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view post Posted: 14/11/2023, 21:17     +18Federico Zandomeneghi - Il risveglio (Femme qui s’étire) - I Macchiaioli

Zandomeneghi-Il-risveglioP

Federico Zandomeneghi (Venezia, 1841 - Parigi, 1917)
Il risveglio (Femme qui s’étire)
1895 circa
pastello su cartone - 73 × 60 cm.
Museo di Palazzo Te, Mantova


Spesso Federico Zandomeneghi, nei suoi dipinti, ha celebrato la donna e la sua quotidianità: la femminilità come un valore da innalzare, dal rito della toilette alla lettura, fino alle serate mondane a teatro. Il pittore nella tela in esame raffigura di spalle, in primo piano seduta su una poltrona della camera da letto, una giovane donna ancora in abito da camera, con i lunghi capelli raccolti sulla nuca; si è svegliata da poco e, probabilmente ancora un po’ assonnata, stira le braccia verso l’alto. Di fronte a lei, sullo sfondo, la domestica apre l’anta dell’armadio e ne osserva il contenuto. Il tema del risveglio con una figura femminile che si stiracchia, può essere considerato una delle scene più caratteristiche dell’artista.

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Federico Zandomeneghi
Risveglio: donna che si stira
1886
olio su tela- 124,8 x 99,1 cm.
Collezione privata






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Affrontato altre due volte negli anni Ottanta, con le modelle nude, in piedi o sedute, che si stiracchiano, questa versione elegante del tema è stata realizzata dall’artista veneziano a pastello su un supporto di carta applicata su cartone, con una tecnica di indubbia maestria. L’impianto compositivo della scena è profondamente modificato rispetto ai precedenti: nella raffigurazione l’ambiente, un borghese ed elegante interno di boudoir, assume un ruolo predominante, con le figure persino nascoste dall’arredamento. L’opera, con la presenza della figura della cameriera, propone una scena di genere e racconto sociale, come accade anche in altre opere di Zandomeneghi negli anni immediatamente successivi al contratto con il gallerista Durand-Ruel, il mecenate di tutti i pittori impressionisti.


Si tratta di una delle opere di maggior potenza espressiva dell’artista, dettagliata sia nel soggetto sia nella tecnica che vede il colore steso con elegante accuratezza in più strati di filamenti colorati con ricche sovrapposizioni che cesellano figure e particolari. Per conservare la freschezza e la brillantezza dei colori Zandomeneghi posa con cura i tratti del pastello, accostandoli in modo da creare armonie cromatiche e utilizzando pastelli di diversa durezza per evitare di intaccare gli strati sottostanti, ottenendo così una vivacità cromatica simile a quella delle opere di Degas, ma senza l’utilizzo di fissativi. L’opera “Il Risveglio” è considerata dalla critica il culmine della ricerca tecnica di Zandomeneghi sulla “pittura a secco”, quasi un’anticipazione della sensibilità post-impressionista. (M.@rt)






Edited by Milea - 15/11/2023, 18:59
view post Posted: 12/11/2023, 14:29     +15Odoardo Borrani - Renaioli sul Mugnone - I Macchiaioli



Odoardo Borrani
Signora con l’ombrellino
1862 circa
olio su tavola - 20 x 14 cm.
Collezione privata


Immobile, come in attesa che il pittore abbia compiuto la sua opera o, meglio ancora, dell’avvento dello scatto fotografico, un’elegante signora in abito nero e parasole in tinta, posa all’aperto seduta in punta di seggiola, nel folto di un giardino; il suo atteggiamento di austera pacatezza contraddice la sensazione vagamente sospensiva dovuta all’instabilità insita nella situazione raffigurata. La pannellata scorre sicura a costruire contrasti tonali dell’immagine della donna, risolta per forme semplificate, senza però trascurare particolari della realtà quotidiana, quali gli orecchini a pendente, la leggerezza delle piume che ornano la toque (il copricapo femminile senza tesa) di velluto della signora alla moda e la bianca sottoveste di lei, che fa capolino sotto l’ampiezza della crinolina. Nel resto della tavoletta, la stesura rapidissima e di una materia quasi inconsistente ricrea con pochi tocchi guizzanti il paesaggio ricco di vegetazione. Il pallido cielo azzurro sullo sfondo evocativo del cielo arioso della giornata settembrina, suggerisce la sensibilità dell’artista e il suo amore per la natura, di cui egli era “interprete lirico e attento” come teneva a rimarcare Adriano Cecioni.

