|
|
Giuseppe Abbati Marina a Castiglioncello 1863 olio su tela - 35 × 68 cm. Collezione privata
Tratto dagli studi eseguiti a Castiglioncello nell’estate del 1862, il quadro è il risultato delle meditazioni sulla resa “dell’aria della campagna”, tentate con successo da Giuseppe Abbati, quando è ospite di Diego Martelli, nella tenuta sul litorale livornese. Nella visione ampia e dilatata della baia, la grande casa di Diego, isolata sulla collina, domina il paesaggio reso aspro e malinconico dalla luminosità livida della giornata di scirocco. Come molti dei quadri riferibili a quelle prime estati trascorse a Castiglioncello, il dipinto testimonia delle nuove ricerche del pittore, volte alla resa più sobria e solenne dei toni di luce e colore.
Giuseppe Abbati Campagna a Castiglioncello 1863 circa olio su tavola - 10 x 30 cm. Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze
Come la tela intitolata “Collina maremmana” anche questa tavoletta illustra l’attività di Abbati negli anni di Castiglioncello. Nelle piccole dimensioni del supporto, l’artista riproduce, grazie all’analisi attenta e meditata, il susseguirsi dei piani fino all’orizzonte lontano, e la completezza delle sensazioni suscitate dalla giornata estiva senza sole. La tavolozza è qui tenuta su una variazione di toni molto ristretta, ma che accosta, con grande poetica, il verde cupo dei solitari pini ai marroni e ai grigi della campagna e di un cielo che pare al tramonto. Una lettura accurata dell’immagine contraddice l’apparente riduzione degli elementi figurativi: si distinguono così i pini dagli alberi da frutto, mentre le piante di granturco e una distesa di papaveri risaltano nel verde dei campi. Secondo una tecnica consueta in questi anni e che andrà accentuandosi nelle opere tarde, Abbati sceglie di lasciar trasparire le venature del legno con una stesura particolarmente magra dell'impasto pittorico.
Giuseppe Abbati Collina maremmana 1864 -1865 circa olio su tela - 35 x 68 cm. Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze
Come la tela intitolata “Campagna a Castiglioncello”, anche questo è uno degli studi di pese attenti alla resa delle sensazioni luministiche atmosferiche eseguiti durante le prime estati trascorse da Giuseppe Abbati sul litorale livornese. Il paesaggio raffigurato può ritenersi quello delle colline declinanti verso il mare presso Castiglioncello. La visione nitida e limpida del paesaggio nella giornata estiva senza sole, con le nuvole che proiettano sul terreno estese zone d’ombra, infonde un sottile senso di inquietudine all’immagine della campagna incontaminata. Il quadro, insieme a “Campagna a Castiglioncello” apparteneva a Diego Martelli, che morendo lo lasciò insieme a tutta la sua collezione al Comune di Firenze.
Giuseppe Abbati Bimbi a Castiglioncello 1862- 1863 circa olio su tavola - 11,5 x 37,5 cm. Collezione privata
Nella luminosità pulviscolare di un pomeriggio d’estate, alcuni bambini trascorrono il tempo chiacchierando fra loro. L’inquadratura ampia è costruita secondo un meditato impianto compositivo: i muri definiscono quinte prospettiche così da accentuare la visione di grande respiro della campagna affacciata sulla distesa azzurrina del mare, immagine esaltata dalla porticina in legno nel muro di fondo, aperta sull’immensità dell’orizzonte. Dei numerosi amici della “macchia”, Abbati fu tra i primi a essere ospitato nella tenuta ereditata nel 1861 da Diego Martelli a Castiglioncello, e cominciò a frequentare la zona con assiduità, tanto da decidere di trasferirvisi nel 1866, rimanendo fino al compiersi, due anni più tardi, del suo tragico destino. Qui certamente aveva trovato la bellezza di una natura incontaminata e selvaggia e grazie alla serenità dei luoghi e al fraterno supporto di cui godeva, la concentrazione necessaria alla sua arte.
Ne scaturirono capolavori assoluti di poesia, affidati a una sintassi minimale ma densa, spesso (come in questo caso, ridotti nelle dimensioni, ma scanditi con la precisione metrica di un distico. Una grazia lieve, infatti, anima questo “cerottino” (così chiama i suoi piccoli studi in una lettera a Odoardo Borrani del 20 dicembre del 1866, specchio di una felicità creativa che ha fatto supporre trattarsi di un’opera del 1862 circa, quando, da poco scoperto il luogo, il severo Abbati dovette subirne il fascino prorompente, e lavorando fianco a fianco con Borrani, gareggiò con lui a racchiudere la radiosa bellezza di quella campagna solatìa, illuminata dal riverbero accecante del sole, in piccole tavole preziose dai colori smaltati, dove la presenza umana, spesso sporadica, partecipa del variare degli accordi di colore e si fonde nella natura intorno. Il quadro faceva parte della raccolta di opere di artisti contemporanei, del pittore Cristiano Banti.
Giuseppe Abbati Veduta di Castiglioncello 1867 circa olio su tavola - 10 × 86 cm. Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze
Un lungo piano sequenza accarezza luoghi noti e lungamente contemplati: la luce ha la regia della scena, articolando spazi e volumi in un equilibrio geometrico dalle lunghe pause. La veduta, nel taglio basso e allargatissimo della tavola, è concepita come una prolungata visione di un luogo noto e amato, quasi che l’analisi rigorosa con cui l’artista definisce le case di Diego e il promontorio di Castiglioncello nella luce dorata del tramonto rifletta il tempo lento di una meditazione interiore. La scelta del supporto di dimensioni così inconsuete è tipica della ricerca svolta a Castiglioncello, tesa a creare coinvolgenti analogie sentimentali tra l’atmosfera trasognata dei paesaggi e lo stato d’animo soffuso di malinconia per la precarietà di quella quiete minata dal progresso.
