Posts written by Lottovolante

view post Posted: 19/11/2023, 14:18     +13MARK ROTKHO - 115 opere alla Foundation Louis Vuitton - CAFFE' LETTERARIO


"Sono diventato pittore perché volevo elevare la pittura
al livello di pregnanza della musica e della poesia".

Mark Rothko



MARK ROTHKO
LA GRANDE RETROSPETTIVA A PARIGI




Quella organizzata dalla Fondation Louis Vuitton è tra le più grandi retrospettive mai dedicate a Rothko.
Centoquindici celebri opere per raccontare uno dei maggiori pittori del Novecento, dall’inizio alla fine.






Mark Rothko - No.9 (White and Black on Wine), 1958, Potomac, Glenstone Museum


Il mondo dell’immaginazione è libero da vincoli e si oppone con violenza al senso comune. È forse il più importante dei cinque punti con cui Mark Rothko (Daugavpils, 1903 – New York, 1970) e Adolph Gottlieb, con l’aiuto e la supervisione dell’amico Barnett Newman (da loro considerato il più abile con la penna) gettano le basi di una nuova estetica, nella famosa "Jewell letter" del giugno 1943. Si tratta anche anche della dichiarazione di principio che meglio resiste all’evoluzione dello stile del pittore lettone-americano e alle successive fratture e diffidenze all’interno della Scuola di New York. Rothko e Gottlieb rispondono a un articolo del critico del New York Times Edward Allen Jewell, che, recensendo la mostra collettiva della Federation of Modern Painters and Sculptors, aveva alzato le mani di fronte al Ratto di Persefone di Gottlieb, una delle sue pittografie più essenziali e scabre, e al Toro siriano di Rothko, tela surrealista e metamorfica, dove le figure sembrano contenere a stento un dramma segreto. Jewell dichiara la sua incapacità a decifrare queste opere per i suoi lettori. I due artisti replicano con una dichiarazione d’indipendenza.



Mark Rotkho - Blue and Gray, 1962, Basilea, Beyeler Collection


La mostra di Mark Rothko a Parigi

Passando in rassegna le centoquindici opere esposte alla Fondation Louis Vuitton di Parigi, in una delle maggiori retrospettive dedicate all’artista della pittura assoluta, si comprende come la libertà, nell’arte e nella vita, non arrivi mai facile. Neppure ai più dotati. Nelle sale centrali i campi di colore galleggiano, che siano densi come magma o leggeri come nuvole (magari radioattive). Sono i lavori degli anni Cinquanta e Sessanta, tele per lo più grandi e impositive, ben distanziate, per non creare attriti e disturbi; allestite più basse del solito per avvicinarsi al livello dello spettatore. Anche la luce diffusa è quasi da penombra: l’hanno voluta così Suzanne Pagé, direttrice artistica della Fondazione, e Christopher Rothko, figlio dell’artista e co-curatore della mostra. Una scelta efficace. L’atmosfera è tra Strehler e la liturgia sacra.



Mark Rotkho - No.14, 1960, San Francisco Modern Art


I campi di colore sono campi di energia. Le regioni pittoriche di Rothko vibrano nei contorni, grazie a stesure multiple, a impasti di pigmenti, all’uso sovrapposto di pennelli rigidi e morbidi. Danno una scossa allo sguardo. Nulla di facile, neanche nella tecnica. Il N. 14 del 1960, dalla collezione del MoMA di San Francisco, da sempre uno dei più fotografati e riprodotti, mette in scena un temporale interiore. Mark Rothko ha sempre rifiutato la definizione di serenità per i suoi quadri. La sua libertà è drammatica. Brucia come il fuoco. La lucentezza dei colori di Rothko non è quella della morte, come sosteneva l’amico Clyfford Still; evoca piuttosto un’ascesi dell’arte. Sempre in tensione tra morte e vita, poli che si scambiano onde di energia.



Mark Rotkho - No.21, Houston, The Menil Collection


Mark Rothko: dalle prime opere ai Multiforms

È il caso di fare un salto indietro, nella mostra e nella biografia di Rothko. All’inizio del percorso cronologico, al piano inferiore della Fondation Louis Vuitton, ad accogliere il visitatore è un autoritratto del 1936, occhiali neri, figura leggermente obliqua, colori scuri e pastosi sul marrone e il ruggine: un Caronte ombroso, che ci traghetta nel suo mondo. All’epoca del dipinto, Mark Rothko è ancora, all’anagrafe, Markus Rothkowicz (cambierà il nome pochi anni dopo per timore dell’antisemitismo crescente). La famiglia, ebrei lettoni, era arrivata negli Stati Uniti nel 1913 per sfuggire ai pogrom e per evitare che Markus e i suoi fratelli fossero arruolati a forza nell’esercito imperiale russo. Le scene urbane degli anni Trenta, per esempio i quadri dalla serie delle Subways che seguono il ritratto, hanno toni cupi e l’architettura è impiegata per stendere colori quasi piatti che mutilano la scena. Il pittore è influenzato dall’atmosfera della Grande Depressione e dall’impegno politico. Ma si avverte l’eco poetico della Unreal City di T. S. Eliot che rintocca come un’invocazione angosciosa nel poema La Terra Desolata: "Una folla scorre sul Ponte di Londra, così tanti/ non credevo che la morte ne avesse disfatti così tanti".



Mark Rothko - Ochre and Red, 1954, Washington, The Phillips Collection


Presto la sua attenzione si sposta su mondi arcaici, l’ispirazione arriva dai miti e dalla tragedia greca, le figure si nutrono del surrealismo di Dalì ed Ernst, in parte della metafisica di de Chirico. Rothko desidera una pittura che vibri oltre la figura, al ritmo della musica e della poesia. Da principio, però, le figure cambiano sotto i suoi occhi e il suo pennello, germinano e si avvinghiano come nel potente "The Omen of the Eagle" del 1942 (Il presagio dell’aquila). Poi si frammentano: diventano figure biomorfe che guardano a Mirò e ad Arshile Gorky – di cui era stato allievo – e si evolvono nella serie dei Multiforms. Questo periodo oggi conosce una nuova fortuna critica anche se non ha la compiutezza dei grandi quadri successivi. Rothko dirà che ogni rappresentazione figurativa è frutto di una mutilazione e che l’artista non può rappresentare il suo mondo con una mutilazione. C’è una spiritualità che cerca la sua via nello studente di Talmud disilluso dalle religioni ufficiali, dai precetti comandati. Ed ecco le bande di colore; ma sarebbe più giusto chiamarle "partiture di colore" dato l’amore di Rothko per la musica. Soprattutto Mozart. Eppure all’occhio e all’orecchio insieme, per sinestesia e simmetria, si presentano le variazioni Goldberg di Bach suonate al piano da Glenn Gould (meno memorabile, una colonna sonora del compositore Max Richter accompagna l’esposizione). Rothko rigettava la definizione di colorista. Non apprezzava essere inserito, come avviene di solito per consuetudine critica e per le sue frequentazioni artistiche, nell’Espressionismo astratto. "La mia arte non è astratta. Vive e respira" puntualizzava. I suoi quadri tra gli anni Cinquanta e Sessanta bruciano a fuoco lento, come altoforni dell’anima, operazioni alchemiche: il colore serve per purificare ogni carne, figura e materia.



Mark Rotkho - Slow Swirl at the Edge of the Sea, 1944, New York, MoMA


Le opere di Mark Rothko alla Fondazione Louis Vuitton

Le opere alla Vuitton vengono da istituzioni prestigiose, come la National Gallery of Art di Washington, la Phillips Collection, dai MoMA di New York e San Francisco, dalla collezione dei figli e da musei più piccoli quali il Munson di Utica; la Tate Modern di Londra ha prestato i suoi celebri Seagram Murals, che non arrivarono mai, per un ripensamento (o pentimento) del loro autore sulle pareti del mondanissimo ristorante Four Seasons di Manhattan, per il quale erano stati commissionati. Rothko aveva pensato a quadri che facessero "vomitare" ai capitalisti il loro sontuoso pasto e alla serie come a una sorta di prigione artistica, più mentale che fisica, un po’ come nell’"Angelo Sterminatore", il film di Luis Buñuel in cui i convitati di un banchetto non riescono misteriosamente ad uscire dal palazzo che li ospita. Queste stratificate, enormi tele dipinte a olio, acrilico e tempera in marroni bruciati, strisce di ruggine, rossi corrosivi non stimolano l’appetito neppure alla Fondazione Vuitton. Raccolti in una sala, sembrano rimandare a certi tappeti da meditazione tibetani e mongoli portati a dimensioni giganti. Spazio da digiuno e penitenza. Più evidenti nelle drammatiche "feste" di colore degli stessi anni i rimandi a Matisse (Rothko aveva ammirato al MoMA Lo Studio Rosso e aveva dedicato al maestro francese un omaggio nel 1954), agli affreschi di Fra’ Angelico, alle pitture murali della Villa dei Misteri di Pompei. Il rosso bruciato (e conservato) dal flusso piroclastico del Vesuvio risuonano nelle sue corde. Jason Farago – che ha recensito la mostra alla Fondation Louis Vuitton per il New York Times – ha visto in alcune tele una tentazione decorativa (per un pittore che voleva essere "fancy free"!). Si potrebbe dire che è piuttosto lo stesso sguardo che Leonardo Da Vinci aveva per le macchie sui muri. L’immagine trovata invece che l’objet trouvé.