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Odoardo Borrani
Il disseppellimento di Iacopo Pazzi
1864
olio su tela - 145 x 121 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Secondo il metodo rigorosamente analitico adottato per le incantate visioni di San Marcello Pistoiese o di Castiglioncello, Odoardo Borrani esegue, come in un esercizio di stile, un soggetto di storia in costume, ambientato fuori della porta fiorentina di San Giorgio. Nell’ariosità cristallina dell’ora meridiana, la luce indaga e definisce i volumi delle mura antiche, sotto cui si svolge la drammatica scena movimentata dalle figure costruite per nette scansioni luministiche e cromatiche, il quadro è l’esito di una lunga e meditata elaborazione, testimoniata dai numerosi disegni preparatori.

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Odoardo Borrani
La terrazza
1866 circa
olio su tela - 54 x 81,5 cm.
Collezione privata


Sentimenti di transitorietà e di instabilità, riflesso della generale situazione di crisi culturale che investe l’Europa, percorrono Firenze dopo la metà degli anni Sessanta e si intersecano con la delusione per lo svilimento estetico della città, dovuto ai cambiamenti urbanistici. Borrani infonde quella sensazione di amarezza per Firenze che andava alterando la sua fisionomia senza ordine né garbo in un’immagine impregnata del senso della vita moderna, struggente nella sua bellezza formale. Al di là di un arco cupo d’ombra, una donna si affaccia in pieno sole, a osservare dall’alto la città, quasi a imprimere nella sua mente il ricordo di una visione armoniosa e amata, di cupole, di tetti, di torri, ormai minata dal progresso.




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Odoardo Borrani
Carro rosso a Castiglioncello
1867
olio su tela - 13,7 x 66,5 cm.
Collezione privata


La luce immobile e calda del mezzogiorno estivo definisce con nitore le sagome del carro con i suoi buoi bianchi aggiogati, del ciuffo di lecci, delle costruzioni coloniche e ne accende la cromaticità, esaltata dal confronto con l’azzurro cobalto del mare. L’impianto compositivo sfrutta l’orizzontalità del supporto e l’elevato tenore della forma infondono alla visione un tono poetico e l’immagine umile della campagna si riveste di una trasognata atmosfera: arcana e silente evoca uno struggente sentimento di rimpianto per la quiete e la semplicità del passato.

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Odoardo Borrani
Ritratto di giovane uomo
1867 - 1868 circa
olio su tela - 90 x 70 cm.
Collezione privata


L’effigie di un giovane elegante si definisce con nitidezza sullo sfondo d’avorio del parato di seta; pochi i risalti cromatici, ma ricchi di valenza formale: la cravatta, il rametto di corallo che orna la catena dell’orologio, la brace del sigaro acceso. L’attenzione del pittore nel mettere in evidenza i caratteri fisionomici dell’uomo, in atteggiamento disinvolto, induce a ritenere che fosse amico, se non parente dell’artista, supposizione rafforzata dal fatto che il ritratto rimase di proprietà della famiglia Borrani fino al 1926.