Giuseppe Abbati Caletta a Castiglioncello 1862 circa olio su tavola Collezione privata
Giuseppe Abbati Il lattaio di Piagentina 1864 olio su tavola - 36 x 44 cm. Museo Civico di Castel Nuovo, Napoli
Nella luce dorata di un primo mattino solatio, un lattaio spinge il proprio carretto lungo la via segnata dai solchi delle ruote. Il senso di quiete e di semplicità, legato a consuetudini antiche, è accentuato dal cromatismo del dipinto impostato sulla gamma delle terre, accentuato da un sapiente uso della luce che si posa intensa sul muretto, sulle tegole e sii comignoli delle vecchie architetture coloniche, sulla tesa del cappello dell’uomo, e accende il rosso dei pochi papaveri nati ai bordi della via. La resa vibrante delle chiome degli alberi sullo sfondo riflette l’interesse del pittore per i dipinti di Signorini ideati a Piagentina. Nel corso del 1864, il quadro fu presentato alle mostre delle Società Promotrici di Torino, Milano e Napoli.
Giuseppe Abbati La casa di Diego Martelli a Castiglioncello 1862 olio su tela - 21 x 50 cm. Collezione Borgiotti
Giuseppe Abbati Il pergolato della casa di Diego Martelli a Castiglioncello 1866 c. olio su cartone - 16 x 30,5 cm. Collezione privata
Giuseppe Abbati Il prato dello Strozzino 1850 circa olio su tavola - 55 x 20,1 cm. Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze
Il Prato dello Strozzino è un piccolo e romantico giardino sulla collina di Bellosguardo, che offre una vista spettacolare su Firenze; il suo nome deriva non già come potrebbe sembrare da un qualche usuraio del luogo, ma fa riferimento alla prospiciente Villa dello Strozzino, appartenuta ad un ramo secondario della famiglia Strozzi, detto Strozzino proprio perché cadetto rispetto a quella che fu per diversi secoli la famiglia più ricca di Firenze, che, oltre al magnifico Palazzo omonimo nei pressi di Piazza della Repubblica, aveva enormi possedimenti nella zona tra Soffiano, Bellosguardo e Legnaia. Il piccolo Prato dello Strozzino, contrassegnato da una pigna scolpita nella pietra, è separato dalla Villa omonima da via di Monteoliveto, dalla quale si sale incrociando sul cammino il Monastero che fu dei monaci Olivetani e la chiesa dei Santi Vito e Modesto. La Villa dello Strozzino, adorna di una splendida altana a loggia, che guarda dalla parte del Prato, fu chiamata anche “Villa Le Lune” per via delle mezzelune bicorni, mutuate dallo stemma degli Strozzi, che adornano la sommità della facciata della Villa.
Giuseppe Abbati Paese datazione sconosciuta olio su tavola - 55 x 28,9 cm. Collezione privata
Giuseppe Abbati Strada di paese (o di campagna) 1860 -1862 circa olio su cartone - 17 x 22 cm. Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze
La veduta di una “Strada di paese” (o di campagna, titolo con cui figura nell’inventario della Galleria del 1949) si inserisce in un gruppo di studi degli anni 1861-1862. Qui, Abbati, dopo aver esordito con le vedute dei chiostri e dei cortili dei monumenti fiorentini, prosegue la sua ricerca negli effetti di luce e nei calibrati rapporti volumetrici, nelle strade di città, o nelle vie della campagna, come il celebrato capolavoro de “La stradina al sole”. L'impianto compositivo di quest’opera può ritenersi molto vicino alla “Stradina” e per questo va datato in un arco di tempo affine. La concisione espressiva scelta dall’artista nel suggerire con grande economia di mezzi (la pennellata magra lascia trasparire il cartone) un angolo di Toscana antica andrà proseguendo anche in opere successive come la “Via di Montughi”.
Giuseppe Abbati Via di Montughi 1863 circa olio su tavola - 22 x 13,5 cm. Collezione privata
La nitida definizione prospettica, la cura formale e compositiva, costituiscono la sigla della pittura di Abbati, che attinge ad una limpida e serena classicità, e appare spesso percorsa da una composta vena malinconica.
Nelle opere di Abbati la ricerca formale della pittura di “macchia” appare pienamente risolta nell’armonia di volumi e colori, immersi in una luce perlacea e immota, in virtù della quale il momento contingente viene sublimato ad assoluto, pur nella modesta quotidianità dei soggetti prescelti.
La perfetta impostazione architettonica della composizione risalta in alcuni dipinti su tavola di piccolo formato, come nella “Via di Montughi” dove l’orizzonte chiuso da un muro (al di sopra del quale spunta il moto ascensionale di un gruppo di scuri cipressi) e la prospettiva ribassata (a rendere il senso di fatica con cui il viandante affronta la salita), appaiono assurgere a metafora esistenziale di una visione severamente stoica delle vicende umane, toccando un’essenzialità formale che dovremo attendere quasi un secolo per ritrovare in certi paesaggi morandiani degli anni Quaranta del Novecento. (M.@rt)
Edited by Milea - 18/11/2023, 16:51
|
| |
|