Votes taken by Milea

view post Posted: 17/3/2024, 18:38     +4Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



Quando sei morto non sai di essere morto.
La sofferenza è solo per gli altri.

È lo stesso quando sei stupido.

(Richard Feynman)

view post Posted: 11/3/2024, 12:39     +7Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



Il mondo si divide in buoni e cattivi.
I buoni dormono meglio
ma i cattivi, da svegli, si divertono molto di più.


( Woody Allen)

view post Posted: 26/2/2024, 20:24     +4Nu au cyclamen, Gstaad (Nudo con ciclamino) - Chagall

Chagall_nu_au_cyclamenP

Marc Chagall (1887-1985)
Nudo con ciclamino (Nu au cyclamen, Gstaad)
firmato “Marc Chagall” (in basso a destra)
1971
gouache, acquerello, pastelli a cera colorati, pennello e inchiostro nero su carta
63,8 x 50,4 cm.
Collezione privata


Marc Chagall si affermò fin dall’inizio come colorista, ma fu solo nell’ultima parte della sua vita che il colore raggiunse la sua piena luminosità e pienezza nelle sue opere. Fu nei primi anni Settanta (sfruttando le lezioni apprese lavorando a diverse commissioni pubbliche su larga scala per vetrate) che la luce e il colore divennero elementi essenziali nell’opera dell’artista. “Nu au cyclamen, Gstaad” è soffuso di luce e di colori inondati dal sole, che Chagall ha completato con la sua gestione ariosa e libera del pigmento. L’immagine impiegata combina alcuni dei soggetti preferiti da Chagall in una composizione di grande bellezza poetica. Come molte delle sue opere migliori, questo dipinto a guazzo e acquerello rappresenta due amanti colti nell’iniziale eccitazione dell’amore, circondati da bouquet floreali che esplodono in un tripudio di colori.


Il tema dei giovani amanti è il soggetto più frequente nei dipinti del maestro. Ha eseguito molte varianti di questo tema e, come si addice ai misteri dell’amore umano e come è caratteristico dell’opera di Chagall in generale, raramente c’è una narrazione lineare o chiaramente logica dietro questi dipinti. Il tempo è stato compresso e gli eventi sembrano svolgersi nella nebbia dei ricordi o dei sogni. Susan Compton scrive: “Era una visione dell’amore ‘vero’, quello che l’artista avrebbe condiviso con la moglie Bella… Questa celebrazione degli amanti è altrettanto fantastica, perché la loro gioia li ha fatti levitare da terra. I volti sono abbastanza reali, ma ora la loro posizione è immaginaria. Eppure, con questo espediente Chagall è riuscito a condensare la magia dell’amore umano, mutuato forse dal mondo delle fiabe popolari, dove l’eroe e l’eroina vivono per sempre felici e contenti”. (Chagall, Royal Academy, Londra, 1985). (M.@rt)




view post Posted: 8/2/2024, 20:47     +6FEDE, SPERANZA E CARITA' - Giambattista Tiepolo - Tiepolo



Giambattista Tiepolo
Vergine del Carmelo che consegna lo scapolare a san Simone Stock
1749 ca.
olio su tela sagomata - 533 x 342 cm.
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia


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Giambattista Tiepolo
Penitenza, Umiltà, Verità
1739 - 1743 ca.
olio su tela sagomata - 240 x 235 cm
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia


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Giambattista Tiepolo
Coraggio e Giustizia
Coraggio (Donna appoggiata a una colonna con un leone)
Giustizia (Donna coronata di spine con una spada in mano, sormontata da una colomba)

1739 - 1743 ca.
olio su tela sagomata - 240 x 235 cm
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia



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Giambattista Tiepolo
Prudenza, Purezza e Temperanza
1739 - 1743 ca.
olio su tela sagomata - 240 x 235 cm.
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia



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Giambattista Tiepolo
L’Angelo che salva un ragazzo che cade da un’impalcatura
1739 - 1743 ca.
olio su tela sagomata - 116 x 337 cm.
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia



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Giambattista Tiepolo
L’Angelo vestito di rosso indossa lo scapolare per i fedeli
1739 - 1743 ca.
olio su tela sagomata - 116 x 337 cm.
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia



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Giambattista Tiepolo
Angelo con gigli e putto con scapolare
1739 - 1743 ca.
olio su tela sagomata - 164 x 280 cm.
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia




view post Posted: 8/2/2024, 16:53     +6FEDE, SPERANZA E CARITA' - Giambattista Tiepolo - Tiepolo

Tiepolo_Fede_Speranza_Carita_P

Giambattista Tiepolo (Venezia 1696 - Madrid 1770)
Le Virtù teologali: Fede, Speranza e Carità
1743 ca.
olio su tela sagomata - 235 x 240 cm.
Scuola Grande dei Carmini, Sala Capitolare, Venezia


La decorazione della sala capitolare della Scuola dei Carmini è una delle maggiori imprese realizzate da Tiepolo negli anni quaranta. Già nel dicembre del 1739 il capitolo della Scuola aveva deciso di affidare all’artista, definito nel documento contrattuale “il più celebre dei virtuosi”, l’incarico di decorare con alcune tele il soffitto della sala capitolare, dove campeggiava al centro una tela del Padovanino. Fu lo stesso Tiepolo a proporre di spostare altrove la tela del pittore seicentesco e di rinnovare l’intera decorazione del soffitto, dove aveva previsto la presenza di una tela centrale raffigurante la “Vergine che consegna lo scapolare a san Simone Stock”, contornata da altre otto tele minori, quattro raffiguranti le Virtù e quattro dedicate all’esaltazione dello scapolare e della stessa Scuola.


Benché Giambattista Tiepolo si fosse impegnato a consegnare la tela centrale entro il Natale del 1740 e le altre entro l’estate successiva, non riuscì a rispettare gli impegni presi, sicuramente a causa dei numerosissimi incarichi di lavoro: le otto tele minori vennero infatti messe in opera solo nella primavera del 1743 e quella centrale addirittura nel 1749. Nonostante il ritardo nel terminare la commissione, i confratelli della Scuola furono entusiasti del suo operato, accolto “con universal acclamatione”, tanto che il pittore venne anche gratificato di un premio in denaro non previsto da contratto.


