Posts written by Milea

view post Posted: 11/11/2023, 12:33     +13Francesco Gioli - Passa il viatico - I Macchiaioli

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Francesco Gioli (San Frediano a Settimo di Cascina, Pisa 1846 - Firenze 1922)
Passa il viatico
1878
olio su tela - 120 x 240 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Francesco Gioli, primogenito di Ranieri e Rosa Del Panta, una famiglia benestante, avvia i propri studi di arte a Pisa sotto la guida dell’allora direttore Marianini; la morte di quest’ultimo nel 1863 lo spinge a spostarsi a Firenze dove continua gli studi seguendo gli insegnamenti di Pollastrini e successivamente di Ciseri e all’Accademia di Firenze.

Francesco-Gioli-autoritratto

Francesco Gioli
Autoritratto
1883
olio su tela - 49 x 39 cm.
Collezione privata



Esordisce con quadri di genere in costume settecentesco, che spesso raffigurano personaggi della cultura artistica e letteraria. Giovanni Fattori e Telemaco Signorini lo avviano verso il paesaggio e la pittura di soggetti campestri. Con Fattori, Niccolò Cannicci e Egisto Ferroni si reca a Parigi, rimanendovi un mese, studiando con particolare attenzione la pittura di paesaggio, anche quella della Scuola di Barbizon. L’esperienza lo induce a dedicarsi con sempre più convinzione alla pittura dei campi, distinta da un sobrio e delicato naturalismo.

Nel frattempo continua a dipingere, seppur saltuariamente, scene di genere, ora però di vita contemporanea, anzi coinvolte alla modernità, come “Giochi infantili”, dove rappresenta un brano di vita borghese immettendovi il senso della trascorrenza e dell’occasionalità, tipici di quegli anni incalzati dal progresso. Il matrimonio con la marchesa Matilde Bartolommei (1849-1932), figlia del senatore Ferdinando, contribuisce a consolidare i suoi contatti con il salotto mondano fiorentino: presso la villa di Fauglia i coniugi ospitano spesso Fattori, Telemaco Signorini e Sidney Sonnino. In questo clima amichevole e cordiale Silvestro Lega, nel 1878, ritorna a dipingere dopo le tristi vicende familiari.

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Francesco Gioli
Giochi infantili
1875
olio su tela - 69 x 45 cm.
Collezione privata






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Anche se diversi per il contenuto e i modi formali, i due generi pittorici esprimevano il comune significato: l’insofferenza nei confronti di un mondo che in vista di una presunta modernità trascura e dissipa un patrimonio culturale fatto di usi e abitudini secolari. Nascono allora altri quadri soffusi di toni evocativi e nostalgici, come “Passa il viatico”, presentato all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878, o “Ai campi in giugno”, premiato a Londra nel 1885.

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Francesco Gioli
Passa il viatico (dettaglio)


Un funerale muove lento fra i campi verso il cimitero, seguito da poche persone compunte. Un vecchio, una fanciulla, un ragazzo reagiscono diversamente a seconda dell’età all’evento: la giovane genuflessa sembra trattenere con riserbo il suo dolore, l’anziano accetta mestamente la caducità della vita, il ragazzo incapace di far fronte al proprio sentimento si appoggia fra i singhiozzi al tronco di un albero. Nella luce intensa di un crepuscolo estivo, la luna appare fra i rami e fa brillare i fiorellini delle ginestre, le foglie d’argento degli arbusti e suggerisce alla sensibilità dell’uomo moderno che la natura segue i suoi ritmi, indifferente al destino umano. La tela, presentata all’Esposizione internazionale di Parigi nel 1878, vinse la medaglia d’oro e fu particolarmente apprezzata dall’artista francese Edgar Degas.



Francesco Gioli
Passa il viatico (dettaglio)


Il critico d’arte Diego Martelli , inoltre, la descrisse affermando che esibiva “un ordine di ricerche molto oneste che danno alla scuola fiorentina una distinzione rara”. La conoscenza dell’arte dei paesaggisti della Scuola di Barbizon, che lavoravano en plein air nei decenni intorno alla metà dell’800, condizionò le ricerche di Francesco Gioli, come si nota nell’accurata raffigurazione degli elementi naturali che incorniciano la strada sulla quale si snoda la processione. Nonostante la raffigurazione sia ripresa da un punto di vista esterno, la scena è comunque attraversata da una malinconica coralità, espressa anche dai contadini in preghiera sul ciglio della strada. Il viatico era una tradizionale processione che accompagnava il sacerdote nel momento della estrema unzione di un malato. Qui si descrive una visione corale di quella processione, una sorta di ultimo saluto da parte della comunità contadina.



Francesco Gioli
Passa il viatico (dettaglio)



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Nel 1888 viene nominato professore all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e l’anno successivo a quella di Firenze. Negli anni Novanta, con il diffondersi del Divisionismo in Europa, rischiara la sua tavolozza alla ricerca di una maggiore luminosità, arricchendola di azzurri e rosati, adottando nuovi modi stilistici; al 1896 risale Fiori di campo, presentato alla Festa dell’arte e dei fiori di Firenze. Alle biennali di Venezia, a cui partecipa fin dalla prima edizione nel 1895, conosce la pittura delle Secessioni di Praga e Vienna e ne apprezza la sensibilità sottile e nervosa, resa con una stesura a piccoli tocchi di colori densi e sovrapposti, fino ad ottenere la giusta intonazione. Metodo che fa suo, per poi evolvere, con nuovo secolo, verso i modi dell’impressionismo internazionale: un’intensa vitalità e i toni abbaglianti dei bianchi diventarono i protagonisti dei suoi quadri novecenteschi.

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Francesco Gioli
Pesco fiorito
1910
olio su tela - 51 x 61 cm.
Collezione privata


Nel 1901 partecipa all’Esposizione di Monaco, mentre l’anno successivo aderisce alla Società Leonardo da Vinci, ritrovo fiorentino di artisti e intellettuali, della quale è nominato presidente fino al 1906. Nel 1910 è a Bruxelles, nel 1913 a Buenos Aires, nel 1915 a San Francisco e Melbourne. Espone di frequente alla Biennale di Venezia, dove nel 1914 viene organizzata una personale con cinquantadue opere che coprono l’intero arco della sua produzione, decretandone il successo a livello internazionale. Muore a Firenze il 4 febbraio 1922. Anche il fratello Luigi è stato un apprezzato pittore naturalista, anch’egli appartenente alla corrente macchiaiola. (M.@rt)

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Francesco Gioli
Ai campi in giugno
1880
olio su tela - 41 x 66 cm.
Collezione privata




view post Posted: 10/11/2023, 14:28     +13Francesco Gioli - Fiori di campo - I Macchiaioli

Francesco-Gioli_fiori-di-CampoP

Francesco Gioli (San Frediano a Settimo di Cascina, Pisa 1846 - Firenze 1922)
Fiori di campo
1896
olio su tela - 152 x 76,8 cm.
Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


L’opera fu presentata nel 1896 alla mostra fiorentina intitolata “Festa dell’arte e dei fiori”, alla cui cerimonia di apertura presenziarono il re Umberto I e la regina Margherita di Savoia. La mostra era ospitata negli ambienti di Palazzo Corradi e in un fabbricato costruito ad hoc dall’ingegnere Giacomo Roster: vi erano esposte circa settecento opere tra la sezione di pittura e quella di scultura, di artisti della corrente del Simbolismo, del Divisionismo, dei Macchiaioli, del Preraffaellismo e dell’Impressionismo provenienti da tutta Europa. I cronisti dell’epoca citarono, tra i lavori più meritevoli, il dipinto di Francesco Gioli “Fiori di campo”, che fu acquistato dal re e successivamente donato alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, luogo deputato ad ospitare la nascente collezione di opere d’arte contemporanee. Il modo in cui Gioli affrontò il tema, coniugando i sentimenti di materna prosperità con il fertile risveglio della natura in primavera, fu colto ed apprezzato dalla maggior parte della critica dell’epoca. I restanti commenti ribaltarono in negativo queste peculiarità, definendo quest’opera “monotona e troppo moderata”.