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Odoardo Borrani
Le primizie
1868
olio su tela - 74 x 41,5 cm.
Collezione privata


Sulla terrazza di un villino, una signora abbandona la lettura, distratto dall’omaggio che le porge una giovane contadina: un cestino di pesche. Il quadro è forse una delle opere più impegnative eseguite da Odoardo Borrani negli anni di Piagentina, quartiere suburbano dove si era trasferito per sfuggire ai repentini cambiamenti di Firenze capitale. La scena è costruita secondo un severo impianto disegnativo e un’analisi ponderata, tali da infondere al tema di vita contemporanea i valori formali dell’arte del passato. I riferimenti al Quattrocento toscano, quali i vasi posati sul muretto che riecheggiano opere di Filippo Lippi o di Benozzo Gozzoli, e il profilo di luce di memoria pierfrancescano che definisce le figure della contadine e delle pesche, si fondono con la sperimentazione di difficili soluzioni pittoriche come il rapporto tra forma e colore, in special modo nei bianchi della veste della donna e del manto del cane, problema che, a detta di Adriano Cecioni entusiasta ammiratore del dipinto, era quasi insolubile “dovendo dare forma e olore sulla tela nel medesimo tempo”.

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Odoardo Borrani
L’analfabeta
1869
olio su tela - 74 x 41,5 cm.
Collezione privata


Nel vano di una finestra di un salotto confortevole, la padrona siede al tavolino, spogliato per l’occasione dalla preziosa tovaglia bianca appoggiata con nonchalance su uno sgabello. E si accinge a scrivere una lettera per la domestica che, in piedi lì accanto, si dispone con fiducia a rivelarne le proprie confidenze. I chiari riferimenti alla pittura di interni della Restaurazione si coniugano alla voluta semplicità dell’impianto compositivo di gusto neo-quattrocentesco, secondo modelli cari alla poetica di Piagentina. Il quadro testimonia il momento di felice sintonia spirituale di Odoardo Borrani e Silvestro Lega, che renderà sempre più stretta la loro amicizia, fino a indurli ad aprire una galleria d’arte, con l’intento di promuovere l’interesse per la pittura moderna in Firenze.


Sebbene Telemaco Signorini si fosse ormai dichiarato insofferente verso simili temi di pacatezza domestica, “Nei dintorni di Firenze (Case rustiche)” un suo dipinto acquistato da Borrani alla Promotrice fiorentina del 1866, fa mostra di sé sulla parete di fondo del salotto, quasi a documentare che l’ammirazione e la stima nei confronti dell’amico erano immutate.






Telemaco Signorini
Nei dintorni di Firenze (Case rustiche)
1865 - 1866
olio su tela - 42,2 x 27,5 cm.
Collezione privata



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Odoardo Borrani
Il bollettino del 9 gennaio del 1871
1880
olio su tela - 110 x 138 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Nel cono di luce di una lampada, una fanciulla legge in un dispaccio la notizia della morte di Vittorio Emanuele II, mentre attorno a lei una donna anziana ed una più giovane hanno abbandonato i loro passatempi per ascoltarla con attenzione. Il pittore descrive con attenzione l’ambiente e gli oggetti che lo arredano, fino ai libri e al mappamondo in fondo sulla destra. Le tre donne accostate così intorno al tavolo possono raffigurare, oltre all’evoluzione verso espressioni più illustrative delle scene di interni sperimentate a Piagentina, la traduzione in chiave moderna di un tema antico come quello delle “tre età”. (M.@rt)

view post Posted: 11/11/2023, 15:57     +7IL CANE NEL DIPINTO - L'AMICO PIÙ RITRATTO - ARTISTICA



Francisco de Goya y Lucientes
Caccia con richiamo
(Caza con reclamo)
1775
Olio su tela
112 x 179 cm
Madrid, Museo del Prado


