Paura in palcoscenico, Stage fright 1950

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C'era un elemento
che mi interessava:
l'idea di girare una storia sul teatro.
Più precisamente
mi piaceva questa idea:
una ragazza
che vuole diventare attrice
è indotta a travestirsi
e a interpretare nella vita
la sua prima parte,
conducendo
un'inchiesta poliziesca.


Alfred Hitchcock

 
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Paura in palcoscenico
( Stage fright - 1950 )


di Alfred Hitchcock

Dai racconti "Man running e Outrun the constable di Selwyn Jepson


Jane Wyman, Marlene Dietrich,
Richard Todd, Michael Wilding, Kay Walsh,
Dame Sybil Thorndike, Patricia Hitchcock

Riprese - Inizio giugno - inizio settembre 1949







La trama:

Il film inizia con un flash-back: Jonathan Cooper (Richard Todd), seduto sull'auto della fidanzata Eve Gill (Jane Wyman), attrice dilettante, le narra ciò che gli è appena capitato.

Egli è sconvolto: la donna che lo ha sedotto con il suo fascino, la famosa diva, cantante-attrice e femme fatale Charlotte Inwood (Marlene Dietrich), è giunta qualche ora prima a casa sua di soppiatto con indosso un abito insanguinato e gli ha confidato di aver ucciso il marito, in un impeto di rabbia, con un attizzatoio. Jonathan si è offerto di andare a casa sua per recuperare un altro abito con il quale Charlotte avrebbe potuto presentarsi in teatro e poi di distruggere quello insanguinato che lei al momento indossava. Ma quando stava per uscire dalla casa dell'attrice con l'abito di ricambio, Jonathan è stato visto, anche se probabilmente non riconosciuto, dalla cameriera di Charlotte, Nellie Goode (Kay Walsh). Cambiatasi d'abito a casa di Jonathan, Charlotte se n'era andata in teatro e Jonathan stava cercando un modo per eliminare l'abito, quando alla porta hanno suonato due poliziotti. Con l'abito incriminato arrotolato sotto la giacca, Jonathan è andato ad aprire e con uno stratagemma è fuggito, inseguito dai due stupiti agenti. Qui finisce il flash-back. Giunto all'Accademia d'Arte Drammatica, ove Eve sta provando una recita, rivela alla fidanzata di essere nei guai spiegandole i motivi. Eve, nonostante il tradimento del fidanzato, decide di aiutarlo, lo fa uscire da una porta posteriore (i poliziotti lo hanno inseguito fino all'Accademia) e lo porta con la sua auto nella casa ove vive il padre, uno stravagante commodoro in quiescenza (Alastair Sim) che vive, separato dalla moglie, in un cottage in riva al mare. Qui Jonathan, in uno scatto d'ira provocata dall'ipotesi formulata da Eve che Charlotte lo voglia incastrare (il padre di Eve ha subito capito che il sangue sull'abito è stato riportato artatamente), getta l'abito insanguinato nel camino, distruggendo così l'unica prova a suo discarico.

Hitchcock fa la sua solita, breve comparsa sul set (cameo) verso la metà del film, nella parte di un passante che sul marciapiede si volta a guardare Eve che esce di casa soprapensiero. Calmatosi, Jonathan viene ospitato per la notte, e per i giorni successivi, dal padre di Eve mentre questa cerca di indagare per proprio conto. Cercando di sapere quanto la polizia a sua volta sappia, aggancia il giovane e simpatico ispettore di polizia Wilfred Ordinary Smith [1] (Michael Wilding) nel bar ove questi si è recato per far colazione. Smith si innamora a prima vista di Eve, che inizialmente non se ne accorge. Ella inizia una sua indagine personale, ottenendo dietro congruo compenso, che la infida ed avida cameriera personale di Charlotte, Nellie, si dia ammalata e la consegni una lettera di presentazione per la padrona, ove Eve viene presentata come la cugina di Nellie, Doris, quale sua temporanea sostituta. Entrando a contatto con Charlotte, Eve si convince che l'attrice ha pianificato l'uxoricidio con la complicità del suo impresario. Il film si svolge così in una specie di “dramma degli equivoci”, ove la povera Eve passa continuamente da sé stessa alla falsa Doris, sempre in disperata ricerca di scoprire bene come sono andate le cose e nello stesso tempo evitare di farsi riconoscere da Ordinary Smith, del quale a poco a poco si innamora anche lei, mentre recita la parte di sostituta-cameriera. In questa veste riesce anche a far fuggire Jonathan, presentatosi incautamente nel camerino di Charlotte, quando la polizia lo ha identificato e lo sta braccando. Il breve colloquio di quest'ultimo con l'amante-attrice, gli rivela che questa non ha alcuna intenzione di vivere con lui e quindi, fuori di sé per la delusione, la minaccia di portare alla polizia il famoso vestito macchiato (Charlotte non sa che è stato bruciato nel camino del cottage del padre di Eve). Jonathan si rifugia nella casa della madre di Eve (Sybil Thorndike) a Londra, ove incontra sia Eve che il padre, che lo presenta alla moglie come Mr. Robinson. Eve, aiutata dal padre, cerca in tutti i modi di raccogliere prove contro Charlotte ed il suo (od i suoi) complici ma la sua doppia personalità (Doris alias Eve) viene scoperta da Ordinary Smith, che rimane profondamente deluso ed anche piuttosto arrabbiato con quella che credeva ricambiasse il suo innamoramento. Tuttavia Eve riesce a convincerlo della sincerità dei sentimenti che prova per lui ed insieme al padre gli propone un escamotage per far confessare Charlotte: la polizia predisporrà un microfono nascosto nel camerino dell'attrice, collegato ad un altoparlante posto nel teatro ove i poliziotti di Smith saranno in ascolto, ed Eve fingerà di ricattarla vantando la disponibilità della prova determinante: il vestito macchiato di sangue. Charlotte casca nella trappola, ma le sue rivelazioni sono convincenti a metà: un colpo di scena finale risolve il mistero.


Edited by Lottovolante - 30/8/2010, 20:58
 
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Il film:

Dopo il grave insuccesso del Peccato di Lady Considine (1949), realizzato dalla Transatlantic Pictures - la casa di produzione indipendente fondata da Hitchcock e Sidney Bernstein nel 1947 -, Hitchcock aveva bisogno di "correre al riparo" e di puntare quindi su un soggetto più sicuro.