Nella scena, una giovane donna cammina su un viottolo in mezzo ai campi con le sue tre bambine, la più piccola è in braccio alla mamma e indica con la manina la sorella maggiore che le sta sorridendo. Seguendo la traccia del viottolo, il gruppo famigliare si chiude con la terza figlia, poco distante, impegnata a raccogliere qualche ciuffo della rigogliosa ginestra. Francesco Gioli scelse per questo soggetto un formato inconsueto e utilizzò la linea diagonale non solo per esaltare il movimento ascendente dei personaggi, ma anche per portare lo sguardo dell’osservatore al dinamico gioco tra madre e figli. L’artista racconta con dovizia di particolari questi frammenti di vita quotidiana, studiando i colori degli abiti, bilanciando i toni, rendendo brulicante il contesto in cui si muovono i personaggi. I fiori di ginestra e le margherite, nell’infittirsi della vegetazione, da macchie di colore si trasformano in punti di luce. Sullo sfondo, spiccano le sagome ombrose degli alberi, testimoni silenziosi dell’allegro passaggio della famigliola.

Il quadro è esemplificativo del periodo maturo di Gioli, quando la sua adesione al movimento macchiaiolo è completa. Oltre alla frequentazione del gruppo di artisti, sia a Firenze che a Castiglioncello, presso la dimora di Diego Martelli, per Gioli fu fondamentale il soggiorno parigino del 1875 con Giovanni Fattori, Niccolò Cannicci e Egisto Ferroni; vi rimase un mese, studiando con particolare attenzione la pittura di paesaggio, anche quella della Scuola di Barbizon. L’esperienza lo indusse a dedicarsi con sempre più convinzione alla pittura dei campi, distinta da un sobrio e delicato naturalismo.


L’esordio di Gioli, tuttavia, fu molto diverso. La sua formazione fu accademica e le sue prime opere furono incentrate su temi cari al romanticismo storico. La sua abilità artistica venne subito apprezzata anche se lontana dallo spirito vivace, esemplificato in questo quadro. Tuttavia è proprio grazie a quella fruttuosa istruzione che la sua svolta macchiaiola ebbe un’impronta così incisiva. L’artista cambiò genere, affinò la tecnica, si confrontò con i colleghi italiani e stranieri, ma senza mai dimenticare le importanti lezioni apprese dai maestri: Annibale Marianini (1814-1863) all’Accademia di Pisa, Antonio Ciseri (1821-1891) e Enrico Pollastrini (1817-1876) presso quella fiorentina. Fu molto attivo e partecipò con successo a numerose esposizioni in Italia e a Parigi. (M.@rt)



view post Posted: 10/11/2023, 11:59     +13LE PANIER DE FRAISES DES BOIS - Jean-Baptiste Chardin - ARTISTICA

Jean_Simon_Chardin_Le_Panier_de_fraises_des_boisP

Jean-Baptiste Siméon Chardin(1699-1779)
Il cesto di fragole selvatiche
(Le Panier de fraises des bois)
1761
olio su tela - 38 x 46 cm.
Collezione privata


Per molto tempo, la natura morta è stata considerata un genere artistico minore in Francia. Chardin la elevò a soggetto a sé stante; a differenza dei suoi contemporanei, non cercò di riprodurre la natura. Per lui, la pittura non era nemmeno un pretesto per raccontare una storia; intendeva esplorare una dimensione diversa. Così sulla tela raffigura oggetti quotidiani, spesso considerati insignificanti agli occhi degli spettatori, come questo cesto di frutta, questi bicchiere d’acqua o questo fiore delicatamente posato. È affascinato dalla composizione delle forme e dei colori.


Ciò che lo motiva è il rosso delle fragole che si riflette nel bicchiere e sembra oltrepassare i due garofani. Sono gli steli che spezzano la linea del tavolo o il candore dei fiori che illumina la composizione. In questo modo, offre quindi nuove prospettive per la pittura.



Un secolo più tardi, Paul Cézanne spinge ulteriormente questo principio di distorsione spaziale. Sotto il suo pennello, il tavolo sembra inclinarsi verso la parte anteriore della composizione, trascinando con sé la frutta in primo piano. L’artista ci mostra che esistono diversi punti di vista sulle cose e questo è ciò che conta.


Prefigurava così la rivoluzione cubista guidata da Braque e Picasso. Nella serie di tele con il nome “Le Guéridon”, iniziata nel 1911 abbandonata e poi ripresa nel 1928, Braque scompone i volumi e frammenta le forme degli oggetti in mille sfaccettature, proseguendo il percorso iniziato da Chardin due secoli prima. In questo modo, l’occhio umano non si limita a un solo punto di vista, ma può percepire diversi aspetti e trasporli su una tela. (M.@rt)





view post Posted: 10/11/2023, 11:31     +10LE GUERIDON - Georges Braque - ARTE CONTEMPORANEA: il '900

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Georges Braque
Le Guéridon
1911
olio su tela - 116,5 x 81,5 cm.
Musee National d’Art Moderne, Centro Georges Pompidou, Parigi


Il motivo del tavolo con piedistallo, un tavolo rotondo o ovale con una sola gamba, sembra essere stato di particolare interesse per Braque. L’artista ha spesso trasposto questa superficie angolare nella forma stessa delle sue tele, adottando i vecchi formati del tondo. Ma qui, più tradizionalmente, lo spazio arrotondato del tavolo con piedistallo è inserito in un rettangolo, sul quale gli oggetti stanno uno accanto all’altro, a portata di occhio e di mano, lo spazio tattile, “quasi manuale”, di cui parla Braque: “Per me, questo rispondeva al desiderio che ho sempre avuto di toccare le cose e non solo di vederle. È stato questo spazio ad attrarmi.” L’evocazione di uno spazio “tattile” è un punto nodale delle ricerche di Braque all’epoca in cui realizza questo dipinto. La composizione, dinamica e instabile, fa ribaltare il tavolino verso lo spettatore, una soluzione adottata da Paul Cézanne in molte nature morte. Gli oggetti (violino, bicchiere o spartito) si intrecciano, a partire dalla rotondità del tavolo, in una complessa struttura piramidale, che si ritrova nella maggior parte dei dipinti di Braque, e che l’artista utilizza anche per definire le figure delle altre grandi composizioni che dipinge a Céret durante l’autunno del 1911, un periodo di intenso lavoro solitario in quanto Picasso era partito per Parigi all’inizio di settembre.


