Votes taken by Milea

view post Posted: 21/12/2023, 13:43     +8GIOCO e IMPARO con PINOCCHIO (schede didattiche) - ANGOLO LETTURA

Il protagonista Pinocchio


Come E’? (qualità/aggettivi)


Pinocchio è stato chiamato così perchè è un burattino di legno di pino bianco. E’ magro, bugiardo, curioso, credulone, disubbidiente, simpatico, affettuoso, dispettoso, impaziente, spensierato, impulsivo, impertinente. Allegro e giocherellone, buono e generoso, capriccioso e piagnucolone, birichino e monello, ingenuo e credulone.

Cosa FA (azioni/verbi)


Dice bugie, disobbedisce, scappa, non ascolta i buoni consigli.

Cosa HA (possiede)


Il berretto di mollica di pane, il vestitino di carta fiorita, le scarpe di corteccia di albero.

Cosa HA (caratteristiche fisiche)


Le gambe magre, le orecchie piccine piccine, che a occhio nudo non si vedono neanche, il naso che si allunga ogni volta che dice le bugie.





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Costruisci il burattino Pinocchio


Stampa e colora il modello. Incolla la sagoma su un cartoncino; poi ritaglia e inserisci i fermacampioni.




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Il puzzle di Pinocchio

Ritaglia e ricomponi la figura del burattino; poi colora.






Edited by Milea - 22/12/2023, 14:07
view post Posted: 21/12/2023, 13:41     +8GIOCO e IMPARO con PINOCCHIO (schede didattiche) - ANGOLO LETTURA

Gioco e Imparo con Pinocchio

(schede didattiche interdisciplinari per la scuola primaria)

Aree di competenza: italiano, arte e immagine, musica
antropologia, educazione alla Convivenza civile, matematica, inglese




Il 7 luglio 1881 con la pubblicazione a puntate sul settimanale "Giornale per i bambini" esordisce la fiaba “La storia di un burattino” scritta dal giornalista toscano Carlo Lorenzini, detto Collodi. Il protagonista Pinocchio viene creato da Geppetto, un falegname che voleva fabbricarsi un burattino per avere compagnia e guadagnarsi da vivere girando il mondo.

- C’era una volta….
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
- No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.



LEGGI TUTTA LA FIABA






Cari bambini, io mi presento:
mi chiamo Pinocchio e non mi lamento.

Sono un simpatico e bel burattino
che ogni tanto fa il birichino.

Ho il naso lungo fatto di legno
come matite per il disegno.

Abito dentro un libro importante
con molti amici e un grillo parlante,
quando il lettore le pagine sfoglia
di uscire fuori ci viene voglia.

Così con mossa veloce e scaltra
una mano ne prende un’altra
e tutti uniti in un girotondo
ci presentiamo ai bimbi del mondo!






Curiosità





- Anche se in tutta la storia e nel libro che verrà pubblicato nel 1883, Pinocchio viene sempre definito burattino, in realtà è una marionetta (ovvero un pupazzo di legno che si manovra con i fili) e non un burattino (che invece viene manovrato da sotto infilandovi la mano dentro).

- Pinocchio parlava già prima di essere un burattino Pinocchio si animò quando prese le fattezze di burattino, ma era già vivo come pezzo di legno. Un tronco che nelle prime fasi della storia impazza per il paese, atterra i passanti e persino i Carabinieri, abbatte banchi di frutta, fino a fermarsi davanti la porta di Geppetto che lo modella mentre è già parlante.



- Il Grillo Parlante rappresenta la coscienza di Pinocchio; per questo, nella prima fase della vicenda, il burattino non sopporta la sua ramanzina mentre sta frugando nella casa del padre, e senza fare tanti complimenti lo spiaccica con una mazzetta. Il grillo riapparirà comunque, nelle vesti di fantasma, in diverse occasioni durante il romanzo, perseverando nella sua intenzione di redimere il burattino.

- La Fata Turchina nel libro non agisce da sola ma ha “al suo servizio” tutta una sfilza di animali, tra cui un barboncino-cocchiere, un gruppo di topi che tirano la carrozza e una lumaca-messaggero. La fata nel corso della vicenda cambia diversi ruoli, sebbene sia sempre riconoscibile dal colore dei capelli.