Mark Rothko - The Omen of the Eagle, 1942, Washington, National Gallery of Art


Gli ultimi anni e il suicidio

Ogni colore e tentazione si dissolve poi nelle grandi e assorbenti superfici dei "Black on Grays". Sono gli ultimi anni della vita di Rothko: troppo facile metterli in relazione con il suo suicidio nel febbraio del 1970. In quei giorni, l’artista continuò a dipingere a colori brillanti, insieme a queste tele spoglie. Leggeva spesso poesia, il Rothko degli ultimi anni. E concludeva il lavoro titanico alla Rothko Chapel di Houston per la famiglia De Menil: un’"opera al nero" chiusa in un ottagono bizantino. A Parigi, nella stanza più alta dell’edificio progettato da Frank Gehry, cinque neri su grigio hanno insieme un afflato lirico, grazie anche all’accostamento con due statue di Alberto Giacometti, l’"Uomo che cammina" I e "Grande Femme III" (era un desiderio di Rothko esporre insieme a Giacometti all’Unesco, esaudito postumo). "The Waste Land" si chiude con tuoni che non portano pioggia sul paesaggio roccioso e un orizzonte piatto come gli ultimi quadri di Rothko. Eliot evoca tre parole in sanscrito: "Datta. Dayadhvam. Damyata". Dono, compassione, controllo di sé. Il poeta alla fine si siede su un mare calmo. I Black on Grays sotto le vele di Gehry danno un senso di speranza. Di partenza. "Poi s’ascose nel foco che gli affina": la citazione dantesca di Eliot si addice alla pittura di Rothko, i quadri finali non sono appunti del suicidio, ma la catarsi della tragedia.

Parigi, fino al 2 aprile
MARK ROTHKO
Fondation Louis Vuitton
8 Av. du Mahatma Gandhi, 75116




Mark Rotkho - Untitled (The Subway), 1937, Collection Elie et Sarah Hirschfeld



Fonte
view post Posted: 18/11/2023, 22:48     +12CIRCE DIPINTA DA JOHN WILLIAM WATERHOUSE - ARTISTICA


Circe, dai bei capelli, temibile dea della parola umana.

(Omero, Odissea 11.5)



LA STORIA DI CIRCE
SECONDO JOHN WILLIAM WATERHOUSE




Circe è uno degli affascinanti personaggi del poema epico di Omero, l'Odissea.
A causa della sua natura complessa e anticonvenzionale,
molti pittori nel corso della storia hanno cercato di ritrarla in modo unico.
Un solo pittore l'ha dipinta non solo una volta, ma in tre versioni...






John William Waterhouse
Circe
(The Sorceress)
1911
Olio su tela
86.3 x 77.2 cm
Collezione privata


Le opere del pittore inglese John William Waterhouse furono fortemente influenzate da fonti letterarie e miti antichi, tuttavia, la figura di Circe fu fonte di continua ispirazione occupando un posto speciale nel suo lavoro, visto che fu l'unico caso in cui raffigurò lo stesso personaggio per ben tre volte e in tre versioni differenti. John William Waterhouse nacque a Roma il 6 aprile 1849 da padre William e madre Isabela, entrambi pittori che iniziarono il figlio al mondo dell’arte. Pochi anni dopo la sua nascita, la famiglia decidette di trasferirsi nel quartiere South Kensington di Londra, stabilendosi a pochi passi di distanza dal neonato Victoria&Albert Museum. Nel Regno Unito, Waterhouse ebbe modo di sviluppare le sue competenze con il pennello, dapprima apprendendo i rudimenti nello studio dei genitori e poi iscrivendosi alla Royal Academy of Art a partire dal 1870. Un grande ruolo nella sua formazione, lo ebbero anche i vari musei della capitale che il giovane artista frequentò quotidianamente, riproducendo schizzi delle opere conservate alla Royal Academy e alla Dudley Gallery. Da tutte queste esperienze nacquero dunque la grande passione di Waterhouse per i soggetti presi dalla mitologia e i primi segnali di un modo di dipingere che tese verso lo stile preraffaellita.



John William Waterhouse
Ulisse e le sirene
(Ulysses and the Sirens)
1891
Olio su tela
100 x 201.7 cm
Melbourne, National Gallery of Victoria


Pur essendo un pittore dell'epoca vittoriana, Waterhouse riuscì a rimanere eclettico nella sua arte, piuttosto che abbracciare completamente lo status quo estetico del suo tempo. Si ispirò ai preraffaelliti che criticavano la posizione artistica e intellettuale della Royal Academy. Contrariamente all'idealismo, i preraffaelliti abbracciarono il naturalismo e il realismo nelle loro opere. La reazione anti-vittoriana è osservabile nella maggior parte delle opere di Waterhouse, che sono state fortemente influenzate da fonti letterarie antiche e successive. Queste includono opere teatrali, poemi epici, miti e racconti storici. I suoi capolavori canonici, come "Ulisse e le Sirene" (1891)" ed Eco e Narciso" (1903), si integrano profondamente con le narrazioni di questi personaggi.



John William Waterhouse
Eco e Narciso
(Echo and Narcissus)
1903
Olio su tela
109.2 x 189,2 cm
Liverpool, Walker Art Gallery


Chi fu Circe?

Prima di addentrarci direttamente nei dipinti, ricordiamo chi fu Circe. Suo padre era Elio, dio del Sole e custode dei giuramenti, mentre la madre Perseide era una ninfa oceanica. Circe aveva due fratelli e una sorella; Pasifae, era la regina di Creta, mentre i suoi fratelli, Eeste e Perse, erano i sovrani della Colchide. Circe aveva un'ascendenza divina e nobile ma, a differenza dei suoi fratelli, viveva su un'isola disabitata di Eea, lontano dai grandi insediamenti. In caso di arrivo di visitatori inattesi, spesso trasformava loro in animali come lupi, leoni e maiali. Se Ulisse non avesse ricevuto l'aiuto di Ermes, avrebbe subito la stessa sorte e non avrebbe mai più potuto raggiungere Itaca.

Essa in un trono mi fece sedere, dai chiovi d’argento,
istoriato, ricco; né ai piedi mancò lo sgabello.
Quindi, in un vaso d’oro mi pose un intriso, da berlo;
e, macchinando il mio male, l’aveva d’un farmaco infuso.

(Omero, Odissea, 10.312-315)




John William Waterhouse
Circe offre la coppa a Ulisse
(Circe Offering the Cup to Ulysses)
1891
Olio su tela
92 x 148 cm
Gallery Oldham


Circe offre la coppa a Ulisse

Questo capolavoro è attualmente esposto alla Gallery Oldham, nel Regno Unito. "Circe che offre la coppa a Ulisse" è probabilmente il più grande ritratto realizzato raffigurante la maga Circe, perlomeno in quanto a ricchezza della composizione e accuratezza nella rappresentazione sia dei soggetti sia dell'ambientazione. Waterhouse riuscì a raffigurarla come una donna bella e astuta, adattandola coerentemente alla sua rappresentazione nell'Odissea. L'espressione del viso e la postura dimostrano la fiducia nella sua trama e nelle sue capacità magiche; è pronta a servire il vino incantato a Ulisse senza sapere che lui ha appena ricevuto raccomandazioni e preziosi consigli da Ermes. Oltre al soggetto principale, possiamo notare due maiali, uno dietro al trono ed uno ai suoi piedi, due sue recenti vittime. Nello specchio è visibile il riflesso di Ulisse, che si trova sull'isola per salvare il suo equipaggio. Inoltre, possiamo vedere la sua nave e l'ingresso della casa di Circe, con imponenti colonne doriche.

Si bagna à pena Scilla entro à quel lago,
Lo qual pur dianzi havea la maga infetto,
Che l’iniquo veleno, e ’l verso mago
Comincia à fare il suo crudele effetto.
Quel corpo, c’havea pria si bello, e vago,
Diviene un schivo, e mostruoso obbietto.
E già nel fianco, e nelle basse membra
In ogni parte à Cerbero rassembra.

(Ovidio, Metamorfosi, 14.56-62)




John William Waterhouse
Circe Invidiosa
1892
Olio su tela
180.7 x 87.4 cm
Adelaide, Art Gallery of South Australia


Circe Invidiosa

Questo particolare ritratto mitologico si basa su un racconto contenuto ne "Le metamorfosi" di Ovidio, in cui Circe trasforma la bella ninfa Scilla in un mostro marino solamente perché il dio Glauco rifiutò le dichiarazioni d'amore dell'incantatrice nella speranza di ottenere l'amore di Scilla. Il dipinto di Waterhouse mostra Circe in piedi sull'acqua della baia mentre versa un veleno dal colore verde brillante. Sotto i suoi piedi le nuove forme di Scilla (che ora "in ogni parte à Cerbero rassembra") turbinano già nelle gorgoglianti profondità sottostanti: la trasformazione è ben avviata. Tuttavia, né la forma umana di Scilla né quella mostruosa vengono enfatizzate: è il potere dello sguardo oscuro di Circe e la gelosia tangibile a governare questa scena, mentre i colori vividi turbinano tutt'intorno alla sua figura.