Una delle lettere al suo mercante Daniel-Henry Kahnweiler (datata 5 o 12 ottobre, citata in “Picasso and Braque. Pioneering Cubism”, New York, MoMA, 1989, p. 382) accenna brevemente a “una natura morta piuttosto grande in formato 50” che potrebbe essere nostra (fu riprodotta per la prima volta nel numero del 15 aprile 1912 della rivista Je sais tout).
Il rigoroso impianto geometrico, finemente disegnato, è messo in movimento dal “colore”, o almeno dalle vibrazioni luminose, in una gamma limitata ai grigi, agli ocra e ai bianchi, che lo sostituiscono. In alcuni punti, Braque usa una pennellata molto visibile per variare la texture: “Volevo fare della pennellata una forma di materia”, dirà. Il “gusto molto pronunciato”, per non dire la passione, di Braque per la materia lo porterà, qualche mese dopo, a esperimenti più estremi: scultura in carta, carta incollata, uso di sabbia, segatura, ecc... Ma nella pittura cristallina di una materia trasparente e preziosa che è “Le Guéridon”, si percepisce una qualità quasi esultante, un accento di entusiasmo che ritroviamo in una lettera di Braque a Daniel-Henry Kahnweiler, inviata da Céret il 1° novembre 1911: “Ho scoperto un bianco imperituro, un velluto sotto il pennello, ne abuso”.



view post Posted: 9/11/2023, 17:12     +16Odoardo Borrani - Una visita al mio studio - I Macchiaioli

A_visit_to_my_atelier_Odoardo_BorraniP

Odoardo Borrani
Una visita al mio studio
1873
olio su tela - 64,5 x 45cm.
Collezione privata


Un affastellarsi di quadri, suppellettili, gessi, oggetti di antiquariato, libri e soprammobili che ingloba quasi come se fosse parte dell’insieme, anche la figura della bella estimatrice in vista, giustifica pienamente lo spiritoso commento di Yorick, pseudonimo di Pietro Coccoluto Ferrigni (Livorno, 1836 - Firenze, 1895) scrittore, avvocato e patriota italiano, che si dilettava di critica d’arte, il quale, dinanzi al dipinto presentato all’Esposizione nazionale di Milano nel 1872 esclamava: “Ma con che entusiasmo andrei a liberare quella simpatica ed elegante Visitatrice dello studio del signor Borrani che, povera donna, è rimasta, non si sa come, prigioniera in mezzo a una montagna di accessori … Bella signora in fede mia, bel quadretto, bella e graziosa e fine pittura! Ma un’altra volta, Minotauro più indulgente, quando prende le belle donne nel labirinto del suo studio, lasci loro almeno la speranza di poterne uscire, dopo fatto… il ritratto”.


Un simile accumularsi di cose e di figure, senza che sia possibile stabilire una scala di valori fra loro, è indicativa dell’affanno spirituale con cui l’artista affrontava il mondo mutato all’indomani della crisi che coinvolse la società europea, una volta venuta meno la fiducia nella scienza, acuita in Toscana dalle disillusioni post risorgimentali. Al contrario di Signorini, Lega e a suo modo Fattori avevano adeguato il loro linguaggio alle inflessioni della poetica del Naturalismo, Odoardo Borrani reagì invece proponendo una pittura di straordinaria qualità per l’accuratezza della stesura e la luminosità cristallina.


Fra i dipinti raffigurati sono riconoscibili “Case rustiche” di Telemaco Signorini e “Il pescatore sull’Arno alla Casaccia” di Borrani stesso. Una luce straordinariamente limpida, in tutto simile a quella che distingue la veduta dell’Arno alla Casaccia, osservata con tanto interesse dalla visitatrice, si diffonde uniformemente nello studio, ma anziché suggerire un sentimento di serena contemplazione, esalta il senso di inquietante affollamento della stanza, a cui contribuisce in maniera determinante, l’impianto prospettico illusionisticamente strambato a causa della posizione del cavalletto, il cui asse longitudinale sembra identificarsi con lo spigolo netto della parete di fondo.


La situazione dispersiva che genera l’impossibilità a comprendere ciò che valga di più si fa struggente se si tiene conto che i quadri riprodotti del dipinto sono opere care all’artista, quasi ad affermare che la sua arte e quella degli amici che con lui avevano creduto alla “rivoluzione della macchia”, aveva perduto il suo valore. Da un tale stato di estremo sconforto, l’artista sarebbe uscito nel giro di poche stagioni, quando, ritrovata la fiducia nell’arte, riprese a dipingere assecondando la sua anima sentimentale.(M.@rt)




view post Posted: 9/11/2023, 12:23     +13THE CAT AT PLAY - Henriëtte Ronner-Knip - ARTISTICA




Henriëtte Ronner-Knip
Katje (Micio)
1896
Olio su tavola
27 x 40 cm
Haarlem, Teylers Museum



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Henriëtte Ronner-Knip
Il giovane artista
(The Young Artist)
1870 circa
Olio su tavola
24 x 32 cm
Collezione privata






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Henriëtte Ronner-Knip
Gattini che giocano
(Kittens playing)
Firmato e datato 'Henriette Ronner./97.'
1897
Olio su tela
113 x 85 cm
Collezione privata



Edited by Lottovolante - 9/11/2023, 16:48
view post Posted: 9/11/2023, 11:54     +5Lotta di gatti (Riña de gatos) - Goya


Ria-de-gatosP

Francisco de Goya y Lucientes
Lotta di gatti (Riña de gatos)
1786
olio su tela - 56,5 x 196,5 cm.
Museo Nacional del Prado,Madrid


Intorno al XVIII° secolo, Francisco Goya ritrae più volte il gatto: dietro un ancora fanciullo ma già crudele Don Manuel Osorio De Zuniga in cui tre gatti seguono la scena o come in questa tela nella quale due gatti dal pelo irto e dal dorso arcuato, si stagliano contro la luce delle nuvole, sbuffano e si affrontano in cima a un muro di mattoni in rovina.


L’arazzo che risultò da questa opera, fu uno di quelli che forse dovevano decorare la sala da pranzo dei principi delle Asturie (il futuro Carlo IV e sua moglie Maria Luisa de Parma) nel palazzo di El Pardo, commissionato nel 1786-1787. Per il suo formato stretto e allungato e per la prospettiva forzata dal basso verso l’alto, era destinato alla decorazione della persiana di una finestra, che formava una coppia con una scena di volo di uccelli, il cui cartone è andato perduto, noto solo dall’arazzo.


La serie doveva essere composta da tredici arazzi sul tema delle “Quattro Stagioni” e altre scene campestri, descritti come “Dipinti di soggetti scherzosi e piacevoli”. Gli arazzi non furono mai appesi nella loro destinazione finale a causa della morte di Carlo III nel dicembre 1788. Il Museo del Prado conserva undici cartoni e uno degli schizzi preparatori. (M.@rt)









view post Posted: 8/11/2023, 22:20     +15Antonio Puccinelli - La strage degli innocenti - I Macchiaioli



Antonio Puccinelli
Ritratto di Nerina Badioli
1866 - 1870 circa
olio su tela - 56 x 42,5 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma


Il dipinto ritrae Nerina Badioli, sorella della seconda moglie del pittore, Adelaide Badioli: il busto della giovane emerge con forza sullo sfondo neutro della tela, secondo un modello rimeditato sulla ritrattistica rinascimentale, della quale mantiene anche l’inquadratura. Impostato sul nero dei capelli, della toque (il copricapo femminile senza tesa), della veste, su cui risalta con valenza formale l’arancione della sciarpa, il quadro testimonia l’interesse del pittore per la ricerca figurativa dei macchiaioli, che lo porta ad usare la luce come mezzo di indagine analitica, per rendere nel dettaglio la realtà osservata. Appartenuta alla signora Margherita Ruffino Badioli, madre dell’effigiata, la tela passò ad Adelaide Badioli Puccinelli e, infine, ad un non specificato negoziante di Prato. La tela è stata attribuita al periodo 1866 -1870, in particolare al 1866, anno del matrimonio dell’artista con Adelaide Badioli, sulla base del confronto tra l’acconciatura della modella con quelle delle figure femminili nella celebre “Rotonda dei bagni Palmieri” di Giovanni Fattori. Tuttavia, pur accettando l’identificazione dell’effigiata in Nerina Badioli, è opportuno sottolineare che la stessa aveva nel 1866 circa undici anni, essendo nata il 25 dicembre del 1855: sarebbe dunque possibile, a giudicare dalle fattezze della giovane, una datazione di qualche anno più tarda, al 1870 circa. In quel periodo, Puccinelli si divideva tra Bologna, presso la cui Accademia aveva assunto la cattedra di pittura, e Firenze, residenza di Adelaide Badioli. Durante l'estate soggiornava nella campagna di Longino, nei pressi di Pistoia, dove avrebbe eseguito il ritratto in esame. Nell’esecuzione il pittore si allontana dagli schemi puristici adottati in opere di analogo soggetto come “Ritratto della nobildonna Morrocchi”, preferendo ad essi una pennellata più larga e veloce, affine alle ricerche coeve dei Macchiaioli. Tale immediatezza esecutiva sarebbe da attribuire ad un “momento di allegria familiare”, come testimonia la “giocosa spezzatura della firma come in due cognomi: A. PucciNelli”.