- L’animale che ingoia Geppetto e Pinocchio non è una balena, che fu un’invenzione Disney, ma uno squalo gigante.

- Il naso di Pinocchio, che cresce ad ogni bugia detta dal burattino, nel libro caratterizza solo un episodio del racconto mentre sarà il celebre cartone animato a farne il motivo centrale della storia.

- Nelle prime intenzioni di Collodi, la storia avrebbe dovuto concludersi in tragedia, con l’impiccagione del burattino, da parte del Gatto e la Volpe, che dopo averlo derubato e legato, lo appendono ad un ramo di una quercia. Quando questo drammatico finale fu pubblicato, alla quindicesima puntata, l’effetto sui giovani lettori fu terribile, tanto che l’editore spinse l’autore ad allungare la storia, attraverso l’intervento di un bellissimo ragazzo dai capelli blu - una delle “versioni” in cui appare la Fata Turchina nella storia.



- L’impiccagione non è l’unica terribile angheria che Pinocchio deve subire nell’arco della vicenda: ad esempio, viene immerso “cinque o sei volte” nella farina, fino a renderlo bianco dalla testa ai piedi e del tutto simile ad una marionetta di gesso, per poi essere cucinato dentro una pentola. In un altro passaggio al burattino viene infilato “al collo un grosso collare tutto coperto di spunzoni d’ottone”, per fare la guardia come un cane. O ancora, dopo essere trasformato del tutto in un asino, è vestito come una ragazza e costretto a fare danze assurde, o a saltare nei cerchi sul palco.

- Celebrata e diffusa in tutto il mondo anche grazie al cartoon di Walt Disney che ha reso più simpatico, dolce e innocente il povero burattino. La storia però al nipote di Collodi sembrò stravolta al punto che chiese ai tempi al governo italiano di intentare causa alla Disney per aver eccessivamente americanizzato la creazione dello zio.





Edited by Milea - 23/12/2023, 12:42
view post Posted: 15/12/2023, 16:26     +12TRITTICO DELLA VERGINE DI MONSERRAT - Bartolomé Bermejo - ARTISTICA



Bartolomé de Cárdenas, detto Bermejo
(Cordova, 1440 ca. - Barcellona, 1500 ca.)
Trittico della Vergine di Montserrat
1485
olio su tavola - 156,5 x 100,5 cm.
Sacrestia dei Canonici
Cattedrale di Santa Maria Assunta, Acqui Terme (Alessandria)

Nato a Cardena, nei pressi di Cordoba verso il 1440, Bartolomè Bermejo (in latino Rubeus) ebbe vita avventurosa ed inquieta. Importò in Spagna la tecnica pittorica ad olio appresa in terra fiamminga da Petrus Christus. E’ ritenuto il più grande pittore ispanico-fiammingo del secolo XV. Operò a Valencia, Daroca; Saragozza e Barcellona. Tra i committenti figurò la principessa Isabella di Castiglia. Il trittico con la Madonna di Montserrat è l’unico dipinto a lui commissionato da un non spagnolo, l’acquese Francesco della Chiesa, mercante a Valencia, espressamente per l’altare di famiglia nella Cattedrale di Acqui.

L’Aula Capitolare o “Sacrestia dei Canonici” è il cuore pulsante della Cattedrale di Acqui Terme: la sua realizzazione si deve all’iniziativa del vescovo Giovanni Battista Roero, che la fece rivestire a inizio Settecento con un prezioso arredo ligneo di banchi, sedili e armadi intarsiati dal maestro Silvestro de Silvestri verso il 1734. Sull’altare risplende il meraviglioso Trittico della Vergine di Montserrat, preziosa testimonianza di un periodo storico particolarmente florido per Acqui, quando nel Quattrocento conobbe un importante sviluppo edilizio e commerciale.


Nella stessa sala appaiono mirabili la pala di “S. Guido e i quattro Dottori della Chiesa” voluta dal vescovo Costantino Marenco per la cappella di famiglia nel 1496, e la grande tela con la “Annunciazione” attribuita al pittore genovese Valerio Castello e datata al 1645. Il Trittico della Vergine di Montserrat fu commissionato dal mercante acquese Francesco Della Chiesa negli anni ’70 del Quattrocento a Bartolomé Bermejo, considerato oggi il più importante pittore spagnolo del XV secolo.