John William Waterhouse
Circe
(The Sourcess)
1911-1914
Olio su tela
73.9 x 109.2 cm
Collezione privata


La maga

Esistono due versioni di "Circe" entrambe in collezioni private; nella sua terza e ultima rappresentazione, Waterhouse la ritrae nella sua casa sull'isola di Eea. Nelle prime due rappresentazioni Circe è stata ritratta con in castano scuro, mentre in questi due dipinti i suoi capelli sono di colore rosso. In quest'opera, non la vediamo commettere un'azione malvagia, ma la troviamo in uno dei suoi momenti ordinari. A differenza dei due quadri precedenti, in cui Circe è raffigurata come una donna autorevole, qui viene messa in rilievo la sua componente umana. Implementando il suo libro di incantesimi e la sua bottiglia di pozioni, Waterhouse sottolinea la sua intellettualità e la sua astuzia divina. Nel contempo, vediamo una coppa di vino che si è rovesciata; ciò può essere interpretato come la rappresentazione dei suoi sentimenti e delle sue ambizioni umane. Resta chiaro che Circe non è un personaggio che rovescia accidentalmente un oggetto; è chiaro che l'ha fatto cadere intenzionalmente e Waterhouse ne lascia una traccia nella mente degli amanti dell'arte...



Raccontano che Scilla, figlia del fiume Crateide, fosse una fanciulla bellissima.
Di lei si innamorò Glauco, che a sua volta era amato da Circe, figlia di Sole.
Scilla aveva l'abitudine di lavarsi in mare; e Circe, gelosa, avvelenò l'acqua con i suoi filtri.
Quando Scilla s'immerse, dai suoi inguini spuntarono dei cani e divenne un mostro selvaggio.
Ella poi si prese la rivincita delle offese patite:
infatti divorò i compagni di Ulisse che le sfilava vicino sulla nave.


(Fabulae, Gaio Giulio Igino)




(Mar L8v)





John William Waterhouse
Studio di Circe Invidiosa
(Study for Circe Invidiosa)
1892
Carboncino e matita
24 × 22 cm
Collezione privata

view post Posted: 17/11/2023, 22:23     +14ADAM AND EVE - Wladimir Baranoff-Rossiné - ARTE CONTEMPORANEA: il '900




Wladimir Baranoff-Rossiné
Adamo ed Eva
(Adam and Eve)
1912
Olio su tela
155 x 219.7 cm
Madrid, Colección Carmen Thyssen


Durante il suo primo soggiorno a Parigi, tra il 1910 e il 1914, l'artista ucraino Wladimir Baranoff firmò le sue opere con i nomi Daniel Rossiné o Rossiné, in modo indistinto. Solo più tardi, quando tornò in Russia dopo la Rivoluzione d'Ottobre, adottò il nome di Wladimir Baranoff-Rossiné. Alcune delle opere più famose dell'artista sono realizzazioni del primo periodo parigino, come la tela "La fucina" del 1911 (Parigi, Centre George Pompidou) e la scultura Sinfonia n. 1 del 1913 (New York, Museum of Modern Art). L'analogia tra linguaggio pittorico e musicale fu uno dei principali oggetti di sperimentazione dell'opera di Baranoff-Rossiné. "Un giovane artista russo [sic] di nome Rossiné, che si occupa della teoria della pittura e soprattutto della musica del colore, vuole incontrarti", scrive Kandinsky in una lettera a Thomas von Hartmann. Una parte importante dell'opera di Kandinsky intorno al 1912 corrisponde ai dipinti dedicati ai temi di Adamo ed Eva e dell'Apocalisse, nei quali l'artista tenta un'alternativa orfista di grande suggestione alla pittura di Robert e Sonia Delaunay, con i quali aveva una stretta e duratura amicizia.





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L'"Adamo ed Eva" della Collezione Carmen Thyssen-Bornemisza è uno dei principali dipinti del primo dei cicli, di cui si conoscono nove tele, tra cui "Il ritmo. Adamo ed Eva", la più grande, in collezione privata. Il motivo centrale di questi dipinti è il disco solare, che nel caso di "Adamo ed Eva" è legato al tema biblico del racconto della Creazione e nell'Apocalisse all'episodio opposto, quello della fine del mondo. Partendo dai dischi colorati di Delaunay, ovvero composizioni basate sull'azione sincrona di piani circolari di colore, e da dipinti del pittore francese come "La città di Parigi" (Parigi, Centre George Pompidou), Baranoff-Rossiné aggiunge alla poetica della simultaneità ritmica un materiale mitologico e cosmogonico, che si presenta in "Adamo ed Eva" come quello del divenire originario dell'universo fino alla creazione del primo uomo e della prima donna.



Vladimir Baranov-Rossiné
Il ritmo. Adamo ed Eva
(The Rhythm. Adam and Eve)
1910
Olio su tela
175 x 234 cm
Collezione privata





Vladimir Baranoff Rossiné
La fucina
(La Forge)
1911
Olio su tela
162 x 210.5 cm
Parigi, Centre George Pompidou



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Robert Delaunay
La città di Parigi
(La Ville de Paris)
1912
Olio su tela
267 x 406 cm
Parigi, Centre George Pompidou


La composizione di base degli "Adamo ed Eva" della Collezione è il risultato della gradazione di cerchi intorno al disco solare, ognuno dei quali corrisponde a un colore diverso. La geometria dei cerchi eccentrici è completata da una modulazione dei piani basata su fitomorfismi e sulla figurazione reale degli animali e di Adamo ed Eva. Come nei dipinti di Baranoff-Rossiné sullo stesso tema, in cui i cerchi sono concentrici e corrispondono in modo eloquente alla successione delle fasi della Creazione nei cinque giorni che precedono la creazione dell'uomo nella Genesi, qui, con una diversa composizione, i cerchi cromatici assumono anche un'intenzione cosmogonica. Ma la disposizione è diversa: il dipinto distingue i cerchi colorati paralleli alla superficie della tela, che appaiono come onde in espansione centrifuga, dal cerchio che, posto in un piano secante rispetto alla superficie, mostra un paesaggio fantastico che allude al Paradiso.





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Altri segmenti del cerchio si sovrappongono a questo e delineano lo spazio più vicino ad esso, dove si trovano le figure di Adamo ed Eva, la cui incarnazione sembra essere il risultato di un'estensione del divenire originario dell'universo e i cui movimenti beneficiano dell'impulso creativo dell'insieme. La figura di Adamo, tenuta quasi a mezz'aria, ricrea il modello dell'Adamo di Dürer; la rappresentazione vagamente matissiana di Eva, reclinata e con la mela nascosta sul dorso della mano sinistra, è uno dei più bei nudi dipinti da Rossiné. La risonanza della strutturazione ritmica basata su cerchi concentrici ed eccentrici che interessa l'insieme segna la composizione di questa figura, il cui ventre e i cui fianchi incarnano forme che riecheggiano la rappresentazione del disco solare situato nell'asse centrale del dipinto.


Esiste un Adamo ed Eva più piccolo (collezione privata), che potrebbe essere considerato un bozzetto o una prima approssimazione del dipinto della Collezione Carmen Thyssen-Bornemisza; le opere sui temi cosmogonici di Adamo ed Eva e dell'Apocalisse precedono direttamente l'introduzione di Baranoff-Rossiné all'arte astratta pura.





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Il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela:
quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza.

(Oriana Fallaci)





Mar L8v






view post Posted: 16/11/2023, 22:15     +16LE CHÊNE DANS LA VALLÈE - Jean-Baptiste-Camille Corot - ARTISTICA




Jean-Baptiste-Camille Corot
La quercia nella valle
(Le chene dans la vallée)
1871
Olio su tela
39.8 × 52.8 cm
Londra, National Gallery


Questa veduta è uno dei numerosi quadri che Jean-Baptiste-Camille Corot dipinse nel maggio del 1871 mentre soggiornava a Douai con l'amico Alfred Robaut. L'artista si era recato lì per sfuggire alla Comune di Parigi, un governo rivoluzionario che aveva preso il potere nel marzo di quell'anno dopo la sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana. Molti dei quadri che Corot dipinse durante il suo soggiorno nel nord della Francia riguardano luoghi specifici, come "La palude di Arleux" e "Souvenir di Palluel", ma questa particolare veduta non è stata identificata. Sembra probabile che Corot l'abbia dipinta nello studio e il titolo deriva dall'albero dominante sulla sinistra.