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Antonio Puccinelli
Ritratto di signora
1866 circa
olio su tela - 40 x 33 cm.
Pistoia, Museo Civico


Una luce limpida e diffusa indaga in modo analitico la fisionomia leggermente imbronciata della donna, messa in risalto dall’inquadratura molto ravvicinata, secondo un metodo consueto all’artista sin dalla fine degli anni Quaranta, ma aggiornato ora sullo stile pacato ed austero di Piagentina. In affinità con lo spirito dei macchiaioli, ritiratosi a dipingere nella solitudine della campagna, Antonio Puccinelli analizza con atteggiamento critico l’immagine della donna per darne una trasposizione rigorosamente formale, eppure in grado di esprimere i sentimenti. (M.@rt)

view post Posted: 8/11/2023, 12:21     +11Odoardo Borrani - Renaioli sul Mugnone - I Macchiaioli



Odoardo Borrani
Pagliai a Castiglioncello
1865 circa
olio su tavola - 12 x 36 cm.
Collezione privata


Una luce palpabile, intessuta d’oro, accende la visione pacata e solenne della campagna affacciata sul mare, dove le sagome dei pagliai sono elemento di meditata scansione spaziale, ma, nello stesso tempo, si rivestono di struggenti significati evocativi di una quiete e di una semplicità messe a repentaglio dalla modernità incombente, stato d’animo espresso ancora più chiaramente dalla figuretta in controluce dell’uomo di città, incantato dinanzi alla maestosità del tramonto sul mare.




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Odoardo Borrani
Case di Pannocchio a Castiglioncello. Paesaggio
1862 circa
olio su tela - 12 x 36,3 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


Nei primissimi anni sessanta Borrani continuò a sperimentare la pittura di macchia a Montelupo e a San Marcello Pistoiese in compagnia di Sernesi. Con quest'ultimo, Signorini e Lega, fu tra i primissimi frequentatori della tenuta di Diego Martelli a Castiglioncello nonché tra i più arditi sperimentatori delle possibilità della nuova pittura, realizzando tavolette, dal tipico formato stretto e lungo, contraddistinte da un inconsueto taglio fotografico e dalla giustapposizione di tarsie cromatiche luminosissime. Il dipinto in esame offre un esempio della felice stagione di Castiglioncello di Borrani, caratterizzata da una specifica attenzione alla luce che si addensa sul tetto, sul prato e tra le foglie. Il piccolo edificio colonico raffigurato, che si trovava nei pressi del podere Martelli, fu in anni successivi abitato dalla famiglia Pannocchio, il che lascia supporre che il titolo sia stato attribuito soltanto dopo l’esecuzione.







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Odoardo Borrani
Case e marina a Castiglioncello
1862 circa
olio su tela - 16,5 x 51 cm.
Collezione privata


Nell’orto, in pendio verso il mare, una contadina sosta, interrompendo il lavoro quotidiano, abbagliata dalla luce pura della bella mattina di sole. La vista spazia sull’ampio paesaggio e coglie la varietà delle colture, lo svettare delle canne flessibili, il rosso della cresta di un gallo e di qualche papavero, per poi vagare sulla distesa del mare, intravista oltre il verde cupo del folto dei lecci e sulla vastità del cielo che, all’orizzonte, trattiene i riflessi d’azzurro dell’acqua. Eseguito nella sua prima estate a Castiglioncello ospite di Diego Martelli, Odoardo Borrani affascinato dalla grandiosità incontaminata della natura del luogo, creò una serie di opere tutte intonate a un medesimo tema, che nel loro insieme costituiscono una sorta di pendant ideale con uno dei capolavori ideati in quella stagione “Orto a Castiglioncello”.

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Odoardo Borrani
Fiori per la Madonna
1867
olio su tavola - 49,4 x 31 cm.
Collezione privata



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Odoardo Borrani
Ponte alle Grazie
1881 circa
olio su tela - 20 x 40 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma


Caratteristico esempio delle vedute cittadine tipiche delle opere degli artisti dell’originario gruppo macchiaiolo, “Il ponte alle Grazie” (distrutto nella Seconda Guerra Mondiale) si configura come uno studio sull’atmosfera grigia ed invernale, volto a catturare le vibrazioni del cielo uggioso e del selciato bagnato, attraverso l’uso di cromie grigie e di pennellate vibranti, che caricano di sapore melanconico la scena, carattere accentuato dalla presenza della solitaria figura al centro. Lo studio delle cromie basse e argentine tipiche delle giornate di pioggia, inoltre, rappresentano un terreno di frequentazione comune negli artisti degli anni ottanta del secolo (un modello potrebbe essere il Signorini di Settignano), accompagnato anche da una attenzione nei confronti di alcuni angoli cittadini che andavano scomparendo con l’avanzare della città moderna. L’opera è databile tra il 1880 e il 1881, anno in cui fu presentata alla Mostra della Società di Incoraggiamento delle Belle Arti di Firenze, mentre l’anno successivo fu esposta a Torino alla Promotrice di Belle Arti. (M.@rt)



Edited by Milea - 17/11/2023, 15:57
view post Posted: 7/11/2023, 17:50     +15Odoardo Borrani - Renaioli sul Mugnone - I Macchiaioli

Borrani-renaioli-sul-MugnoneP

Odoardo Borrani (Pisa, 1833 - Firenze, 1905)
Renaioli sul Mugnone
1880
olio su tela - 141 x 112cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Figlio di un pittore paesista, trasferitosi a Firenze nel 1840, è avviato all’arte dal padre e, dal 1849, si perfeziona prima sotto la guida del pittore e restauratore di Gaetano Bianchi; nel 1853 si iscrive all’Accademia di Belle Arti, esercitandosi nella pittura di storia con forti rimandi al Trecento e Quattrocento fiorentino. Quello stesso anno conosce Telemaco Signorini e Vincenzo Cabianca, insieme ai quali si esercita nei primi esempi della pittura dal vero nelle campagne attorno a Firenze e si avvicina all’ambiente macchiaiolo gravitante attorno al Caffè Michelangiolo. Dal 1857 esegue soggetti di vita contemporanea, ma soprattutto si impegna a rinnovare il quadro di genere storico indirizzandolo alla maniera dei bozzetti, sull’esempio di Saverio Altamura.

Nel 1859 partecipa come volontario, insieme a Telemaco Signorini, Diego Martelli e altri artisti del Caffè Michelangiolo, alla seconda guerra d’Indipendenza; il primo dei suoi tre taccuini di viaggio documenta lo slancio patriottico di quegli anni. Ritornato dalla guerra, nel 1860 continua la sua ricerca dal vero nel Valdarno fiorentino (Montelupo), con Cristiano Banti, Cabianca, Stanislao Pointeau e Telemaco Signorini, per sperimentare con intenti scientifici gli effetti luminosi all’aria aperta.