Progettando questa impresa, Tiepolo tenne indubbiamente conto del modello delle tele di Paolo Veronese che si trovano nella Sala del Collegio in Palazzo Ducale, anche per quel che riguarda il loro inserimento all’interno della ricca incorniciatura di legno dorato e di stucchi che funge da tessuto connettivo dei dipinti. Ma dal modello veronesiano derivano anche la qualità del colore, su toni lievi e vibranti di luce, e l’altera bellezza delle splendide figure femminili delle Virtù e degli angeli. (M.@rt)









Edited by Milea - 8/2/2024, 20:39
view post Posted: 3/2/2024, 18:24     +13IL TRIONFO DI ZEFIRO E FLORA - Giambattista Tiepolo - Tiepolo

GiamBattista_Tiepolo_Trionfo-di-Zefiro-e-FloraP

Giambattista Tiepolo (Venezia 1696 - Madrid 1770)
Il trionfo di Zefiro e Flora
1732 ca.
olio su tela ovale - 395 x 225 cm.
Museo del Settecento Veneziano, Ca’ Rezzonico (Sala Longhi), Venezia


Questa tela, giunta alla collocazione attuale nel 1936 proveniente da Palazzo Pesaro, in origine faceva parte della decorazione ben più ampia, in tela e ad affresco, del primo piano di Ca’ Pesaro, eseguita da diversi pittori veneziani nel 1732 in occasione del matrimonio fra Antonio Pesaro e Caterina Sagredo. Gli sposi appartenevano a due fra le più importanti e ricche famiglie della città che, nel secolo precedente, avevano dato, ciascuna, un doge alla Serenissima. Il matrimonio fu sfortunatissimo: Antonio infatti morì di lì a poco, lasciando la consorte vedova e senza figli. Essendo Tiepolo impegnato a Milano tra il 1730 e il 1730 a Milano, dove lavorò alla decorazione dei palazzi di due nobili famiglie locali, gli Archinto e i Dugnani, pare del tutto probabile che egli abbia eseguito questo soffitto immediatamente dopo aver il rientro a Venezia, nei primi mesi dello stesso 1732.


La grande tela da soffitto mostra Flora, l’antica divinità della primavera, abbracciata a Zefiro, il caldo vento di ponente che fa rinascere la natura dopo i rigori dell’inverno. Come ovvio, data la particolare occasione dell’esecuzione del dipinto, esso ha un preciso significato beneaugurante nei confronti dei nobili sposi: la compresenza di Zefiro, uno dei venti della mitologia pagana, e di Flora, dea dei fiori, allude infatti alla rinascita della terra, alla primavera e quindi alla fecondità.


L’esecuzione dell’opera viene a cadere in un momento particolare della carriera di Tiepolo, quando muta sostanzialmente il proprio modo di dipingere. L’intonazione notturna e il violento contrasto di luce dei dipinti giovanili sono sostituiti da colori caldi e ombre colorate. Una tersa luminosità conferisce alle figure uno spessore di verità: nonostante l’anatomia idealizzata, esse si presentano in tutta la loro terrena bellezza. Secondo un espediente che egli è caro, Tiepolo contrappone alla candida nudità del personaggio femminile la pelle scurita dal sole del protagonista maschile, cui assegna ali trasparenti di libellula, che sembrano frinire davanti all’osservatore.


Nella realizzazione di quest’opera Giambattista Tiepolo pare essersi ispirato soprattutto ai modelli di Sebastiano Ricci, issando le due giovani divinità su una nuvola scura che si staglia contro il cielo e utilizzando un’intensa illuminazione, che proviene da sinistra e che provoca uno splendido effetto di luci e ombre, contribuendo a evidenziare ogni elemento della scena, dalle ali di libellula di Zefiro e dei numerosi amorini volanti che gli stanno accanto, che si fanno quasi trasparenti, fino all’eccezionale particolare della corona di fiori che la stessa divinità tiene in mano, eseguita in punta di pennello.



Pur apparentemente così aerea e spontanea, la scena risulta costruita con grande sapienza: l’equilibrio dei due corpi fluttuanti nel cielo è dato dal gioco delle braccia che si alzano e si allargano e dalle gambe divaricate nello scorcio del sotto in su.



Dopo essersi largamente ispirato al linguaggio enfatico della pittura barocca, l’ancora giovane Tiepolo celebra in questo ovale da soffitto il tema della fecondità primaverile attraverso la gaia e terrena carnalità dei personaggi raffigurati. (M.@rt)




view post Posted: 29/1/2024, 12:28     +3Gatti ricamati a punto croce - HOBBY




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Due meravigliosi occhi di gatto, realizzati a punto croce, su tela Aida 55 (55 quadretti ogni 10 cm.) color panna con cotone Moulinè DMC. Rifinire con punto scritto.
E’ possibile realizzare i due schemi anche a mezzo punto, con canovaccio (40 x 43 per il gatto schema n.1; 50 x 45 per il gatto schema n. 2) unifilo paglierino Zweigart a 70 fori, con cotone Moulinè DMC. I quadretti ultimati misureranno rispettivamente cm. 40 x 33 il primo, e cm. 40 x 36 il secondo. (Milea)




Occhi di gatto schema n.1, realizzato a punto croce; dimensioni 27 x 18 cm.







Edited by Milea - 30/1/2024, 20:48
view post Posted: 25/1/2024, 14:50     +8La fine del mondo (La fin du monde) - Magritte

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René Magritte (1898-1967)
La fine del mondo (La fin du monde)
1963
Firmato 'Magritte' (in alto a destra); intitolato 'La Fin du Monde' (sul retro)
olio su tela - 81,6 x 100,3 cm.
Collezione privata


“Per me non si tratta di dipingere la ‘realtà’ come se fosse facilmente accessibile a me e agli altri, ma di rappresentarla il più ordinaria possibile, in modo tale che questa immediatezza perda il suo carattere mite o terrificante e si presenti con mistero” (H. Torczyner, Magritte, New York, 1977). Fondendo due dei motivi caratteristici di Magritte in un’unica immagine evocativa, “La fin du monde” è una versione elegantemente semplice del complesso repertorio simbolico di Magritte. Combinando la dualità notte/giorno della serie L’empire des lumières con l’uomo con la bombetta, i protagonista di molte tele di Magritte, l’artista descrive un mondo completo (una figura in un paesaggio), che è allo stesso tempo un’iterazione e una sintesi della sua produzione dei due decenni degli anni Cinquanta e Sessanta.

In un’intervista radiofonica del 1956, Magritte spiegò la genesi della tela affermando: “Ciò che è rappresentato in un quadro è ciò che è visibile all’occhio, è la cosa o le cose che dovevano essere pensate. Così, ciò che è rappresentato nel quadro ‘L’empire des lumières’ sono le cose che ho pensato, per l’esattezza un paesaggio notturno e un cielo come quello che si può vedere in pieno giorno. Il paesaggio suggerisce la notte e il cielo il giorno. Questa evocazione della notte e del giorno mi sembra abbia il potere di sorprenderci e deliziarci. Io chiamo questo potere: poesia”. Il primo dipinto (completato) di questa serie raffigura una strada quasi urbana con un paio di case e un lampione decentrato.



