L'arte di Kandinsky spiegata ai bambini, Idee per creare con l'arte astratta

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Milea
view post Posted on 28/6/2021, 07:26 by: Milea     +3   +1   -1
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Sono così tanti a zoppicare che chi cammina dritto, pare in difetto!

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Quadro con macchia rossa, 1914
Olio su tela, 130 x 130 cm
Parigi, Centre Pompidou


Non c’è niente di strano, quando si dipinge si sporca un po’ dappertutto: il colore schizza dai pennelli, sgocciola dalla tavolozza, cola dai tubetti, va a finire sul camice da lavoro, sullo straccio per pulire i pennelli, sul pavimento dello studio… in fondo quello che rimane sulla tela è il risultato di una tempesta di macchie.


Chiaro, lo studio di un pittore non può essere come quello di un musicista. Vado spesso a casa del mio amico Arnold Schönberg, il compositore. Parliamo a lungo di pittura e di musica; a volte vorremmo scambiarci i ruoli e devo ammettere che, quando gli ho fatto provare a dipingere qualcosa, Arnold se l’è cavata bene, ha un certo talento; ma è senz’altro meglio come musicista.

A lui bastano un pianoforte, dei fogli con il pentagramma e una matita: la sua arte è fatta di suoni, sensazioni, brevi segni sulla carta. La mia è materia densa, trementina, solventi, pennelli, tele e macchie… tante macchie! Be’, una buona idea è scegliersi per moglie una pittrice, come ho fatto io, così non protesta troppo per la confusione.

Se penso a come è cambiata la mia vita in pochi anni, giusto quattro o cinque, mi sembra incredibile. Ma io vengo dalla Russia, una terra di storie favolose, avventure impossibili, distanze incolmabili.

Mi pare di vedermi in uno specchio; un giovane avvocato perbene che attraversa veloce le strade di Mosca. Oh, sì! Ben avvolto in un caldo cappotto, per andare a lavorare tagliavo volentieri per la Piazza Rossa, sotto le mura di mattoni del Cremlino, guardando le antiche torri sfaccettate di San Basilio. Un segno della croce davanti all’icona, un pensiero allo zar e poi eccomi appoggiato alla ringhiera del ponte a guardare il corso della Moscova.

Sul fiume, nelle belle giornate, mi piaceva osservare i riflessi sulle increspature dell’acqua: era come veder scorrere scaglie di colore, con le sagome dorate delle cupole di chiese e campanili sempre pronte a scomporsi e ricomporsi.
Sottobraccio stringevo la mia borsa da avvocato, piena di pratiche, fogli da firmare, scartoffie di ogni genere: sarei dovuto correre in ufficio, di sicuro c’era già qualche cliente nella sala d’attesa, nervoso, impaziente.

E invece me ne stavo lì, affascinato a guardare i colori riflessi, specchiati, franti e ricomposti sul flusso del largo e lento fiume, mentre una dopo l’altra rintoccavano le campane delle chiese allineate lungo la via di Santa Barbara.
Sarei stato lì per ore: lasciandomi cullare dalle piccole onde, ripensavo alle fiabe che mi raccontavano da bambino, agli interminabili inverni innevati, alla campagna infinita, a perdita d’occhio.

Meno male che sullo stesso ponte passavano amici e colleghi: c’era sempre qualcuno pronto a darmi uno strattone, a chiamarmi, a spedirmi in quell’ufficio severo, con le lampade verdi sempre accese, i grossi mobili di legno scricchiolanti, l’inevitabile polvere dei documenti, dei faldoni, delle pratiche. E’ vero, facevo carriera, ma non era quello il mio mondo.

Finito il lavoro andavo a visitare le gallerie d’arte lungo la via Arbat. C’era di tutto: dalle antiche icone con i santi scuri e barbuti e le Madonne dal dolce volto triste ai paesaggi punteggiati da betulle; dalle vivacissime illustrazioni dei libri per bambini ai primi esperimenti dei pittori d’avanguardia, che i bravi moscoviti consideravano ridicoli sgorbi.

Un bel giorno ho deciso di mollare tutto. Era una mattina di primavera: mi sono affacciato al solito ponte e la Moscova mi è parsa bella come non mai. Il contrasto con lo studio di avvocato, con le carte accatastate sulla scrivania, con la vita d’ufficio, mi è sembrato insopportabile. Allora ho preso la mia borsa e ho rovesciato tutti i fogli giù dal ponte: hanno volteggiato un po’ a mezz’ aria, poi si sono posati sull’acqua, mescolandosi con le scaglie colorate che vedevo palpitare. Alla fine ho preso la borsa per il manico e ho gettato nel fiume anche lei, il più lontano possibile.