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Odoardo Borrani
Alture
1861
olio su tavola - 14 x 46 cm.
Galleria Nazionale d’arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Nella luce cristallina, il paesaggio si dipana fino all’orizzonte, dove i profili dei monti si definiscono sul cielo terso. Nell’ora meridiana, i pochi alberi e cespugli proiettano le loro ombre sui pascoli ingialliti dal sole di luglio. Il dipinto è esemplare delle ricerche figurative svolte con Raffaello Sernesi a San Marcello Pistoiese durante l’estate del 1861, in una straordinaria affinità d’intenti tesa a evolvere dalla maniera per risentite scansioni cromatiche, fino ad allora tipica dei Macchiaioli, verso composizioni più pacate e solenni esaltate dalla limpidezza dei toni luminosi.

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Nel 1861, a San Marcello Pistoiese, in compagnia di Raffaello Sernesi, dipinge una serie di paesaggi di un nitore cristallino, soffusi di un tono solenne e pacato, due dei quali vengono esposti nel settembre dello stesso anno alla Prima Esposizione Nazionale insieme a Il 26 aprile del 1859, un quadro che risolve nella quiete domestica della scena l’entusiasmo risorgimentale. Da allora si dedica ai temi cari alla cultura macchiaiola, fondati su un rigoroso impianto disegnativo e sulla resa tersa della luce: quadri che raffigurano scene domestiche o paesaggi di periferia, come la tante vedute del greto del Mugnone, solitarie o popolate da persone semplici come lavandaie, renaioli, pescatori; composizioni soffuse di nostalgie per un mondo che sta cambiando, ma sostenute dalla bellezza della forma, che raggiunge qualità elette quando l’artista lascia il centro di Firenze per Piagentina, dove lavora con armoniosa dimestichezza con Silvestro Lega e Telemaco Signorini.

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Odoardo Borrani
Castiglioncello. Paesaggio con alberi
1865
olio su tela - 12,7 x 29,6 cm.
Galleria Nazionale d’arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Con una disposizione rivolta alla resa più pacata e solenne degli effetti, Borrani esegue nell’estate del 1865 a Castiglioncello, una veduta ampia della campagna che circonda le case di Diego Martelli, a cui la tavoletta è dedicata, con le agavi addossate al muro di cinta. La vastità del cielo suggerisce il campo lunghissimo della visione, incentrata sulla macchia ombrosa del leggio marino raffigurato nel piano intermedio.

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Nel 1865 con Raffaello Sernesi, Silvestro Lega e Giuseppe Abbati dà origine al gruppo conosciuto come Scuola di Pergentina (o Piagentina), che rappresenta il secondo momento della svolta macchiaiola. Come scrive Adriano Cecioni “comincia il più bel periodo della vita artistica del Borrani... egli prende una casetta in campagna, fuori dalla porta alla Croce di Firenze, dove rimane fisso per il corso di otto anni, lontano da ogni distrazione, tutto raccolto negli studi dell’arte”.

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Odoardo Borrani
L’orto di Diego a Castiglioncello
1864
olio su tavola - 18 x 50 cm.
Collezione privata


Il quadro fa parte di una serie di cinque che raffiguravano da vari punti di vista la casa di Martelli e gli annessi agricoli, dipinti con nitidezza luministica e con una sonorità cromatica eccezionali. La luce abbagliante del sole di una mattina d’estate fa risaltare sull’azzurro intenso del cielo i muri bianchi delle case in riva al mare. La recinzione dell’orto preclude la visione del promontorio e scandisce lo spazio secondo un rigore formale estraneo ad ogni inflessione narrativa; ma la silhouette dell’uomo col cappello di paglia e le canne intrecciate a sorreggere le verdure, suggeriscono come l’artista partecipi emotivamente di quella solare felicità, che traspone in forme di asciuttezza plastica, nitidamente scandite dalla luce.

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In estate è spesso ospite di Diego Martelli a Castiglioncello, dove incontra Giuseppe Abbati, Raffaello Sernesi e nel 1867 Giovanni Fattori. Nel 1870 espone a Parma “Il richiamo del contingente”, un dipinto che conclude l’esperienza di Piagentina.

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Odoardo Borrani
Il richiamo del contingente
1869
olio su tela - 123 x 183 cm.
Ente Cassa di Risparmio di Firenze





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Nel 1875 apre una galleria d’arte nel Palazzo Spini Feroni insieme a Silvestro Lega, ma senza successo. Dal 1880 in poi entra in una fase di declino artistico, caratterizzato anche dalla separazione dalla moglie Carlotta Meini e dalla morte del figlio Ugo. A seguito del fallimento della galleria d’arte, vive in modeste condizioni economiche; apre una scuola di pittura e convegni di artisti nel proprio studio, chiamato “Piccolo Pitti”, e negli anni della vecchiaia lavora come decoratore per la manifattura Ginori di Doccia, una delle più prestigiose manifatture di porcellana europea e collabora come incisore per l’“Illustrazione Italiana”. Si risposa in seconde nozze con Giovanna Santucci, levatrice vedova e madre di cinque figli, che scompare nel 1905, pochi mesi prima della morte della morte dell’artista, presso la sua casa di Pian dei Giullari il 14 settembre 1905.


Il dipinto “Renaioli sul Mugnone” rappresenta la maturità artistica di Odoardo Borrani, caratterizzata da lunghi studi grafici propedeutici alla realizzazione del dipinto e non totalmente en plein air come si potrebbe pensare. Il rimpianto per la Firenze della sua giovinezza, alterata dal progresso e da innovazioni urbanistiche, quali l’abbattimento delle mura, ha ispirato a Borrani questo quadro, esemplificativo di come egli, fino alla fine, non abbandoni i temi semplici e le luci terse a lui cari da sempre, caricandoli semmai di sentimentalismo. Nell’immagine due renaioli, di cui uno giovanissimo, si apprestano ad iniziare il quotidiano lavoro lungo le rive del Mugnone. La luce cristallina delinea con ombre nette la superficie delle pietre; sullo sfondo, dietro le colorate chiome di alberi e cespugli, si intravedono alcuni casolari. Anche l’acqua, con il suo lento scorrere, sembra scandire il tempo. (M.@rt)






Edited by Milea - 17/11/2023, 15:45
view post Posted: 7/11/2023, 17:12     +4Francesco Saverio Altamura - I funerali di Buondelmonte - I Macchiaioli




Francesco Saverio Altamura
La Madonna dei fiori
1897
olio su tela - 103 x 63 cm.
Foggia, Museo Civico


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Francesco Saverio Altamura
Dopo la lettura
1877 - 1878 circa
olio su tela – 110 x 78 cm.
Foggia, Museo Civico


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Francesco Saverio Altamura
Chirone centauro canta la liberazione di Prometeo
1889
olio su tela - 105 x 210 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


Il centauro Chirone è rappresentato, con la lira in mano, sulla riva di un mare popolato di Nereidi festanti; all'estrema sinistra del dipinto, incatenato ad una rupe, è raffigurato Prometeo.

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Francesco Saverio Altamura
Portico di villa toscana
1861 circa
olio su tela - 23 x 27 cm.
Collezione privata


Uno studio di paese che si sofferma a descrivere un’immagine tipicamente toscana: il muro di cinta di una tenuta agricola, interrotto dal portale della tettoia di tegole rosse. Oltre lo sguardo vaga sulle colline che chiudono l’orizzonte stagliandosi su un cielo limpido. La luce nitida individua alcuni particolari, così da infondere toni evocativi alla scena: il cane accucciato ma vigile sul primo piano, i rami fronzuti dell’albero, le sagome dei cipressi sui dossi. Il medesimo tema fu studiato da Cristiano Banti e Serafino de Tivoli, a conferma di una consuetudine tipica dei macchiaioli, di recarsi in compagnia nei dintorni della città per prendere appunti dal vero “en plein air”.

