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view post Posted: 13/12/2023, 11:18 by: Milea     +1IL GIORNO DOPO - Maria Lisma - PRECIOUS MOMENTS

L’uomo etico dà regole a se stesso

e il moralista dà sempre regole agli altri.


( Michela Murgia, Intervista Corpo della donna e femminismo)




view post Posted: 12/12/2023, 21:09 by: Lottovolante     +1IL FASCINO DELLE ROVINE NEL DIPINTO - ARTISTICA




Jan Wijnants
Paesaggio con una donna che guida le pecore attraverso un arco in rovina
(A Landscape with a Woman driving Sheep through a Ruined Archway)
1667
Olio su tela
35.8 × 43.5 cm
Londra, National Gallery


Jan Wijnants si è specializzato nella pittura di paesaggi che evocano la campagna intorno ad Haarlem, dove viveva e lavorava. Si trattava di un'area caratterizzata da antiche dune di sabbia ricoperte da boschi di arbusti e da pascoli aperti, intersecati da tortuose carrarecce.


Era anche disseminata di pittoresche rovine. Molti edifici erano stati distrutti dalle forze di occupazione spagnole al momento dell'assedio di Haarlem, quasi un secolo prima, e non erano mai stati ricostruiti. Queste rovine compaiono solo occasionalmente nell'opera di Wijnants, anche se questo arco lo impressionò molto. Wijnants realizzò almeno altri tre quadri con figure e animali che passano attraverso l'arco o in primo piano.


Di queste opere, questo dipinto si concentra sulle rovine più da vicino e con l'effetto più drammatico. Wijnants ha usato il muro per creare una lunga linea di demarcazione diagonale che va dal primo piano al centro del dipinto. Questa linea è enfatizzata dai tre alberi e da tre segni architettonici: i due portali e, nel bosco più lontano, la lontana guglia di una chiesa. La diagonale enfatizza anche il contrasto tra luce e buio nella composizione. Gran parte del primo piano e del muro sono in ombra profonda, mentre un cielo luminoso dietro occupa la maggior parte del resto del dipinto.


Wijnants prediligeva la rappresentazione di cieli caldi e luminosi, più evocativi del clima mediterraneo rispetto all'atmosfera più fredda e grigia della piovosa costa del Mare del Nord. In questo fu influenzato dagli artisti olandesi conosciuti come gli Italianati, che avevano viaggiato e lavorato in Italia e avevano reso popolare una visione romantica e idealizzata del paesaggio, soffusa della luce dorata del sole del sud.





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La luce bassa penetra attraverso l'arco in rovina, immergendo le pecore e la loro pastorella in un bagliore estivo e proiettando lunghe ombre nella pozza di sole al centro dell'immagine. Il contrasto tra la luce forte e l'ombra profonda è tale che, in un primo momento, potremmo non notare il secondo pastore che si è dileguato nell'ombra per recuperare un paio di randagi con il suo bastone. Questa atmosfera di pace e di quiete alla fine della giornata non è stata creata solo da Wijnants. Le figure e gli animali che sono parte integrante degli effetti di luce raffigurati sono stati aggiunti alla scena dal suo frequente collaboratore Adriaen van de Velde. Era prassi comune che un pittore specializzato aggiungesse figure a un paesaggio di un altro artista, ma in questo caso le figure sono insolitamente importanti per la scena complessiva e sono state aggiunte con particolare sensibilità. (Mar L8v)




view post Posted: 12/12/2023, 12:16 by: Milea     +1Come nacquero le rose e gli anemoni (mito greco) - Favole, miti e leggende

Come nacquero le rose e gli anemoni


(mito greco)


La leggenda greca narra di Adone, un giovane bellissimo, il favorito della dea Afrodite, tradizionalmente, il figlio dell’amore incestuoso di Smirna (Myrrha) intrattenuto per suo padre, il re siriano Theias. Affascinata dalla sua bellezza, Afrodite mise il neonato Adone in una scatola e lo consegnò alla cura di Persefone, la regina degli inferi, che poi si rifiutò di riconsegnarlo. Fu fatto un appello a Zeus, il re degli dei, che decise che Adone avrebbe dovuto trascorrere un terzo dell’anno con Persefone nel regno dei morti, un terzo con Afrodite nel regno dei vivi, e il restante terzo in un luogo a sua scelta. Afrodite, innamorata perdutamente, lo inseguiva e lo bramava, curandosi di null’altro se non di lui. Adone ricambiava tiepidamente le attenzioni della bella dea, dedicandosi invece con maggior piacere alla caccia.

