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| Matsuo Bashō
visto da Marguerite Yourcenar
Una grande autrice novecentesca racconta il poeta nipponico
"Il giorno e la notte sono i viaggiatori dell'eternità. Così passano gli anni. Coloro che pilotano una barca o conducono un cavallo per i campi fino a che soccombono sotto il peso della vecchiaia, viaggiano anch' essi senza tregua. Tanti grandi uomini del passato sono morti sulle strade. A mia volta sono stato tentato dal vento che sposta le nubi, colmo com' ero da tanto tempo dello stesso desiderio di errare anch' io." Così parlava il vostro poeta Basho del nostro XVII secolo. Vagabondò per le vie del nord, con i suoi sottili sandali di paglia, di cui ho recentemente calcato le orme fino al tempio di Zuigan-ji che ho visto durante un indimenticabile crepuscolo accanto al celebre sito di Matsushima, con la sua immensa cornice che è la più importante del suo tempo: poi, a Chuson-ji dove era andato a venerare il Budda nel suo santuario d' oro. A Hiraizumi in ciò che resta di un parco di epoca Heian, quasi più distante da lui che da noi, una stele porta inciso il poema che narra di un antico guerriero e il suo scudiero che ivi trovarono la morte. Le erbe altissime sono tutto ciò che resta dei sogni dei guerrieri del passato. L'esempio appena citato indica, meglio di quanto possa farlo io, in che direzione va questo colloquio. Viaggio nello spazio, quegli spazi di una volta, più lunghi dei nostri, ma dove ci si poteva impregnare meglio dello spirito dei luoghi.
Duro viaggio, durante il quale sui sentieri di pianura e sui viottoli di montagna il poeta consumava dozzine di quelle scarpette di corda e aveva le gambe tremanti di fatica e la schiena curva sotto il peso del bagaglio: anche se Basho, come noi tutti, preferiva viaggiare senza ingombri; ma doveva pure avere un mantello per proteggersi dal freddo, un kimono di cotone da indossare dopo il bagno, un cesto di viveri, l'occorrente per scrivere, senza contare - ci dice - alcuni oggetti che si conservano per dei motivi che vengono dal cuore, poiché il cuore umano è uguale dappertutto. Viaggio nello spazio ma anche nel tempo, spesso inseparabili l'uno dall'altro. Basho, nel suo povero accampamento, ascolta un cavallo legato in un angolo orinare e nitrire nella notte e pensa al mormorio che fanno i sogni dei guerrieri morti nell'erba alta ben sei secoli prima del suo passaggio in quel luogo. Ci sono tanti motivi per viaggiare, talvolta semplici, anche se in realtà molto complessi. I motivi più ovvi sono il guadagno e l'avventura, spesso indistinguibili l'uno dall'altro, anche per i mercanti delle Mille e una Notte, per Marco Polo. Oppure motivi religiosi, per convertire alla religione in cui si crede altri uomini considerati nella notte dell'errore da quei missionari francescani che si inoltrarono nel più profondo dell'impero mongolo, o da Francesco Saverio in Giappone, o dai monaci indù in Cina, o da quelli cinesi in Giappone. In altri casi, per ritrovare una patria perduta come fece Ulisse, o con la speranza, come fecero i grandi navigatori del Pacifico, di scoprire un'isola più accogliente di quella che si lasciavano appresso.
Ben presto nuove ragioni motivarono il viaggio: prima fra tutte la ricerca della conoscenza. Ulisse, come ha ben capito il moderno poeta greco Kavafis, deve trovare nei numerosi scali che lo separano da Itaca l'occasione di istruirsi e di godersi la vita. I viaggi alla ricerca della conoscenza sono di tutti i tempi, a cominciare da quelli leggendari dei greci verso l'Egitto, dei romani verso la Grecia, dei giapponesi verso la Corea o la Cina, e dei filosofi del Medioevo verso il mondo musulmano e l'Asia. Il viaggio nelle terre lontane è diventato un ingrediente indispensabile della "leggenda" dei filosofi, che si tratti di Solone o di Paracelso. In tutti i casi, lo scopo è di istruirsi vedendo il mondo così com' è e di istruirsi anche davanti alle vestigia di ciò che è stato. Nei miei scritti, due viaggiatori si impongono. Uno è l'imperatore Adriano, che sembra aver posseduto le caratteristiche essenziali dei viaggiatori di tutti i tempi. Uomo d' affari e uomo di Stato, spinto da ragioni pragmatiche a percorrere tutto il vasto mondo romano del suo tempo e le sue frontiere barbariche ma spinto anche dal suo gusto appassionato per il viaggio. Motivi validi tutt' ora, perché ogni viaggio intelligentemente intrapreso diventi una scuola di resistenza, di stupore, quasi un'ascesi, un mezzo per perdere le proprie certezze confrontandole con quelle altrui. Adriano - il greco, come veniva chiamato a Roma dai suoi detrattori - ha abbandonato la routine romana o piuttosto ha saputo integrarvi qualcos'altro, grazie sicuramente alla sua cultura, ma grazie anche ai suoi viaggi. Pare sia stato il primo uomo, il primo a noi noto, a scalare una montagna, non soltanto per motivi religiosi, come d' altronde fece sul monte Cassius in Siria, ma anche come fece sull'Etna per il semplice piacere estetico e scientifico di contemplare di lassù il sol levante. Nel contempo pellegrino, dilettante, organizzatore di spettacoli belli, e osservatore del mondo.