Il dipinto raffigura la postazione di caccia con due uccelli in gabbia, un gufo e un cardellino, con richiamo. La scena è completata da un cane accovacciato e da una rete sopra l’albero che incornicia il gruppo. La tela fa parte della prima commissione di Goya per la Real Fabbrica di Arazzi di Santa Bárbara nel 1774-1775. La composizione era da considerarsi ancora un’invenzione di Francisco Bayeu, secondo i documenti sopravvissuti, e il tema generale scelto, la caccia, era in linea con l’uso che i sovrani facevano del sito reale dell’Escorial, dove trascorrevano l’autunno. L’arazzo che ne risultò era destinato a decorare una porta della sala da pranzo dei principi delle Asturie (il futuro Carlo IV e sua moglie Maria Luisa di Parma) nella zona del monastero dell’Escorial. La serie, di cui fa parte, era composta da otto arazzi con temi di caccia, sei dei quali si trovano al Museo del Prado. (M.@rt)









view post Posted: 11/11/2023, 15:03     +6Francesco Gioli - Passa il viatico - I Macchiaioli




Francesco Gioli
Il ritorno delle mamme
1877
olio su tela - 66 x 137 cm.
Collezione privata









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Francesco Gioli
Primavera
1879
olio su tela - 60 x 140 cm.
Ente cassa di Risparmio, Firenze


In una campagna incolta, che si dispiega fino all’orizzonte appena definito sulla tonalità cilestrina del cielo velato, tre pastorelle chiacchierano fra loro, mentre il gregge pascola disperdendosi nell’ampiezza sconfinata dei campi; le pose delle fanciulle suggeriscono il senso di intimità delle loro confidenze di ragazze alle soglie dell’adolescenza e danno all’immagine un tono di trepida sospensione che, al pari della stesura a colpi sottili e nervosi di pennello, ne contraddice l’apparente carattere illustrativo.


Dopo il ritorno da Parigi, Francesco Gioli nel 1875 predilige i soggetti di vita rurale distinti da un delicato naturalismo, soffuso di poesia evocativa.







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Francesco Gioli
Il Monte di Pietà. (L’arruoto di Santo Spirito)
1880
olio su tela - 100 x 185 cm.
Collezione privata, Montecatini Terme


Carattere, verità e naturalezza: queste le doti che Giovanni Carocci, fondatore nel 1882 della rivista “Arte e Storia”, riconosceva al quadro presentato da Francesco Gioli alla Promotrice Fiorentina del 1883, raffigurante l’accesso a uno dei Monti di Pietà di Firenze, quello del Santo Spirito, zona popolare dell’Oltrarno, dove la vita poteva avere risvolti di desolante povertà. Di fronte all’edificio austero, protetto da grate di ferro, l’artista pisano raffigura una folla di donne in atteggiamenti diversi: “ …Tu riconosci quattro o cinque tipi di vecchie che stan sempre sedute lì accanto alla porta del presto a far da mediatrici, a impegnare e riscuotere per conto di chi non ha il coraggio di presentarsi in persona, tu vedi la madre addolorata e piangente che impegna le masserizie di casa per saziare la fame dei suoi piccini, la vecchia viziosa che impegna forse le lucerne di ottone per avere i denari da giuocare al lotto, la sartina smorfiosa ed elegante che cerca il modo di comprarsi un pajo di stivaletti eleganti o un cappellino sacrificando le gioje.”


Non manca nulla all’illustrazione di quel triste ufficio, che tuttavia il pittore rappresenta con garbo narrativo, quasi aneddotico, come se una volta descritto nel particolare, indugiando su fisionomie e dettagli, esso perdesse ogni implicazione drammatica, risolvendosi infine in una sorta di educata messinscena. Un sentimento idilliaco, del resto, che prevale quasi sempre l’universo pittorico di Francesco Gioli, spesso incentrato sulla vita degli umili, ma di solito attratto da un’ambientazione campestre. Immersa nel rigoglio della natura, infatti, anche la povertà poteva sembra più tollerabile, e il “vero” perdeva il gusto crudo della denuncia sociale per farsi evocazione nostalgica di un tempo che, pur con le sue miserie, conservava ancora un volto umano, e di cui era anche possibile rimpiangere l’esistenza.