La dea, presagendo il pericolo, cercò di dissuaderlo dal dare la caccia ad animali selvaggi e pericolosi come fiere, cinghiali e leoni, ma nonostante ciò, durante una battuta di caccia egli venne mortalmente ferito dall’attacco di un cinghiale selvatico, probabilmente scatenato dalla gelosia di Persefone.


Afrodite, in un impeto di passione corse in suo soccorso, ma nel farlo si ferì a causa di alcuni rovi; dal sangue fuoriuscito dalle sue ferite nacquero delle rose rosse, mentre dal sangue di Adone spuntarono gli anemoni rossi, simbolo di tristezza e di morte. Dal mito si comprende perchè alle rose rosse è stato attribuito sin dall’antichità il significato di amore profondo, capace di sconfiggere persino la morte.



John William Waterhouse (1849 - 1917)
Il risveglio di Adone (The Awakening of Adonis)
1899 -1900
olio su tela - 188 x 96 cm.
Collezione privata



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Nel linguaggio dei fiori e delle piante (tenendo in considerazione il colore e non la specie) i significati attribuiti alla rosa sono differenti:

- rossa, come da leggenda mitologica e tradizione, simboleggia l’amore e l’affetto, ma è anche il simbolo del coraggio e del rispetto;
- rosso scuro simboleggia la passione;
- bianca, è simbolo della purezza, dell’innocenza e dell’umiltà;
- rosa chiaro simboleggia la gioia e la grazia ma anche i sentimenti di simpatia e ammirazione;
- rosa simboleggia l’eleganza e la raffinatezza;
- rosa scuro/fucsia simboleggia la gratitudine;
- lilla simboleggia la regalità, la maestosità e lo splendore;
- viola simboleggia principalmente l’incanto ed il magnetismo, ma anche la ricchezza e l’abbondanza;
- gialla simboleggia l’amicizia e può essere considerata anche un augurio di buona fortuna. Il suo reale significato non ha niente a che fare quello di “gelosia” comunemente attribuitole;
- color pesca o salmone simboleggia la sincerità, la genuinità e la simpatia;
- arancione simboleggia il fascino, l’entusiasmo e l’energia;
- la rosa nera, diffusasi in tempi recenti ma che non esiste in natura, simboleggia la tristezza e la perdita ma anche la resistenza ed il coraggio;
- la rosa blu, come quella nera non esiste in natura e probabilmente per questo motivo simboleggia il mistero e l’ambiguità.




John William Waterhouse
Lo spirito della rosa (The Soul of the Rose)
1908
olio su tela - 88,3 x 59,1 cm.
Collezione privata, Los Angeles





view post Posted: 11/12/2023, 21:16 by: Cappuccine     +1L’ ermellino e la lepre (leggenda russa) - Favole, miti e leggende

L’ ermellino e la lepre


(leggenda russa)


Un giorno un candido ermellino, acquattato nella neve, spiava un topolino. Ma ecco arrivare di corsa una lepre bianca: essa non si avvide dell’ermellino e gli saltò sulla schiena.
L’ermellino, accorgendosi che qualcosa di bianco gli era salito sulla groppa, reagì vivacemente a morsi e per poco non staccò una zampa alla lepre.

La vicenda finì in tribunale, dove la lepre citò l’ermellino davanti all’orso. “Perché hai morsicato la lepre?” domandò severamente l’orso all’ermellino. “Io non sapevo che fosse una lepre. Chi potrebbe riconoscerla nella neve, tutta bianca com’è? Essa non avrebbe dovuto saltarmi addosso”.
“E tu, lepre, perché sei saltata addosso all’ermellino?”
“Io non sapevo che fosse l’ermellino. Chi potrebbe riconoscerlo in mezzo alla neve tutto bianco com’è?”



L’orso ci pensò su un po’, poi sentenziò: “L’ermellino è innocente e la lepre è senza colpa. Cosa volete che ci faccia io? Acchiappò la lepre per le orecchie e l’ermellino per la coda e li buttò fuori dal tribunale. Ma l’orso aveva le zampe molto sporche ed ecco perché da quel tempo la lepre bianca ha le orecchie nere e l’ermellino ha un ciuffo nero in cima alla coda. Così ora essi si possono riconoscere nella neve.