Nella mia isola americana di Mount Desert Island, come la chiamavano i navigatori francesi che l'hanno scoperta nel XVII secolo, si trova una montagna o piuttosto un'alta collina, che essendo l'unica prominenza sulla costa atlantica fra il Labrador e l'America centrale, produce un certo effetto. Quello è anche il territorio degli Stati Uniti che riceve per primo i raggi del mattino. Le popolazioni indiane che vivevano da queste parti presero, infatti, il nome di "popoli dell'aurora". Cinque o sei anni fa incontrai per le vie del villaggio un viaggiatore giapponese, uomo d' affari di mestiere che aveva appena scalato a piedi questa montagna per assistere alla nascita dell'alba sull'arcipelago che circonda Mount Desert Island ma anche per pregare, preghiera buddista o scintoista, per ottenere ciò di cui tutti abbiamo un gran bisogno: la pace nel mondo. Questo viaggiatore, munito dell'inevitabile apparecchio fotografico, entra nella categoria di coloro per cui il viaggio è simultaneamente una grande prodezza fisica, un'esperienza estetica personale e un punto d' incontro con il sacro. Zenon, il secondo grande viaggiatore della mia opera, è spinto a viaggiare sia dalla necessità di guadagnarsi il pane essendo medico ma anche, come spesso in quell'epoca, alchimista ed astrologo, che dal bisogno di sfuggire alle persecuzioni d' ordine morale, religioso e politico di cui era vittima.
Egli fugge da un paese all'altro fino a quando si rifugia finalmente nella morte. Il suo fine è, ancora una volta, il desiderio di liberarsi dai pregiudizi, dalle consuetudini e di trarre intelligentemente il massimo profitto dai suoi viaggi. A ciò si aggiunge il fascino della ricerca della conoscenza, per lui quasi sempre occulta o alchimica, che scopre e trova in alcuni punti del mondo particolarmente progredito all'epoca, come ad esempio il mondo musulmano della Spagna. "Chi vorrebbe morire senza avere fatto almeno il giro della sua prigione?" esclama a vent' anni il giovane Zenon, ebbro del suo primo viaggio. Egli ci mette almeno quarant' anni per fare il giro della sua prigione, prima di morire in una vera galera delle Fiandre ma la sua è la morte di un uomo libero, perché vengono integrate a giusto titolo lo studio e il viaggio fino a un punto tale, egli dice, che a momenti ha l'impressione di camminare sul mondo come su un libro aperto. Come sempre accade quando ci si addentra su questa via, la nozione stessa di esotismo, il fascino sconosciuto del luogo si dissolvono. Gli stessi mali, gli stessi errori si ritrovano dappertutto. Non vi parlo del prestigio dell'Oriente semplicemente perché non esiste. Suo cugino, Henri Maximilien, che durante la sua adolescenza ha sempre sognato l'Italia, finisce col passarvi la vita come soldato di fortuna. Egli fa, in termini più prosaici, la stessa constatazione di Zenon: "Il clima è migliore in Italia che in Fiandra, però vi si mangia peggio".
Ne è del viaggio nel tempo come di quello nello spazio. Altrove - dice Zenon - corre voce che Alessandro si ubriacasse come il primo venuto dei suoi soldatacci. Ne è dei nostri grandi uomini del passato come di Costantinopoli o di Damasco, che sono belle viste da lontano ma bisogna camminare nelle vie per vederne il pattume e i cani morti. La conoscenza dei mondi stranieri, sia nel tempo che nello spazio, ha per risultato di distruggere i limiti dello spirito e dei pregiudizi ma anche quello di smorzare gli ingenui entusiasmi che ci facevano cercare altrove un paradiso. Decisamente, siccome sono andati oltre queste due visioni dello spirito, Zenon e Henri Maximilien sono uomini liberi. Il terzo dei miei personaggi, Nathanael, uomo oscuro e che non sceglie nemmeno il viaggio di suo propria volontà è, a dire il vero, un contemplativo quasi puro. Fra i 16 e i 20 anni il caso vuole che diventi un marinaio e viaggiando dall'Inghilterra, alla Giamaica, alle Barbados, finisca col naufragare su una costa da poco scoperta di quella che diverrà più tardi la Nuova Inghilterra. Sperimenta per mesi la solitudine prima di fare ritorno per il resto della sua breve esistenza nel proprio paese d' origine, l'Olanda, dove morirà, d' altronde altrettanto solo che in quella che chiama laggiù l'Isola Perduta.
Il suo viaggio, pur non essendo stato voluto, ha fatto di quest' uomo oscuro lo stesso uomo libero di Adriano o Zenon (anche se egli ha visto un mondo ignoto che d' altronde sarebbe stato inaccessibile ai primi due). I viaggi gli hanno insegnato la diffidenza verso i luoghi comuni, le opinioni correnti del suo paese e del suo secolo ed il fondo comune di ogni avventura umana. Ormai si rende conto che l'immensa e chiassosa Amsterdam traboccante d' oro, di edifici nuovi, di gente e di affari è stata in passato una vasta pianura paludosa come quella che ha visto sulla costa est del continente americano e che forse potrebbe tornare ad esserlo un giorno, che gli scalpi dei selvaggi infilzati sulle picche sono né più e né meno orribili delle teste dei decapitati inchiodate in quell'epoca alle porte della città di Londra. Egli ha scoperto uno dei segreti della vita: l'uniformità, in ogni tempo e in ogni luogo, sotto la variazione delle apparenze. Ma sarebbe troppo bello se tutti i viaggiatori riportassero dai loro viaggi un "qualche cosa". I viaggiatori-pecore appartengono a tutti i tempi. (Testo concesso al Centro Internazionale Antinoo per l'Arte dal professore Tsutomu Iwasaki e autorizzato dall'editore Gallimard) Fonte
Edited by Milea - 19/12/2014, 17:23
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