Jean-Baptiste-Camille Corot
La palude di Arleux
(Le marais d'Arleux)
1871
Olio su tela
27.9 × 57.2 cm
Londra, National Gallery



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Jean-Baptiste-Camille Corot
Ricordo di Palluel
(Souvenir de Palluel)
1871
Olio su tela
27 × 35 cm
Londra, National Gallery


In primo piano, tre figure sono riunite in un gruppo. Il caratteristico cappello rosso indossato dall'uomo sulla sinistra è una caratteristica comune alle figure di Corot, che introduce una nota di colore brillante in contrasto con il verde del paesaggio. Il trattamento, in particolare dell'albero e del fogliame, è molto tipico dello stile tardo di Corot. L'abbozzo preliminare degli alberi è visibile attraverso la pittura e molti dei rami precedenti, dipinti con vernice nera fluida, sono visibili sotto la superficie. Corot ha poi utilizzato una vernice marrone, simile a una glassa, per individuare il tronco dell'albero principale e gli altri rami.





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La vernice varia notevolmente di spessore: il sottobosco all'estrema sinistra è rappresentato con una vernice marrone fluida molto sottile, mentre nel cielo è stata utilizzata una vernice più spessa, come il tratto di bianco sporco che segue la linea delle colline a destra. Corot ha usato l'estremità del pennello per graffiare le forme delle erbe nella pittura in primo piano a destra (una tecnica utilizzata anche ne Le quattro ore del giorno: mezzogiorno). In un secondo momento aggiunse una serie di lumeggiature verde oliva, ad esempio lungo il bordo inferiore, con una miscela di colori che comprendeva anche il verde smeraldo. (Mar L8v)





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view post Posted: 16/11/2023, 13:57     +12CHICO IN TOP HAT - Walt Kuhn - ARTE CONTEMPORANEA: il '900


La solitudine è come una lente d’ingrandimento:
se sei solo e stai bene stai benissimo,
se sei solo e stai male stai malissimo.

(Giacomo Leopardi)





Walt Kuhn
Il ragazzo con cappello a cilindro
(Chico in Top Hat)
1948
Olio su tela
58.4 x 53.3 cm
Madrid, Colección Carmen Thyssen


"Il ragazzo con cappello a cilindro" è una delle tante rappresentazioni circensi che costituiscono una parte fondamentale della creazione pittorica di Kuhn. Uno degli esponenti di questo tema è White Clown, 1929, conservato alla National Gallery di Washington, la sua opera più nota. In questo dipinto Kuhn concepisce una robusta figura seduta di grande monumentalità, che occupa l'intera composizione, e in cui è evidente l'influenza della concezione costruttiva di Cézanne. In "Ragazzo con cappello a cilindro", invece, c'è una notevole differenza nella concezione e nella risoluzione pittorica. Il giovane clown vestito con una giacca nera e un cappello a cilindro ritaglia la sua figura stilizzata su uno sfondo grigio con ampie pieghe verticali. Il suo volto allungato e ossuto è coperto da uno spesso trucco bianco su cui spesse linee nere delineano le sopracciglia, gli occhi e le labbra.


L'intero dipinto è eseguito in una gamma ristretta di colori con cui Kuhn privilegia un trattamento tonale dagli intensi effetti luminosi. Chico è un'immagine di grande frontalità e ieraticità, la cui espressione contenuta trasmette una tesa malinconia. L'accento è indubbiamente posto sugli enormi occhi, come è caratteristico della maggior parte delle figure di Kuhn dagli anni Venti fino alla fine della sua vita, anche se non è il caso di "White Clown", in cui il pittore era più interessato al volume e alla plasticità del corpo. Qui la figura guarda fuori dal quadro, nel punto in cui si trova l'osservatore, ma l'intensità dello sguardo non è realmente rivolta verso l'osservatore o verso qualcosa di esterno, ma maschera una profonda solitudine e una crisi interiore che gli amici di Kuhn rilevarono in lui negli ultimi mesi di vita, quando tenne la sua ultima mostra alla Durand-Ruel Gallery di New York. Nel novembre 1948 ebbe un esaurimento nervoso seguito da una perforazione gastrica, in seguito alla quale morì in un ospedale statale di New York.


Il rapporto di Kuhn con il mondo dello spettacolo non fu solo una scelta pittorica sulla falsariga delle numerose rappresentazioni di arlecchini, clown, attori e circensi che si possono individuare nel Gilles di Watteau, nelle scene circensi di Degas, negli arlecchini di Picasso e nei personaggi di Rouault. Tra i pittori americani, Everett Shinn aveva raffigurato scene teatrali e di rivista, mentre Bellows e Luks avevano scelto gli incontri di boxe. La rappresentazione diretta e realistica del personaggio ricorda l'ambiente realista in cui si muoveva Walt Kuhn nei suoi primi anni. Pur non appartenendo direttamente alla schiera di Robert Henri o alla cosiddetta Ash Can School, fu in contatto e si mosse nella sua cerchia durante l'organizzazione della Independent Artists' Exhibition del 1910, che precedette di tre anni l'Armory Show. Kuhn condivide con i pittori realisti il gusto per l'osservazione diretta delle cose e, soprattutto, un forte rifiuto del conservatorismo accademico. È sempre stato un organizzatore intraprendente e abile. Il suo legame con il mondo dello spettacolo risale alla giovinezza quando, incaricato di portare i costumi ai teatri per l'azienda in cui lavorava, si intratteneva dietro le quinte. In seguito si occupò di commissioni pubblicitarie per il circo e nel 1928 collaborò con Libby Holman alla rivista Merry-Go-Round, per la quale disegnò scenografie e costumi. Per i personaggi dei suoi dipinti degli anni Venti, Trenta e Quaranta, che in genere erano professionisti dello spettacolo piuttosto che modelli, lui e la moglie disegnarono i costumi da circo o da teatro con cui dovevano essere ritratti. (Mar L8v)


view post Posted: 15/11/2023, 22:21     +12LE TRONC D'ALBRE PENCHÉ - Jean-Baptiste-Camille Corot - ARTISTICA




Jean-Baptiste-Camille Corot
Il tronco d'albero pendente
(Le tronc d'arbre penché)
1860-1865
Olio su tela
49.7 × 60.7 cm
Londra, National Gallery


Verso la fine degli anni Cinquanta del XIX secolo o all'inizio degli anni Sessanta del XIX secolo, Jean-Baptiste-Camille Corotlavorò a una serie di paesaggi di studio basati su uno dei laghi di Ville-d'Avray, vicino a Parigi, dove spesso soggiornava nella vecchia casa dei genitori. Questa veduta è particolarmente legata a un dipinto dello stesso periodo conservato alla National Gallery of Victoria di Melbourne, "L'albero piegato".





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Gli alberi in primo piano, tra cui il singolo tronco eretto sulla destra e quello che si protende attraverso il quadro, sono basati su un disegno del 1826 realizzato dall'artista durante il suo primo viaggio in Italia nel 1825-1828, "Ciuffo di alberi a Civita Castellana" (National Gallery of Art, Washington). In molte delle sue vedute correlate gli alberi in primo piano seguono fedelmente il disegno, ma qui, in una delle varianti più tarde, sono diventati stilizzati e decorativi, ridotti a elementi formali all'interno della composizione.





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Per quanto riguarda la tonalità e la manipolazione della pittura, quest'opera rappresenta un cambiamento di stile nel lavoro di Corot in questo periodo. Il colore divenne meno importante e l'artista lavorò la superficie del quadro con innumerevoli piccoli tocchi di colore per creare un effetto scintillante. Il fogliame dei rami a sinistra del gruppo principale di alberi è dipinto in questo modo, con piccole pennellate di grigio che si mescolano alla pittura del cielo.





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Jean-Baptiste-Camille Corot
L'albero pendente
(L'Arbre penché)
1855-1860
Olio su tela
44.3 × 58.5 cm
Melbourne, National Gallery of Victoria



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Jean-Baptiste-Camille Corot
Ciuffo di alberi a Civita Castellana
(Bouquet d'arbres à Civita Castellana)
1826
Penna e inchiostro bruno e grafite con lumeggiature bianche su carta vergata marrone
26.5 x 35.2 cm
Washington, National Gallery of Art



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Jean-Baptiste-Camille Corot
Ricordo di Mortefontaine
(Souvenir de Mortefortaine)
1864
Olio su tela
65 x 89 cm
Parigi, Musee du Louvre




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Jean-Baptiste-Camille Corot
Contadini sotto gli alberi all'alba
(Paysans sous les arbres à l'aube)
1840-1845
Olio su tela
27.3 × 38.8 cm
Londra, National Gallery


Sia l'uomo chino sulla sua barca che la donna che si protende verso l'albero per raccogliere ramoscelli sono motivi molto comuni nell'opera di Corot; la donna appare notoriamente in Ricordo di Mortefontaine (1864, Musée du Louvre, Parigi), ed è presente anche nel precedente "Contadini sotto gli alberi all'alba". L'interno della barca è dipinto con strisce di arancione brillante e lo stesso colore è utilizzato per il cappello della donna in piedi; si tratta di un arancione o giallo cadmio, un pigmento entrato in uso negli anni Quaranta del XIX secolo e molto utilizzato da Corot per aggiungere accenti di colore brillante alla tonalità grigio-verde predominante dei suoi paesaggi.





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I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni...



(Mar L8v)






view post Posted: 14/11/2023, 22:25     +18SOUVENIR D'UN VOYAGE À COUBRON - J.B. Camille Corot - ARTISTICA


Vorrei fare una carezza ai ricordi.
A quelli perduti, confusi, incerti.
Magari adesso hanno freddo...