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Francesco Gioli
Bilance a Bocca d’Arno
1889
olio su cartone - 25 x 70 cm.
Ente Cassa di Risparmio di Firenze


In linea con i pittori naturalisti toscani che provengono da un’educazione macchiaiola, Francesco Gioli imposta la propria ricerca sulla possibile trasposizione di valori cromatici nel variare delle condizioni di lue e di atmosfera. In questo caso la luminosità crea effetti di controluce nei volumi delle capanne e degli uomini e fa riflettere, sulla superficie del fiume e nelle pozze dei campi, il cielo dai toni lividi e freddi.


Avvolto nella luce cilestrina di un tramonto invernale, il paesaggio, con le capanne dei pescatori in sequenza fino all’orizzonte indefinito, assume un aspetto fantastico e letterario. (M.@rt)




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Francesco Gioli
In giardino
1914
olio su cartone - 74 x 98 cm.
Collezione privata






Edited by Milea - 11/11/2023, 18:07
view post Posted: 11/11/2023, 12:33     +13Francesco Gioli - Passa il viatico - I Macchiaioli

Francesco-Gioli-Passa-il-viaticoP

Francesco Gioli (San Frediano a Settimo di Cascina, Pisa 1846 - Firenze 1922)
Passa il viatico
1878
olio su tela - 120 x 240 cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Francesco Gioli, primogenito di Ranieri e Rosa Del Panta, una famiglia benestante, avvia i propri studi di arte a Pisa sotto la guida dell’allora direttore Marianini; la morte di quest’ultimo nel 1863 lo spinge a spostarsi a Firenze dove continua gli studi seguendo gli insegnamenti di Pollastrini e successivamente di Ciseri e all’Accademia di Firenze.

Francesco-Gioli-autoritratto

Francesco Gioli
Autoritratto
1883
olio su tela - 49 x 39 cm.
Collezione privata



Esordisce con quadri di genere in costume settecentesco, che spesso raffigurano personaggi della cultura artistica e letteraria. Giovanni Fattori e Telemaco Signorini lo avviano verso il paesaggio e la pittura di soggetti campestri. Con Fattori, Niccolò Cannicci e Egisto Ferroni si reca a Parigi, rimanendovi un mese, studiando con particolare attenzione la pittura di paesaggio, anche quella della Scuola di Barbizon. L’esperienza lo induce a dedicarsi con sempre più convinzione alla pittura dei campi, distinta da un sobrio e delicato naturalismo.

Nel frattempo continua a dipingere, seppur saltuariamente, scene di genere, ora però di vita contemporanea, anzi coinvolte alla modernità, come “Giochi infantili”, dove rappresenta un brano di vita borghese immettendovi il senso della trascorrenza e dell’occasionalità, tipici di quegli anni incalzati dal progresso. Il matrimonio con la marchesa Matilde Bartolommei (1849-1932), figlia del senatore Ferdinando, contribuisce a consolidare i suoi contatti con il salotto mondano fiorentino: presso la villa di Fauglia i coniugi ospitano spesso Fattori, Telemaco Signorini e Sidney Sonnino. In questo clima amichevole e cordiale Silvestro Lega, nel 1878, ritorna a dipingere dopo le tristi vicende familiari.

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Francesco Gioli
Giochi infantili
1875
olio su tela - 69 x 45 cm.
Collezione privata






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Anche se diversi per il contenuto e i modi formali, i due generi pittorici esprimevano il comune significato: l’insofferenza nei confronti di un mondo che in vista di una presunta modernità trascura e dissipa un patrimonio culturale fatto di usi e abitudini secolari. Nascono allora altri quadri soffusi di toni evocativi e nostalgici, come “Passa il viatico”, presentato all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878, o “Ai campi in giugno”, premiato a Londra nel 1885.