Piero di Cosimo
(1462 - 1521)
Venere, Marte e Cupido
1505 circa
olio su tavola di pioppo -72 x 182 cm.
Gemäldegalerie, Staatliche Museen, Berlino





view post Posted: 11/12/2023, 17:25 by: RockCafè     +1La leggenda del calendario cinese - Favole, miti e leggende

La leggenda del calendario cinese

(tradizione popolare)


Tanto e tanto tempo fa ci fu un re in Cina che volle festeggiare il capodanno in modo grandioso. Decise di invitare al banchetto non solo gli uomini ma anche tutti gli animali. Inviò quindi dei messaggeri perché chiamassero a palazzo tutti gli animali che popolano la Terra.

Venne il gran giorno e il re si mise ad aspettare gli ospiti. Il primo ad arrivare fu il Topo (Zi), seguito dal Bufalo (Chou), dalla Tigre (Yin) e dalla Lepre (Mao).
Giunsero poi il Drago (Chen), il Serpente (Si), il Cavallo (Wu), la Capra (Wei), la Scimmia (Shen), il Gallo (You), il Cane (Xu). Per ultimo arrivò il Maiale (Hai).

Il re continuò ad aspettare, ma non arrivò nessun altro animale, allora pensò di ringraziare in maniera speciale coloro che avevano accettato il suo invito. Così decise che ogni anno avrebbe avuto il nome di un animale, cominciando dal Topo, che era stato il primo ad arrivare, per finire con il Maiale, l’ultimo del gruppo. Decretò poi che alla fine dei dodici anni, il ciclo ricominciasse di nuovo. E così è stato e così è ancora oggi.




Yao Wen-han
Gioiosa Celebrazione al Nuovo Anno
(Joyous Celebration at the New Year)
dipinto del XVIII secolo
Museo del Palazzo Nazionale, Taipei



view post Posted: 11/12/2023, 11:33 by: Milea     +1I tre giorni della merla (“i trii dì de la merla”) - Favole, miti e leggende

I tre giorni della merla

(leggenda milanese)


La leggenda dei tre giorni della merla si perde nel tempo. Sappiamo solo che erano gli ultimi tre giorni di gennaio, il 29, 30 e 31, e in quei dì capitò a Milano un inverno molto rigido. La neve aveva steso un candido tappeto su tutte le strade e i tetti della città. I protagonisti di questa storia sono un merlo, una merla e i loro tre figlioletti. Erano venuti in città sul finire dell’estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova.



Claude Monet (1840 - 1926)
Neve ad Argenteuil (Neige à Argenteuil)
1875
olio su tela - 55,5 × 65 cm.
Musée National de l’Art Occidental, Tokyo


Poi, per l’inverno, avevano trovato casa sotto una gronda al riparo dalla neve che in quell’ anno era particolarmente abbondante. Il gelo rendeva difficile trovare le provvigioni per sfamarsi; il merlo volava da mattina a sera in cerca di becchime per la sua famiglia e perlustrava invano tutti i giardini, i cortili e i balconi dei dintorni. La neve copriva ogni briciola. Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia. Intanto continuava a nevicare.



Claude Monet (1840 - 1926)
Il treno nella neve. La locomotiva
1875
olio su tela - 59 x 78 cm.
Marmottan Monet Museum, Parigi


La merla, per proteggere i merlottini intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po’ di tepore. Tre giorni durò il freddo. E tre giorni stette via il merlo. Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti: erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino. Nel primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale; anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine. Da allora i merli nacquero tutti neri; i merli bianchi diventarono un’eccezione di favola. Gli ultimi tre giorni di gennaio, di solito i più freddi, furono detti “i trii dì de la merla” per ricordare l’avventura di questa famigliola di merli.




Claude Monet (1840 - 1926)
Scena di neve ad Argenteuil (Rue sous la neige, Argenteuil)
1875
olio su tela - 71,1 x 91,4 cm.
National Gallery, Londra



view post Posted: 10/12/2023, 22:29 by: Milea     +1Leggenda dei fiori di mandorlo - Fillide e Demofonte - Favole, miti e leggende


Il mandorlo nell’arte





Vincent Van Gogh (1853 - 1890)
Ramo di mandorlo in fiore (Branches of an almond tree in blossom)
febbraio 1890
olio su tela - 73,5 x 92 cm.
Van Gogh Museum, Amsterdam


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Vincent Van Gogh
Mandorlo in fiore (Almond tree in blossom)
aprile 1888
olio su tela - 48,5 × 36 cm.
Rijksmuseum, Amsterdam


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Vincent Van Gogh
Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere
marzo 1888
olio su tela - 24 x19 cm.
Van Gogh Museum, Amsterdam