Concludendo la breve avventura della Transatlantic ( iniziata nel 1948 con Nodo alla gola ), con Paura in palcoscenico Hitch tornava ad affidarsi all'abbraccio protettivo, ma un po' soffocante, dei grandi produttori americani: questa volta si trattò della Warner Bros, con cui il regista collaborò poi stabilmente fino al 1953.

Per la verità Hitch non poteva lamentarsi, dato che gli fu riconosciuta una discreta libertà nella scelta di soggetti, attori e sceneggiatori...prudentemente, decise comunque di tornare alla più consolidata formula del thriller e al bianco e nero ( Nodo alla gola e Il peccato di Lady Considine erano stati invece stati girati in Technicolor, allora piuttosto costoso ).



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Quanto al soggetto si ispirò a due racconti dell'inglese Selwyn Jepson pubblicati poco tempo prima: " Molti critici letterari avevano scritto nelle loro recensioni: 'Questo romanzo diventerebbe un buon film nelle mani di Hitchcock'" spiega Hitchcock a Truffaut, commentando subito dopo: "E io come uno stupido, li ho presi in parola".

La sceneggiatura affidata a Whitfield Cook e integrata da dialoghi di James Bridie, non presentò particolari problemi. Le riprese si svolsero nell'estate del '49 in Gran Bretagna, dove pure aveva realizzato Il peccato di Lady Considine. ( Mar L8v )







Edited by Milea - 29/8/2010, 17:55
 
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Carta bianca a Marlene:

Il cast comprendeva due nomi di spicco: quello di Jane Wyman, reduce da un Oscar vinto l'anno precedente, e soprattutto quello di una grande diva come Marlene Dietrich.
Se il rapporto con Hitch con la Wyman presentò alcune difficoltà, buono fu invece quello con l'attrice tedesca. Scrive Donald Spoto: "Marlene Dietrich fu, più o meno, la sola attrice che avesse mai goduto di sostanziale libertà creativa sul set di un film di Hitchcock. La mattina si presentava presto e si metteva a dare istruzioni al direttore della fotografia Wilkie Cooper sull'illuminazione adatta per lei. Stupefatti, i membri della troupe riferirono la faccenda ad Hitchcock: ma rimasero ancora più stupefatti quando egli ordinò loro di fare ciò che la Dietrich chiedeva. Dai suoi sette film con Joseph von Sternberg - che l'avevano caratterizzata come 'la donna fatale' per eccellenza - l'attrice aveva fatto un'ottima conoscenza in fatto di luci, ombre e angolazioni; Hitchcock non solo le diede carta bianca nel definire il suo personaggio, ma le concesse piena libertà nella scelta dei costumi e dei gioielli da indossare nel film".



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In Paura in palcoscenico ebbe una particina anche Patricia Hitchcock, figlia del regista, che a quel tempo si trovava a Londra per seguire corsi di recitazione alla Royal Academy of Dramatic Art, proprio come Eve Gill, la protagonista del film.

Nonostante le "buone intenzioni" del regista e la presenza delle star Paura in palcoscenico non ebbe successo; forse quello che meno andò giù al pubblico e alla critica fu il falso flashback iniziale ( il racconto di Jonathan a Eve ) del tutto fuorviante, ma geniale...uno scherzetto di Hitch ai danni degli spettatori di cui il regista comunque si pentì: "Ho fatto in questa storia una cosa che non mi sarei mai dovuto permettere...un flashback che era una menzogna", ammise anni dopo parlando con Truffaut. ( Mar L8v )
 
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Ritratti delicati e feroci:

"Non mi sembra che aggiunga niente alla sua gloria; è veramente un piccolo film poliziesco inglese nella tradizione di Agatha Christie e proprio uno di quei whodunit che lei disapprova...", commenta un po' seccamente Truffaut parlando con Hitch di Paura in palcoscenico .

Abbastanza unanimamente la critica ha rimproverato al film la sceneggiatura debole e dispersiva, la mancanza di tensione, la poca credibilità delle situazioni e dei personaggi, nonchè la difficoltà dello spettatore a identificarsi con uno qualsiasi dei protagonisti , anche a causa del flashback menzognero che, alla fine, lascia spiazzati.
Ma Chabrol e Rohmer osservano giustamente che il film va goduto più che altro per la sua " galleria di ritratti insieme delicati e feroci, divertiti e lucidi" e per la "successione di sequenze gustose o stranamente morbose". E aggiungono: "E' difficile qui, isolare un motivo dominante. Più che un'opera, è una successione di scene.[...] Quella più bella si svolge in un taxi. Niente di più che una serie di campi e controcampi. Ma Hitchcock ha trovato il sistema di far intender quel che due persone pensano veramente al di là delle parole , così come di rendere appassionatamente uno scambio di pensieri che s'inseguono, si trovano o fuggono. Eve e l'ispettore Smith salgono sull'auto: lei è una ragazza , lui un poliziotto. Parlano del più e del meno. A fine corsa, è una coppia di innamorati che scende dal taxi, senza che vi sia stato neanche l'accenno di un gesto tra i due".

Nella loro appassionata difesa di Hitch, i due autori francesi giungono addirittura a sostenere la tesi secondo la quale il flashback non sarebbe falso: " Le immagini non mentono mai in Hitchcock, a differenza dei personaggi. La stessa sequenza, se fosse muta, potrebbe illustrare la reale visione dei fatti. E' il commento che imbroglia, che mente, che conferisce ai gesti un'altra causa, uno scopo diverso...".