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Francesco Gioli
Passa il viatico (dettaglio)


Un funerale muove lento fra i campi verso il cimitero, seguito da poche persone compunte. Un vecchio, una fanciulla, un ragazzo reagiscono diversamente a seconda dell’età all’evento: la giovane genuflessa sembra trattenere con riserbo il suo dolore, l’anziano accetta mestamente la caducità della vita, il ragazzo incapace di far fronte al proprio sentimento si appoggia fra i singhiozzi al tronco di un albero. Nella luce intensa di un crepuscolo estivo, la luna appare fra i rami e fa brillare i fiorellini delle ginestre, le foglie d’argento degli arbusti e suggerisce alla sensibilità dell’uomo moderno che la natura segue i suoi ritmi, indifferente al destino umano. La tela, presentata all’Esposizione internazionale di Parigi nel 1878, vinse la medaglia d’oro e fu particolarmente apprezzata dall’artista francese Edgar Degas.



Francesco Gioli
Passa il viatico (dettaglio)


Il critico d’arte Diego Martelli , inoltre, la descrisse affermando che esibiva “un ordine di ricerche molto oneste che danno alla scuola fiorentina una distinzione rara”. La conoscenza dell’arte dei paesaggisti della Scuola di Barbizon, che lavoravano en plein air nei decenni intorno alla metà dell’800, condizionò le ricerche di Francesco Gioli, come si nota nell’accurata raffigurazione degli elementi naturali che incorniciano la strada sulla quale si snoda la processione. Nonostante la raffigurazione sia ripresa da un punto di vista esterno, la scena è comunque attraversata da una malinconica coralità, espressa anche dai contadini in preghiera sul ciglio della strada. Il viatico era una tradizionale processione che accompagnava il sacerdote nel momento della estrema unzione di un malato. Qui si descrive una visione corale di quella processione, una sorta di ultimo saluto da parte della comunità contadina.



Francesco Gioli
Passa il viatico (dettaglio)



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Nel 1888 viene nominato professore all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e l’anno successivo a quella di Firenze. Negli anni Novanta, con il diffondersi del Divisionismo in Europa, rischiara la sua tavolozza alla ricerca di una maggiore luminosità, arricchendola di azzurri e rosati, adottando nuovi modi stilistici; al 1896 risale Fiori di campo, presentato alla Festa dell’arte e dei fiori di Firenze. Alle biennali di Venezia, a cui partecipa fin dalla prima edizione nel 1895, conosce la pittura delle Secessioni di Praga e Vienna e ne apprezza la sensibilità sottile e nervosa, resa con una stesura a piccoli tocchi di colori densi e sovrapposti, fino ad ottenere la giusta intonazione. Metodo che fa suo, per poi evolvere, con nuovo secolo, verso i modi dell’impressionismo internazionale: un’intensa vitalità e i toni abbaglianti dei bianchi diventarono i protagonisti dei suoi quadri novecenteschi.

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Francesco Gioli
Pesco fiorito
1910
olio su tela - 51 x 61 cm.
Collezione privata


Nel 1901 partecipa all’Esposizione di Monaco, mentre l’anno successivo aderisce alla Società Leonardo da Vinci, ritrovo fiorentino di artisti e intellettuali, della quale è nominato presidente fino al 1906. Nel 1910 è a Bruxelles, nel 1913 a Buenos Aires, nel 1915 a San Francisco e Melbourne. Espone di frequente alla Biennale di Venezia, dove nel 1914 viene organizzata una personale con cinquantadue opere che coprono l’intero arco della sua produzione, decretandone il successo a livello internazionale. Muore a Firenze il 4 febbraio 1922. Anche il fratello Luigi è stato un apprezzato pittore naturalista, anch’egli appartenente alla corrente macchiaiola. (M.@rt)

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Francesco Gioli
Ai campi in giugno
1880
olio su tela - 41 x 66 cm.
Collezione privata




view post Posted: 10/11/2023, 14:28     +13Francesco Gioli - Fiori di campo - I Macchiaioli