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Vincent Van Gogh
Ramo di mandorlo fiorito in un bicchiere con libro
(Blossoming almond branch in a glass with a book)
marzo 1888
olio su tela - 24 x 19 cm.
Collezione Privata, Tokyo


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Théo van Rysselberghe (1862-1926)
Mandorli in fiore (Almond Trees in Blossom. Morning)
1918 circa
olio su tela - 46,5 x 65 cm.
Collezione privata




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Achille Laugé (1861-1944)
L’albero in fiore (L’arbre en fleur)
1893
olio su tela - 59,4 x 49,2 cm.
Collezione privata, Bilbao


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Achille Laugé (1861-1944)
Il frutteto dell’artista (Verger de l’artiste)
1925 circa
olio su tela - 17 x 33 cm.
Collezione privata


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Paul Cezanne
Alberi di mandorlo in Provenza (Almond Trees in Provence)
1900
Acquerello su carta - 58,5 x 47,5 cm.
Collezione privata


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Marie Egner (1850–1940)
Nel pergolato in fiore (In the blossoming bower)
1896 circa
olio su tela - 86,5 x 114,5 cm.
Collezione privata





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Henri Manguin (1874−1949)
Il mandorlo in fiore (L’amandier en bleurs)
1907
olio su tela - 65 x 81 cm.
Collezione privata, Svizzera





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Pierre Bonnard
Il mandorlo (L’amandier)
1930 circa
olio su tavola - 51,1 x 34,9 cm.
Musée Bonnard, Le Cannet (Francia)


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Pierre Bonnard
Il mandorlo in fiore (L’amandier en fleurs)
1947
olio su tavola - 55 x 37,5 cm.
Musee National d’Art Moderne, Centre Pompidou, Parigi


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Edward Coley Burne-Jones (1833 - 1898)
L’albero del perdono (The tree of forgiveness)
1881 -1882
olio su tela - 190,5 × 106,7 cm.
Lady Lever Art Gallery, Port Sunlight (Liverpool)


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Edward Coley Burne-Jones (1833 - 1898)
Fillide e Demofonte(Phyllis and Demophoön)
1870
acquerello, guazzo su carta - 93,8 x 47,5 cm.
Birmingham Museum and Art Gallery


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John Peter Russell
Mandorlo in fiore (Almond tree in blossom -(Amandier en fleur)
1887
olio su fondo oro su tela su compensato - 46,2 x 55,1 cm.
National Gallery of Victoria, Melbourne (Australia)


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John William Godward (1861 - 1922)
Paesaggio Mandorlo rosso in fiore (Landscape. Blossoming Red Almond)
1912 circa
olio su tavola - 31,7 x 40 cm.
Collection of Vern and Judy Swanson, Springville Museum of Art (Utah)


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Sydney Thompson (1877-1973)
Mandorlo a Peille (Almond tree at Peille)
1938
olio su tela - 58,5 x 71,5 cm.
Museum of New Zealand Te Papa Tongarewa, Wellington


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Katsushika Hokusai
Cardellino, mandorlo e ciliegio piangente (serie “Piccoli fiori”)
1832 circa
silografia policroma - 25,1 x 18,2 cm.
Honolulu Museum of Art


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Alexandre Roubtzoff (1884–1949)
Mandorli (Les Amandiers)
1927
olio su tela - 80 x 107,5 cm.
Collezione privata


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Santiago Rusiñol y Prats ( 1861 - 1931 )
Mandorli in fiore a Maiorca (Almendros en flor en Mallorca)
1902
olio su tela - 118 x 137 cm.
Museo Nacional de Bellas Artes de Cuba, La Habana


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John Russell (1858-1930)
Mandorli e rovine, Sicilia (Amandiers et ruines, Sicile)
1887
olio su tela - 64,5 x 81,2 cm.
Collezione Queensland Art Gallery


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John William Waterhouse (1849 - 1917)
Raccolta dei fiori di mandorlo (Gathering almond blossoms)
1916 circa
olio su tela - 61 x 94 cm.
Collezione privata



Edited by Milea - 11/12/2023, 17:46
view post Posted: 10/12/2023, 20:43 by: Milea     +1Leggenda dei fiori di mandorlo - Fillide e Demofonte - Favole, miti e leggende

Leggenda dei fiori di mandorlo

Fillide e Demofonte


(Mitologia greca)


Demofonte, eroe greco figlio di Teseo e Fedra, si trovava in viaggio verso Troia. Durante una sosta a Tracia conobbe la principessa Fillide, figlia di Sitone, Re di Tracia. Appena i due si videro si innamorarono perdutamente. Demofonte dovette però lasciare la sua amata per andare a combattere a Troia, a fianco degli Achei. Fillide lo aspettò per dieci anni ma quando venne a conoscenza della caduta della città e della vittoria greca non vedendo l’innamorato tornare pensò che fosse morto e si lasciò morire di dolore.

