Milea |
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Un cesto di vimini intrecciati, con frutti e foglie in parte rinsecchiti, su uno sfondo neutro che non allude in alcun modo a un contesto ambientale, viene elevato al rango di protagonista dell’arte, un “soggetto” autonomo: sta nascendo il genere della natura morta e questa tela ne è la pietra miliare. Caravaggio raggiunge un inimitabile equilibrio tra minuziosissima, virtuosistica imitazione della realtà naturale e la struggente presenza di un sentimento intimo e poetico, la dolce consapevolezza dell’inesorabile venir meno della freschezza e della bellezza.
Nota anche con il nome di “fiscella”, l’opera è stata donata dal cardinal Del Monte a Federico Borromeo (cardinale di Milano ma, alla fine del Cinquecento, ancora residente a Roma), uno dei primi grandi collezionisti europei di nature morte: nella sua raccolta, destinata a divenire nel 1618 la Pinacoteca Ambrosiana, il cardinal Federico avrebbe voluto accostarle un’altra canestra di frutta, ma, come egli stesso scrive, “ poiché nessuna raggiungeva la bellezza di questa e la sua incomparabile eccellenza, è rimasta solitaria”.
Il dipinto è descritto con grande ammirazione nel libro intitolato Musaeum, la “guida” scritta in latino dal cardinal Borromeo per la Pinacoteca: molto curiosamente però egli parla di un cesto di “fiori” e non di frutti.
La mela, la cui polpa è intaccata da un baco, è la vera protagonista della composizione; il leggero alone marroncino intorno al foro suggerisce malinconicamente l’idea della Vanitas, la vanità dei beni terreni, tutti destinati a decomporsi. (M.@rt)
Edited by Milea - 8/8/2021, 11:38
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