René Magritte
L’empire des lumières
1949
olio su tela - 48,5 x 58,7 cm.
Collezione privata


Questa composizione fu subito apprezzata dai collezionisti di Magritte e fu acquistata da Nelson Rockefeller nel gennaio del 1950. Tra il 1949 e il 1964, Magritte eseguì diciassette oli e dieci versioni a guazzo de “L’empire des lumières”, ognuna delle quali presenta la variazione di una scena notturna di strada scarsamente illuminata, con una casa chiusa in modo inquietante e un lampione luminoso sotto un cielo blu illuminato dal sole con nuvole bianche e soffici. Questo motivo divenne rapidamente uno dei preferiti dell’artista e dei suoi ammiratori e rimase uno dei suoi temi più famosi e ricercati, a cui tornerà ripetutamente nel corso della sua carriera. “La fin du monde” è una combinazione del tema “L’empire des lumières” realizzato per la prima volta nel 1949 e di quello di un’opera più recente, “A la rencontre du plaisir” del 1962.



René Magritte
À la rencontre du plaisir (Verso il piacere)
1962
olio su tela - 46×55 cm
Collezione privata




In “La fin du monde Magritte” inverte l’equilibrio compositivo che caratterizza la serie “L'empire des lumières”, in modo tale che il cielo crepuscolare domini spazialmente sulla foresta e sulla casa in rilievo. Come Magritte spiegò, il concetto della dualità notte/giorno era per lui particolarmente affascinante: Se credo che questa evocazione abbia un tale potere poetico, è perché, tra le altre ragioni, ho sempre provato il massimo interesse per la notte e il giorno, senza tuttavia aver mai preferito l’una o l’altro. Questo grande interesse personale per la notte e il giorno è un sentimento di ammirazione e di stupore” . L’idea centrale de L’empire des lumières, che si manifesta ne “La fin du monde”, è la bellezza impossibile del concetto che André Breton esprimeva quando esclamava: “Se solo il sole uscisse stasera!”. La semplicità di questo concetto è inficiata dall’ombra dell’uomo con la bombetta, raffigurato in scala uguale alla casa, che rivela che questo ambiente è in qualche modo fantastico, un paesaggio onirico, un prodotto del regno poetico dell’immaginazione visiva di Magritte a cui ha dato il nome di “Le domaine enchanté”(Il dominio incantato).


Includendo all’interno di una scena spazialmente continua il giorno e la notte, due condizioni normalmente inconciliabili, Magritte sconvolge il senso del tempo dello spettatore. “Dopo aver dipinto ‘L'empire des lumières’, mi venne l’idea che la notte e il giorno esistano insieme, che siano una cosa sola. Questo è ragionevole, o per lo meno è in linea con le nostre conoscenze: nel mondo la notte esiste sempre nello stesso momento del giorno. (Così come in alcune persone la tristezza esiste sempre allo stesso tempo della felicità in altre). Ma queste idee non sono poetiche. Ciò che è poetico è l’immagine visibile del quadro” . Breton riconobbe in quest'opera anche la riconciliazione anticonvenzionale degli opposti che i surrealisti apprezzavano, affermando che: “A [Magritte], inevitabilmente, toccava il compito di separare il ‘sottile’ dal ‘denso’, senza il quale non è possibile alcuna trasmutazione. Attaccare questo problema richiedeva tutta la sua audacia: estrarre contemporaneamente ciò che è luce dall’ombra e ciò che è ombra dalla luce (L’empire des lumières). In quest’opera la violenza fatta alle idee e alle convenzioni accettate è tale (l’ho saputo da Magritte) che la maggior parte di coloro che passano di lì pensano di aver visto le stelle nel cielo diurno. In tutta l’opera di Magritte è presente in larga misura quello che Apollinaire chiamava ‘genuino buon senso’, che è, naturalmente, quello dei grandi poeti”. (A. Breton, "The Breadth of Rene Magritte" in Magritte, 1964)


L’immagine dell’uomo con bombetta e soprabito nero, qui incastonato nella parte destra della linea degli alberi, è entrata per la prima volta nell’opera di Magritte in alcuni dipinti della fine degli anni Venti; tuttavia, solo nel 1951 apparve nel repertorio dell'artista la versione più nota - e addirittura iconica - di questo soggetto, in cui la figura parziale dell'uomo è vista da dietro, in “La bôite de Pandore”. Questa figura divenne la base di una serie di varianti in cui l'artista collocava l'uomo in diversi ambienti.



René Magritte
Il vaso di Pandora (La boîte de Pandore)
1951
olio su tela - 45,5 x 55 cm.
Collezione privata


L’uomo con la bombetta, il cui volto è nascosto allo spettatore, non era solo il personaggio privato e il surrogato del pittore, ma da allora è stato riconosciuto come simbolo universale dell’anonimo uomo di strada borghese del XX secolo. È il funzionario pubblico, il burocrate, il capitalista grande o piccolo, o il comune salariato, che aspira interiormente e discretamente a qualcosa che va oltre se stesso, o addirittura al potenziale visionario dell’artista o del poeta. Come altri membri del circolo surrealista di Bruxelles, Magritte scelse di vestirsi e di vivere in modo volutamente austero e borghese. La bombetta era un elemento fondamentale del suo abbigliamento conservatore. David Sylvester ha scritto: “Mesens mi ha raccontato che Magritte non si è mai comprato una bombetta elegante, una bombetta che si adattasse meglio al suo viso, ma sempre un prodotto standardizzato, indifferente, che non permetteva alcun tipo di partecipazione alle preferenze di gusto”. (D. Sylvester, Magritte, 1969). Lo stesso artista spiegò a un intervistatore della rivista Life nel 1965: “La bombetta è un copricapo che non è originale: non desta alcuna sorpresa. E io la indosso. Non sono ansioso di singolarizzarmi. Mi vestirei per questo. Ma non voglio”.(R. Magritte, Ecrits complets, Parigi, 1979 ).


“La fin du monde” è quindi uno straodinario esempio di come Magritte impieghi abitualmente i simboli della normalità, dell’ordinarietà, delle convenzioni quotidiane - come l’ambientazione rurale notturna e l’anonimo uomo con la bombetta - a fini contraddittori: per sorprendere, sconvolgere e riconfigurare le aspettative e l’esperienza del quotidiano dello spettatore. Come ha osservato l’artista stesso, “i miei quadri che mostrano oggetti molto familiari, ad esempio una mela, pongono delle domande. Non capiamo più quando guardiamo una mela; la sua qualità misteriosa è stata così evocata”. (M.@rt)



view post Posted: 23/1/2024, 13:22     +7Festa e declino (Feier und Untergang)- Paul Klee - Klee

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Paul Klee (1879-1940)
Festa e declino (Feier und Untergang)
1920
firmato “Klee” (in basso a destra)
olio, penna e inchiostro di china - 38,7 x 25,4 cm.
Collezione privata