La sua morte non passò inosservata alla dea Atena, che intenerita dall’amore profondo di Fillide, le diede nuovamente vita trasformandola in un albero di mandorlo. Ma Demofonte in realtà era ancora in vita, ma aveva incontrato molti ostacoli durante la navigazione sulla via del ritorno.
Una volta giunto in Tracia e saputo del destino della sua amata, si recò sul luogo dove c’era l’albero spoglio e lo abbracciò teneramente. In quell’istante dai rami iniziarono a spuntare centinaia di piccoli fiori bianchi: era Fillide che restituiva l’abbraccio ad Demofonte. L’abbraccio dei due innamorati si mostra ogni inizio di primavera a testimoniare l’amore eterno tra i due giovani. Ecco perché il fiore di mandorlo è il simbolo dell’amore.



Joaquín Sorolla y Bastida
Mandorlo in fiore (Almendro en flor)
1888 -1889
olio su tavola - 15,5 x 25,3 cm.
Madrid, Museo Sorolla





Edited by Milea - 10/12/2023, 22:07
view post Posted: 8/12/2023, 22:17 by: *stellinat*     +1Miti e leggende sulle origini del mondo e dell'uomo - Favole, miti e leggende

L’origine del mondo secondo il popolo Bantu


( mito africano)


In origine la terra era interamente coperta da acque primordiali e oscure. In questo mare tenebroso, immerso nella solitudine, viveva il divino gigante bianco MBOMBO (detto anche Bumba).
Improvvisamente Mbombo sentì un intenso dolore allo stomaco che lo portò a vomitare il sole, così venne creata la prima luce che squarciò le tenebre e portò il giorno. Il sole fece evaporare parte delle acque primordiali che si trasformarono in nuvole, con l’abbassarsi del livello del mare emersero le prime terre, descritte come colline tondeggianti.
Un’altra fitta causò al divino Mbombo un secondo rigetto con il quale creò la luna e le stelle, differenziando così il giorno dalla notte. Un terzo rigurgito fece apparire sulla terra nove animali:

Il leopardo (Koy Bumba);
L’aquila (Put Bumba);
Il coccodrillo (Ganda Bumba) dal quale derivano serpenti e iguane;
Il pesce (Yo Bumba) dal quale derivano tutti i pesci del mare;
La tartaruga (Kono Bumba);
Il gatto nero (Tsetse Bumba);
L’airone bianco (Nyanyi Bumba) dal quale derivano tutti gli uccelli tranne uno;
Lo scarafaggio (non ci è pervenuto il nome) dal quale derivano tutti gli insetti;
La capra (Budi) dalla quale derivano tutti gli animali cornuti.

Mbombo pose sulla terra gli uomini, tra essi scelse una guida che chiamò LOKO YIMA.
Tre dei figli di Mbombo decisero di completare la creazione del padre: NYONYE NGANA creò le formiche bianche ma dopo questo atto morì, questi insetti presero come dimora le profondità della terra ivi seppellirono il loro creatore; CHONGANDA creò la prima pianta da cui si originarono tutti gli alberi, le erbe e i fiori; CHEDI BUMBA creò l’ultimo degli uccelli.
TSETSE BUMBA (il gatto nero) iniziò a nuocere alla terra e a tormentare uomini e animali, Mbombo adirato lo esiliò nel cielo dove, preso dalla frustrazione, si trasformò nel fulmine per continuare a vessare la terra. Mbombo insegnò agli uomini a ricavare il fuoco dagli alberi.
Completata la creazione egli si ritirò nei cieli lasciando la terra in eredità all’uomo e nominando Loko Yima “dio in terra”.




Figure umane e animali nelle pitture rupestri nel Drakensberg (Sudafrica)
2.400 anni fa circa




view post Posted: 8/12/2023, 20:57 by: Macinino     +1Miti e leggende sulle origini del mondo e dell'uomo - Favole, miti e leggende

La nascita del mondo


(mito finlandese)


In un tempo lontano, quando esistevano solo l’aria e il mare, Lunnotar (Ilmatar), la bella Fata della Natura “figlia dell’aria”, scese dalla sua casa tutta azzurra e cominciò a camminare sul mare. Si lasciò cullare dalle onde, facendosi trasportare dalle correnti, finché si addormentò.