Ciò non è vero: il flashback non corrisponde affatto agli eventi, ma illustra per immagini la menzogna di Jonathan. Eppure, se lo si considera all'interno del film nel suo complesso, quel flashback ha un significato preciso... ( Mar L8v )



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Edited by Milea - 29/8/2010, 22:16
 
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Un sillogismo che non funziona:

Così Alfred Hitchcock a Truffaut per giustificare
l'introduzione del flashback " falso " :" Nei film non abbiamo nulla da ridire se un uomo fa un racconto menzognero. D'altra parte accettiamo altrettanto bene che,
quando un personaggio racconta una storia passata, questa sia illustrata in flashback,come se si svolgesse al presente.
Allora, perchè non potremmo raccontare una menzogna in flashback ?".
Ma se sul piano logico il ragionamento non fa una piega,
sullo schermo ( e Hitchcock lo sapeva benissimo, del resto )
le cose non funzionano esattamente in questo modo !
Infatti il flashback " per il suo carattere di intervento esteriore nella narrazione, è sentito spesso come un intervento dell'istanza narrante stessa,quasi si trattasse di un commento dell'autore.
E mentre un personaggio può nascondere qualcosa a un altro personaggio, l'autore non potrà mentire allo spettatore. ( Mar L8v )


Edited by Milea - 30/8/2010, 13:33
 
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Il mondo è teatro:

Nell'edizione originale di Paura in palcoscenico i titoli di testa compaiono in sovraimpressione sullo sfondo di un sipario teatrale che infine si alza a scoprire non un palcoscenico, bensì un'affollata strada londinese.

"Questo ci ricorda, come dice Shakespeare, che tutto il mondo è teatro e che ciascuno può trovarsi costretto a recitare nella vita quotidiana proprio come un attore in un'opera teatrale". [...] "Mi piaceva questa idea: una ragazza che vuole diventare attrice è indotta a travestirsi e a interpretare nella vita la sua prima parte", ha affermato Hitchcock. Ma non è solo Eve a recitare e a fingere: infatti Jonathan finge con lei e, a sua volta, Charlotte finge con Jonathan...

Poco dopo i titoli di testa finzione e realtà si mescolano nuovamente quando Jonathan raggiunge Eve sul palcoscenico dove la ragazza sta provando e da qui in avanti per tutto il resto del film.
La verità, paradossalmente, viene ristabilita a teatro: è a teatro che Smith scopre il doppio gioco di Eve ed è a teatro che Eve viene a conoscenza della menzogna di Jonathan ( la scena all'interno della carrozza è a mio parere, la più straordinaria del film: i volti di Jonathan e Eve di cui solo gli occhi sono illuminati, il gioco delle mani, il leggero ralenti quando escono... ).



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Paura in palcoscenico è un'ulteriore versione del tema preferito da Hitchcock: la difficoltà di discriminare verità e menzogna, realtà e finzione, innocenza e colpevolezza. "In uno dei suoi film meno rocamboleschi, Hitchcock riesce ad esemplificare magnificamente un mondo di assoluto disordine, di assoluta incertezza".

Il flashback falso che sembra vero assume dunque in questo contesto un senso preciso: la finzione può annidarsi a qualsiasi livello, non solo a quello degli eventi, ma anche a quello del linguaggio, tanto più se si tratta del linguaggio cinematografico. "Stage fright": paura in palcoscenico; ma anche paura del palcoscenico. Il timore dell'attore di fronte al pubblico ( e dell'uomo nel teatro del mondo ); ma anche: il timore, tutto hitchcockiano, che non si riesca a distinguere fra apparenza e realtà. ( Mar L8v )
 
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Non abbastanza cattivi:


Osserva Truffaut che, in Paura in palcoscenico, "non ci si interessa molto alla storia, perchè nessun personaggio si trova veramente in pericolo".
E Hitchcock concorda: "Mi sono accorto di questa cosa prima che, il film fosse terminato, ma in un momento in cui non potevo più farci niente. Perchè nessun personaggio, è veramente in pericolo ? Perchè raccontiamo una storia nella quale sono i cattivi che hanno paura. E' il lato veramente debole del film, perchè questo infrange la grande regola: più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film. Ecco la grande regola cardinale; ora, in questo film, la figura del cattivo era completamente mancata".

Di conseguenza, nessuno senso di reale minaccia, nè per i personaggi nè per lo spettatore. ( Mar L8v )



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Un difficile confronto:

Pettegolezzi di Hitchcock a proposito di Jane Wyman: "Ho avuto molte difficoltà con Jane. Nel suo travestimento come cameriera era necessario che imbruttisse, perchè dopo tutto, copiava la cameriera poco affascinante che sostituiva. Ogni volta che andava a i rushes ( cioè alle proiezioni del materiale girato giorno per giorno ) si paragonava a Marlene Dietrich e si metteva a piangere. Non poteva rassegnarsi a diventare un personaggio e la Dietrich era veramente bella. Allora di giorno in giorno, Jane Wyman si sistemava di nascosto, migliorava il suo aspetto ed è questa la ragione per cui non è riuscito il suo personaggio". ( Mar L8v )



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Bistecche da New York:

Nella biografia dedicata ad Hitch, John R.Taylor riporta una curiosa dichiarazione di Marlene Dietrich a proposito della sua collaborazione con il regista: "Mi spaventava a morte. Sapeva esattamente quello che voleva, una dote che io adoro, ma non ero mai sicura di far bene. Dopo il lavoro ci portava al ristorante Caprice e ci offriva bistecche fatte venire in aereo da New York, perchè secondo lui erano migliori della carne inglese e io ho sempre pensato che lo facesse per non farci capire che non era del tutto disgustato del nostro lavoro".
Paure a parte,, il rapporto tra Marlene e Hitch fu in realtà assai buono, persino caloroso, e sempre caratterizzato da stima e rispetto reciproci. ( Mar L8v )



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Disaccordo:

A Truffaut, che mostra alcune perplessità sulla riuscita del personaggio del padre di Eve, anche a causa dell'interpretazione dell'attore Alastair Sim, Hitchcock spiega: "Ancora una volta l'errore di girare un film in Inghilterra. Laggiù ti dicono: 'E' uno dei nostri migliori attori, deve averlo nel suo film'. E' ancora il pregiudizio locale e nazionale, ancora la mentalità da isola".