Nel dicembre 1918, un mese dopo la firma dell’armistizio che poneva fine alla Prima guerra mondiale, Klee venne congedato dall’esercito tedesco e tornò a Monaco di Baviera, sede delle sue attività prebelliche. Nel corso dei due anni successivi, Klee ampliò notevolmente la sua gamma di soggetti e di mezzi artistici e raggiunse la prima vera notorietà per il suo lavoro. Nell’ottobre del 1919 firmò un contratto triennale con il mercante Hans Goltz; nella primavera successiva Goltz allestì una retrospettiva di oltre trecentocinquanta dipinti, disegni e incisioni di Klee, che fece scalpore a Monaco. Poco dopo vennero pubblicate due monografie su Klee e la definizione dell’artista stesso sui suoi obiettivi espressivi appare nell’antologia “Credo creativo”. Nel novembre del 1920, Klee ricevette da Walter Gropius l’invito a far parte della facoltà del Bauhaus di Weimar, appena fondato; due mesi dopo lasciò Monaco per unirsi a questa ambiziosa comunità di artisti e architetti. Will Grohmann scrisse: “Se Klee, come Franz Marc, fosse stato destinato a morire giovane, ciò che ha prodotto prima del 1920 lo avrebbe comunque reso non solo uno dei pittori più ispirati, ma anche uno dei più grandi del XX secolo. Il periodo che precede il Bauhaus non è semplicemente il fondamento della sua opera successiva: è una sezione decisiva dell’arte di Klee e del suo secolo… Nei dipinti a olio del 1919 e del 1920, per lo più paesaggi, Klee raggiunge una sicurezza di forma e un’oggettività di espressione mai viste prima. Si tratta delle opere più importanti realizzate prima di trasferirsi a Weimar”. (Paul Klee, Londra, 1954).


Il presente dipinto fa parte di un gruppo di paesaggi ritmici e boscosi che Klee realizzò nel 1920, l’anno successivo all’esordio della sua attività ad olio. È numerato duecento su duecentotrentaquattro opere del 1920, il che suggerisce che risale all’autunno, dopo il ritorno dell’artista da Possenhoffen sul lago di Starnberg. Le tonalità dominanti del rosso e del marrone riflettono i colori del fogliame autunnale, mentre il titolo del dipinto, “Feier und Untergang”, evoca l’abbondanza del raccolto seguita dall’arrivo dell’inverno.

I blocchi di colore piatto, tipici delle opere orfiste di Klee del periodo prebellico, fungono da struttura unificante per le forme lineari che compongono il paesaggio. La cima della montagna alberata al centro della composizione si ripete nel frontone triangolare che la affianca, suggerendo un collegamento tra creazione naturale e creazione umana. Klee era estremamente sensibile al timbro dei vari paesaggi e il suo diario documenta ripetutamente la sua attenzione per il territorio; aveva inoltre raccolto una collezione diversificata di materiali botanici che studiava come repertorio di forme. Il suo obiettivo, tuttavia, non era la traduzione mimetica delle forme osservate in arte, ma piuttosto un’analogia tra la natura e l’opera creativa dell’artista, che secondo lui erano soggette alle stesse leggi. Nel “Credo creativo” dichiarò: “L’arte è una somiglianza con la creazione. A volte è un esempio, proprio come il mondo terrestre è un esempio di quello cosmico”. Anke Daemgen ha spiegato: “Il desiderio di Klee era quello di realizzare opere che non si ispirassero semplicemente all’aspetto esteriore della natura, ma un’arte che, come la creazione stessa, emanasse da un processo creativo interiore e vivificante che a sua volta rimanesse vitale all’interno dell’opera. Il fascino dei processi di cambiamento e metamorfosi, della crescita e del movimento, che caratterizzò tutta l’opera di Klee, raggiunse il culmine nella sua esplorazione artistica di piante, giardini e paesaggi”. (The Klee Universe, Neue Nationalgalerie, Berlino, 2008).


La presente opera, eseguita a olio su carta (datata, numerata e intitolata “1920/200 Feier und Untergang”, su una striscia di supporto applicata al retro), è stata montata da Klee su tavola e ne ha poi dipinto il bordo in rosso per riprendere i colori del paesaggio. L’artista riservava questo trattamento alle opere che considerava più riuscite, quelle che chiamava quadri su tavola, per distinguerle dai disegni o dai fogli colorati. Come ha spiegato Grohmann “Klee faceva distinzioni molto nette; declassava e promuoveva. Quando un quadro non era in grado di vivere di vita propria sulla parete, veniva incollato su un cartoncino bianco e diventava un foglio colorato. ‘Sul bianco a volte sta bene’, diceva Klee a proposito di questi casi. Quando invece un foglio era sufficientemente robusto, lo montava su cartone o legno e lo trasformava in un pannello”. (M.@rt)




view post Posted: 22/1/2024, 17:32     +6Vecchio ebreo con violino (Vieux juif au violon) - Chagall

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Marc Chagall
Vecchio ebreo con violino (Vieux juif au violon)
1935
firmato ‘Chagall Ma.’ (in basso a destra)
guazzo su carta - 68 x 52 cm.
Collezione privata


“Vieux juif au violon” raffigura un anziano violinista di paese o forse un musicista itinerante, vestito con un cappotto logoro, un piede calzato e l’altro pateticamente senza scarpe, mentre si fa strada lentamente, bastone alla mano, attraverso il paesaggio innevato di un inverno russo, stagione fin troppo emblematica dei tempi duri in cui si è trovato egli stesso. In tempi migliori, la vita e la fortuna di questo violinista sarebbero state legate alla vita quotidiana e ai rituali di una piccola ma fiorente comunità rurale ebraica. Egli rappresentava l’unica espressione d’arte che molti poveri abitanti dello Shtetl (villaggio ebraico dell’Europa orientale, di lingua e cultura yiddish) avrebbero mai sperimentato, mentre presiedeva a riunioni di ogni tipo, celebrando nascite, compleanni e altri anniversari, celebrazioni di mitzvah (comandamenti) e matrimoni. Questo accadeva un tempo... ora il villaggio giace dormiente sotto una coltre di neve e un cielo turbolento e infausto.


Franz Meyer ha osservato che nell’opera di Chagall degli anni Trenta “compaiono nuovi temi e motivi che esprimono la gravità dello stato d’animo di Chagall in quel momento, il suo interesse più profondo per gli affari ebraici e la preoccupazione per la religione rivelata nelle incisioni della Bibbia”. (Marc Chagall, New York, 1963). L’ispirazione per l’opera potrebbe derivare da un viaggio che Chagall e sua moglie Bella fecero nell’agosto-settembre del 1935 a Vilna, dove l’artista inaugurò, presso l’Istituto Scientifico Yiddish, il nuovo Museo di Arte Ebraica, per il quale aveva fatto progetti nel 1929. L’artista espose più di cento incisioni che aveva creato per le Anime morte di Gogol, le Favole di La Fontaine e la Bibbia nella sua stessa vita.