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Francesco Saverio Altamura
La prima bandiera italiana portata in Firenze nel 1859
1859
olio su tela - 51 x 75 cm.
Museo Nazionale del Risorgimento, Torino


Un’atmosfera trasognata ed evocativa avvolge il giovinetto che in una mattina di primavera passeggia sulle colline di San Miniato, recando sulla spalla il tricolore. La luce limpida e ferma, unita alla pacata intonazione cromatica, accentua il carattere intimo e per nulla enfatico di questa interpretazione del tema patriottico, suggerito quasi certamente dalla partenza da Firenze del granduca Leopoldo II di Lorena, nell’aprile del 1859. La visione solenne della basilica e del convento di San Miniato al Monte, che si staglia netta secondo un meditato rapporto di luci e ombre sul cielo, è indicativa dell’importanza delle ricerche del pittore per l’evoluzione della “macchia”.

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Francesco Saverio Altamura
Il lavoro
1869
olio su tela - 77 x 123 cm.
Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli


La luce ferma definisce con nitidezza l’ampio paesaggio, nel quale un giovane spaccapietre si riposa da duro lavoro appoggiandosi ad una lastra imponente. I suoi abiti senza precise connotazioni tecniche, ma evocativi di un tempo antico, e la quiete della campagna circostante, con poche ville sparse, suggeriscono un sentimento di rimpianto per un mondo che andava scomparendo, travolto dal progresso. Il tema sembra ancora ispirato dalle fantasie evocative che Firenze aveva suscitato nella mente del pittore, che l’artista abbandonò la città divenuta capitale d’Italia, poiché non ne sopportava la nuova mentalità frenetica e i cambiamenti urbanistici in atto.




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Francesco Saverio Altamura
A Sorrento
1875
olio su tela -30.6 x 55 cm.
Napoli, Amministrazione Provinciale presso Pio Monte della Misericordia



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« (…) Era Altamura una bella
figura di artista meridionale,
barba folta e folti capelli castagno
scuro, faccia quadrata, leonina,
bello lo sguardo cogitabondo, e il
sorriso. Parlava…come di chi
sappia molto più di quello che dica (…) ».

Diego Martelli, 1895




Francesco Saverio Altamura
Autoritratto
1870
olio su tela - 106 x 62 cm.
Foggia, Museo Civico



view post Posted: 7/11/2023, 10:33     +12Francesco Saverio Altamura - I funerali di Buondelmonte - I Macchiaioli

“L’uno al pubblico segno i gigli gialli
oppone, e l’altro appropria quello a parte,
sì ch’è forte a veder chi più si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
sott’altro segno; ché mal segue quello
sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non l’abbatta esto Carlo novello
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
ch’a più alto leon trasser lo vello.”

(Dante, Divina Commedia, canto VI del Paradiso, 100-108)




Francesco Saverio Altamura (Foggia, 1822- Napoli, 1897)
I funerali di Buondelmonte
1860
olio su tela - 108 x 216 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


Nato a Foggia, trascorre l’infanzia fra passeggiate nel Tavoliere e i racconti di suo zio materno (la madre era di origine greca) sui personaggi del passato di quei luoghi come Diomede, Federico II e Manfredi. Trasferitosi a Napoli nel 1840 frequenta l’Accademia di Belle Arti, insieme a Domenico Morelli, di cui è amico e con il quale nel 1848 prende parte ai moti risorgimentali, combattendo sulle barricate di Santa Brigida. Condannato a morte in contumacia per le sue attività di cospirazione contro i Borboni, fugge prima a L’Aquila nel 1848, poi a Firenze nel 1850, dove entra in contatto con il circolo artistico che si raccoglieva nel Caffè Michelangiolo e inizia a dipingere quadri di soggetto storico-letterario.

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Francesco Saverio Altamura
Profilo di giovane donna
1852
olio su tela - 39 x 30 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Durante il soggiorno fiorentino realizza diversi ritratti, nell’ambito famigliare e degli amici, esponendo alle Promotrici fiorentine. Il dipinto “Profilo di giovane donna” è da identificarsi con il ritratto della giovane moglie Elena Bukuras, pittrice greca, che egli incontra a Firenze nel 1848, che gli diede tre figli, ma che in seguito abbandona per un’altra pittrice greca Eleni Sionti, ed infine per un’altra compagna la pittrice Jane Benham Hay. Il quadro, che apparteneva alla collezione di Cristiano Banti è soffuso di toni evocativi e sentimentali, i medesimi da lui adottati per le scene di storia.



Francesco Saverio Altamura
Matrimonio medievale: le nozze di Buondelmonte
1858 -1860
olio su tela
Cosenza, Collezione Banca Carime



Il suo costante impegno nel rinnovamento del linguaggio figurativo induce Telemaco Signorini a definirlo “distintissimo ricercatore delle modernità dell’arte”. Dal 1854 si reca a dipingere all’aria aperta nella campagna senese, insieme a Serafino De Tivoli, i fratelli Markó, Lorenzo Gelati e alcuni pittori napoletani dando vita alla Scuola di Staggia.

Dopo aver visitato con Serafino de Tivoli l’Esposizione Universale di Parigi del 1855, riporta agli amici del Caffè Michelangelo entusiastici resoconti dei dipinti di storia e di paese lì ammirati, tanto da indurre i più giovani fra loro a nuove sperimentazioni formali, basate sull’uso dello specchio nero, in modo da cogliere con più rigore i rapporti tonali e di chiaroscuro. Nel 1858 presenta alla promotrice fiorentina il bozzetto dell’“Origine dei Guelfi e Ghibellini”, tipico esempio della sua interpretazione evocativa e fantastica della storia, composto da più dipinti raccolti in una cornice neogotica; dell’opera presenterà, alla Prima Esposizione Nazionale del 1861, il brano con i funerali di Buondelmonte.

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Nel dipinto, in una veduta chiaramente identificabile con Firenze, un corteo di persone in abiti medioevali accompagna il feretro di Buondelmonte verso il sepolcro. La morte di Buondelmonte fu all’origine della lotta fra Guelfi e Ghibellini e il pittore dà di quel fatto storico, trattato anche in letteratura, da Dante fra i primi, un’interpretazione storica ed evocativa in grado di coinvolgere emotivamente lo spettatore.


Appartenente alla nobile famiglia de’ Buondelmonti, originaria del contado fiorentino e trasferitasi in città quando Firenze distrusse, nel 1135, il castello di famiglia, Buondelmonte era fidanzato con una fanciulla di casa Amidei (la casa di che nacque il vostro fleto), ma, su istigazione di Gualdrada Donati, abbandonò la fidanzata per scegliere una sposa in casa Donati. Da questo episodio, ricordato da Dante nel XVI canto del Paradiso, nacquero le discordie in seno alla città di Firenze. Gli Amidei decisero di vendicare l’affronto immediatamente e il giorno di Pasqua del 1216, insieme ad alcuni alleati, attesero il passaggio di Buondelmonte in piazza del Duomo per assalirlo e ucciderlo a colpi di mazza e di pugnale. Poiché il governo cittadino, che avrebbe dovuto perseguire i colpevoli di tale atroce delitto, era fedele all’imperatore Ottone e, quindi, di “Parte del guelfo”, gli Amidei e le famiglie a loro alleate, per sottrarsi alle sanzioni, elevarono le discordie private a fatti di interesse comune, gettandosi nella lotta politica e mettendosi dalla parte della casa di Svevia con il nome di “Parte del ghibellino”.
L’impiego di colori limpidi, le tonalità fredde e l’uso drammatico della luce accentuano i caratteri narrativi del dipinto, eseguito per Giovanni Vonwiller, un ricco banchiere napoletano, di origini svizzere, fervente appassionato d’arte che ne aveva ammirato il bozzetto alla mostra della Società Promotrice di Firenze nel 1858, insieme agli altri due episodi salienti della storia di Buondelmonte: “La tradita” e “Le nozze di Buondelmonte con la Donati”.

