|
LA STORIA DEI COLORI: IL ROSSO
Martin Schongauer Madonna del Roseto (Madonna and Child in a Rose Arbour) 1473 pala d’altare, olio e foglia oro su pannelli di conifere 200 × 114,5 cm. Colmar (Francia), Chiesa di San Martino Nonostante sia sempre stato un colore difficile da ottenere, l’uomo ha cercato di riprodurlo sia sulle stoffe che nell’arte: nel Paleolitico, nella Grotta di Blombos, sulla costa del Sudafrica, sono stati rinvenuti macine e martelli per frantumare un pigmento naturale di ocra rossa e conchiglie di abalone, da mescolare con grasso animale e urina per ottenere una vernice che sarebbe stata poi usata per decorare corpi e le pareti delle grotte. Per le pitture realizzate a Chauvet, Lascaux e Altamira quegli uomini usarono i colori che avevano a portata di mano: carbone per il nero, gesso e ossa macinate per il bianco, i rossi e i gialli terrosi dell’ocra, una forma minerale di ossido di ferro.
Ai tempi dei Fenici le coste del Mediterraneo erano ricche di conchiglie di “Murex Brandaris”, il cui mollusco possiede una piccola ghiandola, che, se aperta, secerne una sostanza vischiosa biancastra, che alla luce muta il proprio colore, dapprima gialla, poi verde, poi viola per assumere infine uno splendido tono rossastro dalle sfumature violacee. Alternative meno costose esistevano, ma nessuna aveva la brillantezza delle stoffe ottenute dai murici; si poteva ricorrere alla cocciniglia, il “Kermes Ilicis”: il pigmento, ottenuto dall’essiccamento delle cocciniglie femmine, conteneva l’acido carminio, che produce il tipico colore omonimo. Nelle pitture murarie si continuava a usare l’ocra rossa: un mirabile esempio di quest’uso si trova a Pompei, nella Villa dei Misteri, dove vivaci e realistiche raffigurazioni di un colore rosso unico che, dalla scoperta della villa nel 1909, venne chiamato “Rosso Pompeiano”.
Ma i classici pigmenti rossi non si basano su minerali ferrosi, la cui tonalità è più vicina al colore della terra che al rosso vivo. Per molti secoli, il rosso della tavolozza proveniva da composti di altri due metalli: piombo e mercurio. Il pigmento conosciuto come “piombo rosso” era creato dapprima corrodendo il piombo con fumi di aceto, poi rendendo la sua superficie bianca, e infine riscaldando quel materiale all’aria. Per Plinio, qualsiasi rosso brillante era chiamato “minium”, ma nel Medioevo il termine latino era più o meno sinonimo di piombo rosso, molto usato nell’illustrazione dei manoscritti. Dal verbo miniare (dipingere in minium) si ottiene il termine “miniatura”. Il minio di Plinio era un altro pigmento rosso, chiamato cinabro, un minerale naturale (solfuro di mercurio).
Nel Medioevo, gli artigiani erano in grado di ottenere artificialmente il solfuro di mercurio, combinando il mercurio liquido e lo zolfo giallo in forma minerale, riscaldandoli in un recipiente sigillato. Questo processo dava un pigmento di qualità superiore a quella del cinabro naturale. Questo “cinabro artificiale” divenne noto con il nome di vermiglio; l’etimologia deriva dal latino vermiculum (“piccolo verme”), poiché un tempo si estraeva un rosso brillante da una specie di insetto schiacciato. Non un pigmento quindi, ma un colorante traslucido di colore scarlatto, che derivava da una sostanza organica a base di carbonio che producono gli insetti. Tali coloranti erano anche conosciuti come “kermes”, la radice etimologica del cremisi.
Il costo del colore rosso era talmente elevato che ben presto divenne simbolo di ricchezza e potere. I coloranti rossi erano associati alla maestà, all’opulenza, allo status elevato e all’importanza del personaggio: era utilizzato per le vesti dei cardinali. L’aumento della richiesta di verosimiglianza nel Rinascimento significava che la tonalità arancione del piombo rosso o del vermiglio non era più adeguata.
Un’alternativa era quella di trasformare i coloranti in un pigmento: con un processo chimico utilizzando l’allume minerale si otteneva una polvere rosso scuro. Il pigmento era chiamato “lago”, dalla parola (lac o lack) usata per una resina rossa che secernono degli insetti indigeni dell’India e del sud-est asiatico. Uno dei migliori laghi rossi del tardo Medioevo e Rinascimento nasceva da un colorante estratto dalla radice della pianta della robbia, tipica dell’area del Mediterraneo, da cui si ricava il colore detto “garanza” o “alizarina”, che mescolato con allume creava gli accesi colori di lacca rossa ideali per le raffinate miniature. Quando la fabbricazione dei “laghi” fu perfezionata, artisti come Tiziano e Tintoretto cominciarono a usare questi pigmenti mescolati con oli, ricavando una vernice leggermente traslucida che applicavano in molti strati per ottenere una profonda tinta rosso vino che, in combinazione col blu, dava il viola. Dal Medioevo fino ai tempi moderni, il rosso usato dai pittori è non è cambiato molto. Gli impressionisti alla fine del XIX° secolo usarono con avidità dei nuovi gialli, arancioni, verdi, viola e blu resi possibili dai progressi della chimica, ma i loro rossi non erano molto diversi da quelli di Raffaello e Tiziano. Solo all’inizio del ventesimo secolo un nuovo e vibrante rosso entrò nella tavolozza artistica. La scoperta del cadmio , nel 1817 produsse dei nuovi pigmenti gialli e arancioni, ma si ottenne un rosso, solo intorno al 1890. Nel 1910 il rosso di cadmio, un colore ricco e caldo, entrò nei mercati e la sua produzione divenne economica solo quando l’azienda chimica Bayer modificò il metodo di produzione nel 1919.