Jean-Baptiste-Camille Corot
Ricordo di un viaggio a Coubron
(Souvenir d'un voyage à Coubron)
1873
Olio su tela
32.4 × 46 cm
Londra, National Gallery


Lo stagno paludoso in primo piano a sinistra si fonde con il terreno che sale verso una piccola collina a destra, dove due edifici sono incastonati dietro una fila di alberi ad alto fusto. Coubron, che si trova a est di Parigi, era la casa degli amici di Jean-Baptiste-Camille Corot, i Gratiots, dove il pittore francese fece la prima di molte visite nel 1867. All'inizio degli anni Settanta del XIX secolo Corot era un artista ricercato e di successo e nel 1872, alla ricerca della pace e della tranquillità che non era più possibile avere a Parigi, decise di far costruire un piccolo studio adiacente alla loro casa, che fu inaugurato il 15 aprile 1873. È in questo periodo che gli viene l'idea di questa veduta, ma in realtà la dipinge in maggio, dopo un piccolo schizzo, mentre soggiorna a Ville-d'Avray.





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Non era insolito per Corot dipingere paesaggi in studio in questo modo, soprattutto negli ultimi anni, e molti dei suoi "souvenir" sono ricordi di luoghi di particolare importanza che aveva visitato nel corso della sua vita. Ciò non significa, tuttavia, che tutto in questi paesaggi fosse necessariamente fedele a ciò che aveva osservato in origine, e spesso attingeva a un bagaglio di immagini per costruire una composizione.





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Le case, ad esempio, con i loro caratteristici frontoni, compaiono in molti dei suoi ultimi dipinti. Un raggruppamento molto simile, con una casa più alta affiancata da una più bassa, si trova sullo sfondo di Sollevare le reti del 1871 (Musée d'Orsay, Parigi) e un gruppo più complesso appare sullo sfondo de "L'inondazione del saliceto" di circa un anno precedente (Collezione privata), anch'esso un'evocazione di un paesaggio acquatico.




Jean-Baptiste-Camille Corot
L'inondazione del saliceto
(Inondation dans un saulie)
1870 circa
Olio su tela
48.9 x 60.3 cm
Collezione privata






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Il trattamento è tipico dello stile tardo di Corot. Mentre il cielo è dipinto in modo piuttosto consistente, il paesaggio presenta un primo strato estremamente sottile in grigio-verde, con la trama della tela che traspare dappertutto. Anche i tronchi degli alberi sono dipinti in modo molto sottile e il fogliame è stato reso con una massa di pennellate orizzontali in grigio e verde lattiginoso, creando la superficie scintillante che è così caratteristica della sua opera matura. (Mar L8v)





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view post Posted: 14/11/2023, 13:25     +16MARIO DE BIASI E MILANO. EDIZIONE STRAORDINARIA - CAFFE' LETTERARIO


MARIO DE BIASI
L'UOMO CHE POTEVA FOTOGRAFARE TUTTO IN MOSTRA A MILANO




I suoi ritratti della Milano d’antan in mostra al Museo Diocesano





Mario De Biasi, Due tranvieri guardano le corse dell'Ippodromo. Milano, anni '50.



"Mi permetto di presentarmi: ho cominciato a fotografare due anni fa
e non pretendo di mettermi in gara con gli assi dell’obiettivo.
Voglio solo dare testimonianza della mia passione per la fotografia".


Era il 1949 quando Mario De Biasi si affacciava sulle pagine del mensile Fotografia in occasione della sua prima mostra personale. Nel giro di qualche anno sarebbe diventato uno dei più importanti fotoreporter Italiani e in seguito uno degli autori più prolifici e più eclettici di sempre, testimone di mezzo secolo di storia, o come disse Enzo Biagi "l’uomo che poteva fotografare tutto".



Mario De Biasi, Gamba de legn, Milano, 1951.


A cent’anni dalla nascita di De Biase, il prossimo autunno una grande mostra ne celebrerà il talento a Milano, la sua città d’adozione. Dal 14 novembre al 21 gennaio presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini potremo ammirare settanta fotografie vintage, provini e scatti inediti provenienti dall’Archivio Mondadori e dall’Archivio De Biasi. Un'edizione straordinaria che è una finestra sull’Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche la testimonianza dei numerosi viaggi compiuti dal fotografo: dall’India a Budapest durante la rivoluzione, dal Giappone alla Siberia, fino allo sbarco sulla Luna con le celebri immagini di Neil Amstrong.



Mario De Biasi, Gli italiani si voltano (provini), Milano, 1954.


Totalmente inediti i frame che precedono e seguono l’iconico scatto Gli Italiani si voltano, realizzato nel 1954 per il settimanale di fotoromanzi Bolero Film, che Germano Celant scelse per aprire la mostra Metamorfosi dell'Italia, organizzata nel 1994 al Guggenheim di New York. L’immagine immortala un gruppo di uomini che osservano Moira Orfei, inquadrata di spalle e vestita di bianco mentre passeggia per il centro di Milano.



Mario De Biasi, Gli italiani si voltano, Milano, Moira Orfei, 1954.


"Il Duomo, la città, la gente e la moda, senza ordine o punteggiatura…", ricorda la curatrice Maria Vittoria Baravelli: "Milano è quinta e campo base, luogo di una danza infinita da cui De Biasi parte per tornare sempre, dedito a immortalare dalla Galleria ai Navigli, alla periferia, una città che negli anni Cinquanta e Sessanta si fa specchio di quell'Italia che diventa famosa in tutto il mondo".



Mario De Biasi, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano, anni Cinquanta.


Con sguardo lucido, evocativo e immediato ad un tempo, De Biasi racconta la ricostruzione e il miracolo italiano con il capoluogo lombardo come epicentro. L’esposizione si snoda attraversando idealmente la città dal centro alle periferie. Ci sono i turisti che si affacciano dal tetto del Duomo e che affollano i bar della Galleria Vittorio Emanuele II, ma anche i pendolari alla stazione ferroviaria di Porta Romana. E poi San Babila, l’Arco della Pace, scorci di una Milano oggi impossibile dove le chiatte risalgono i Navigli e tutti si meravigliano del mondo che cambia.



Mario De Biasi, Arrivo dei pendolari alla stazione di Porta Romana, Milano 1955


L’approccio autoriale di De Biasi alla fotografia si arricchisce di acume giornalistico nel 1953, quando viene assunto come fotoreporter da Epoca, celebre rivista ideata sul modello dei periodici illustrati statunitensi e animata, tra gli altri, da Aldo Palazzeschi e Cesare Zavattini. Secondo il direttore Enzo Biagi, De Biasi era l’unico in grado di garantire sempre al giornale "la foto giusta", anche se per guadagnarla doveva rischiare la vita tra pallottole e schegge di granata, come accadde nei tanti servizi bellici della sua carriera. Oppure confrontarsi con i grandi personaggi di allora tra intellettuali, attrici e artisti.

Mario De Biasi e Milano. Edizione straordinaria
sarà visitabile presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini dal 14 novembre 2023 al 21 gennaio 2024.





Mario De Biasi - Domenica d'Agosto in Viale Forlanini, Milano, 1949.



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Mario De Biasi, Un vetturino in attesa di clienti in piazza Castello, Milano 1957.

view post Posted: 13/11/2023, 21:50     +13NINFA ALLA FONTE - Lucas Cranach il Vecchio - ARTISTICA


L’erotismo è importante non per il sesso in sé, ma per il desiderio.
Il sesso è solo ginnastica, il desiderio è forza del pensiero.
E la forza del pensiero ha un potere immenso, può fare qualunque cosa...





Lucas Cranach il Vecchio
Ninfa alla fonte
(The Nymph at the Fountain)
1530-1534
Olio su tavola
75 x 120 cm
Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza


Oltre alla pittura religiosa e alla ritrattistica, Lucas Cranach il Vecchio dipinse temi mitologici in cui sviluppò un nuovo tipo di nudo femminile, lontano dai tradizionali canoni di bellezza propugnati in Italia e di natura fortemente erotica. La presente tavola era nella collezione berlinese del pittore Wilhelm Trübner, dove era conservata prima del 1918. Il dipinto fu pubblicato per la prima volta nel catalogo d'asta della collezione di quell'artista e successivamente entrò in una collezione privata in Svezia. Prima di entrare nella collezione Rohoncz apparteneva a due gallerie: la galleria Haberstock di Berlino e la galleria olandese Goudstikker di Amsterdam, dove fu infine acquistato. Alla morte del barone Hans Thyssen-Bornemisza il dipinto fu ereditato dalla figlia Margit, contessa di Batthyány, ma nel 1986 fu nuovamente acquistato dal barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza per la collezione di Villa Favorita.


Le dimensioni di questo dipinto, di altissima qualità, sono state modificate su tutti e quattro i lati. Inoltre, è stata aggiunta una fascia di circa quattro centimetri al bordo inferiore su cui la figura appoggia il piede sinistro. Il soggetto, come altri dell'opera di Cranach, è stato utilizzato per produrre versioni in cui il pittore ha cambiato e variato i dettagli dell'ambientazione e della figura. Nella composizione, in cui dominano gli elementi orizzontali, l'artista ha posto in primo piano la sua ninfa, coperta da un sottilissimo velo trasparente che le copre la testa e le avvolge il corpo.