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Il 23 settembre 1859 viene bandito a Firenze dal Governo Provvisorio della Toscana, un concorso pubblico per opere d’arte intitolato al barone Bettino Ricasoli, ministro dell’Interno e capo del Governo provvisorio della Toscana, per il tema di storia antica. Scopo della competizione era la promozione della pittura dei “fatti gloriosi della Storia italiana antica e moderna” al fine di sottolineare la funzione innovatrice delle arti figurative per un programma di tutela e promozione del patrimonio storico-artistico. Con la ristretta limitazione alla partecipazione di soli artisti toscani, Altamura venne ammesso alla competizione perché residente in quel periodo a Firenze. “…volli pur io tentar la prova…e mi decisi per Mario vincitore dei Cimbri…” Saverio Altamura vince con il quadro “Mario vincitore dei Cimbri”, e successivamente dipinge soggetti risorgimentali come “La prima bandiera italiana portata a Firenze” e “Il ritorno del garibaldino”.

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Francesco Saverio Altamura
Studio per il trionfo di Mario
1864
olio su tela - 79 x 104,5
Pinacoteca Provinciale, Bari


Mario è portato in trionfo dai suoi soldati attraverso il campo dei nemici sopraffatti. L’intonazione cromatica, unite alla caratterizzazione delle fisionomie, contribuisce ad esaltare il carattere epico del tema. Con un bozzetto simile a questo, Saverio Altamura vinse il “Concorso Ricasoli”; fra i due temi di storia antica proposti alla commissione, Il “Barbarossa” e “Mario vincitore dei Cimbri”, l’artista scelse quest’ultimo e ne diede un’interpretazione intensamente evocativa, che metteva in risalto la forza e la vitalità dei soldati romani, secondo cadenze care alla cultura positivista di quegli anni.

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Dopo l’Unità d’Italia riprende i contatti con Napoli, dove si trasferisce nel 1867 insieme all’ultima compagna Jane Benham Hay, la pittrice inglese a cui è legato da molto tempo. Dagli anni settanta tratta prevalentemente soggetti storico-letterari, come “Le roi s’amuse. ritratto d’uomo”, ispirato all’opera di Victor Hugo, ma anche opere a tema religioso destinate a chiese e conventi pugliesi. Muore a Napoli il 5 gennaio 1897. (M.@rt)



Francesco Saverio Altamura
Le roi s’amuse. ritratto d’'uomo
1879
olio su tela - 96 x 106 cm.
Museo di Capodimonte, Napoli









view post Posted: 5/11/2023, 12:40     +15Luigi Bechi - Dopo la burrasca - I Macchiaioli



Luigi Bechi
Il pifferaio
1881
olio su tela - 120 x 85 cm
Collezione privata


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Luigi Bechi
La bolla di sapone
1886
olio su tela - 54, 6 x 43,5 cm.
Collezione privata





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Luigi Bechi
Bolle di sapone
datazione sconosciuta
olio su tela - 55 x 69 cm.
Collezione privata


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Luigi Bechi
I colombi domestici
1870 circa
olio su tela - 42 x 53 cm.
Collezione privata











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Luigi Bechi
La lezione di treccia
1888
olio su tela - 147,3 x 104,1 cm.
Collezione privata





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Luigi Bechi
Un sano appetito
datazione sconosciuta
olio su tela - 102,2 x 85,3 cm.
Collezione privata








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Luigi Bechi
La filatrice e il flautista
1908
olio su tela - 125,5 x 88 cm.
Collezione privata








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Luigi Bechi
Guardando la pecorella (Scena campestre)
datazione sconosciuta
olio su tavola - 30 x 40 cm.
Collezione privata











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Luigi Bechi
Due piccoli ciociari
Datazione sconosciuta
olio su tela - 138 x 100,3 cm.
Collezione privata




view post Posted: 4/11/2023, 22:46     +16Luigi Bechi - Dopo la burrasca - I Macchiaioli

Luigi_bechi-Dopo_la_burrascaP

Luigi Bechi (Firenze, 1830 - 1919)
Dopo la burrasca
1865 circa
olio su tela - 70 x 175 cm.
Galleria d’Arte Moderna Genova


Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, alla scuola di Enrico Pollastrini e di Giuseppe Bezzuoli, esordisce nel 1855 con soggetti storico-letterari. Nel 1859 partecipa alla seconda guerra d’Indipendenza e concorre al “Concorso Ricasoli”, il concorso d’arte indetto da Bettino Ricasoli, allora Ministro degli Interni del Governo provvisorio della Toscana per il tema “Episodi militari dell’ultima guerra”, presentando un bozzetto contrassegnato dal motto “E’ meglio morire”, che venne scelto al secondo posto. Il prezzo stabilito per il dipinto finito (“Il Marchese Fadini salva a Montebello il generale De Sonnaz”) venne fissato a 500 francesconi. Stipulato il contratto il 3 luglio 1860 con l’impegno di terminare il dipinto entro diciotto mesi, il Bechi venne pagato in quattro rate di L. 700 ciascuna fra il luglio 1860 e il giugno 1862.

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Luigi Bechi
Il Marchese Fadini salva a Montebello il generale De Sonnaz
1859 - 1862
olio su tela - 173 x 232 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


L’episodio dipinto da Luigi Bechi raffigura la carica della cavalleria piemontese contro le truppe austriache inviate dal maresciallo Gyulai in ricognizione oltre il Po ed avvenuta presso Montebello il 20 maggio 1859; il marchese Fadini, cremonese, volontario nella cavalleria sabauda, salvò la vita al colonnello De Sonnaz, che ebbe funzioni di generale durante la battaglia ed ordinò la carica contro gli austriaci.




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Giovanni Boldini
Ritratto di Luigi Bechi
1909
olio su tela - 55,9 × 40,5 cm.
Collezione privata



Nell’estate del 1861 si reca a Parigi dove, insieme a Telemaco Signorini e Vincenzo Cabianca e Cristiano Banti ha la possibilità di frequentare gli atelier di vari artisti. Al ritorno presenta alla Prima Esposizione Nazionale due soggetti biblici, insieme a “Michelangiolo che veglia il servo Urbino malato” (1855), quadri ancora legati al gusto storico e accademico vivo in Italia nel primo Ottocento, ottenendo una medaglia che rifiuta, come altri dodici artisti, per protesta contro una giuria considerata prevenuta e non obiettiva.

Abituale frequentatore del Caffè Michelangiolo e amico dei Macchiaioli, Bechi ne condivide le sperimentazioni, ma si limita ad adottare espressioni intensamente luministiche e sintetiste nei suoi studi di paese, preferendo una maniera più convenzionalmente formalista per i temi di storia, anche contemporanea. Amico di Diego Martelli, è spesso ospite della sua tenuta di Castiglioncello dove esegue molti studi e bozzetti in assonanza con Odoardo Borrani, Giuseppe Abbati e Raffaello Sernesi.


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Luigi Bechi
Il pollaio della casa di Diego Martelli a Castiglioncello
1865 circa
olio su tavola - 16 × 20 cm.
Collezione privata


Nella quiete incantata di un mattino estivo, una giovane porge il becchime alle galline. Il cortile recintato da muri ha un cancelletto aperto sulla campagna, oltre il quale lo sguardo vaga sulla distesa azzurra del mare, fino all’orizzonte che si fonde col cielo. La luce, che si posa vibrante sulle foglie, sui muri sbreccati, sulla figura della donna, suggerisce l’ariosità dell’atmosfera, così come il colore steso a pennellate fluide e attente a ricreare particolari ricchi di significati evocativi dell’ora serena, come i modesti fiorellini id campo, le pagliuzze tenere dei rampicanti. Questo scorcio della casa di Diego Martelli era caro al pittore fiorentino, che lo raffigurò spesso nelle opere eseguite a Castiglioncello fra il 1864 e il 1867.