Vilna era allora situata all’interno dei confini della Polonia; metà della sua popolazione, pari a circa centomila persone, era ebraica e la città era il centro della vita culturale yiddish del Paese. “Le case di legno e le strade tortuose del quartiere ebraico, la prevalenza dello yiddish e degli ebrei... in abiti tradizionali, di cibo ebraico al mercato”, ha scritto Jackie Wullschlager, “tutto ciò ebbe un effetto quasi ipnotico su Chagall e Bella, come se stessero camminando a Vitebsk, la loro città natale” (Chagall, A Biography, New York, 2008). Vitebsk si trovava appena oltre il confine dell’Unione Sovietica, ma era off-limits per Chagall, che era espatriato in Occidente nel 1922. L’artista scrisse all’amico Yosef Opatoshu a New York: “Arrivare al confine della mia città e dirle che lei non mi ama, ma io l’amo... e ritornerò senza entrarvi...” (citato in B. Harshav, ed., Marc Chagall and his Times, Stanford, 2004). Il viaggio a Vilna era stato per Chagall e Bella un viaggio della nostalgia. L’artista ricominciò a scrivere in yiddish e Bella prese in considerazione il progetto di redigere un proprio libro di memorie di Vitebsk, sempre in yiddish, che alla fine pubblicò con il titolo “Burning Lights”.


Ma il viaggio aveva anche mostrato loro delle ragioni per considerare il futuro con apprensione: vennero a sapere che il figlio di un eminente storico ebreo dell’Istituto era stato deriso per strada e picchiato dai polacchi, a riprova del fatto che, dopo la recente morte del maresciallo Pilsudksi, il grande statista della seconda repubblica polacca, l’antisemitismo era di nuovo in aumento in quel Paese. Mentre Chagall si trovava a Vilna, il governo nazista in Germania emanò le Leggi di Norimberga, che privavano gli ebrei di diritti e li rendevano non cittadini. Prima del suo viaggio, Chagall aveva scritto a Opatoshu: “Lavoro e sospiro come tutti gli ebrei del mondo, che vengono picchiati... e per questo divento ancora più ebreo”.


Chagall vede nel violinista anziano e solitario un presagio delle vicende che verranno: storie che troveranno voce nelle melodie suonate sul vecchio violino. “Il dolore del mondo è presente sotto i segni di una contemplazione grave e malinconica”, ha scritto Raissa Maritain di Chagall, “ma i simboli della consolazione lo accompagnano sempre. Se c’è un povero nella neve, almeno suona un violino”. (Marc Chagall: A Biography, New York, 1978). (M.@rt)



view post Posted: 21/1/2024, 20:28     +11La fiancée rêvant - Chagall

Marc_Chagall_la_fiancee_revantP

Marc Chagall
La fiancée rêvant
1952
firmato “Marc Chagall” (in basso a destra)
olio su tela - 56,5 x 52 cm.
Collezione privata


I protagonisti centrali di molti dipinti di Chagall sono amanti o sposi novelli, personaggi rapiti dall’entusiasmo iniziale dell'amore, che si sono abbandonati ad esso e si sono completamente dedicati l’uno all'altra. Per Chagall e la sua prima moglie Bella, che si sposarono nel 1915 e vissero insieme per quasi tre decenni, questa esperienza affettiva assunse un’intensità tale, che sembrava non dovesse mai vacillare o affievolirsi.

Fu un colpo devastante per Chagall quando, nel 1944, Bella morì precocemente e improvvisamente a causa di un’infezione virale, mentre vivevano a nord di New York durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale. La penicillina avrebbe potuto salvarla, ma questo nuovo farmaco era stato riservato esclusivamente all’uso militare. L’adorazione di Chagall per Bella divenne ancora più intensa dopo la sua scomparsa e continuò a celebrare l’impatto sulla sua vita in molti dipinti. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta ebbe una lunga relazione con Virginia Haggard McNeil, dalla quale ebbe un figlio. Si sposò nuovamente nel 1952, questa volta con Valentine (“Vava”) Brodsky, dopo un corteggiamento durato solo pochi mesi. La piacevole realtà dell’intimità domestica quotidiana, tuttavia, non avrebbe mai potuto scalzare la potenza del momento mitico ed eterno che Chagall aveva creato intorno al ricordo di Bella, né sminuire quei sentimenti ormai fissati in modo permanente nella mente dell’artista, il caveau fondamentale del suo vasto e sconfinato immaginario.


Nel dipinto, eseguito l’anno del suo matrimonio con Vava, ma poco più di un decennio dopo la morte di Bella, Chagall ritrae con devozione la sua amata, non segnata dalla morte o dal passare del tempo, di nuovo promessa sposa, che fluttua in un cielo paradisiaco illuminato dalla luna. Come ha scritto Sidney Alexander: “Chagall e Bella rimasero amanti, anche se sposati; monogami ma non monotoni; amanti fino alla fine, in una storia così felice da offrire pochi spunti al biografo o al romanziere. Da questo Eden domestico, vissuto e ricordato, uscì una serie infinita di epitalamie dipinte: Bella come dea, Bella come Venere, Bella come Betsabea; Bella come la sposa (Shulamita) del Cantico dei Cantici; Bella come un razzo bianco che si libra verso la luna. Anche dopo la morte di lei (quando viveva con Virginia) ogni volta che dipingeva una sposa era Bella; ogni volta che dipingeva un velo da sposa si riferiva a Bella”. (Marc Chagall, A Biography, New York, 1978). (M.@rt)



view post Posted: 17/1/2024, 13:13     +16L’ora fatidica alle dodici meno un quarto - Paul Klee - Klee

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Paul Klee
L’ora fatidica alle dodici meno un quarto
(Schicksalstunde um dreiviertel zwölf)
1922
firmato, datato e numerato ‘Klee 1922 // 184’ (in alto a sinistra)
olio su mussola preparata con gesso montato su pannello nella cornice dell’artista
40,8 x 48 cm.
Collezione privata


Nel novembre del 1920, Klee ricevette da Walter Gropius l’invito a diventare docente presso la neo-fondata Bauhaus di Weimar; due mesi dopo lasciò Monaco per unirsi a questa dinamica comunità di artisti, architetti, designer e artigiani, con il suo prestigioso curriculum multidisciplinare. Weimar offriva a Klee grandi vantaggi: un reddito fisso, un grande studio ad uso esclusivo e un ambiente gratificante per discutere e perfezionare le sue idee. Sebbene le responsabilità di insegnamento al Bauhaus occupassero solo un limitato numero di ore settimanali, lo costrinsero a formulare una teoria convincente e condivisibile sull’uso degli elementi pittorici.

“I dieci anni di Klee al Bauhaus, prima a Weimar e dopo il 1925 a Dessau, segnano l’apice della sua produzione artistica... La sua versatilità creativa rende impossibile identificare uno specifico stile “Bauhaus” nell'opera di Klee; piuttosto, la continuità nel suo lavoro degli anni Venti dipende non tanto dallo stile o dal motivo, quanto dall’integrazione di una componente teorica più profonda. Costretto dalle sue responsabilità di insegnante ad analizzare e articolare a fondo la sua pratica artistica per la prima volta, Klee creava ora un’arte che entrava in dialogo con la sua stessa teoria: l’intuizione incontrava la ragione, l’analisi diventava ispirazione, l’idea trovava una nuova struttura” (Christina Thomson, The Klee Universe, Neue Nationalgalerie, Berlino, 2008).



