| ||
Francesco Gioli, primogenito di Ranieri e Rosa Del Panta, una famiglia benestante, avvia i propri studi di arte a Pisa sotto la guida dell’allora direttore Marianini; la morte di quest’ultimo nel 1863 lo spinge a spostarsi a Firenze dove continua gli studi seguendo gli insegnamenti di Pollastrini e successivamente di Ciseri e all’Accademia di Firenze. Francesco Gioli Autoritratto 1883 olio su tela - 49 x 39 cm. Collezione privata Esordisce con quadri di genere in costume settecentesco, che spesso raffigurano personaggi della cultura artistica e letteraria. Giovanni Fattori e Telemaco Signorini lo avviano verso il paesaggio e la pittura di soggetti campestri. Con Fattori, Niccolò Cannicci e Egisto Ferroni si reca a Parigi, rimanendovi un mese, studiando con particolare attenzione la pittura di paesaggio, anche quella della Scuola di Barbizon. L’esperienza lo induce a dedicarsi con sempre più convinzione alla pittura dei campi, distinta da un sobrio e delicato naturalismo. Nel frattempo continua a dipingere, seppur saltuariamente, scene di genere, ora però di vita contemporanea, anzi coinvolte alla modernità, come “Giochi infantili”, dove rappresenta un brano di vita borghese immettendovi il senso della trascorrenza e dell’occasionalità, tipici di quegli anni incalzati dal progresso. Il matrimonio con la marchesa Matilde Bartolommei (1849-1932), figlia del senatore Ferdinando, contribuisce a consolidare i suoi contatti con il salotto mondano fiorentino: presso la villa di Fauglia i coniugi ospitano spesso Fattori, Telemaco Signorini e Sidney Sonnino. In questo clima amichevole e cordiale Silvestro Lega, nel 1878, ritorna a dipingere dopo le tristi vicende familiari.
Anche se diversi per il contenuto e i modi formali, i due generi pittorici esprimevano il comune significato: l’insofferenza nei confronti di un mondo che in vista di una presunta modernità trascura e dissipa un patrimonio culturale fatto di usi e abitudini secolari. Nascono allora altri quadri soffusi di toni evocativi e nostalgici, come “Passa il viatico”, presentato all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878, o “Ai campi in giugno”, premiato a Londra nel 1885.
Un funerale muove lento fra i campi verso il cimitero, seguito da poche persone compunte. Un vecchio, una fanciulla, un ragazzo reagiscono diversamente a seconda dell’età all’evento: la giovane genuflessa sembra trattenere con riserbo il suo dolore, l’anziano accetta mestamente la caducità della vita, il ragazzo incapace di far fronte al proprio sentimento si appoggia fra i singhiozzi al tronco di un albero. Nella luce intensa di un crepuscolo estivo, la luna appare fra i rami e fa brillare i fiorellini delle ginestre, le foglie d’argento degli arbusti e suggerisce alla sensibilità dell’uomo moderno che la natura segue i suoi ritmi, indifferente al destino umano. La tela, presentata all’Esposizione internazionale di Parigi nel 1878, vinse la medaglia d’oro e fu particolarmente apprezzata dall’artista francese Edgar Degas.
Il critico d’arte Diego Martelli , inoltre, la descrisse affermando che esibiva “un ordine di ricerche molto oneste che danno alla scuola fiorentina una distinzione rara”. La conoscenza dell’arte dei paesaggisti della Scuola di Barbizon, che lavoravano en plein air nei decenni intorno alla metà dell’800, condizionò le ricerche di Francesco Gioli, come si nota nell’accurata raffigurazione degli elementi naturali che incorniciano la strada sulla quale si snoda la processione. Nonostante la raffigurazione sia ripresa da un punto di vista esterno, la scena è comunque attraversata da una malinconica coralità, espressa anche dai contadini in preghiera sul ciglio della strada. Il viatico era una tradizionale processione che accompagnava il sacerdote nel momento della estrema unzione di un malato. Qui si descrive una visione corale di quella processione, una sorta di ultimo saluto da parte della comunità contadina.
Nel 1888 viene nominato professore all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e l’anno successivo a quella di Firenze. Negli anni Novanta, con il diffondersi del Divisionismo in Europa, rischiara la sua tavolozza alla ricerca di una maggiore luminosità, arricchendola di azzurri e rosati, adottando nuovi modi stilistici; al 1896 risale Fiori di campo, presentato alla Festa dell’arte e dei fiori di Firenze. Alle biennali di Venezia, a cui partecipa fin dalla prima edizione nel 1895, conosce la pittura delle Secessioni di Praga e Vienna e ne apprezza la sensibilità sottile e nervosa, resa con una stesura a piccoli tocchi di colori densi e sovrapposti, fino ad ottenere la giusta intonazione. Metodo che fa suo, per poi evolvere, con nuovo secolo, verso i modi dell’impressionismo internazionale: un’intensa vitalità e i toni abbaglianti dei bianchi diventarono i protagonisti dei suoi quadri novecenteschi.
Nel 1901 partecipa all’Esposizione di Monaco, mentre l’anno successivo aderisce alla Società Leonardo da Vinci, ritrovo fiorentino di artisti e intellettuali, della quale è nominato presidente fino al 1906. Nel 1910 è a Bruxelles, nel 1913 a Buenos Aires, nel 1915 a San Francisco e Melbourne. Espone di frequente alla Biennale di Venezia, dove nel 1914 viene organizzata una personale con cinquantadue opere che coprono l’intero arco della sua produzione, decretandone il successo a livello internazionale. Muore a Firenze il 4 febbraio 1922. Anche il fratello Luigi è stato un apprezzato pittore naturalista, anch’egli appartenente alla corrente macchiaiola. (M.@rt)
SPOILER (clicca per visualizzare) |