Qualche tempo un’aquila enorme apparve in cielo: era stanca e cercava un luogo dove posarsi. Batteva le ali ormai senza più forza e presto sarebbe caduta fra le onde, ma Luonnotar la vide e per aiutarla sollevò un ginocchio fuori dall’acqua. L’uccello, credendo che la sporgenza fosse un'isoletta, vi si posò e vi preparò il nido. Quando tutto fu pronto vi depose sei uova d’oro e una di ferro; poi iniziò a covarle. Covò le uova un giorno, poi al secondo Luonnotar iniziò a sentire un calore sempre più forte al ginocchio, ma cercò ugualmente non muoversi e di resistere, per lasciare che l’uccello covasse fino al termine le sue uova. Ma al terzo giorno il calore delle uova era così forte che la Fata non riuscì più a sopportarlo: Luonnotar non ce la fece più a star ferma e diede uno scossone al ginocchio. Le uova caddero nel mare e si ruppero.

Accadde allora una cosa meravigliosa: metà di un guscio delle uova d’oro si ingrandì e formò la volta del cielo e l’altra metà la superficie curva della Terra. I tuorli rossi formarono il Sole e le stelle, il bianco diventò la Luna e i neri pezzetti dell’uovo di ferro diventarono nuvole nel cielo. Passarono gli anni e Luonnotar continuò a nuotare nelle acque calme e silenziose del mare. Poi allo
scadere del nono anno si sollevò e diede inizio alla creazione. Dove toccava con le mani sorgevano le baie e i promontori. Dove i suoi piedi premevano il terreno ecco formarsi le valli e gli abissi marini. Si distese sulla terra e con le braccia formò le pianure. Tornò nel mare e nuotando sul dorso ne cosparse la superficie di isolette e di scogli. Così nacque il mondo.



Robert Wilhelm Ekman
Ilmatar
1860
olio su tela - 79 x 111 cm.
Museo d'arte Ateneum, Helsinki (Finlandia)



stella stellastellastellastellastellastellastellastellastellastella


Napi e gli animali

(mito indiano)


Molti molti anni fa Napi era l’aiutante del Sole. Mentre il Sole riscaldava la Terra, Napi aggiustava tutto: montagne sbriciolate, fiumi bloccati… Un giorno avendo finito presto il suo lavoro e non essendo abituato a stare con le mani in mano, prese un blocco di argilla e cominciò a modellarla: uno dopo l’altro fece tutti gli animali e li distribuì qua e là per il mondo. Napi era molto soddisfatto: “Ho fatto proprio un bel lavoro! Ora non mi resta che trovare un nome per ogni animale e trasmettergli la vita, soffiandoci sopra”.

A uno a uno gli animali presero vita e popolarono tutta la Terra. In un angolino era rimasto un pezzetto di argilla, così Napi fece un’altra statuetta, la posò sulla Terra e disse: “Tu ti chiamerai… uomo!” e ci soffiò sopra. Napi tornò al lavoro dopo pochi giorni. Ma gli animali vennero da lui a lamentarsi perché aveva assegnato loro dei luoghi inadatti. Egli li ascoltò, poi trovò a tutti un nuovo posto in cui vivere.

Questa volta furono tutti soddisfatti. Quasi tutti… Nonostante la sua buona volontà, infatti, Napi non riuscì a trovare un posto che andasse bene per l’uomo. Ecco perché ancora oggi gli uomini, incontentabili, vanno dappertutto, alla ricerca di un luogo che possa andare bene.




Edited by Milea - 14/12/2023, 14:09
view post Posted: 8/12/2023, 14:00 by: RockCafè     +1Perchè il cielo è lassù (mito brasiliano) - Favole, miti e leggende

Dal Cielo alla Terra


(leggenda brasiliana)


Molto tempo fa gli Indios abitavano in Cielo e nessuno conosceva la Terra. Un giorno un cacciatore vide un armadillo e cominciò a seguirlo. L’animale si infilò nella sua tana e l’indio allora cominciò a scavare per raggiungerlo; scavò e scavò, finché il fondo del cunicolo si aprì.

L’uomo si aggrappò al bordo della voragine che si era spalancata sotto di lui, dondolando nel vuoto. In basso però vide uno spettacolo meraviglioso: un arcobaleno immenso, fatto di tante sfumature di verde. L’indio riuscì a risalire e corse subito dai suoi compagni: “Venite a vedere, si è aperto un buco su un altro mondo!”