“Schicksalstunde um dreiviertel zwölf” fa parte di un gruppo di composizioni stravaganti che Klee eseguì a Weimar, in cui delicati disegni al tratto, spesso infantili, sono inseriti in una struttura indipendente in cui delicati disegni al tratto, spesso infantili, sono inseriti in una struttura indistinta di elementi di colore o (come in questo caso) all’interno di un campo di tinte colorate e traslucide. Queste giocose fantasie poetiche erano spesso tratte dal mondo del teatro, del balletto, dell'opera e delle fiabe;
Queste giocose fantasie poetiche erano spesso tratte dal mondo del teatro, del balletto, della lirica e delle fiabe; Klee amava le opere buffe di Mozart ed era anche affascinato dalle storie magiche dell’autore romantico E.T.A.Hoffmann, le cui opere erano molto apprezzate al Bauhaus nei primi anni Venti.

Sebbene il presente esempio non sembri avere un riferimento specifico al mondo del palcoscenico, presenta lo stesso carattere onirico e semi-narrativo dei dipinti esplicitamente operistici di Klee. All’estrema destra, un orologio segna le 11:45 e il suo pendolo conta i minuti che mancano alla mezzanotte, quando presumibilmente l’incantesimo sarà spezzato; l’orologio funge da presagio di sventura, come chiarisce il titolo del dipinto (L’ora fatidica alle dodici meno un quarto). La forma conica con due sfere nella zona superiore del dipinto ripete il movimento oscillante del pendolo, mentre la luna alla sua destra riprende la forma del quadrante luminoso dell’orologio, suggerendo un parallelo tra il tempo cosmico e quello terreno. La fluida colata di rossi e gialli sullo sfondo conferisce alla scena un aspetto inquietante e misterioso, come se il cielo notturno fosse illuminato artificialmente.


In basso a sinistra della composizione, una ragazza si allontana di corsa, passando davanti a una casa che sembra sul punto di crollare; forse è appena fuggita dall’edificio accanto alla torre dell’orologio, con il suo evidente sentiero rosso che porta da una parte all’altra. Klee esplorò molti di questi stessi motivi pittorici in altre due composizioni del 1922, che sostituiscono l’ambientazione notturna del quadro attuale con quella del mezzogiorno, o meglio, delle 11:45 del mattino. L’anno precedente, Klee aveva creato opere sul tema del destino, che aveva occupato molti artisti dopo la prima guerra mondiale. In “Giorno d’inverno, poco prima di mezzogiorno”, si profila una catastrofe cosmica: un corpo celeste infuocato appare basso sopra la casa; la lancetta a freccia dell’orologio della torre indica che manca poco a mezzogiorno, l’ora del destino. Il motivo della freccia era un elemento che Klee utilizzò nei suoi quadri fino al 1924 per indicare la direzione dell’azione; divenne un segno ineluttabile del fato e simbolo del potere magico.



Paul Klee
Giorno di inverno poco prima di mezzogiorno
(Wintertag Kurz vor Mittag)
1922
olio su carta montato su cartone - 29,8 x 45,9 cm.
Kunsthalle Bremen (Germania)


Will Grohmann ha scritto: “Non sapremo mai esattamente quali o quante opere di Klee alludono all’opera lirica. In Klee, il processo di metamorfosi è così intenso che le origini sono raramente evidenti, tanto più che nel suo metodo di lavoro gli elementi associativi entrano spesso solo dopo che il quadro è stato iniziato. I titoli da soli non sono un indizio sufficiente. Le esperienze operistiche furono senza dubbio l’ispirazione di molte altre figure simili a balletti, innamorati e dolenti, mascherati e smascherati; e molti paesaggi con luna e stelle discendono certamente dal regno del Flauto magico e di altre opere fiabesche”.

Il contesto teatrale del presente dipinto è rafforzato dall’inclusione di notazioni musicali nella composizione: le linee di uno spartito musicale sulla montagna alberata in primo piano, che stabilisce un’ambientazione vagamente alpina per l’episodio drammatico; il numero “3/4” nel cielo, che potrebbe fare riferimento non solo all’ora portentosa, ma anche al ritmo di tre quarti (la nota di tempo di un valzer). La musica è stata parte integrante della vita di Klee fin dalla prima infanzia. Suo padre era un insegnante di musica, sua madre una cantante professionista e lui stesso un abile violinista. In effetti, la decisione di Klee di diventare un artista visivo piuttosto che un musicista fu presa solo con grande sofferenza alla fine della scuola secondaria. Egli arrivò a considerare la musica come un modello per la sua arte e cercò costantemente di tradurre le qualità temporali della musica in forma visiva. Molte delle sue lezioni al Bauhaus erano incentrate sui parallelismi tra la musica e la teoria del colore, in particolare sulla capacità dei motivi lineari e delle griglie di creare ritmi strutturali.


In dipinti come questo, i ruoli indipendenti svolti dal disegno e dal colore sono stati paragonati al rapporto tra il libretto e la partitura di un’opera, che sono collegati ma mantengono le proprie identità separate; così come il libretto viene elevato dalla messa in musica, allo stesso modo il fondo astratto e colorato infonde ai disegni giocosi e rappresentativi di Klee una nuova forza (A. Kagan, Paul Klee: Art and Music, Ithaca, New York, 1983).

Questa tecnica permise a Klee sia di preservare il carattere delicato e idiosincratico del suo tratto, sia di sostenere in sé lo spirito di gioco di un bambino. Andrew Kagan spiega: “Il capriccio, la fantasia e la giocosità non erano per Klee solo un’indulgenza personale, ma rappresentavano anche un ideale estetico. Nella sua valutazione dei capolavori di Mozart, Klee deve aver dedotto che la comprensione e l’occasionale presa in prestito dell’estetica del bambino è un fattore critico per raggiungere il massimo nell’arte”.(Paul Klee at the Guggenheim Museum, Soho, New York, 1993).


Un’altra caratteristica fondamentale del dipinto in esame è l’esplorazione creativa delle forme architettoniche. Klee è stato affascinato dagli studi architettonici fin dai primi giorni della sua carriera; nel 1902 scriveva nel suo diario: “Dappertutto vedo solo architettura, ritmi lineari, ritmi assiali”. L’esperienza al Bauhaus, il cui nome stesso identificava a livello programmatico l’architettura come principio artistico d’avanguardia, intensificò le linee costruttive del suo lavoro. In “Schicksalstunde um dreiviertel zwölf”, la torre dell’orologio allude all’architettura tradizionale delle chiese, mentre i due edifici più piccoli hanno le forme cubiche e ridotte degli edifici del Bauhaus. La montagna al centro assomiglia a una struttura costruita dall’uomo nella sua regolarità, con le partiture musicali che fungono da sentieri o gradini che conducono alla cima; l’edificio simile a una ziggurat all’estrema sinistra della composizione è coronato dallo stesso abete spinoso della montagna stessa, suggerendo il modo in cui gli esseri umani imitano la natura e adottano le sue leggi strutturali come proprie.