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Se in effetti il personaggio del commodoro Gill appare, in certi punti, non convincente e caricaturale ( ma è un difetto che, in misura maggiore o minore, hanno tutti i personaggi di Paura in palcoscenico ), oso...non essere d'accordo con i due maestri nell'attribuirne la responsabilità all'attore, che al contrario Mi parve bravo e simpatico...ovviamente nei limiti impostigli dalla parte. ( Mar L8v )
 
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Raccontare il passato:

Il linguaggio cinematografico ha sempre avuto qualche difficoltà a introdurre nello sviluppo degli avvenimenti - che si svolgono sotto i nostri occhi in una narrazione "coniugata" al tempo presente - episodi o singole immagini riferiti al passato ( Flashback ) o al futuro ( Flashforward, molto più rari ).
Come interrompere la successione cronologica del discorso e come mettere in relazione ( e contemporaneamente distinguere ) sequenze ambientate in tempi diversi eppure in stretto rapporto fra loro ?

Il problema si è posto fin dagli inizi della storia del cinema; all'epoca in cui il linguaggio delle immagini in movimento era in via di sperimentazione e di codificazione erano naturalmente necessari elementi formali ben precisi per indicare allo spettatore gli eventuali salti temporali, altrimenti vi era il rischio ( soprattutto all'epoca del muto ) che questi non riuscisse più a seguire il filo del discorso.

Didascalie, dissolvenze incrociate, accompagnate dalle parole di chi sta narrando l'episodio remoto, sfocatura fino all'annebbiamento dell'inquadratura "del tempo presente" e successiva messa a fuoco di quella "del tempo passato": questi alcuni degli elementi classici per introdurre un flashback; utilizzati in abbondanza fino agli anni '50.

Successivamente, con un pubblico più smaliziato e meno bisognoso di indicazioni, il flashback ha potuto essere introdotto da semplici stacchi di montaggio. Può essere tuttora difficile distinguere i passaggi temporali in film che inserirono il flashback in maniera troppo "spregiudicata", anche se in molti casi la "confusione" dei tempi è dovuta a una precisa volontà dell'autore, a suggerire l'impossibilità di separare il presente dal passato, soprattutto quando i temi affrontati sono quelli della memoria e del significato della storia, individuale e collettiva. ( Ad esempio in alcuni film di A. Resnais - Notte di nebbia, 1955 e Hiroshima Mon Amour, 1959 ).

Il flashback può essere costituito propriamente da un semplice flash ( per fare un riferimento ad Hitch, ricordiamo la breve inquadratura di Io ti salverò in cui Ballantine rammenta l'incidente che aveva involontariamente provocato quando era bambino ), oppure estendersi per l'intera durata del film, che risulta in tal caso strutturato più o meno secondo lo schema: situazione del presente - lungo ( o lunghi ) flashback che spiegano tale situazione - ritorno alla situazione presente e sua eventuale risoluzione. ( Fra i gli esempi - Monsieur Verdoux, 1947 di C.Chaplin e Viale del tramonto 1950 di B. Wilder ).

In altri casi l'uso del flashback è più complesso e articolato, in relazione a ricordi e punti di vista di diversi personaggi: è il caso del film Quarto potere di Orson Welles, ( in cui un giornalista cerca di scoprire, attraverso varie testimonianze, il mistero che racchiudono le ultime parole del "cittadino Kane" ) o di film in cui i flashback che si riferiscono ad uno stesso episodio ricostruiscono addirittura verità completamente diverse ( celeberrimo è Rashomon, di Akira Kurosawa, 1950 ). ( Mar L8v )



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Marlene Dietrich:

Non le piaceva l'abbigliamento femminile, nè la compagnia delle donne, non si ostinò a suonare il violino e non amò certo suo marito, non era gentile, non possedeva una voce con una vasta scala di toni, non le piaceva la gente di città e non amava l'America, non fu una buona madre ma non era una cattiva amica, era romantica, non le piaceva Hitler, non era stupida, non le piacevano le persone ottuse e l'ottusità, non smise di fumare nè di abbandonarsi ai suoi abituali eccessi, non fu una cattiva cuoca, non era sobria, non risparmiava, non morì ricca, non morì giovane e bella, non morì affatto...
Così la descrive Ivan Leo Lemo nelle sue 'Note della drammaturgia': E in effetti Marlene Dietrich non fu niente di tutto questo, ma certamente fu un vero e proprio mito del mondo cinematografico della prima metà del novecento.
La sua immagine, le sue canzoni, la sua recitazione, hanno lasciato un segno immortale nell'immaginario maschile e femminile, immaginario reso ancora più acuto dalla sua ambiguità sessuale che, invece di annichilirla, divenne l'impronta del suo irresistibile fascino.
In ogni caso lei non fece assolutamente nulla per scrollarsi di dosso questa patina di androginia che la riveste, anzi la alimentò con uno stile di vita decisamente anticonvenzionale, con i suoi tanti amori ambigui, con il suo abbigliamento di stampo tipicamente maschile: un mix esplosivo di sensualità e ambiguità sufficiente a farla entrare nel mito del mondo della celluloide, quale modello indiscusso e insuperabile di 'femme fatale'.
Mito che è riuscito a competere, anche se non ad offuscare, con quello di GRETA GARBO, l'altra grande 'diva europea', con la quale ebbe un rapporto piuttosto difficile e travagliato.

Ripercorrere la vita di Marlene Dietrich è come attraversare la storia del XX secolo.
Nata il 27 dicembre 1901 a Schoeneberg, un piccolo paese nei pressi di Berlino, col nome di Marie Magdalene, Marlene era figlia di Louis Erich Otto Dietrich, un ufficiale della polizia militare che aveva servito nella guerra franco-prussiana, e di Elizabeth Josephine Felsing, nata da una famiglia di gioiellieri.
Cresciuta nell'epoca della repubblica di Weimar (travagliato e instabile periodo a cavallo tra le due guerre mondiali) secondo i canoni di una rigida disciplina, Marlene ha avuto un'infanzia molto precoce: rimasta orfana a undici anni, già a scuola faceva strage di cuori. Un suo insegnante, invaghitosi di lei e bruciato dalla fiamma della passione per i suoi bellissimi occhi, finì licenziato, come sarebbe capitato più tardi al vecchio e ingenuo prof Rath del suo primo e più celebre film.

Dal 1907 al 1919 frequenta le scuole a Berlino e Dessau, dove studia il francese e l'inglese, e frequenta i corsi di musica, presso l'Accademia di Berlino, per imparare a suonare il violino e il pianoforte.
Una tendinite ad un dito, però, la costringe ad interrompere lo studio della musica strumentale, e si dedica esclusivamente al canto, visto che, tra gli altri, è dotata di una voce ben impostata.