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Questa donna riposa placidamente sul bordo di una fontana in una posa innaturale, poiché solleva leggermente la testa a causa della posizione del braccio destro e del cuscino di velluto, e gira il corpo verso lo spettatore, incrociando una gamba. Oltre all'orientamento del corpo nudo, le varie parti del paesaggio che Cranach ha utilizzato per costruirlo sono aggiunte in profondità e accentuano il carattere calmo e pacifico del dipinto attraverso la loro disposizione. Questi piani corrispondono al bordo dell'erba fitta su cui è sdraiata la ninfa, ai contorni morbidi delle colline su cui riposano i cervi e, infine, allo schermo di alberi con cui l'artista chiude l'ultima parte della composizione.





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Il soggetto ha suscitato interesse per l'intreccio di riferimenti all'antichità classica e a figure del mondo italiano. Una delle chiavi di lettura per l'identificazione di questa ninfa, la cui posa ricorda la Venere di Giorgione nella Gemäldegalerie di Dresda, oltre a quelle di Tiziano, si trova nel cartiglio in alto a sinistra, inserito nel massiccio roccioso da cui sgorga la fontana, come se fosse un'iscrizione. Il testo corrisponde a un esametro latino che è stato messo in relazione con l'inizio di un epigramma dell'umanista Giovanni Campani. Questa donna è stata identificata con la ninfa della fontana Castalia, la fonte alle cui acque poeti e filosofi si abbeveravano per trarre ispirazione.




Giorgione
Venere dormiente
(Sleeping Venus)
1508
Olio su tela
108.5 x 175 cm
Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister



Cranach ha introdotto nella composizione due oggetti: la faretra con le frecce e l'arco appeso al tronco d'albero, la cui verticalità rompe la placidità della composizione. Questi due oggetti, insieme al cervo in primo piano, potrebbero essere un'allusione a Diana cacciatrice o al Cupido che solitamente accompagna Venere. La rappresentazione della figura di Cranach in questo pannello trasmette una sensualità che viene trasmessa allo spettatore nonostante l'armonia e la pace che avvolgono la ninfa. Il pannello è stato datato da Lübbeke intorno al 1530-1534 perché rivela un allungamento delle proporzioni che richiama gli stili manieristici. (Mar L8v)



view post Posted: 12/11/2023, 21:30     +12LE QUATTRO ORE DEL GIORNO - Jean-Baptiste-Camille Corot - ARTISTICA


So poco della notte
ma la notte sembra sapere di me,
e in più, mi cura come se mi amasse,
mi copre la coscienza con le sue stelle.
Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è niente
e le congetture sopra di lei niente
e gli esseri che la vivono niente.





Jean-Baptiste-Camille Corot
Notte
(Night)
Quarto dipinto della serie "Le quattro ore del giorno"
1858
Olio su tavola
142.2 × 64.7 cm
Londra, National Gallery


Questo è l'ultimo della serie "Le quattro ore del giorno" che Jean-Baptiste-Camille Corot dipinse per l'amico artista Alexandre-Gabriel Decamps. Si tratta di un raro esempio di scena notturna dell'artista, che dipinse solo una manciata di questo tipo di vedute. Come nel "Mattino", vediamo un'unica figura, probabilmente un uomo, accompagnato da un cane. Indossa un berretto rosso - un motivo che compare in tutta la sequenza - e usa un bastone. Si percepisce il senso del viaggio verso casa alla fine della giornata.





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Quando il giorno finisce, il colore si svuota dal paesaggio e torniamo ai toni quasi monocromatici di "Mattina", ma ora in una chiave più scura. Il cielo è diventato blu scuro, diventando grigio nella parte superiore dell'immagine, ed è punteggiato di stelle bianche. Una stella molto luminosa (o una piccola luna) brilla sopra la casa più alta della collina. Le case aggrappate alla collina e la torre quadrata alludono a un paesaggio italiano - una suggestione che amplia il possibile riferimento all'Italia introdotto dalla figura del monaco della sera.





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Le visite di Corot in Italia ebbero un effetto profondo sulla sua arte. Fu a Roma, nella primavera del 1826, che iniziò a dipingere serie di vedute della stessa scena o dello stesso edificio in varie ore del giorno per mostrare le diverse condizioni di luce. Secondo il consiglio di Pierre-Henri de Valenciennes, si trattava in genere di gruppi di tre schizzi dipinti al mattino, a mezzogiorno e alla sera presto. A partire dal 1827, Corot dipinse anche quadri a coppie, da appendere insieme, che contrapponevano la luce del mattino a quella della sera. Questi paesaggi spesso includono persone che svolgono attività quotidiane adatte al momento specifico.





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Ne "Le quattro ore del giorno" questa pratica di dipingere serie si intreccia con un aspetto dell'arte di Corot che compare per la prima volta negli anni Cinquanta del XIX secolo, ovvero la pittura di souvenir ("ricordi"). Questi souvenir non erano tanto "vedute" di luoghi specifici quanto piuttosto reminiscenze poetiche di un luogo in cui il sentimento o lo stato d'animo, piuttosto che l'accuratezza topografica, erano la preoccupazione principale di Corot. Recensendo l'opera di Corot al Salon del 1861, il critico Théodore de Banville scrisse di lui: "Questo non è un pittore di paesaggi, è il poeta stesso del paesaggio...che respira la tristezza e le gioie della natura...Il legame, quel grande legame che ci rende fratelli di ruscelli e alberi, lui lo vede; le sue figure, poetiche come le sue foreste, non sono estranee al bosco che le circonda".


Sebbene "Le quattro ore del giorno" non raggiunga la piena fantasticheria poetica dei souvenir dipinti negli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo, i commenti di Banville - in particolare la sua osservazione su come le figure di Corot si trovino a proprio agio nel paesaggio - potrebbero essere applicati a questa serie. In parte un "ricordo" del periodo trascorso in Italia e un'evocazione delle foreste di Fontainebleau, "Le quattro ore del giorno" è anche una sintesi delle influenze che hanno plasmato l'arte di Corot: i paesaggi classici di Claude, le fêtes galantes della pittura francese del XVIII secolo e la pratica di schizzi a olio all'aperto. (Mar L8v)



view post Posted: 12/11/2023, 18:44     +12BOSCO DI OMA - UNIVERSO DI COLORI, FORESTA D'ARTISTA - CAFFE' LETTERARIO


AUGUSTÍN IBARROLA
FORESTA D'ARTISTA, LA RINASCITA DEL BOSQUE DE OMA




Immergersi nella bellezza del Bosco di Oma è un'esperienza unica, un luogo
in cui gli alberi parlano attraverso i colori e le forme dell'artista Agustín Ibarrola.





Quando pensiamo alla Spagna, la nostra mente ci trasporta immediatamente verso le incantevoli luci di Madrid, l’architettura innovativa di Barcellona e l’atmosfera calorosa e vibrante che pervade ogni angolo di queste città. Immaginiamo il suono delle chitarre di flamenco, i gusti intensi della paella e l’energia pulsante dei mercati all’aperto. Eppure, c’è un altro volto di questa splendida nazione, meno conosciuto ma altrettanto affascinante, che sembra quasi uscito da un libro di fiabe.


Benvenuti nei Paesi Baschi, una regione in cui la bellezza della lussureggiante vegetazione si unisce all’intenso blu del mare, creando paesaggi dalla bellezza mozzafiato. Questo territorio custodisce autentiche meraviglie naturali, con le sue maestose montagne, i fiumi e una miriade di boschi. Tra questi ce n’è uno che si distingue da tutti gli altri: il Bosco di Oma (conosciuto come “Omako Basoa” nella lingua basca). Non un bosco qualunque, ma una vera e propria opera d’arte a cielo aperto. Nel 1984, infatti, il talentuoso scultore e pittore Augustín Ibarrola lo ha trasformato in un vero e proprio capolavoro artistico. Con uno stile audace e colorato, ha dipinto alberi e rocce, creando un’opera d’arte unica nel suo genere. Oggi, questo luogo incantevole è diventato un museo naturale, in cui l’arte e la natura si fondono armoniosamente.


La magia del Bosco di Oma: un universo di colori

Il Bosco di Oma, situato nel quartiere omonimo nel comune di Kortezubi, è il simbolo di come, talvolta, l’arte possa valorizzare e reinterpretare il paesaggio naturale. Tutto ebbe inizio nel periodo tra il 1982 e il 1985, quando Agustín Ibarrola decise di fondere il suo talento con la natura. Con maestria e creatività, trasformò i tronchi degli alberi in autentiche tele viventi, creando un dialogo silenzioso e potente con il paesaggio circostante. Il risultato fu sorprendente: quarantasette rappresentazioni uniche, un’esplosione di colori e creatività.


Grande sostenitore della "land art", un movimento artistico contemporaneo nato negli Stati Uniti negli anni Sessanta, ha messo in risalto l’importanza di intervenire sulla natura non per alterarla, ma per evidenziarne la bellezza. Invece di creare opere d’arte da esporre in gallerie o musei, si utilizza il paesaggio come una tela bianca, per rendere l’arte accessibile a tutti e rifiutare l’aspetto economico e materiale della creazione artistica.