Quest’opera probabilmente doveva essere collocata in una chiesa di Valencia, luogo in cui Francesco si era trasferito per i suoi commerci, e giunse alla Cattedrale di Acqui per legato testamentario solo alla morte del committente, intorno al 1510, con la finalità di essere collocata nella erigenda cappella di famiglia, come risulta in un documento notarile, ritrovato in occasione del restauro del Trittico nel 1987.


Il Trittico è uno dei capolavori della pittura europea del Quattrocento ed è dipinto con la tecnica della pittura ad olio, innovativa per l’epoca, quando in Spagna e in Europa si continuava a dipingere prevalentemente con la tempera e pochi erano in grado di utilizzare la nuova tecnica come i maestri fiamminghi, Jan Van Eyck, Van Der Weiden e Memling. In Italia originali interpreti di questa nuova arte furono, tra gli altri, Antonello da Messina, Piero della Francesca, Bellini e Botticelli, mentre in Spagna fu solo il Bermejo ad essere in grado di utilizzare pienamente il nuovo mezzo pittorico. La sua arte risente fortemente della pittura fiamminga per l’estrema cura dei dettagli, per la minuta rappresentazione degli oggetti, per la resa cromatica, in particolare quella dei metalli, e per la composizione, seppur con un’interpretazione più mediterranea degli schemi nordici.



Il Trittico riporta ad ante chiuse la “Annunciazione” monocroma, in grisaille, ma come uno scrigno di preziosi, mostra la sfolgorante bellezza dei suoi colori quando viene aperto. La tavola centrale, raffigura la dolcissima figura della Vergine con il Bambino assisa sopra la lama di una sega da falegname piantata nel terreno. Questo originale sedile è una chiara allusione al santuario mariano presente sullo sfondo, quello del Monastero di Montserrat, in Catalogna. La parola Montserrat significa infatti “monte seghettato”, perché tale pare da lontano il profilo delle montagne che circondano il Monastero.


Francesco Della Chiesa è rappresentato ai piedi della Vergine, inginocchiato in preghiera, e indossa una cappa nera con un colletto di velluto. Tra le mani regge un libro sul quale è miniata la preghiera del “Salve Regina”: la Vergine è infatti raffigurata come regina, con un bellissimo volto, contornato da un velo trasparente, e presenta sul capo una splendida corona, ricca di pietre preziose e di perle. Nella perfetta rappresentazione dell’oro, dei tessuti e dei ricami, si riconoscono le caratteristiche innovative della pittura ad olio fiamminga, capace di minute raffigurazione del reale.


Il Bambino tiene in mano una cordicella alla quale è legato un cardellino. Oltre alla piacevolezza del gioco infantile, è tuttavia il simbolo del martirio di Gesù: il cardellino avrebbe la macchia rossa del sangue di Cristo per essersi avvicinato a Lui sulla croce. Inoltre si può ravvisare in quest’immagine anche il simbolo dell’anima che sopravvive alla morte: la tensione drammatica della scena sembra risolversi nello sguardo di Maria che, piena di grazia, guarda benevola il donatore che a Lei si rivolge in preghiera.



Lo sfondo naturale è eccezionale per la pittura dell’epoca e dimostra la straordinaria capacità del Bermejo di rendere con vivezza ogni minimo particolare: dai fiori alle costruzioni, dalla marina alle navi mercantili.






Gli sportelli laterali furono invece affidati da Francesco Della Chiesa ai pittori valenciani, Rodrigo e Francisco Osona, incaricati di portare a termine l’opera quando Bermejo fu probabilmente chiamato in Aragona a completare altre opere. Nello scomparto di sinistra sono raffigurati la “Nascita della Vergine” e “S. Francesco” che riceve le stimmate, mentre in quello di destra si ammira la “Presentazione del Gesù al tempio” e “S. Sebastiano”. Fonte







Edited by Milea - 16/12/2023, 22:10
view post Posted: 13/12/2023, 11:18     +8IL GIORNO DOPO - Maria Lisma - PRECIOUS MOMENTS

L’uomo etico dà regole a se stesso

e il moralista dà sempre regole agli altri.