Il primo proprietario del dipinto fu il mercante Daniel-Henry Kahnweiler, unico rappresentante dell’opera di Klee in Europa a partire dal 1933. Il quadro fu incluso in una grande mostra alla Kunsthalle di Berna nel febbraio-marzo 1935, poco più di un anno dopo la fuga di Klee dalla Germania e il suo ritorno nella natia Svizzera, dove sarebbe rimasto fino alla morte. Nel 1938, Kahnweiler concesse i diritti esclusivi di rappresentanza di Klee in America al mercante Karl Nierendorf, emigrato a New York da Berlino l’anno precedente. La tela in questione passò da Kahnweiler a Nierendorf in questo periodo e poco dopo fu acquistata da Phillips (Collezione Phillips, Washington, D.C.), che aveva iniziato a collezionare le opere di Klee nel 1930. Il dipinto fu anche inserito in una monografia su Klee, riccamente illustrata, che Nierendorf pubblicò in inglese nel 1941 e che rappresentò un passaggio importante per l’affermazione di Klee in America.(M.@rt)



view post Posted: 16/1/2024, 17:18     +8La bionda con gli orecchini (La blonde aux boucles d’oreille) - Modì

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Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 - Parigi, 1920)
La bionda con gli orecchini (La blonde aux boucles d’oreille)
1918 - 1919 circa
firmato ‘Modigliani’ in alto a destra
olio su tela - 46 x 29,8 cm.
Collezione privata


Non si conosce l’identità della donna che Modigliani ritrae ne “La blonde aux boucles d'oreille”, ed è inevitabile essere particolarmente incuriositi da lei, poiché, mentre i dipinti di rosse e brune abbondano nell’opera di Modigliani, le donne bionde compaiono solo occasionalmente. Innegabilmente la ragazza è eccezionalmente bella; in nessun altro dipinto dell’artista livornese si può trovare una modella con occhi grigio-azzurri così scintillanti, ciglia vistose (un tocco seducente raramente visto nei suoi ritratti) e lineamenti di una simmetria così piacevolmente equilibrata, incastonati in un viso perfettamente ovale.
I suoi lineamenti reali avrebbero potuto essere ben confacenti alla superficie appiattita a mo' di maschera che Modigliani era solito imporre al volto delle sue protagoniste. La carnagione rosea irradia salute e benessere, incoronata da una caratteristica e radiosa aureola di capelli biondo-rossastri; sembra in tutto e per tutto una giovane donna affermata e attraente, assolutamente elegante e moderna. Anche il bagliore della luce dei suoi orecchini di perle, i piccoli accessori che danno il titolo al dipinto, emana un fascino vivace. Lanthemann ha lodato questo quadro come un “Portrait d’une grande pureté et d’une grande maestria”.


Nelle loro biografie di Modigliani, sia Pierre Sichel (1967) che Meryle Secrest (2011) raccontano di una relazione che Modigliani ebbe nel 1916 con Simone Thiroux, una giovane donna canadese nata in una famiglia benestante, che soggiornava a Parigi presso una zia per motivi di studio. Sichel dice che aveva “occhi azzurri e capelli chiari” e per questo motivo potrebbe essere lei la modella del presente dipinto. Tuttavia, quando Simone si legò a Modigliani, dopo la rottura con Beatrice Hastings e prima dell’incontro con Jeanne Hèbuterne, aveva sperperato la maggior parte dell’eredità, appena acquisita, in uno stile di vita bohémien a Montparnasse. Sichel ha scritto che “era una ragazza malaticcia e, come Modì, tubercolotica fin dalla più tenera età... Non sembrava rendersi conto dell’importanza delle cose, soprattutto della sua salute. Non si prendeva affatto cura di sé, e fino alla fine fu negligente all’estremo”.

Rimase incinta di Modigliani ma il sentimento della giovane, a tratti adorante e asfissiante, finì per infastidire l’artista al punto da non riconoscere il figlio. Simone, ripudiata dalla famiglia e logorata dalla malattia, darà in adozione il bimbo, Serge Gerard, che diventerà sacerdote e solo da adolescente scoprirà chi era suo padre. Questa descrizione non si confà all’impressione suscitata dalla giovane donna vestita in modo sobrio, piena di salute, nel presente dipinto realizzato nel 1917, forse dopo che Modigliani aveva già rotto con Simone. E’ probabile che quest’opera sia un secondo ritratto di una modella nota solo come Renée (da non confondere con Renée, moglie Moïse Kisling, che Modigliani ritrasse più volte), una persona descritta come bionda anche nel titolo del primo quadro, dipinto nel 1916.

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Amedeo Modigliani
Lolotte (Femme au chapeau)
giugno 1917
olio su tela - 55 x 35,5 cm.
Centre Pompidou, Parigi






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Modigliani dipinse un nudo biondo in piedi nel 1917; potrebbe trattarsi della stessa modella, vista con i capelli lunghi, prima che li avesse raccolti? C’è anche un nudo seduto del 1918, in cui la modella ha i capelli ricci e biondi rossicci, tagliati molto corti; inoltre si nota anche la traccia di una perla all’estremità del lobo dell’orecchio destro.



Amedeo Modigliani
Nudo seduto con le mani in grembo
1918
olio su tela - 100 x 65 cm.
Honolulu Museum of Art, Honolulu, Hawaii



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Che fossero nate in un ambiente di classe, che possedessero autentiche credenziali avanguardistiche o bohémien, o che fossero semplici lavoratrici che posavano per artisti di passaggio, molte delle donne ritratte da Modigliani erano senza dubbio molto belle, ognuna a modo suo. I tratti individuali, la personalità e lo stato d’animo del momento emergono quasi sempre in questi ritratti, nonostante i caratteristici tratti che caratterizzeranno lo stile maturo del pittore. L’aspetto più rilevante di questa modella bionda sono i suoi corti capelli, all’epoca un look insolito per le donne francesi, la maggior parte delle quali prediligeva ancora le tradizionali acconciature lunghe.




Amedeo Modigliani
Nudo biondo in piedi con la camicia abbassata
1917
olio su tela - 92 x 64,8 cm.
Collezione privata



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Modigliani dipinse “La blonde aux boucles d’oreille” nei mesi in cui si stava preparando per la sua prima mostra personale alla galleria di Berthe Weill, prevista per il dicembre 1917. L’artista era conosciuto nella sua cerchia quasi esclusivamente come ritrattista e fu su sollecitazione di Léopold Zborowski, il suo nuovo agente e mercante, che intraprese una serie di nudi per ampliare il suo appeal tra i potenziali collezionisti. L’artista ne dipinse una ventina in tutto, sette o otto dei quali costituirono il nucleo della sua imminente mostra, insieme ad alcuni dei suoi ritratti più belli. Anticipando il successo che sentiva di aver meritato da tempo, Modigliani perfezionò in questo periodo cruciale tutti i tratti del viso caratteristici del suo stile maturo: il viso ovale allungato, il collo aggraziato da cigno, le labbra sensuali e gli occhi impenetrabili a mandorla. In questo periodo Modigliani aveva assimilato pienamente nella sua arte una serie di fonti disparate, che andavano dalla ritrattistica rinascimentale italiana, alla scultura africana e oceanica. I ritratti che l’artista dipinge in questa fase sono tra i più sensibili e caratterizzanti di tutta la sua carriera. La superficie pittorica, inoltre, come si vede in questo dipinto, è squisitamente tattile; in seguito l’artista adottò un approccio più semplice nel trattamento dei colori sulla tela.