Tutti si affacciarono alla voragine. “Sentite che profumi nuovi!” diceva uno. “Laggiù ci sono anche uccelli che cantano: ascoltate!” diceva un altro. Capirono allora che l’arcobaleno era in realtà la grande foresta; scoprirono gli alberi curvi sotto il peso dei frutti e il gran numero degli animali che popolavano la foresta.

Gli Indios decisero così di scendere sulla Terra, ma non sapevano come fare. Si riunì allora il consiglio degli anziani: “Prepariamo una fune utilizzando tutti i nostri bracciali e le collane!” sentenziò alla fine il capo. E fu così che gli Indios cominciarono a scendere; aggrappati alla fune raggiunsero la Terra e si sparpagliarono nella foresta per popolarla. Qualcuno, invece, decise di rimanere lassù. E le stelle che si vedono di notte non sono altro che i fuochi degli Indios che sono rimasti in Cielo.



Jean-François Millet (Gréville-Hague, 1814 - Barbizon, 1875)
Notte stellata (La nuit étoilée - Starry Night)
1850 - 1865
olio su tela - 65,4 × 81,3 cm.
Yale University Art Gallery, New Haven (Connecticut)




view post Posted: 6/12/2023, 15:38 by: RockCafè     +1Perchè il cielo è lassù (mito brasiliano) - Favole, miti e leggende

Perchè il cielo è lassù


(mito brasiliano)


Un tempo lontano gli indios Bakairì abitavano non solo la Terra, ma anche il Cielo. Solo che il Cielo non era così in alto come ora, ma quasi la toccava. Cielo e Terra erano così vicini che ogni persona era libera di spostarsi da una parte all’altra. Gli indios che vivevano giù in basso salivano spesso a trovare i loro amici che vivevano su nel cielo: “Come è bello qui da voi! Lo sguardo può correre lontano lontano e tutto è luminoso e brillante”.
Gli indios che vivevano su in alto scendevano sulla Terra a contraccambiare le visite: “Come è bello qui da voi! Le orecchie possono ascoltare tantissimi suoni e gli occhi vedere una moltitudine di colori”.

Purtroppo venne un tempo in cui gli indios che vivevano su nel Cielo cominciarono ad ammalarsi di una malattia, che faceva spuntare sulla loro pelle macchie di tutte le forme e di tutte le sfumature del blu. Gli indios che vivevano sulla Terra, invece, non si ammalavano e la loro pelle rimaneva come era sempre stata, fin dagli inizi dei tempi.


Coloro che vivevano su nel Cielo erano disperati: “Non possiamo più stare qua… deve essere tutta la luce che abbiamo intorno che ci fa spuntare le macchie. Deve essere tutto l’azzurro che abbiamo intorno che le colora in questo modo. Fu così che gli indios che vivevano su in alto cominciarono a scendere sulla Terra per sfuggire alla strana malattia. Uno dopo l’altro scesero tutti quanti! Il Cielo, ormai senza indios, diventò leggero leggero e, piano piano, cominciò a sollevarsi e salire sempre più in alto, fino ad arrivare dove lo vediamo ora. Ecco perché il Cielo è lassù!.



Wassily Kandinsky
Blu di cielo (Sky Blue)
1940
olio su tela -100 x 73 cm.
Centre Georges Pompidou, Parigi



view post Posted: 6/12/2023, 12:38 by: Macinino     +1La leggenda del Pesce d’aprile - Favole, miti e leggende

La leggenda del Pesce d’aprile


(leggenda popolare)


Una leggenda narra che Dio terminò la creazione del mondo proprio il primo di aprile. Finita l’opera, se ne andò in cielo lasciando gli uomini soli. Un po’ storditi e non sapendo cosa fare, alcuni si misero a cercare il cibo per sfamarsi e un posto riparato per passare la notte. Altri, meno intelligenti e più preoccupati, invece di rendersi utili cominciarono a ostacolarli.

“Questa pianta è troppo brutta! Non può essere buona da mangiare!” dicevano gli sciocchi togliendo dalle mani di un uomo intelligente una bella carota. “Questo posto è troppo buio!” dicevano i paurosi, impedendo agli uomini intelligenti di entrare in una grotta calda e ospitale.