Sulle superfici degli alberi sono dipinte una serie di immagini che vanno dagli animali alle figure geometriche e umane, fino a rappresentazioni parziali come occhi e labbra. Queste opere non sono immediatamente visibili al primo sguardo. Richiedono, infatti, un’osservazione più attenta e globale, che tenga conto dell’intero perimetro dei tronchi. L’arte di Ibarrola, in questo contesto, è strutturata in modo tale da rivelare il suo pieno significato solo quando si osserva l’ambiente nel suo insieme.


Per aiutare i visitatori a sperimentare questa visione, sono stati posti segni sugli alberi che indicano il punto esatto da cui guardare. Seguendo questi indicatori, è possibile posizionarsi in modo tale da ammirare l’intera scena come l’artista l’ha concepita, scoprendo così la vera essenza del Bosco di Oma: un luogo dove arte e natura si fondono in un coinvolgente e stimolante dialogo visivo.


Il bosco di Oma: divertimento e arte a contatto con la natura

Immerso nella bellezza rigogliosa della Riserva della Biosfera di Urdaibai, a nord-est di Kortezubi, si trova il Bosco di Oma, una meraviglia artistica e naturale senza pari. Questo luogo incantevole è un vero tesoro per coloro che desiderano combinare l’amore per l’arte e l’ambiente in un’unica esperienza.


Qui, la creatività non è confinata alle pareti di un museo, ma vive e respira tra le fronde degli alberi, offrendo un modo affascinante e interattivo di connettersi con il paesaggio. In ogni angolo del bosco, si trovano nuove sorprese che stimolano l’immaginazione e la curiosità, rendendo la visita un’avventura davvero emozionante.


Infine, non potete assolutamente farvi mancare una visita alla grotta di Santimamiñe. Questo sito archeologico, considerato uno dei più importanti della provincia, si trova proprio all’inizio del percorso per il bosco di Oma, è famoso per le sue pitture rupestri, che ritraggono cervi, cavalli e orsi in un affascinante spaccato della vita preistorica. Queste opere d’arte antiche vantano oltre 14.000 anni di storia e sono state riconosciute come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2008.





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Edited by Jeanne Hebuterne - 12/11/2023, 22:00
view post Posted: 12/11/2023, 13:52     +10WILLIAM SHAKESPEARE - I SUOI DRAMMI NEI DIPINTI - ARTISTICA


7. La Tempesta

Il soggetto di questo inquietante dipinto di John William Waterhouse è Miranda, un personaggio de "La Tempesta" di William Shakespeare. Il mago Prospero, legittimo Duca di Milano, insieme alla figlia Miranda, fu esiliato per circa dodici anni in un'isola abitata da spiriti, dopo che il geloso fratello, Antonio, aiutato dal re di Napoli, Alonso, lo depose e costrinse all'esilio con la figlioletta. John William Waterhouse (1849-1917) fu un pittore inglese che abbracciò lo stile e i soggetti della Confraternita preraffaellita; di conseguenza, molte delle sue opere si ispirano alla mitologia greca antica, alle leggende arturiane e alla letteratura.



John William Waterhouse
Miranda - La tempesta
(Miranda - The Tempest)
1916
Olio su tela
100.4 x 137.8 cm
Collezione privata


Un senso di patriottismo alimentato dalla poesia di Tennyson e dall'opera di Shakespeare stimolò molti artisti britannici, tra cui Waterhouse; per questo motivo, essi volevano riferirsi alla letteratura classica del passato britannico. Questo dipinto, realizzato nel 1916, ne è un esempio, essendo una rappresentazione de "La tempesta" di William Shakespeare; è significativo che sia diventato uno dei lavori più riconosciuti di Waterhouse e l'illustrazione più popolare dell'opera.


Waterhouse aveva abbandonato i miti classici come argomento a favore delle narrazioni medievali e rinascimentali. In particolare, tendeva a concentrarsi sulle dame che stavano vivendo una rivelazione. Nell'opera, Miranda è l'unico personaggio ad apparire in scena. La ragazza viene rappresentata nel corso del dramma con preoccupazione e intensità. Waterhouse ha scelto il momento più tragico e drammatico del dramma: il naufragio. Nel dipinto non vediamo il volto di Miranda, ma possiamo percepire il suo dolore. In particolare, la donna si porta la mano al cuore per esprimere il dolore e la disperazione che prova per la perdita della vita ed allo stesso tempo, esclama:

"Se con la tua arte, mio carissimo padre, hai
messo le acque selvagge in questo scroscio, placatele.
Sembra che il cielo voglia versare pece puzzolente,
ma il mare, salendo sulla guancia del mondo,
spegne il fuoco. Oh! Ho sofferto
con quelli che ho visto soffrire: una nave coraggiosa,
che aveva, senza dubbio, qualche nobile creatura al suo interno,
ha distrutto tutto. Oh! Il grido ha battuto
contro il mio cuore. Povere anime, sono morte.
Se fossi stato un dio di potenza, avrei
avrei fatto sprofondare il mare dentro la terra, o comunque
la buona nave avrebbe dovuto inghiottire e (...)"


(William Shakespeare, La Tempesta, atto 1, scena 2.)


Nel frattempo, la rappresentazione della tempesta produce una scena spaventosa sullo sfondo. Il quadro è stato dipinto in toni freddi, sottolineando il senso di perdita e di intorpidimento; inoltre, la nave, tagliata in due dalle potenti onde, conduce lo sguardo verso gli scogli minacciosi. Questa non è stata l'unica rappresentazione di John William Waterhouse su questo tema; la sua precedente versione di Miranda, dipinta nel 1875, è molto più convenzionale e pacata, illustrando la squisita abilità dell'artista, che culminerà nel drammatico dipinto del 1916. (Mar L8v)



John William Waterhouse
Miranda
1875
Olio su tela
76 x 101.5 cm
Collezione privata



view post Posted: 11/11/2023, 22:05     +12LE QUATTRO ORE DEL GIORNO - Jean-Baptiste-Camille Corot - ARTISTICA


Quando scende la sera, ci sono sempre alcuni
istanti che non assomigliano a nient’altro...





Jean-Baptiste-Camille Corot
Sera
(Evening)
Terzo dipinto della serie "Le quattro ore del giorno"
1858
Olio su tavola
142.2 × 72.3 cm
Londra, National Gallery


Questo è il terzo della serie "Le quattro ore del giorno" che Jean-Baptiste-Camille Corot dipinse per l'amico artista Alexandre-Gabriel Decamps. È sera e i colori sono al massimo della loro ricchezza. La parte superiore del cielo è diventata di un blu più intenso, quasi turchese. Questo è il più lavorato dei quattro pannelli e si nota una maggiore definizione in tutto il quadro, ad esempio del fogliame, soprattutto in primo piano, quando le ombre iniziano a diventare più profonde. Questo è anche l'unico quadro della serie che include l'acqua (un lago), un elemento presente in molti dipinti di Corot.





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Come in "Mezzogiorno", possiamo vedere tre persone. La più vicina a noi, una figura misteriosa dal volto indistinto si allontana dal lago; impugna un grande bastone e indossa quello che sembra essere un abito da monaco marrone scuro con cappuccio, forse una veste da cappuccino. Corot dipinse per la prima volta un monaco durante il suo primo viaggio in Italia nel 1825-1828, ed essi compaiono in molti dei suoi dipinti. Sul lago stesso, due donne sono in barca sulla riva. Una, con un abito bianco e rosa, è seduta mentre l'altra, con un abito bianco e uno scialle giallo, è in piedi e tiene in mano uno strumento che potrebbe essere un mandolino; la sua cuffietta rossa fa eco alla striscia di rosso sul cappuccio del monaco.





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L'artista Claude del XVII secolo concepiva spesso i suoi dipinti come coppie e accostava spesso il mattino alla sera, creando un precedente per il lavoro di Corot. Le scene del mattino erano spesso associate agli inizi, ad esempio di viaggi o spostamenti. Le scene serali erano, non a caso, associate ad attività che si svolgevano alla fine della giornata, come le due donne che fanno musica. Il loro abbigliamento, l'ambientazione paesaggistica e la suggestione della musica conferiscono al quadro la sensazione di una festa galante, un soggetto emerso nell'arte italiana nel Cinquecento e particolarmente popolare alla corte francese di Versailles nel Settecento. Anche il luogo in cui si trova il lago, circondato da alberi alti e sinuosi, il cui fogliame svolazzante e piumato si staglia contro il cielo, ha una chiara eco della pittura rococò francese. Artisti come Watteau, Pater, Lancret e Fragonard dipinsero spesso scene di questo tipo, come ad esempio La scala dell'amore di Watteau.