( Michela Murgia, Intervista Corpo della donna e femminismo)




view post Posted: 12/12/2023, 12:16     +7Come nacquero le rose e gli anemoni (mito greco) - Favole, miti e leggende

Come nacquero le rose e gli anemoni


(mito greco)


La leggenda greca narra di Adone, un giovane bellissimo, il favorito della dea Afrodite, tradizionalmente, il figlio dell’amore incestuoso di Smirna (Myrrha) intrattenuto per suo padre, il re siriano Theias. Affascinata dalla sua bellezza, Afrodite mise il neonato Adone in una scatola e lo consegnò alla cura di Persefone, la regina degli inferi, che poi si rifiutò di riconsegnarlo. Fu fatto un appello a Zeus, il re degli dei, che decise che Adone avrebbe dovuto trascorrere un terzo dell’anno con Persefone nel regno dei morti, un terzo con Afrodite nel regno dei vivi, e il restante terzo in un luogo a sua scelta. Afrodite, innamorata perdutamente, lo inseguiva e lo bramava, curandosi di null’altro se non di lui. Adone ricambiava tiepidamente le attenzioni della bella dea, dedicandosi invece con maggior piacere alla caccia.

La dea, presagendo il pericolo, cercò di dissuaderlo dal dare la caccia ad animali selvaggi e pericolosi come fiere, cinghiali e leoni, ma nonostante ciò, durante una battuta di caccia egli venne mortalmente ferito dall’attacco di un cinghiale selvatico, probabilmente scatenato dalla gelosia di Persefone.


Afrodite, in un impeto di passione corse in suo soccorso, ma nel farlo si ferì a causa di alcuni rovi; dal sangue fuoriuscito dalle sue ferite nacquero delle rose rosse, mentre dal sangue di Adone spuntarono gli anemoni rossi, simbolo di tristezza e di morte. Dal mito si comprende perchè alle rose rosse è stato attribuito sin dall’antichità il significato di amore profondo, capace di sconfiggere persino la morte.



John William Waterhouse (1849 - 1917)
Il risveglio di Adone (The Awakening of Adonis)
1899 -1900
olio su tela - 188 x 96 cm.
Collezione privata



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Nel linguaggio dei fiori e delle piante (tenendo in considerazione il colore e non la specie) i significati attribuiti alla rosa sono differenti:

- rossa, come da leggenda mitologica e tradizione, simboleggia l’amore e l’affetto, ma è anche il simbolo del coraggio e del rispetto;
- rosso scuro simboleggia la passione;
- bianca, è simbolo della purezza, dell’innocenza e dell’umiltà;
- rosa chiaro simboleggia la gioia e la grazia ma anche i sentimenti di simpatia e ammirazione;
- rosa simboleggia l’eleganza e la raffinatezza;
- rosa scuro/fucsia simboleggia la gratitudine;
- lilla simboleggia la regalità, la maestosità e lo splendore;
- viola simboleggia principalmente l’incanto ed il magnetismo, ma anche la ricchezza e l’abbondanza;
- gialla simboleggia l’amicizia e può essere considerata anche un augurio di buona fortuna. Il suo reale significato non ha niente a che fare quello di “gelosia” comunemente attribuitole;
- color pesca o salmone simboleggia la sincerità, la genuinità e la simpatia;
- arancione simboleggia il fascino, l’entusiasmo e l’energia;
- la rosa nera, diffusasi in tempi recenti ma che non esiste in natura, simboleggia la tristezza e la perdita ma anche la resistenza ed il coraggio;
- la rosa blu, come quella nera non esiste in natura e probabilmente per questo motivo simboleggia il mistero e l’ambiguità.




John William Waterhouse
Lo spirito della rosa (The Soul of the Rose)
1908
olio su tela - 88,3 x 59,1 cm.
Collezione privata, Los Angeles





view post Posted: 11/12/2023, 11:33     +9I tre giorni della merla (“i trii dì de la merla”) - Favole, miti e leggende

I tre giorni della merla

(leggenda milanese)


La leggenda dei tre giorni della merla si perde nel tempo. Sappiamo solo che erano gli ultimi tre giorni di gennaio, il 29, 30 e 31, e in quei dì capitò a Milano un inverno molto rigido. La neve aveva steso un candido tappeto su tutte le strade e i tetti della città. I protagonisti di questa storia sono un merlo, una merla e i loro tre figlioletti. Erano venuti in città sul finire dell’estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova.