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Con Sernesi parte volontario per la terza guerra d’indipendenza e viene fatto prigioniero a Bezzecca. Al ritorno si dedica a scene di vita campestre spesso ambientate nella campagna romana, ma anche nei dintorni di Firenze, suggerendo il suo interesse ancora vivo per gli aspetti più intimisti e nostalgici della scuola di Piagentina.


Nella tela “Dopo la burrasca” l’artista raffigura due fanciulle e un ragazzo alla ricerca di conchiglie lungo la spiaggia; si soffermano incuriositi davanti a un oggetto portato a riva dal mare dopo la burrasca. L’aspetto aneddotico del soggetto di genere, espressione di un gusto internazionale, si fonde alla visione solenne del paesaggio marino concepito per piani cromatico, in modo da suggerire un’ampiezza sconfinata. Un raggio di sole squarcia le nuvole e fa risaltare, nella luce livida del cielo, il biancore delle onde sempre più appianate via via che il vento va placandosi. Le qualità luministiche e atmosferiche della scena, unite alla resa per forti contrasti di colore delle figure, sono indicative delle affinità di ricerca del pittore con i macchiaioli e in particolare, a questa data, con Vincenzo Cabianca.


Dopo il 1870 dipinge garbare scene di vita domestica o infantile, che incontrano il gusto del pubblico, consentendogli di trascorrere una vita agiata e tranquilla. (M.@rt)



Luigi Bechi
Due bambini con pane e mele durante il riposo
1870 circa
olio su tela - 116 x 88 cm.
Collezione privata






Edited by Milea - 5/11/2023, 12:21
view post Posted: 3/11/2023, 18:32     +12Ferdinando Buonamici - La caserma di Modena con i volontari della Quinta Batteria - I Macchiaioli

Buonamici-la-caserma-di-modena-con-volontariP

Ferdinando Antonio Buonamici (Firenze, 1820 - 1892)
La caserma di Modena con i volontari della Quinta Batteria
1859
olio su tela - 55,7 x 70,5 cm.
Centro per l’Arte Moderna Matteucci, Viareggio


Nato a Firenze, nel 1848 si arruola come volontario nella guerra contro l’Austria insieme a De Tivoli, Lega, D’Ancona ed altri. Dopo gli studi dell’Accademia di Belle Arti, Telemaco Signorini lo ricorda come tra i primi frequentatori del Caffè Michelangiolo dove nel 1852 dipinge ad affresco, nella sala riservata ai pittori, un “Episodio dei Promessi Sposi”. Soggetti manzoniani sono anche quelli che espone a quel tempo alla Promotrici fiorentina, quando si dedica alla pittura di genere, intesa come espressione affettuosa legata ai temi di vita quotidiana; ne è un esempio il quadro “Gli orfani”.

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Ferdinando Antonio Buonamici
Gli orfani
1856 circa
olio su tela - 33,7 x 26 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


In un paesaggio solitario e carico di suggestione, due bambini vestiti miseramente si affliggono davanti a una povera tomba. Grazie all’uso di un cromatismo intenso e a una stesura fortemente macchiata, oltre che accesa da fremiti di luce, il pittore intensifica il patetismo della scena di genere, attualizzandone così il significato. Il quadro fu dedicato dall’artista a Giuseppe Dolfi, il fornaio fiorentino a capo della rivolta toscana del 1859, a conferma del sentimento patriottico di Buonamici, volontario nella seconda guerra d’indipendenza.




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Quello stesso anno parte volontario per il fronte, esperienza testimoniata da due dipinti, un “Autoritratto in divisa da volontario” (in collezione privata) e un interno della “Caserma di Modena con i volontari della Quinta Batteria”, quella composta quasi tutta da pittori del Caffè Michelangiolo, fra cui Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Adriano Cecioni e i loro sostenitori Diego Martelli e Gustavo Uzielli. Entrambe le opere testimoniano la precoce adesione del pittore ai modi della “macchia” simili, per ispirazione, a quelli coevi di G. Fattori. Nel 1865 partecipa alla mostra per il centenario di Dante, con il quadro “Benvenuto Cellini convalescente”, affrontando per la prima volta il tema, caro alla pittura dell’Ottocento, della celebrazione di personaggi illustri.



Ferdinando Antonio Buonamici
Benvenuto Cellini convalescente
1865
olio su tela - 102 x 129 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze



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Dalla metà degli anni sessanta si accosta alla poetica di Piagentina con opere quali “Veduta del colle di Fiesole”, un dipinto che rivela l’influenza di Silvestro Lega. Consonanze con l’opera di Lega si notano anche nei quadri raffiguranti scene ambientate nella villetta di Castel San Pietro, dove il pittore trascorre la villeggiatura in una proprietà dei parenti della moglie.



Ferdinando Antonio Buonamici
Veduta del colle di Fiesole
1868
olio su tela - 88 x 119
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Una visione ampia e solenne che l’artista descrive registrando con analitica severità le architetture e i semplici fatti di vita quotidiana, nell’ora della sera che sopraggiunge. Con un lirismo soffuso di malinconia, l’artista pone l’attenzione sul crescere disordinato della periferia di Firenze: le geometrie semplificate dei panni stesi ad asciugare nell’orto chiuso fra i muri in primo piano sembrano scompaginarsi per trasformarsi nella miriade di costruzioni disseminate sulle colline di Fiesole e di Vincigliata, ancora brulle prima che i residenti stranieri le rinverdissero di cipressi. La scansione cromatica del dipinto, impostata si toni sommessi, e la luce cilestrina, insieme al modo di concepire il fogliame degli alberi e di schizzare le figure, indicano come al tempo di Piagentina il pittore avesse scelto a modello la maniera di Silvestro Lega.

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Negli anni Settanta condivide per un certo tempo lo studio con Giovanni Fattori, ma nelle opere di quegli anni appaiono soggetti di intimità domestica, raffiguranti bambini intenti ai compiti o ai loro giochi, più vicini a Silvestro Lega e a Odoardo Borrani. Sono dipinti di piccole dimensioni, dai soggetti affabili e accattivanti, eppure soffusi di un sottile senso di nostalgia e di mistero, che stilisticamente sembrano coniugare il linguaggio di dipinti coevi di Odoardo Borrani, con lo squisito sentimento per l’infanzia di Adriano Cecioni. Dopo il 1876 abbandonò quasi del tutto la pittura, come indica la mancanza di sue opere alle mostre. Muore a Firenze il 2 marzo del 1892.

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La lezione
1874 circa
olio su tela - 16,4 x 22,8 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


Un bimbo fa i compiti in piedi, appoggiato alla ribalta di un antico scrittoio; libri e fogli sono sparsi disordinatamente sul mobile, sulle sedie e sul pavimento di mattoni rossi. La sensazione di intimità e quotidiana che l’immagine suscita fa sì che il dipinto assuma il valore di affettuosa trascrizione di un momento di vita familiare, quasi la pagina di un diario privato.

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Nel quadro “La caserma di Modena con i volontari della Quinta Batteria“ la sobrietà dei colori e il tono dimesso usati per rappresentare i soldati raccolti nell’ampia e disadorna architettura, variamente impegnati nelle loro occupazioni giornaliere, contribuiscono a evocare il senso di intimità e di cameratismo tipico delle situazioni in cui persone unite da uno scopo comune si rilassano dopo la fatica. Il bozzetto è un vero e proprio documento dalla sosta in caserma di Modena del corpo di spedizione toscano, che aderì alla seconda guerra d’ indipendenza, del quale facevano parte, oltre a Buonamici, alcuni dei frequentatori più giovani del Caffè Michelangiolo e Diego Martelli. (M.@rt)




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