Madonna del roseto
Due ante traforate in arabeschi e dorate racchiudono il dipinto. Il vestito della Madonna occupa quasi interamente la parte inferiore del quadro; si eleva a piramide lasciando apparire ai lati il roseto tra le cui foglie, su uno sfondo d'oro, appaiono i fiori rossi. La donna e il bambino sembrano emergere dal sontuoso panno rosso del vestito. La Madonna siede all’interno di un giardino fiorito in un pergolato di rose rosse e bianche, dipinte minuziosamente, tra cui si annidano i cardellini. È la “Virgo humilis”: ha il volto pallido, lo sguardo assorto, i capelli biondi sparsi sulle spalle. Maria trattiene con le mani dalle dita affusolate il Bambino, che si aggrappa al suo abito e ai suoi capelli, circondandole il collo con il braccio, come nelle icone bizantine delle “Madonne della Tenerezza”: dietro di loro si erge un gazebo di rose rosse e bianche. La Vergine indossa un immenso manto di color rosso vermiglio. È il trionfo di un colore prezioso, smaltato, anche nei due angeli in blu che reggono la corona gotica sopra il capo di Maria. La Madonna e il Bambino guardano in direzioni opposte: le teste inclinate e i tratti austeri dell'arte gotica sono sorprendentemente attenuati, se non cancellati, dal rosso brillante delle labbra dei due personaggi.
Schongauer combina i motivi della “Vergine dell'Umiltà”, seduta su una semplice panca di legno, del giardino recintato e della Rosa Mystica, adottando uno stile chiaramente influenzato dai maestri fiamminghi. La pittura religiosa medievale era piena di simbolismo: nella pala di altare le spine dei cespugli di rose personificano le spine sulla corona della passione di Gesù e la rosa rossa stessa è un fiore tradizionale della Vergine Maria (nei Salmi la Madre di Dio è spesso paragonata a un roseto o un fiore); la rosa bianca secondo la leggenda medievale, è un simbolo di morte, quindi personifica la futura Passione di Cristo. I fiori bianchi simboleggiano la purezza e l’innocenza dell'Immacolata Concezione; il trifoglio di fragole indica la trinità di Dio e le bacche rosse rappresentano il sangue di Cristo. L’opera trasmette una sottile ansia: il viso pallido di Maria sembra congelato in una calma spirituale, ma le sue dita sottili mostravano tensione, una premonizione del dramma. Madre e Figlio hanno uno sguardo malinconico, ma nella tela è racchiuso anche un messaggio di speranza: i cardellini rappresentano non solo il dolore ma anche l’anima che sopravvive alla morte, per cui la tavola è un inno alla immortalità, alla protezione della Vergine contro le pestilenze ricorrenti. Era l’anno 1473 e l’amore per la Madonna si esprimeva in tutta l’Europa con queste Vergini racchiuse in un giardino meraviglioso, anticipo del Paradiso.
Laboratorio Schongauer copia della Madonna del roseto XVI° secolo 44,3 × il 30,5 cm. Boston, Isabella Stewart Gardner Museum
L'opera originariamente era più grande (255 × 165 cm.), ma è stata ritagliata, per nascondere i danni probabilmente causati da una caduta. Una copia di dimensioni ridotte (44.5 × il 30,7 cm.), datata ai primi anni del XVI° secolo può dare un'idea del dipinto originale. Così scomparvero la parte superiore raffigurante Dio Padre e la colomba (di cui solo i raggi raggiungono la corona), le estremità del mantello e la veste della Vergine, nonché le piante rappresentate sui bordi del dipinto, tagliate a destra e a sinistra, e gran parte del letto di fragole, mostrato nella parte inferiore. Agli inizi del XX° secolo, la tavola divenne un nuovo quadro in forma di pala duplice. Le facce esterne di queste sono state poi dipinte con un'”Annunciazione”, dall'artista alsaziano Charles Martin Feuerstein. L'opera di Schongauer, che ora costituisce il pannello centrale di questa pala d'altare, è collocata all'interno di una cornice lignea policroma ad arco acuto, scolpita da Alfred Klem con fogliame e sette angeli musicali. (M.@rt)
|