Claude Monet (1840 - 1926)
Neve ad Argenteuil (Neige à Argenteuil)
1875
olio su tela - 55,5 × 65 cm.
Musée National de l’Art Occidental, Tokyo


Poi, per l’inverno, avevano trovato casa sotto una gronda al riparo dalla neve che in quell’ anno era particolarmente abbondante. Il gelo rendeva difficile trovare le provvigioni per sfamarsi; il merlo volava da mattina a sera in cerca di becchime per la sua famiglia e perlustrava invano tutti i giardini, i cortili e i balconi dei dintorni. La neve copriva ogni briciola. Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia. Intanto continuava a nevicare.



Claude Monet (1840 - 1926)
Il treno nella neve. La locomotiva
1875
olio su tela - 59 x 78 cm.
Marmottan Monet Museum, Parigi


La merla, per proteggere i merlottini intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po’ di tepore. Tre giorni durò il freddo. E tre giorni stette via il merlo. Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti: erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino. Nel primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale; anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine. Da allora i merli nacquero tutti neri; i merli bianchi diventarono un’eccezione di favola. Gli ultimi tre giorni di gennaio, di solito i più freddi, furono detti “i trii dì de la merla” per ricordare l’avventura di questa famigliola di merli.




Claude Monet (1840 - 1926)
Scena di neve ad Argenteuil (Rue sous la neige, Argenteuil)
1875
olio su tela - 71,1 x 91,4 cm.
National Gallery, Londra



view post Posted: 10/12/2023, 22:29     +9Leggenda dei fiori di mandorlo - Fillide e Demofonte - Favole, miti e leggende


Il mandorlo nell’arte





Vincent Van Gogh (1853 - 1890)
Ramo di mandorlo in fiore (Branches of an almond tree in blossom)
febbraio 1890
olio su tela - 73,5 x 92 cm.
Van Gogh Museum, Amsterdam


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Vincent Van Gogh
Mandorlo in fiore (Almond tree in blossom)
aprile 1888
olio su tela - 48,5 × 36 cm.
Rijksmuseum, Amsterdam


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Vincent Van Gogh
Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere
marzo 1888
olio su tela - 24 x19 cm.
Van Gogh Museum, Amsterdam


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Vincent Van Gogh
Ramo di mandorlo fiorito in un bicchiere con libro
(Blossoming almond branch in a glass with a book)
marzo 1888
olio su tela - 24 x 19 cm.
Collezione Privata, Tokyo


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Théo van Rysselberghe (1862-1926)
Mandorli in fiore (Almond Trees in Blossom. Morning)
1918 circa
olio su tela - 46,5 x 65 cm.
Collezione privata




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Achille Laugé (1861-1944)
L’albero in fiore (L’arbre en fleur)
1893
olio su tela - 59,4 x 49,2 cm.
Collezione privata, Bilbao


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Achille Laugé (1861-1944)
Il frutteto dell’artista (Verger de l’artiste)
1925 circa
olio su tela - 17 x 33 cm.
Collezione privata


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Paul Cezanne
Alberi di mandorlo in Provenza (Almond Trees in Provence)
1900
Acquerello su carta - 58,5 x 47,5 cm.
Collezione privata


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Marie Egner (1850–1940)
Nel pergolato in fiore (In the blossoming bower)
1896 circa
olio su tela - 86,5 x 114,5 cm.
Collezione privata





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Henri Manguin (1874−1949)
Il mandorlo in fiore (L’amandier en bleurs)
1907
olio su tela - 65 x 81 cm.
Collezione privata, Svizzera





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Pierre Bonnard
Il mandorlo (L’amandier)
1930 circa
olio su tavola - 51,1 x 34,9 cm.
Musée Bonnard, Le Cannet (Francia)


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Pierre Bonnard
Il mandorlo in fiore (L’amandier en fleurs)
1947
olio su tavola - 55 x 37,5 cm.
Musee National d’Art Moderne, Centre Pompidou, Parigi