Modigliani ha saputo bilanciare con abilità e apparentemente senza sforzo la tradizione e la novità, il volume illusionistico e la piattezza modernista, per creare un’immagine individuale che esprimesse la sua personale concezione della bellezza. Jean Cocteau ha scritto all’artista, suo amico di lunga data, il seguente omaggio: “Non è stato Modigliani a distorcere e allungare il volto, a stabilirne l’asimmetria, a far fuori uno degli occhi, ad allungare il collo. Tutto questo avveniva nel suo cuore. Ed è così che ci disegnava ai tavoli del Café de la Rotonde; è così che ci vedeva, ci amava, ci sentiva, era in disaccordo o in polemica con noi. Il suo disegno era una conversazione silenziosa, un dialogo tra le sue linee e le nostre... Eravamo tutti subordinati al suo stile, a un modello che portava dentro di sé, e lui cercava automaticamente dei volti che assomigliassero alla configurazione che richiedeva, sia all’uomo che alla donna. La somiglianza, in realtà, non è altro che un pretesto che permette al pittore di confermare l’immagine che ha in mente. E con questo non si intende un’immagine reale, fisica, ma il mistero del proprio genio” (D. Krystof, Amedeo Modigliani 1884-1920: The Poetry of Seeing, Colonia, 2000, p. 54).



Il successo di Modigliani nella formulazione di una tipologia di ritratto dipinto è ancora più significativo dopo lo sviluppo e la diffusione della fotografia, che avrebbe dovuto rendere obsoleta l’immagine pittorica, e la distruzione dell’immagine coerente e integrale del volto e della figura umana intrapresa dai cubisti e dagli espressionisti. Modigliani si è mosso con un proprio percorso distintivo: fedele alla realtà e a se stesso, ha tratto e conservato una somiglianza essenziale e caratteriale della persona che gli stava davanti, descrivendo il suo personaggio con un linguaggio pittorico soggettivo, intuitivo e tutto suo. In parte classicista, in parte manierista, Modigliani creò quello che è forse il look più famoso e riconoscibile della ritrattistica del XX secolo, una quintessenza della modernità nell’uso selettivo delle fonti e dello stile, che, nonostante abbia riscosso un successo limitato durante la sua vita, ha continuato a manifestare un fascino quasi universale. (M.@rt)





Edited by Milea - 17/1/2024, 09:59
view post Posted: 14/1/2024, 13:33     +11Giovanni Fattori - Lo scoppio del cassone - I Macchiaioli

Fattori_Lo_scoppio_del_cassoneP

Giovanni Fattori (1825-1908)
Lo scoppio del cassone
1880 circa
firmato in basso a sinistra: “Giovanni Fattori”
olio su tela - 87 x 140 cm.
Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Cá Pesaro, Venezia


La lunga attività di Giovanni Fattori, pittore di battaglie e interprete principale di un nuovo modo di intendere la pittura di storia rivolta agli avvenimenti drammatici della contemporaneità più che alla rievocazione allusiva di eventi lontani, è costellata da una serie di dipinti di grandi dimensioni, dedicata a momenti cruciali delle guerre di indipendenza e da una serie di dipinti di minore formato, incentrati su momenti apparentemente marginali di quelle stesse battaglie o più in generale su episodi di vita militare. Una vasta produzione attraversata da un comune “fil rouge”: l’attenzione agli aspetti più umano, quotidiani e dolorosi, persino nella loro banalità, della guerra e dell’esistenza di chi ad essa si dedica.


Presenti, come era consuetudine, in occasione di pubbliche esposizioni d’arte, non sempre i dipinti dell’artista livornese incontrarono il plauso della critica, spesso incapace di cogliere l’eccezionale novità rappresentata dalla sua pittura, che nella costante attenzione alla verità dei fatti rappresentati attraverso una rivoluzionaria concezione della contemporaneità, diveniva documento di storia viva. La tensione sincera sempre dimostrata da Fattori verso la più umile realtà della vita contemporanea proveniva nell’artista, di famiglia modesta, da una disposizione umana intimamente partecipe, disinteressata a qualsiasi abbellimento formale e pronta a farsi catturare dalla vividezza del reale, come dimostrano gli scritti che si sono conservati: “Il mio ideale è stato i soggetti militari, ché mi è sembrato vedere questi buoni ragazzi pronti a tutto sacrificare per il bene della patria e della famiglia”, scriverà il pittore in alcune memorie autobiografiche del 1904.

Il soggetto militare rifugge così da qualsiasi tentazione celebrativa e retorica per farsi annotazione umana, fedele e coinvolgente, e nella quale non è necessario ricorrere ai consueti codici di ordinata spazialità e centralità prospettica. Così avviene soprattutto nelle opere della maturità, dedicati a soldati colti in momenti di sosta o in quotidiane attività di reggimento: si tratta di dipinti concepiti con grande rigore, ambientati in paesaggi essenziali, per lo più privi di particolari descrittivi e ridotti al minimo, quasi semplici spazi geometrici.


In composizioni di volta in volta movimentate, dinamiche o limpidissime, sempre emozionanti anche grazie alla scelta di punti di vista ravvicinati, la “scabrosità”, quasi la durezza della pittura, ottenuta anche attraverso l’utilizzo di una tavolozza cromatica dai toni bassi, diviene tramite essenziale per comunicare senza filtri la semplicità, spesso dolorosa e tragica, di fatti eroici nella loro umile quotidianità. Non vengono nemmeno più narrati dal pittore, quanto piuttosto, con crescente disincanto e amarezza, “testimoniati”. E sono vividi e aspri documenti, dipinti come “Lo staffato “ o “Lo scoppio del cassone”, coevo o di poco precedente: su un orizzonte obliquo, come se il punto di vista dello spettatore coincidesse con quello di un testimone se non di un protagonista appena messosi al riparo, si consuma il dramma, tragico e insieme ordinario, dell’esplosione di un cassone che trasporta polvere da sparo o munizioni, con i cavalli imbizzarriti, i soldati caduti e travolti , i pezzi di carro che ancora schizzano nell’aria: quasi un’istantanea fotografica, la presa in diretta di uno dei tanti episodi dimenticati e anonimi della storia. (M.@rt)



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