Stanchi di essere ostacolati, gli uomini intelligenti ebbero un’idea: inviarono gli uomini sciocchi a cercare una pianta buonissima chiamata “Succulenza” che cresceva nel posto esatto dove tramonta il sole. Gli sciocchi partirono alla ricerca di questa pianta inesistente seguendo il cammino del sole, senza nemmeno sospettare che erano stati presi in giro… In verità la “succulenza” non esisteva proprio! Da allora i furbi il 1° d’Aprile sono soliti fare scherzi ai creduloni, mandandoli in giro tutto il giorno a cercare cose inutili o introvabili. L’origine del nome “pesce d’aprile” deriverebbe anche dal fatto che proprio il primo aprile il sole esce dalla costellazione dei Pesci.



Paul Klee (1879 - 1940)
Magia del pesce (Fish Magic)
1925
olio e acquerello su tela su pannello - 77,2 x 98,4 cm.
Philadelphia Museum of Art



view post Posted: 6/12/2023, 09:16 by: Milea     +1IL GIORNO DOPO - Maria Lisma - PRECIOUS MOMENTS

Il vero amore


Il vero amore non è né fisico né romantico.
Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.

Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.

La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia.

(Khalil Gibran)


Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l’impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.

Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione.

Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.

A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.

È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto. La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.

Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.

Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.

La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.

Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.

«Il vero amore non è nè fisico nè romantico.
Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia…»

Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.

Cara Giulia, grazie, per questi ventidue anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.

Addio Giulia, amore mio.






Edited by Milea - 6/12/2023, 12:18
view post Posted: 5/12/2023, 21:26 by: Milea     +1Perché gli asini hanno il muso bianco (mito arabo) - Favole, miti e leggende

Perché gli asini hanno il muso bianco

(mito arabo)


Tutti sanno che l’asino è l’animale più paziente e che più di tutti gli altri può essere caricato sino all’inverosimile. L’asino sopporta tutto: ci si rende conto di quanto si pretende da lui solo quando muore per la fatica, e allora vuol dire che era davvero troppo carico. Gli asini patiscono le maggiori pene dai bambini, soprattutto quando questi li portano al pascolo. Come si sa, i bambini lo percuotono con bastoni, gli tirano pietre, gli saltano in groppa e si fanno trasportare in cinque o sei alla volta. L'asino, sempre paziente, li lascia fare senza mai opporsi.

Ma un bel giorno, alcuni angeli si rivolsero al Signore dei Mondi e gli dissero: “Signore! Osserva l’asino. E’ l’immagine della pazienza e della resistenza. Non pensi che anche lui avrebbe diritto al Paradiso?”. Il Signore diede subito ragione agli angeli e, senza esitare, ordinò che l’asino fosse condotto in Paradiso. Gli angeli, allora, volarono subito dall’asino per comunicargli la buona notizia, prenderlo con loro e condurlo all’ingresso del Paradiso.

Appena giunti davanti alla grande e lucente porta del Paradiso, l’asino incuriosito sporse il muso per guardare, ma subito si irrigidì e non volle più proseguire. Gli angeli non capivano, non si spiegavano il suo comportamento. Provarono e riprovarono, prima delicatamente e poi con forza, a spingere la bestia al di là della porta, ma niente, non c’era verso. L’asino aveva, con circospezione, infilato solo il muso e subito si era fermato come paralizzato. Ma cosa stava succedendo? Perché l’asino non voleva in nessun modo entrare all’interno di quel mondo magicamente perfetto e felice?



Filippo Palizzi (Vasto, 1818 - Napoli, 1899)
Monelli
1872
olio su tela - 35 x 50 cm.
Pinacoteca di Palazzo Pitti, Firenze


Non passò molto che gli angeli capirono il motivo: a spaventare l’asino sino a non farlo più proseguire era stato il gran numero di fanciulli che aveva visto sporgendosi dalla porta del Paradiso. Era troppa la paura che aveva dei bambini, aveva subito tanti maltrattamenti da loro. Gli angeli, a malincuore, dovettero rinunciare a farlo entrare tra i prediletti del Paradiso e lo riaccompagnarono al suo pascolo. Appena tornato sulla terra, tutti però si accorsero del cambiamento dell’asino. L’animale non era entrato in Paradiso, ma ci aveva infilato il muso che, illuminato dalla folgorante luce divina, era diventato bianco. Fu così, che da allora, tutti gli asini nacquero con quella caratteristica. Ecco perché oggi l’asino ha il muso bianco!



Filippo Palizzi (Vasto, 1818 - Napoli, 1899)
Stalla con due asinelli e tre figure
1871
olio su tela - 45 x 62 cm.
Raccolte Frugone, Musei di Nervi, Genova




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