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Nato a Firenze in una numerosa e modesta famiglia artigiana (il padre è scrivano di San Frediano) da ragazzino è apprendista presso un incisore di medaglie e successivamente frequenta i corsi all’Accademia di Belle Arti di Firenze fino al 1859, quando abbandona gli studi per problemi economici. Quello stesso anno tenta di arruolarsi come volontario per la seconda guerra d’ indipendenza, ma la madre glielo impedisce. Nel 1860 è fra i primi a comprendere il valore della sperimentazione macchiaiola e a condividerne il percorso formale, come ben dimostra il dipinto “Cupolino alle Cascine”,che rappresenta il momento immediatamente precedente al raggiungimento del purismo più assoluto dei “Tetti al sole”. Il taglio obliquo del primo piano, le macchie di ombra e quelle di luce che si posano anche sulla sommità della cupola e del muro, i tocchi di pennello che creano la vegetazione, rappresentano i vocaboli principali di questa fase della sperimentazione di Sernesi.
Nell’aria limpida di un primo mattino, la luce del sole lambisce il viale e gli alberi che lo costeggiano, proiettando tremule ombre sul terreno. Grazie alla sensibilità dell’artista, la maniera intensamente macchiata elaborata dai macchiaioli durante l’estate del 1860, si ingentilisce e diviene elemento strutturale e atmosferico nel felice rapporto fra la via assolata e il fresco ombroso degli alberi, il verde dei quali si trasforma in un pacato fluire dei colpi di pennello, nel biancore a fiocchi delle nuvole, che corrono nel cielo color cobalto. Alla promotrice fiorentina del 1861 Raffaello Sernesi espone “Settembre” , una delle sue primissime opere frutto dell’esperienza della macchia, il cui bozzetto è identificabile con un dipinto appartenuto a Diego Martelli, oggi noto come “Ladruncolo di fichi” . Il quadro, di impronta signoriniana, raffigura due ragazzini di campagna mentre rubano dei fichi da un orto. Il meditato rapporto fra le partiture di colore (il bianco calce dei muri, la porta rossa dell’orto, l’azzurro intenso del cielo) esaltate dalle ombre nette nella luce mediterranea, crea le dimensioni prospettiche e spaziali e al contempo suggerisce la sensazione di giocosità trepida e festosa dei ladruncoli nella giornata di fine estate.
Nel 1863 è forse per la prima volta ospite di Diego Martelli a Castiglioncello, dove esegue incantevoli vedute del litorale toscano, come nella tela in esame, e delle case contadine che appartengono all’amico mecenate. Il punto di vista ribassato e il taglio allungato del supporto impongono la visione ravvicinata del terreno arido, dove l’erba e i radi cespugli crescono a stento fra le rocce bianche. Nell’ariosa limpidezza dell’atmosfera, la luminosità gessosa degli scogli diventa l’elemento che determina la sonorità della gamma cromatica del dipinto, impostata sui meditati rapporti dei verdi e degli azzurri. Il quadro, probabilmente uno dei quattro raffiguranti paesaggi di Castiglioncello esposto alla Promotrice fiorentina del 1864, è tratto da studi eseguiti quell’estate sulla Costa degli Etruschi, a casa di Diego Martelli, di altissima qualità per le annotazioni liriche dell’atmosfera, per il tono solenne ed evocativo di quei paesaggi incontaminati. Per le celebrazioni del quinto centenario dantesco, nel 1865, esegue una medaglia a conferma di come abbia proseguito ad esercitarsi nell’arte appresa da giovinetto. SPOILER (clicca per visualizzare)
L’anno seguente, mentre lavora a un dipinto raffigurante un duello, decide di partire volontario per la terza guerra d’indipendenza. Ferito a una gamba, si oppone all’amputazione; morirà di cancrena all’ospedale civile di Bolzano. Durante il ricovero scrive lettere ad amici e familiari, indicative del suo carattere gentile e affettuoso. (M.@rt) SPOILER (clicca per visualizzare) |