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Edward Coley Burne-Jones (1833 - 1898)
L’albero del perdono (The tree of forgiveness)
1881 -1882
olio su tela - 190,5 × 106,7 cm.
Lady Lever Art Gallery, Port Sunlight (Liverpool)


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Edward Coley Burne-Jones (1833 - 1898)
Fillide e Demofonte(Phyllis and Demophoön)
1870
acquerello, guazzo su carta - 93,8 x 47,5 cm.
Birmingham Museum and Art Gallery


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John Peter Russell
Mandorlo in fiore (Almond tree in blossom -(Amandier en fleur)
1887
olio su fondo oro su tela su compensato - 46,2 x 55,1 cm.
National Gallery of Victoria, Melbourne (Australia)


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John William Godward (1861 - 1922)
Paesaggio Mandorlo rosso in fiore (Landscape. Blossoming Red Almond)
1912 circa
olio su tavola - 31,7 x 40 cm.
Collection of Vern and Judy Swanson, Springville Museum of Art (Utah)


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Sydney Thompson (1877-1973)
Mandorlo a Peille (Almond tree at Peille)
1938
olio su tela - 58,5 x 71,5 cm.
Museum of New Zealand Te Papa Tongarewa, Wellington


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Katsushika Hokusai
Cardellino, mandorlo e ciliegio piangente (serie “Piccoli fiori”)
1832 circa
silografia policroma - 25,1 x 18,2 cm.
Honolulu Museum of Art


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Alexandre Roubtzoff (1884–1949)
Mandorli (Les Amandiers)
1927
olio su tela - 80 x 107,5 cm.
Collezione privata


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Santiago Rusiñol y Prats ( 1861 - 1931 )
Mandorli in fiore a Maiorca (Almendros en flor en Mallorca)
1902
olio su tela - 118 x 137 cm.
Museo Nacional de Bellas Artes de Cuba, La Habana


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John Russell (1858-1930)
Mandorli e rovine, Sicilia (Amandiers et ruines, Sicile)
1887
olio su tela - 64,5 x 81,2 cm.
Collezione Queensland Art Gallery


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John William Waterhouse (1849 - 1917)
Raccolta dei fiori di mandorlo (Gathering almond blossoms)
1916 circa
olio su tela - 61 x 94 cm.
Collezione privata



Edited by Milea - 11/12/2023, 17:46
view post Posted: 10/12/2023, 20:43     +8Leggenda dei fiori di mandorlo - Fillide e Demofonte - Favole, miti e leggende

Leggenda dei fiori di mandorlo

Fillide e Demofonte


(Mitologia greca)


Demofonte, eroe greco figlio di Teseo e Fedra, si trovava in viaggio verso Troia. Durante una sosta a Tracia conobbe la principessa Fillide, figlia di Sitone, Re di Tracia. Appena i due si videro si innamorarono perdutamente. Demofonte dovette però lasciare la sua amata per andare a combattere a Troia, a fianco degli Achei. Fillide lo aspettò per dieci anni ma quando venne a conoscenza della caduta della città e della vittoria greca non vedendo l’innamorato tornare pensò che fosse morto e si lasciò morire di dolore.

La sua morte non passò inosservata alla dea Atena, che intenerita dall’amore profondo di Fillide, le diede nuovamente vita trasformandola in un albero di mandorlo. Ma Demofonte in realtà era ancora in vita, ma aveva incontrato molti ostacoli durante la navigazione sulla via del ritorno.
Una volta giunto in Tracia e saputo del destino della sua amata, si recò sul luogo dove c’era l’albero spoglio e lo abbracciò teneramente. In quell’istante dai rami iniziarono a spuntare centinaia di piccoli fiori bianchi: era Fillide che restituiva l’abbraccio ad Demofonte. L’abbraccio dei due innamorati si mostra ogni inizio di primavera a testimoniare l’amore eterno tra i due giovani. Ecco perché il fiore di mandorlo è il simbolo dell’amore.