Francesco-Gioli_fiori-di-CampoP

Francesco Gioli (San Frediano a Settimo di Cascina, Pisa 1846 - Firenze 1922)
Fiori di campo
1896
olio su tela - 152 x 76,8 cm.
Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


L’opera fu presentata nel 1896 alla mostra fiorentina intitolata “Festa dell’arte e dei fiori”, alla cui cerimonia di apertura presenziarono il re Umberto I e la regina Margherita di Savoia. La mostra era ospitata negli ambienti di Palazzo Corradi e in un fabbricato costruito ad hoc dall’ingegnere Giacomo Roster: vi erano esposte circa settecento opere tra la sezione di pittura e quella di scultura, di artisti della corrente del Simbolismo, del Divisionismo, dei Macchiaioli, del Preraffaellismo e dell’Impressionismo provenienti da tutta Europa. I cronisti dell’epoca citarono, tra i lavori più meritevoli, il dipinto di Francesco Gioli “Fiori di campo”, che fu acquistato dal re e successivamente donato alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, luogo deputato ad ospitare la nascente collezione di opere d’arte contemporanee. Il modo in cui Gioli affrontò il tema, coniugando i sentimenti di materna prosperità con il fertile risveglio della natura in primavera, fu colto ed apprezzato dalla maggior parte della critica dell’epoca. I restanti commenti ribaltarono in negativo queste peculiarità, definendo quest’opera “monotona e troppo moderata”.


Nella scena, una giovane donna cammina su un viottolo in mezzo ai campi con le sue tre bambine, la più piccola è in braccio alla mamma e indica con la manina la sorella maggiore che le sta sorridendo. Seguendo la traccia del viottolo, il gruppo famigliare si chiude con la terza figlia, poco distante, impegnata a raccogliere qualche ciuffo della rigogliosa ginestra. Francesco Gioli scelse per questo soggetto un formato inconsueto e utilizzò la linea diagonale non solo per esaltare il movimento ascendente dei personaggi, ma anche per portare lo sguardo dell’osservatore al dinamico gioco tra madre e figli. L’artista racconta con dovizia di particolari questi frammenti di vita quotidiana, studiando i colori degli abiti, bilanciando i toni, rendendo brulicante il contesto in cui si muovono i personaggi. I fiori di ginestra e le margherite, nell’infittirsi della vegetazione, da macchie di colore si trasformano in punti di luce. Sullo sfondo, spiccano le sagome ombrose degli alberi, testimoni silenziosi dell’allegro passaggio della famigliola.

Il quadro è esemplificativo del periodo maturo di Gioli, quando la sua adesione al movimento macchiaiolo è completa. Oltre alla frequentazione del gruppo di artisti, sia a Firenze che a Castiglioncello, presso la dimora di Diego Martelli, per Gioli fu fondamentale il soggiorno parigino del 1875 con Giovanni Fattori, Niccolò Cannicci e Egisto Ferroni; vi rimase un mese, studiando con particolare attenzione la pittura di paesaggio, anche quella della Scuola di Barbizon. L’esperienza lo indusse a dedicarsi con sempre più convinzione alla pittura dei campi, distinta da un sobrio e delicato naturalismo.


L’esordio di Gioli, tuttavia, fu molto diverso. La sua formazione fu accademica e le sue prime opere furono incentrate su temi cari al romanticismo storico. La sua abilità artistica venne subito apprezzata anche se lontana dallo spirito vivace, esemplificato in questo quadro. Tuttavia è proprio grazie a quella fruttuosa istruzione che la sua svolta macchiaiola ebbe un’impronta così incisiva. L’artista cambiò genere, affinò la tecnica, si confrontò con i colleghi italiani e stranieri, ma senza mai dimenticare le importanti lezioni apprese dai maestri: Annibale Marianini (1814-1863) all’Accademia di Pisa, Antonio Ciseri (1821-1891) e Enrico Pollastrini (1817-1876) presso quella fiorentina. Fu molto attivo e partecipò con successo a numerose esposizioni in Italia e a Parigi. (M.@rt)



view post Posted: 10/11/2023, 11:59     +13LE PANIER DE FRAISES DES BOIS - Jean-Baptiste Chardin - ARTISTICA