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Corot amava la musica e frequentava spesso i concerti, l'opera e il balletto. Disegna spesso delle rappresentazioni e le sue opere della maturità, pur basandosi sull'osservazione della natura, ricordano spesso le scenografie. La musica è un tema presente in tutta la sua opera e alcuni dei suoi dipinti includono strumenti musicali, in particolare strumenti a corda come mandolini e violoncelli. Sebbene non fosse un musicista, Corot usava spesso metafore musicali quando parlava del suo lavoro, ad esempio paragonando le proprie capacità a quelle di un flauto che poteva suonare solo una manciata di note. Come ha commentato il suo biografo, Ėtienne Moreau-Nélaton:

"Analizzava una sinfonia come avrebbe fatto con un quadro.
Lodava un'arte che era in grado di produrre gli effetti più diversi dagli stessi motivi".




(Mar L8v)








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view post Posted: 11/11/2023, 13:50     +12EL GRECO - OLTRE CINQUANTA OPERE A PALAZZO REALE - CAFFE' LETTERARIO


EL GRECO
OLTRE CINQUANTA OPERE ESPOSTE A PALAZZO REALE





Un artista diventato un classico senza tempo.
Un pittore che ha saputo influenzare i grandi dell’arte del Novecento.
Un uomo intorno alla cui vita gravitano miti e leggende, in una parola


EL GRECO




coronacion




Con oltre cinquanta capolavori, Palazzo Reale di Milano ospita
una mostra evento a più di vent'anni dall’ultima sua presenza in Italia.







El Greco
Laocoonte
Olio su tela
137 x 172 cm
Washington, National Gallery of Art


La mostra

Per la prima volta a Milano, l’esposizione dedicata al grande pittore Doménikos Theotokópoulos, universalmente noto come El Greco (Creta, 1541 – Toledo, 1614) sarà l’occasione per ammirare l’estetica unica e iconica di un artista che ha fatto sue esperienze artistiche lontane tra loro e che ha rielaborato stili provenienti da tradizioni diverse, in un processo che lo ha reso uno dei primi grandi pittori europei della storia. Con oltre cinquanta opere del maestro cretese, la mostra vanta prestigiosi prestiti internazionali: un evento unico per scoprire l'opera dell’artista alla luce delle ultime ricerche sul suo lavoro. La mostra sarà innanzitutto un viaggio da Creta a Toledo, e ripercorrerà le tappe fondamentali di un percorso, tanto biografico quanto artistico, che va dagli esordi bizantini all’influenza dei grandi pittori rinascimentali italiani, fino alla maturità del periodo spagnolo.



El Greco
Adorazione dei Magi
Olio su tela
45 x 52 cm
Madrid, Museo Lázaro Galdia


Per la realizzazione di questo progetto espositivo, grandi musei hanno concesso in prestito per questa mostra autentici capolavori, tra i quali i celebri San Martino e il mendicante e il Laocoonte della National Gallery di Washington, il Ritratto di Jeronimo De Cevallos del Museo del Prado, le due Annunciazioni del Museo Thyssen-Bornemisza, il San Giovanni e San Francesco delle Gallerie degli Uffizi. Oltretutto la mostra vanta la presenza di opere straordinarie provenienti da istituzioni ecclesiastiche che per la prima volta arrivano in Italia, quali il Martirio di San Sebastiano della Cattedrale di Palencia, l’Espulsione dei mercanti dal tempio della Chiesa di San Ginés di Madrid e l’Incoronazione della Vergine di Illescas. La Mostra dedicata a El Greco prende le mosse dal dato biografico per proporre un nuovo sguardo sull’opera di questo artista straordinario. Riprendendo il mito di Arianna, il percorso espositivo terrà infatti costantemente a fuoco il rapporto dell’artista con i luoghi in cui ha vissuto e svilupperà il potente tema del labirinto perché la vita e l’arte di El Greco sono state una sorta di immenso romanzo di formazione ambientato tra le grandi capitali culturali del Mediterraneo.



El Greco
L'Annunciazione
1576 circa
Olio su tela
117 x 98 cm
Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza




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El Greco
L'Annunciazione
1596-1600
Olio su tela
114 x 67 cm
Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza


L'artista

Doménikos Theotokópoulos, detto El Greco, nasce a Candia, nell’isola di Creta nel 1541 e muore a Toledo nel 1614. La sua vita è stata segnata dalla costante ricerca di formule artistiche che lo portarono ad esplorare linguaggi sconosciuti e assolutamente personali. Nel 1567, dalla nativa Creta, si reca a Venezia per diventare un pittore occidentale, lasciandosi alle spalle le caratteristiche proprie delle icone. A Venezia e poi a Roma, nello squisito ambiente dei Farnese, dove acquisisce la conoscenza della statuaria antica, avviene la sua prima trasformazione divenendo pittore "alla maniera latina", uno stile caratterizzato dall’uso del colore e della macchia come base della pittura. Tuttavia, nel complesso ambiente artistico italiano, non riesce a trovare un mecenate e quindi decide di tentare fortuna in Spagna.



El Greco
San Martino e il mendicante
1597-1599
Olio su tela
193.5 x 103 cm
Washington, National Gallery of Art


Arriva a Toledo nel luglio del 1577 all’età di quarantun'anni anni, con la speranza di ottenere un incarico dal re Felipe II e di essere nominato pittore della Cattedrale di Toledo. Non è riuscito a realizzare nessuno dei suoi sogni. Il suo carattere difficile e l’originalità artistica delle sue composizioni e iconografie hanno sorpreso tutti, così come i suoi prezzi molto alti per il mercato castigliano. Nonostante ciò, Toledo gli fornì un ambiente di amici e fedeli clienti dove ebbe grandi commissioni come quello del Entierro del Señor de Orgaz, la cappella di San José o il santuario di Nuestra Señora de la Caridad a Illescas. Contemporaneamente crea una bottega, alla maniera delle botteghe veneziane, dove vengono realizzate alcune versioni delle sue opere più ricercate, come quelle di San Francesco o quelle della Maddalena in lacrime. Lontano da mode e correnti, a Toledo trova la calma necessaria per continuare ad indagare un linguaggio sempre più personale, astratto e stravagante, che si nota in opere come il Laocoonte. Alla sua morte, avvenuta il 7 aprile 1614, lascia un vasto inventario che conosciamo attraverso il figlio Jorge Manuel Theotocopoulos. Un artista dal genio eccezionale, che ha influenzato anche le età future.

ORARI E BIGLIETTI



El Greco
Il martirio di San Sebastiano
1577-1578
Olio su tela
191 x 152 cm
Palencia, Catedral-Basílica de San Antolín




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El Greco
Espulsione dei mercanti dal tempio
1610-1613
Olio su tela
106 x 104 cm
Madrid, Chiesa di San Ginés




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El Greco
Ritratto di Jeronimo De Cevallos
1613
Olio su tela
64 x 54 cm
Madrid, Museo del Prado

view post Posted: 10/11/2023, 22:00     +16LE QUATTRO ORE DEL GIORNO - Jean-Baptiste-Camille Corot - ARTISTICA


Gloria del disteso mezzogiorno
quand’ombra non rendono gli alberi,
e più e più si mostrano d’attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe.
Il sole, in alto – e un sécco greto.





Jean-Baptiste-Camille Corot
Mezzogiorno
(Noon)
Secondo dipinto della serie "Le quattro ore del giorno"
1858
Olio su tavola
142.2 × 62.2 cm
Londra, National Gallery


Questo è il secondo quadro della serie "Le quattro ore del giorno" che Jean-Baptiste-Camille Corot dipinse per l'amico artista Alexandre-Gabriel Decamps. Nel "Mattino" la fonte di luce proviene dal fondo e dalla destra del quadro. In "Mezzogiorno" la luce è aumentata e distribuita in modo più uniforme, per ottenere la massima chiarezza visiva. Nel suo libro "Éléments de perspective pratique", Pierre-Henri de Valenciennes aveva esortato i pittori a cogliere l'intensa luce del mezzogiorno, quando:

"la natura [è] preda dei fuochi divoranti dell'alta estate [e] le ombre
proiettate sono appena più lunghe dei corpi che le producono
".







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C'è anche un generale schiarimento dei toni che si nota soprattutto nei tronchi degli alberi, nel cielo blu pallido e nelle colline lontane. Come spesso faceva, Corot ha aggiunto della vernice bianca per ottenere questo risultato, una tecnica adottata da Camille Pissarro. Si nota anche una maggiore differenziazione dei colori: ad esempio, il fogliame verde-marrone scuro del "Mattino" è stato sostituito da un fogliame composto da verde e grigio chiaro. L'applicazione della pittura è ancora sommaria e in diversi punti si notano tracce di setole del pennello.





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Vicino a noi, un giovane in camicia bianca e cappello rosso appoggia il piede sinistro su una roccia mentre si aggiusta la scarpa. A differenza della figura del "Mattino, possiamo vedere il suo volto (di profilo) e il suo abbigliamento è più dettagliato. Illuminato dall'alto, non fa quasi ombra, in linea con l'osservazione di Valenciennes. Più indietro, un uomo con un bastone e una donna con un cappello bianco camminano lungo il sentiero, anche se la loro direzione di marcia non è chiara; poiché la donna (a sinistra) sembra allontanarsi da noi, mentre l'uomo sembra venire verso di noi, forse si stanno incrociando piuttosto che camminare il'uno accanto all'altra. (Mar L8v)





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