Nel 1908, a soli sette anni rimane orfana del padre e si ritrova a vivere con la madre e il nuovo marito di quest'ultima, Eduard von Loch, che l'adottò e le diede il proprio nome, prima di cadere sul fronte orientale nel 1916, nel corso della 1a guerra mondiale.
Forse è per questo motivo, per questa continua ricerca di una figura paterna di riferimento che visse molti amori con uomini dalla forte personalità come Josef von Sternberg, Bill Wilder, Orson Welles, Erich Maria Remarque, Gary Cooper, Jean Gabin, Burt Lancaster.

All'inizio degli anni venti cominciò a studiare recitazione seguendo un corso diretto da Max Reinhardt, e nel 1922 iniziò a calcare i palcoscenici dei teatri di Berlino e ad apparire in alcuni film muti.

Il 17 maggio 1923 si sposa con Rudolf Seiber, un aiuto regista, a cui rimarrà legalmente sposata fino alla morte di lui, anche se il loro matrimonio era già finito da un pezzo e non vivevano assieme da molto tempo.
Un matrimonio basato più sull'amicizia e il comune interesse per il cinema che sulla passione amorosa: matrimonio dal quale, nonostante tutto, un anno dopo nasce l'unica figlia, Maria Elizabeth, che intraprenderà, a sua volta, la carriera di attrice col nome di Maria Riva.

Nel 1929 ottiene il suo primo ruolo da protagonista nel film "ENIGMA", di Curtis Bernarhardt.
Notata dal regista ebreo-austriaco Josef von Sternberg, nell'ottobre dello stesso anno viene scritturata per interpretare il film che le darà la celebrità, "L'ANGELO AZZURRO", tratto dal romanzo di Heinrich Mann, fratello meno noto del premio Nobel Thomas.
Nel film, uno dei primi sonori della cinematografia tedesca, dove si respira un'aria peccaminosa molto simile a quella che traspare dai quadri di Toulouse- Lautrec, Marlene vi interpreta il ruolo di una cantante di cabaret, Lola Lola, cinica, sensuale, conturbante, che fa perdutamente innamorare di sè il professor Rath, facendogli perdere dignità e lavoro.
Disonore che lo porterà a morire di vergogna senza essere riuscito a far breccia nel cuore di lei.
Il film, che impose la Dietrich all'attenzione internazionale e fece nascere il mito della diva peccaminosa e amorale, è anche il ritratto di di un'epoca e di una società in disfacimento, basata ancora su un concetto molto rigido di moralità borghese.
Il merito di von Sternberg, al di là di qualsiasi valutazione artistica sul film, è stato quello di aver saputo valorizzare il volto, bellissimo e sensuale della Dietrich, indimenticabile e superba quando, a cavalcioni di una sedia, canta 'Ich bin die fresche Lola',
Il ruolo di Lola Lola la costrinse a recitare in frac, cappello a cilindro e calze a rete, abbigliamento che la diva non mostrerà mai di disdegnare, amante com'era degli abiti che sottolineassero, più che celassero, la sua ambiguità, e che riprenderà ancora in altri suoi film di grande successo.
Con questo ruolo inizia un lungo e proficuo sodalizio artistico, che ben presto si trasforma in sodalizio amoroso, con Josef von Sternberg, il quale la convinse a seguirlo a Hollywood, dove il regista aveva già un contratto con la Paramount, facendone così una stella di prima grandezza.

A Hollywood la Dietrich reciterà in altri sei film di von Sternberg, sempre in ruoli di prostituta o di donna cinica e infida, spesso vestita in modo eccentrico e trasgressivo, con abiti che il sarto Travis Benton disegnava esclusivamente per lei.
E Hollywood le regalò fama e successo imperituri.

A spingerla ad emigrare negli Stati Uniti contribuì anche il difficile rapporto che la diva aveva con la sua patria, la Germania nazista; ed anche se alcuni gerarchi spingevano perchè diventasse un simbolo del regime, lei rifiutò sempre qualsiasi proposta in tal senso.

Il primo film hollywwodiano con von Sternberg, che le procurò l'unica nomination agli Oscar della sua carriera, fu "MAROCCO", in cui fa ancora la cantante di cabaret, stavolta in una esotica città marocchina, sede di un contingente della Legione Straniera.
Quì, all'amore di un ricco pittore preferisce quello di Gary Cooper, un semplice legionario che seguirà fin nel deserto.
Seguono "DISONORATA", "SHANGHAI EXPRESS" e "VENERE BIONDA".

In "DISONORATA" interpreta il ruolo di una prostituta viennese che, durante la prima guerra mondiale accetta di diventare una spia e riesce a smascherare un generale traditore; poi però si innamora della sua seconda vittima, un ufficiale russo e, dopo averlo fatto catturare, lo aiuta a scappare, venendo così condannata a morte per alto tradimento.
Melodrammatico fino all'eccesso, classico esempio del cinema sternberghiano, il film non si dimentica per la lacrimevole scena finale, quando la Dietrich affronta l'esecuzione vestita con i suoi vecchi abiti da prostituta e, dopo essersi data il rossetto e aggiustate le calze, con la benda che dovrebbe ricoprirle gli occhi asciuga le lacrime al comandante il plotone d'esecuzione, commosso da cotanta bellezza.

In "SHANGHAI EXPRESS", omaggio di von Sternberg al personaggio Marlene e alla sua bellezza, messa in risalto dalla sensuale veletta sugli occhi che sfoggia in varie sequenze, la Dietrich interpreta il ruolo di un'attricetta di varietà che, sul treno in viaggio da Shanghai a Pechino, incontra un capitano inglese di cui un tempo era stata innamorata. Quando questi verrà catturato lei si dichiara disposta ad offrire le sue grazie al capo dei ribelli pur di risparmiare le torture al suo innamorato.