Curva dominante (Courbe dominante)1936
Olio su tela, 129,2 × 194,3 cm
Solomon R. Guggenheim Museum, New York


Così è cominciata la mia nuova vita: sono diventato un pittore. Un treno mi ha portato verso l’Occidente. Ho scelto la Germania anche perché avevo studiato il tedesco e qui a Monaco mi sono ambientato benissimo: visito musei e mostre, ho amici appassionati come me di pittura, di musica, di natura. All’inizio per farmi conoscere, ho dipinto illustrazioni di fiabe russe, ma poi, insieme ai miei amici August e Franz, ci siamo dedicati soprattutto al mondo della natura.

Spesso andiamo a dipingere insieme in campagna, anzi in montagna. Questa per me è stata una grande novità: intorno a Mosca, per centinaia e centinaia di chilometri, è tutta pianura, ci sono al massimo delle colline.
Qui invece si raggiungono in fretta le Alpi che, con le cime innevate, la neve e il ghiaccio, riflettono i raggi del sole e si accendono dei colori più imprevisti.

A molti piace dipingere la natura: i prati, i boschi, gli animali, le vedute. Per un po’ mi sono esercitato anch’io con questi soggetti tradizionali, ma cercando uno stile nuovo, diverso.
Ai miei occhi gli alberi, i prati, le nuvole, gli animali cominciano ad apparire semplici sagome, colpi di colore. Macchie, appunto.
Comunque per il momento si capiva ancora benissimo che si trattava di paesaggi: casette, campanili, abeti, cime innevate, laghetti… il tipico scenario delle montagne.


Striped (Rayé), November 1934
Oil with sand on canvas (81 x 100 cm)
Solomon R. Guggenheim Museum, New York


Poi un giorno è successo un fatto imprevisto: avevo appena finito di dipingere uno di questi paesaggi e, come faccio sempre, ho tolto la tela dal cavalletto e l’ho appoggiata su una seggiola vicino alla finestra, per far asciugare le tinte.

Ho ricominciato a lavorare su un’altra tela e solo qualche ora dopo ho dato di nuovo un’occhiata al quadro. Per distrazione l’avevo appoggiato al contrario, a testa in giù. Capita.

Stavo per girarlo nella posizione giusta, ma mi sono fermato di colpo: in fondo la composizione funzionava benissimo anche così. Chiaro, non si capiva assolutamente più nulla del soggetto: colline, prati, tutto era irriconoscibile a gambe all’aria. Non si vedeva altro che una costellazione di macchie, confusa eppure viva, vibrante, carica di espressività. Ogni colore era come una nota, un suono: la pittura, ho pensato allora, può essere “astratta”, proprio come la musica.


Intorno al cerchio (Autour du cercle), 2940
Olio e smalto su tela 97,2 × 146,4 cm
Solomon R. Guggenheim Museum, New York


Così, da una tela ribaltata, ho cominciato a dipingere quadri astratti. Chi vuole, può cercare significati, figure, scene. Un segno appuntito può essere il tetto di una casa, la cima di un monte, la sagoma di un abete, la freccia scoccata da un cavaliere. Ognuno è libero di interpretare, ma le mie “macchie” non sono mai casuali. Ogni colore ha un suono, dicevo, ma secondo me ha anche una forma, un valore specifico, che entra in gioco con tutti gli altri. Ci sono colori “acuti” che fanno meglio risuonare le loro qualità in una forma appuntita: il giallo, secondo me, è perfetto per i triangoli; altri colori, che si possono definire “profondi”, sono rafforzati soprattutto da forme tondeggianti: l’azzurro, per esempio, in un cerchio.


Alcuni cerchi (Einige Kreise), 1926
Olio su tela, 140,7 × 140,3 cm
Solomon R. Guggenheim Museum, New York


Quando dipingo, ora, mi sento libero: non devo più “copiare” un paesaggio, ma lascio fluttuare i colori sulla tela: segni, schizzi, forme, pennelli si incontrano, si incrociano, si scontrano. Con i miei amici musicisti, anch’io adesso posso improvvisare, permettere alle mie mani si scorrere senza dover necessariamente comporre un tema, un soggetto. Anche per questo, i titoli delle mie opere non fanno più riferimento a qualcosa di preciso, ma non nascono mai per caso: se troverete scritto “Quadro con macchia rossa”, non pensate che abbia semplicemente lasciato sgocciolare qualcosa…




Stefano Zuffi

Il mondo dipinto

Ventidue capolavori di grandi maestri
raccontano la loro storia

Ed. FeltrinelliKIDS


 
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