Joaquín Sorolla y Bastida
Mandorlo in fiore (Almendro en flor)
1888 -1889
olio su tavola - 15,5 x 25,3 cm.
Madrid, Museo Sorolla





Edited by Milea - 10/12/2023, 22:07
view post Posted: 8/12/2023, 20:23     +3Come il coniglio rubò il fuoco - Favole, miti e leggende

Come il coniglio rubò il fuoco


(mito dei Nativi d’America)


Molti e molti anni fa i nativi d’America non possedevano il fuoco, ma sapevano della sua esistenza. Infatti avevano visto salire in cielo nuvole di fumo da un’isola abitata dalle tribù delle donnole.
Purtroppo i nativi non potevano raggiungere a nuoto l’isola. Il coniglio, che sapeva correre e nuotare più veloce delle donnole, si offrì per andare a rubare il fuoco. Si spalmò la testa con della resina di pino e partì.

Quando arrivò sull’isola, le donnole stavano facendo una festa e invitarono il coniglio a ballare con loro intorno al fuoco. Questo era proprio ciò che l’astuto roditore aspettava! Durante la danza, il coniglio si avvicinò sempre di più al fuoco, finché la resina sulla sua testa non si incendiò. Poi fuggì via.


Presto le donnole scoprirono di non riuscire a prenderlo e chiesero aiuto agli spiriti della pioggia perché spegnessero il fuoco sulla testa del ladro. Gli spiriti ascoltarono la preghiera delle donnole ed esaudirono il loro desiderio. Il coniglio, però, si nascose nel tronco cavo di un albero e non uscì finché la tempesta non fu cessata. Dopo di che fece ritorno al campo dei suoi amici e consegnò il fuoco che, ancora oggi, arde nella loro terra.



Joseph Mallord William Turner
The Burning of the Houses of Lords and Commons, 16 October 1834
1835
olio su tela - 92 x 123 cm.
Cleveland Museum of Art, Ohio



view post Posted: 8/12/2023, 11:51     +10Così dipingerei Maria - Jean Paul Sartre - ANGOLO LETTURA

Così dipingerei Maria

Jean Paul Sartre (1905-1980)

(Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti)




La montagna brulica di uomini in festa e il vento porta l’eco della loro gioia fino alla sommità delle cime. Approfitterò di questa tregua per mostrarvi il Cristo nella stalla, poiché non lo vedete in altro modo: non appare in questa stanza Giuseppe né la Vergine Maria. Ma siccome oggi è Natale, avete il diritto di esigere che vi si mostri il presepe. Eccolo. Ecco la Vergine ed ecco Giuseppe ed ecco il bambino Gesù. L’artista ha messo tutto il suo amore in questo disegno ma voi lo troverete forse un po’ naïf. Guardate, i personaggi hanno ornamenti belli ma sono rigidi: si direbbero delle marionette. Non erano certamente così. Se foste come me, che ho gli occhi chiusi... Ma ascoltate: non avete che da chiudere gli occhi per sentirmi e vi dirò come li vedo dentro di me.


La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio.


Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive.


Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria. E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare. Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia.




Antonio Allegri da Correggio
Adorazione dei pastori (La Notte)
1522-1530
olio su tavola - 256,5 x 188 cm.
Dresda, Gemäldegalerie


Bariona è un racconto scritto e rappresentato da Sartre nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di concentramento di Treviri. Allora ebbe modo di conversare a lungo con i preti detenuti discutendo di fede e di teologia. La storia del racconto ruota intorno alla figura di Bariona (dal soprannome di “figlio del tuono”), capo di un villaggio vicino a Betlemme ed è ambientata nell’epoca in cui la Giudea era oppressa dai Romani e vessata da continue richieste di tributi. Dovendo cedere alle pressanti richieste del funzionario Romano, Bariona convincerà i suoi compaesani a pagare; ad una condizione, però, che gli abitanti del villaggio non faranno più figli.