In "VENERE BIONDA", che conclude il trittico, la Dietrich durante un viaggio in Germania incontra un chimico americano, se ne innamora, lo sposa e lo segue in America. Quando questi si ammala, contagiato dalle radiazioni alle quali si era esposto, lei torna a lavorare nei night club per potergli pagare le cure, destando così le attenzioni di un ricco play boy.
In origine il suo personaggio doveva essere quello di una prostituta, ruolo trasformato successivamente in cantante di night per compiacere la produzione che pretendeva un lieto fine.
Comunque anche qui la Dietrich ha modo di girare alcune scene cult, come quella del bagno nel laghetto di montagna, o quella del night quando vestita con uno smoking bianco canta ' I Could not Be Annoyed'.

Nel 1933 è Rouben Mamoulian che interrompendo la sequenza dei film di von Sternberg, la dirige in "IL CANTICO DEI CANTICI", film a metà tra commedia sentimentale e melodramma.
Tratto dal romanzo di Souderman, a cui si era ispirato anche Mournau per il suo capolavoro, "Aurora", la Dietrich vi interpreta una bellissima contadina tedesca dell'ottocento che, innamorata di un affascinanate scultore, va sposa ad un rozzo conte prima di potersi ricongiungere all'uomo amato.
Tocchi di erotismo affiorano via via anche quì, come nella scena della statua per la quale Marlene aveva posato nuda o nel seno della diva che si intravede sotto un casto grembiule.

L'anno successivo torna a recitare sotto la direzione di von Sternberg nel film "L'IMPERATRICE CATERINA".
In quello che è il più visivamente affascinante dei film del suo regista pigmalione, la Dietrich interpreta il ruolo della giovane e innocente principessa tedesca, Sofia. Sposata giovanissima al granduca Pietro, erede al trono degli zar, malato nella mente e nel fisico, si trasforma in una cinica donna di stato: farà strangolare l'imbelle marito e salirà al trono col nome di Caterina II zarina di tutte le Russie.
Nelle scene in cui Caterina è ancora una bambina, il ruolo è interpretato da sua figlia Maria, che fa così il suo debutto sullo schermo.

Il settimo e ultimo film del sodalizio Dietrich/von Sternberg è "CAPRICCIO SPAGNOLO", in cui, durante il carnevale di Siviglia, lei, una dissoluta e capricciosa sigaraia, fa perdutamente innamorare di sè due uomini che per lei si sfidano a duello, ma lei, a sorpresa sceglierà il perdente.
Drammatico e sontuoso, come la Spagna ottocentesca in cui è ambientato, il film è tutto basato sul difficile rapporto tra la Dietrich e i due uomini, metafora, forse, della difficile e tormentata storia d'amore che aveva unito la diva al regista austriaco, storia che era quasi arrivata alla fine.
L'avvenimento che spezzò definitivamente il già logoro legame, avvenne uno dei primi giorni di settembre del 1937 in un bar di Venezia, quando la Dietrich, che stava facendo colazione insieme a von Sternberg, conobbe lo scrittore Erich Maria Remarque.
Teutonico nell'aspetto, ma con modi e portamento di un vero gentleman, lo scrittore, autore del romazo antimilitarista 'Niente di nuovo sul fronte occidentale' (un libro che per lungo tempo fu il più venduto in assoluto), non può non entusiasnmare la diva, tanto che la sera stessa diventano amanti.
Tra la diva e il romanziere si instaura un strano rapporto: lei sta in America, lui vive in una villa sul lago Maggiore; così la relazione si alimenta di lunghi viaggi in piroscafo, chilometriche telefonate, lettere, telegrammi, incontri segreti negli alberghi delle più varie città europee.
Remarque è soggiocato dalla bellezza della Dietrich, ne segue la carriera e la vita costellata di scandali attraverso i giornali e le riviste illustrate, spesso le scrive lunghissime lettere nelle quali le esprime tutta la forza del suo sentimento.
Le lettere di risposta, purtroopo, sono andate tutte distrutte, bruciate dall'ultima moglie di Remarque, l'attrice Paulette Goddard.
Si sa solo che la Dietrich, anche se lusingata dal sentimento che lo scrittore nutriva per lei, si mostrava sempre freddina con lui, cercando con tutti i mezzi di non alimentarne l'ardore.
La Dietrich, inoltre, aveva conosciuto l'attore francese Jean Gabin e se ne era innamorata, e Remarque soffriva di gelosia.
L'ultimo telegramma della Dietrich raggiunse lo scrittore sul letto di morte; diceva solo poche parole: 'Ich schike dir mein ganzes Herz', (Ti mando tutto il mio cuore).

Dopo la rottura con von Sternberg, che aveva fatto di lei uno dei più forti sogni erotici di celluloide e ne aveva saputo valorizzare l'espressionismo magnetico, l'attrice, anche su pressione della Paramount, cercò di modificare la sua immagine e abbandonò, per un momento, i ruoli melodrammatici per cimentarsi in una commedia brillante.
"DESIDERIO", di Frank Borzage, del 1936, la vede così nei panni di una ladra di gioielli, la quale, con il suo fascino, riesce a raggirare un ingenuo Gary Cooper (che ritrova dopo "MAROCCO" e dopo la fine della loro relazione che era nata propio durante le riprese), con cui finirà per convolare a nozze.
Sempre nel '36 gira "IL GIARDINO DI ALLAH", di Richard Boleslawsky, ambientato nel deserto algerino (ricreato in Arizona), dove la Dietrich si reca per ritrovare sè stessa. Quì incontra un monaco trappista fuggito dal monastero e lo sposa. Ma il ricordo del passato, per costui è troppo forte tanto che finirà per tornare ai suoi voti e al suo saio.

Con "CONTESSA ALESSANDRA", di Jacques Feyder, torna al melodramma e, bellissima e sensuale come ai tempi di von Sternberg, interpreta il ruolo di una nobile russa al tempo della Rivoluzione d'Ottobre del 1917, la quale si innamora di un giornalista inglese infiltrato nelle fila dei bolscevici per motivi di controspionaggio. Nel tentativo di salvare la donna, costui verrà fatto prigioniero dall'Armata Bianca, ma un bolscevico dal cuore tenero lo farà fuggire, riuscendo così sposare la donna amata.

