - Chi sono? - Il console! il console!
- Son qui, - risponde il console, di mezzo alla folla: - son qui; ma bisogna aiutarmi, bisogna ubbidire. Presto: dov'è il sagrestano? Alla campana, alla campana. Presto: uno che corra a Lecco a cercar soccorso: venite qui tutti...
Chi accorre, chi sguizza tra uomo e uomo, e se la batte; il tumulto era grande, quando arriva un altro, che gli aveva veduti partire in fretta, e grida: - correte, figliuoli: ladri, o banditi che scappano con un pellegrino: son già fuori del paese: addosso! addosso! - A quest'avviso, senza aspettar gli ordini del capitano, si movono in massa, e giù alla rinfusa per la strada; di mano in mano che l'esercito s'avanza, qualcheduno di quei della vanguardia rallenta il passo, si lascia sopravanzare, e si ficca nel corpo della battaglia: gli ultimi spingono innanzi: lo sciame confuso giunge finalmente al luogo indicato. Le tracce dell'invasione eran fresche e manifeste: l'uscio spalancato, la serratura sconficcata; ma gl'invasori erano spariti. S'entra nel cortile; si va all'uscio del terreno: aperto e sconficcato anche quello: si chiama: - Agnese! Lucia! Il pellegrino! Dov'è il pellegrino? L'avrà sognato Stefano, il pellegrino. - No, no: l'ha visto anche Carlandrea. Ohe, pellegrino! - Agnese! Lucia! - Nessuno risponde. - Le hanno portate via! Le hanno portate via! - Ci fu allora di quelli che, alzando la voce, proposero d'inseguire i rapitori: che era un'infamità; e sarebbe una vergogna per il paese, se ogni birbone potesse a man salva venire a portar via le donne, come il nibbio i pulcini da un'aia deserta. Nuova consulta e più tumultuosa: ma uno (e non si seppe mai bene chi fosse stato) gettò nella brigata una voce, che Agnese e Lucia s'eran messe in salvo in una casa. La voce corse rapidamente, ottenne credenza; non si parlò più di dar la caccia ai fuggitivi; e la brigata si sparpagliò, andando ognuno a casa sua. Era un bisbiglio, uno strepito, un picchiare e un aprir d'usci, un apparire e uno sparir di lucerne, un interrogare di donne dalle finestre, un rispondere dalla strada. Tornata questa deserta e silenziosa, i discorsi continuaron nelle case, e moriron negli sbadigli, per ricominciar poi la mattina. Fatti però, non ce ne fu altri; se non che, quella medesima mattina, il console, stando nel suo campo, col mento in una mano, e il gomito appoggiato sul manico della vanga mezza ficcata nel terreno, e con un piede sul vangile; stando, dico, a speculare tra sé sui misteri della notte passata, e sulla ragion composta di ciò che gli toccase a fare, e di ciò che gli convenisse fare, vide venirsi incontro due uomini d'assai gagliarda presenza, chiomati come due re de' Franchi della prima razza, e somigliantissimi nel resto a que' due che cinque giorni prima avevano affrontato don Abbondio, se pur non eran que' medesimi. Costoro, con un fare ancor men cerimonioso, intimarono al console che guardasse bene di non far deposizione al podestà dell'accaduto, di non rispondere il vero, caso che ne venisse interrogato, di non ciarlare, di non fomentar le ciarle de' villani, per quanto aveva cara la speranza di morir di malattia.

I nostri fuggiaschi camminarono un pezzo di buon trotto, in silenzio, voltandosi, ora l'uno ora l'altro, a guardare se nessuno gl'inseguiva, tutti in affanno per la fatica della fuga, per il batticuore e per la sospensione in cui erano stati, per il dolore della cattiva riuscita, per l'apprensione confusa del nuovo oscuro pericolo. E ancor più in affanno li teneva l'incalzare continuo di que' rintocchi, i quali, quanto, per l'allontanarsi, venivan più fiochi e ottusi, tanto pareva che prendessero un non so che di più lugubre e sinistro. Finalmente cessarono. I fuggiaschi allora, trovandosi in un campo disabitato, e non sentendo un alito all'intorno, rallentarono il passo; e fu la prima Agnese che, ripreso fiato, ruppe il silenzio, domandando a Renzo com'era andata, domandando a Menico cosa fosse quel diavolo in casa. Renzo raccontò brevemente la sua trista storia; e tutt'e tre si voltarono al fanciullo, il quale riferì più espressamente l'avviso del padre, e raccontò quello ch'egli stesso aveva veduto e rischiato, e che pur troppo confermava l'avviso. Gli ascoltatori compresero più di quel che Menico avesse saputo dire: a quella scoperta, si sentiron rabbrividire; si fermaron tutt'e tre a un tratto, si guardarono in viso l'un con l'altro, spaventati; e subito, con un movimento unanime, tutt'e tre posero una mano, chi sul capo, chi sulle spalle del ragazzo, come per accarezzarlo, per ringraziarlo tacitamente che fosse stato per loro un angelo tutelare, per dimostrargli la compassione che sentivano dell'angoscia da lui sofferta, e del pericolo corso per la loro salvezza; e quasi per chiedergliene scusa. - Ora torna a casa, perché i tuoi non abbiano a star più in pena per te, - gli disse Agnese; e rammentandosi delle due parpagliole promesse, se ne levò quattro di tasca, e gliele diede, aggiungendo: - basta; prega il Signore che ci rivediamo presto: e allora... - Renzo gli diede una berlinga nuova, e gli raccomandò molto di non dir nulla della commissione avuta dal frate; Lucia l'accarezzò di nuovo, lo salutò con voce accorata; il ragazzo li salutò tutti, intenerito; e tornò indietro. Quelli ripresero la loro strada, tutti pensierosi; le donne innanzi, e Renzo dietro, come per guardia. Lucia stava stretta al braccio della madre, e scansava dolcemente, e con destrezza, l'aiuto che il giovine le offriva ne' passi malagevoli di quel viaggio fuor di strada; vergognosa in sé, anche in un tale turbamento, d'esser già stata tanto sola con lui, e tanto famigliarmente, quando s'aspettava di divenir sua moglie, tra pochi momenti. Ora, svanito così dolorosamente quel sogno, si pentiva d'essere andata troppo avanti, e, tra tante cagioni di tremare, tremava anche per quel pudore che non nasce dalla trista scienza del male, per quel pudore che ignora se stesso, somigliante alla paura del fanciullo, che trema nelle tenebre, senza saper di che.
- E la casa? - disse a un tratto Agnese. Ma, per quanto la domanda fosse importante, nessuno rispose, perché nessuno poteva darle una risposta soddisfacente. Continuarono in silenzio la loro strada, e poco dopo, sboccarono finalmente sulla piazzetta davanti alla chiesa del convento.







Edited by Milea - 24/7/2021, 17:25
 
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