Intanto, ai pastori appare un angelo che porta la buona novella della nascita di un bambino: il Messia. Per Bariona sono tutti pazzi e si rifiuta di seguire i Re Magi, venuti dall’oriente. Egli, però, torna sui suoi passi e alla visione di Gesù Bambino abbandona ogni diffidenza verso il Messia e si impegna nella liberazione del suo popolo. L’esperienza della guerra lo sradica dall’individualismo, lo porta alla consapevolezza dell’importanza della socialità dell’uomo, ma anche alla convinzione dell’inutilità della guerra. La precaria, anche se non dura, condizione di prigioniero, lo porta ad un nuovo modo di sentire l’esperienza religiosa. Certamente questa sua esperienza “cristiana” fu tutt’altra cosa rispetto all’educazione religiosa che ebbe in famiglia; egli stesso dirà che il cristianesimo familiare era di pura facciata.


view post Posted: 6/12/2023, 21:36     +10La magia del Pettirosso nelle leggende - Favole, miti e leggende

La magia del Pettirosso nelle leggende


La leggenda del Pettirosso di Natale



Un piccolo uccellino tutto grigio, una notte si rifugiò nella stalla a Betlemme con la Sacra Famiglia. L’inverno era freddo e la neve ricopriva ogni cosa; la stalla era gelida. Maria, accorgendosi che il fuoco che li teneva al caldo stava per spegnersi, chiese aiuto agli animali presenti nella stalla. Il bue, che giaceva profondamente addormentato sul pavimento della stalla, non sentì la sua voce. Allora chiese all’asino di ridare vita al fuoco, ma nemmeno lui sentì Maria. La stessa sorte toccò al cavallo ed alla pecora.

Ma all’improvviso, Maria udì un battito d’ali: l’uccellino l’aveva sentita e voleva aiutarla. Il piccolo volatile si avvicinò al focolare; le sue ali erano come piccoli mantici, che sbuffavano e sbuffavano aria sulle braci. Con il becco raccolse anche dei bastoncini secchi e asciutti e li gettò nel fuoco, ma mentre era intento a far ciò, la fiamma gli bruciò le piume del petto, che divennero di un colore rosso vivo. Nonostante tutto il piccolo uccellino, continuò ad alimentare il fuoco, finché non scoppiettò vivacemente riscaldando l’intera stalla, mentre Gesù Bambino dormiva beato.

Maria ringraziò di cuore il pettirosso per i suoi sforzi e guardò teneramente il suo petto che ora era rosso per le bruciature. Lo benedisse per la sua generosità, dicendo: “D’ora in poi, lascia che il tuo petto rosso sia un ricordo della tua buona azione”. Da allora, il piccolo uccellino fu conosciuto da tutti col nome di “pettirosso”, ed è lui che annuncia l’arrivo dell’inverno e delle festività natalizie.





stella stellastellastellastellastellastellastellastellastellastella


La leggenda di Pasqua

Il Pettirosso che ebbe pietà di Gesù


La storia narra che un uccellino, mentre era in volo, vide sulla cima di un monte tre croci e tanta gente. Incuriosito, si avvicinò e sulla croce centrale vide inchiodato un uomo con una corona di spine in testa, che provocava ferite sulla testa, così profonde da far scendere copioso il sangue sul volto: era Gesù. Alla vista di Cristo morente fu presa da grande tristezza nel vedere tanta cattiveria e si avvicinò a lui, si posò vicino alla testa di Gesù e per alleviarne la sofferenza, gli tolse con il becco alcune spine dal suo capo sanguinante. Nel compiere il gesto una goccia di sangue gli macchiò le piume del petto. Gesù decise di lasciarli quel segno rosso in modo che tutti gli uomini potessero riconoscere da lontano quella creatura così generosa. E da quel giorno il pettirosso ha assunto il colore che tutti conosciamo, motivo per cui è chiamato “pettirosso”, in ricordo del suo gesto caritatevole.




Federico Barocci
La Madonna del Gatto (Madonna of the Cat)
1575 circa
olio su tela - 112,7 × 92,7 cm
Londra, National Gallery



view post Posted: 6/12/2023, 09:16     +7IL GIORNO DOPO - Maria Lisma - PRECIOUS MOMENTS

Il vero amore


Il vero amore non è né fisico né romantico.
Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.

Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.

La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia.

(Khalil Gibran)


Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l’impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.

Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione.

Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.

A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.

È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto. La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.

Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.

Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.

La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.

Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.

«Il vero amore non è nè fisico nè romantico.
Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia…»

Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.

Cara Giulia, grazie, per questi ventidue anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.

Addio Giulia, amore mio.






Edited by Milea - 6/12/2023, 12:18
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