Nel 1937 ottiene la cittadinanza USA e i suoi familiari, compreso il marito, la seguono in America; anche se ormai vive separata da lui, che convive con una sua ex amica.
Del resto lei conduce una vita che definire scandalosa è più che un eufemismo, considerata la morale dell'epoca; le avventure sentimentali con persone di ambo i sessi che si concedeva, erano tantissime e di pubblico dominio, citate anche nelle più recenti biografie di GRETA GARBO, con la quale ebbe un rapporto piuttosto difficile e controverso.

Il 1937 è anche un anno poco fortunato per la sua carriera artistica: il film "ANGEL" che gira con Ernst Lubisch, non ottiene, infatti, un grosso successo di pubblico, tanto che i giornali cominciano a parlare di declino artistico.
Nel film la Dietrich interpreta il ruolo dell'annoiata moglie di un nobile la quale, insofferente alla vita coniugale, è tentata per due volte ad accettare la corte di un ricco americano. Ma alla fine deciderà di restare accanto al marito che non ama.

Data ormai per spacciata, la Dietrich non si dà per vinta e torna subito al successo, in un genere nel quale non si era mai cimentata: il western, nel ruolo di una cantante di saloon.
Il film in questione è "PARTITA D'AZZARDO", di George Marshall, ambientato in una cittadina del west, dove un baro e la sua banda spadroneggia impunemente, sbarazzandosi dello sceriffo. Ma dovrà fare i conti con un mite JAMES STEWART, che guiderà la polazione alla riscossa conquistando così il cuore della cantante che si esibisce nel saloon locale.
In "LA TAVERNA DEI SETTE PECCATI", di Tay Garnett, girato nel 1939 è ancora una cantante, ma di un cabaret dell'isola di Boni-Kamba, dove è arrivata perchè espulsa per condotta scandalosa da molte altre. Quì, però, di lei si innamora un rispettabile ufficiale di marina, un robusto John Wayne che ci delizia con una delle più epiche scazzottate della storia del cinema.
Il film è un vero e proprio inno all'amore anche se, per rispetto del codice Hays, le strade dei due amanti alla fine si dividono.

Allo scoppio della II guerra mondiale la Dietrich decide di dare il suo personale contributo alla causa della libertà contro il nazismo, e si dedicò attivamente nella campagna di sostegno alle truppe americane impegnate sui campi di battaglia del Nord-Africa e dell'Europa.
I suoi spettacoli, nei campi militari e negli ospedali da campo, contribuirono a mantenere alto il morale dei soldati tra un combattimento e l'altro e ad alleviare le sofferenze dei militari feriti.
Erano i tempi di Lili Marleen, la canzone pacifista (nata dalla penna di un poeta sconosciuto, Hans Leip, e musicata molti anni dopo da un compositore tedesco, un certo Norbert Schulze, Lili Marleen era una canzone triste, struggente che rievocava il rimpianto di un amore lontano: una donna ferma, sotto un lampione, davanti alla caserma, che aspettava invano il suo soldatino), che, trasmessa dalle radio ai soldati in trincea, li faceva struggere di nostalgia, e che diverrà il suo marchio che si porterà dietro per tutta la vita.
Hitler cercò di farla tornare in patria e le propose di interpretare una serie di film di propaganda nazista, che lei sdegnata rifiutò di girare, intensificando il suo impegno in favore degli alleati e mettendo, spesso, a repentaglio la sua stessa incolumità.
Alla fine del conflitto come riconoscimento per l'azione svolta, il Dipartimento di guerra degli Stati Uniti le conferì la 'Medal of Freedom'; mentre la Francia la insignì del cavalierato della Legione francese.
I suoi concittadini tedeschi, invece, non la perdonarono e, per lungo tempo, la trattarono come una traditrice della patria, tanto che, quando nel 1960 si recò in visita a Berlino, fu accolta con astio dalla gente che, al suo passaggio le gridava 'Marlene go home'

Nel 1941, per la regia di René Clair (che si era trasferito negli Usa per lavorare a quattro pellicole), gira "L'AMMALIATRICE", film in cui interpreta il ruolo di un'avventuriera dal passato poco limpido, la quale, trasferitasi da San Pietroburgo a New Orleans spacciandosi per una contessa, irretisce un ricchissimo vecchio e tenta di farsi sposare, Ma proprio alla vigilia delle nozze si innamora del capitano di un battello e fugge con lui sul Mississippi.
L'altro film girato nel 1941 è "FULMINATI", di Raoul Walsh con un altro ruolo di donna dal torbito passato per la Dietrich, che crea tensione tra due operai delle linee elettriche; ne sposa prima uno e si infiamma di passione per l'altro, poi.
Con "I CACCIATORI DELL'ORO", di Ray Enright, ambientato in Alaska all'inizio del '900; Marlene impegnata in una serie di schermaglie amorose, trova il tempo per aiutare il proprietario di una ricca miniera d'oro a salvare la sua proprietà e a smascherare le truffe dell'addetto minerario del governo.
Poco riuscito, invece, è "LA SIGNORA ACCONSENTE", di Mitchell Leisen, del 1942, in cui interpreta il ruolo di una diva di Broadway che vuole adottare un bambino e per raggiungere lo scopo ne sposa il pediatra.
Ispiata alle 'Mille e una notte' e ambientata a Bagdad è la successiva pellicola del '44, "KISMET", di William Dieterle, con la Dietrich figlia di un califfo, ambita con successo dal re dei mendicanti.
Privo di qualsiasi interesse artistico, nonostante la presenza di Orson Welles, è "LA NAVE DELLA MORTE", girato da Eddie Sutherland a scopi puramente propagandistici, in cui la Dietrich viene tagliata in due da un mago (Welles, appunto), nello spettacolo che un ex ballerino, riformato al servizio di leva, ha allestito per i soldati; mentre è una prostituta redenta in "TURBINE D'AMORE", in cui finisce assassinata per mano di Jean Gabin che, a torto, ritiene che lo tradisca.
Altro film di propaganda bellica antinazista è "AMORE DI ZINGARA", ancora di Mitchell Leiser, girato nel '47.
Con Billy Wilder, invece, gira "SCANDALO INTERNAZIONALE", ambientato anch'esso al tempo della seconda guerra mondiale, in cui la Dietrich impersona una cantante nazista nella Berlino in fiamme.

Alla sua bellezza matura ma ancora inquietante non potè sottrarsi nemmeno il 'maestro' del brivido, Alfred Hitchcock che la volle nel suo "PAURA IN PALCOSCENICO", in cui interpreta una cantante di music-hal, il cui amante, sospettato di averle ucciso il marito, finisce in casa di un'amica che lo aiuta a nascondersi e si impegna nelle indagini per poterlo scagionare.

Ma il trascorrere del tempo è implacabile, e per una 'diva' come Marlene, forse lo è ancora di più; comincia così ad essere sempre meno richiesta dai produttori, nonostante lei 'senta' di avere ancora molto da offrire al suo pubblico.
Parallellamente alla carriera cinematografica comincia, allora, ad esibirsi dal vivo come cantante sui palcoscenici e, forte del suo magnetismo naturale di interprete, su consiglio di Nat 'King' Cole, inizia a tenere dei concerti che porta in giro per il mondo, con grande successo (memorabile quello di Rio de Janeiro del '59) e dietro lauti compensi.

Nel 1951 gira "VIAGGIO INDIMENTICABILE", di Henry Koster, con JAMES STEWART che interpreta lo scienziato che scopre le cause di molti incidenti aerei, e lei che interpreta il ruolo di una passeggera di questi aerei che cadono inspiegabilmente.
L'anno successivo è protagonista del bellissimo "RANCHO NOTORIUS", un western atipico di Fritz Lang, in cui, dark lady in declino, capeggia (insieme a Mel ferrer) una banda ritenuta responsabile dell'uccisione di una donna.
Il marito,allora si mette sulle tracce, ma quando arriva al covo, pian piano diventa più spietato degli uomini a cui stava dando la caccia.

Nel 1956, dopo quattro anni di assenza dagli schermi, torna a recitare ed è tra gli interpreti, con un piccolo ruolo (è la proprietaria del saloon in cui si esibisce Frank Sinatra), di "IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI", di Michael Anderson, classico film d'evasione, tratto dall'altrettanto classico romanzo di avventure di Julius Verne.
Nello stesso anno è protagonista della commedia "MONTECARLO", una coproduzione italo-americana (con diversi attori italiani tra cui Vittorio De Sica, Renato Rascel, ecc) in cui una matura avventuriera e un nobile squattrinato si incontrano e si innamorano, ma poi ognuno se ne va per la sua strada ad inseguire sogni di matrimoni altolocati.

Un'altra grande prova d'attrice, quasi alla fine della sua carriera, la Dietrich la offre nel giallo, tratto da Agatha Christie, "TESTIMONE D'ACCUSA", di Billy Wilder, che, abbandonato il genere commedia, si cimenta, con ottimi risultati, nel genere noir.
Nel 1958, tornato ad Hollywood dopo una parentesi europea, Orson Welles si accinge a girare la sua opera monumentale, "L'INFERNALE QUINLAN", un noir pervaso da un angoscioso pessimismo e da un allucinato senso del mistero (quintessenza del cinema wellesiano), sui contrasti caratteriali tra due poliziotti che devono indagare sl caso di un attentato all'uomo più ricco della zona.
Recatasi sul set a salutare il suo vecchio amico, la Dietrich si vide assegnare il ruolo di Tanya (inventato appositamente per lei da Welles) e la battuta finale 'Era uno sporco poliziotto, ma, a suo modo, era anche un grand'uomo', che chiude il film.
In "VINCITORI E VINTI", il film che Stanley Kramer gira sul proceso di Norimberga ai nazisti accusati di crimini di guerra, è lei l'aristocratica che sostiene ancora la tesi dell'obbedienza, e spiega a Spencer Tracy il significato delle parole della canzone Lili Marleen.
Nel 1964 viene scritturata per un cameo nella commedia di Richard Quine "INSIEME A PARIGI", con AUDREY HEPBURN e Willianm Holden.
La sua ultima apparizione sullo schermo è del 1978, nel film di David Hemmings "GIGOLO", con David Bowie, in cui canta la canzone che dà il titolo al film.

Ritiratasi a Parigi in una casa museo, ricolma di effetti personali (portasigarette decorati, scarpe, cappelli, valige, enormi scatole per il trucco), la diva, che a differenza della sua antica rivale, GRETA GARBO, non accetta il decadimento fisico, passa le sue giornate tormentata dalle sue fobie (è ossessionata dai germi) e dal rimorso di non essere riuscita a voler bene alla sua unica figlia, Maria.
Invecchia malissimo, continua a truccarsi e pettinarsi in modo vistoso, fuma moltissime sigarette al giono, si impone ferree diete per paura di ingrassare, non sopporta il fatto di non essere più oggetto di desiderio.

Nel 1984 l'attore Maximilian Shell, che aveva conosciuto la diva al tempo delle riprese di 'VINCITORI E VINTI', di cui era uno dei protagonisti, le dedicò un film-intervista dal titolo 'Marlene', che l'attrice accettò di girare unicamente per soldi, pretendendo di apparire solamente in filmati di repertorio: non camminava quasi più, in conseguenza della rovinosa caduta in palcoscenico (si dice dovuta all'alcol), con la quale si era procurata la frattura di una gamba.

Ha trascorso gli ultimi tredici anni della sua vita in semi immobilità, reclusa per libera scelta, nella sua casa parigina, lontana dalla vita di società, in compagnia del suo telefono, con il quale si teneva in contatto, in lunghe e ossessive conversazion, con i suoi molti amici sparsi per il mondo.
Nella sua casa-eremo aveva accumulato qualcosa come 300 mila testimonianze della sua vita e della sua carriera, fra lettere, diari, documenti, ricordi, che la municipalità di Berlino, la città che ella coraggiosamente aveva ripudiato ai tempi del nazismo, ha acquistato alla sua morte per la cifra di 9 milioni di marchi.
Testimonianza eccezionale della sua vita resta la biografia scritta dalla figlia, Maria Riva, pubblicata postuma, dalla quale emerge il ritratto di una donna forte, appassionata, melodrammatica, ma anche profondamente egoista, anche negli affetti più cari (come quello con la stessa figlia, Maria), che seppe incarnare alla perfezione, e fino alla fine, un divismo ormai perduto.
E' morta a Parigi, per un infarto che l'ha colpita nel sonno, la notte del 6 maggio 1992... ma forse non è morta affatto.
 
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