Jean_Simon_Chardin_Le_Panier_de_fraises_des_boisP

Jean-Baptiste Siméon Chardin(1699-1779)
Il cesto di fragole selvatiche
(Le Panier de fraises des bois)
1761
olio su tela - 38 x 46 cm.
Collezione privata


Per molto tempo, la natura morta è stata considerata un genere artistico minore in Francia. Chardin la elevò a soggetto a sé stante; a differenza dei suoi contemporanei, non cercò di riprodurre la natura. Per lui, la pittura non era nemmeno un pretesto per raccontare una storia; intendeva esplorare una dimensione diversa. Così sulla tela raffigura oggetti quotidiani, spesso considerati insignificanti agli occhi degli spettatori, come questo cesto di frutta, questi bicchiere d’acqua o questo fiore delicatamente posato. È affascinato dalla composizione delle forme e dei colori.


Ciò che lo motiva è il rosso delle fragole che si riflette nel bicchiere e sembra oltrepassare i due garofani. Sono gli steli che spezzano la linea del tavolo o il candore dei fiori che illumina la composizione. In questo modo, offre quindi nuove prospettive per la pittura.



Un secolo più tardi, Paul Cézanne spinge ulteriormente questo principio di distorsione spaziale. Sotto il suo pennello, il tavolo sembra inclinarsi verso la parte anteriore della composizione, trascinando con sé la frutta in primo piano. L’artista ci mostra che esistono diversi punti di vista sulle cose e questo è ciò che conta.


Prefigurava così la rivoluzione cubista guidata da Braque e Picasso. Nella serie di tele con il nome “Le Guéridon”, iniziata nel 1911 abbandonata e poi ripresa nel 1928, Braque scompone i volumi e frammenta le forme degli oggetti in mille sfaccettature, proseguendo il percorso iniziato da Chardin due secoli prima. In questo modo, l’occhio umano non si limita a un solo punto di vista, ma può percepire diversi aspetti e trasporli su una tela. (M.@rt)





view post Posted: 10/11/2023, 11:31     +10LE GUERIDON - Georges Braque - ARTE CONTEMPORANEA: il '900

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Georges Braque
Le Guéridon
1911
olio su tela - 116,5 x 81,5 cm.
Musee National d’Art Moderne, Centro Georges Pompidou, Parigi


Il motivo del tavolo con piedistallo, un tavolo rotondo o ovale con una sola gamba, sembra essere stato di particolare interesse per Braque. L’artista ha spesso trasposto questa superficie angolare nella forma stessa delle sue tele, adottando i vecchi formati del tondo. Ma qui, più tradizionalmente, lo spazio arrotondato del tavolo con piedistallo è inserito in un rettangolo, sul quale gli oggetti stanno uno accanto all’altro, a portata di occhio e di mano, lo spazio tattile, “quasi manuale”, di cui parla Braque: “Per me, questo rispondeva al desiderio che ho sempre avuto di toccare le cose e non solo di vederle. È stato questo spazio ad attrarmi.” L’evocazione di uno spazio “tattile” è un punto nodale delle ricerche di Braque all’epoca in cui realizza questo dipinto. La composizione, dinamica e instabile, fa ribaltare il tavolino verso lo spettatore, una soluzione adottata da Paul Cézanne in molte nature morte. Gli oggetti (violino, bicchiere o spartito) si intrecciano, a partire dalla rotondità del tavolo, in una complessa struttura piramidale, che si ritrova nella maggior parte dei dipinti di Braque, e che l’artista utilizza anche per definire le figure delle altre grandi composizioni che dipinge a Céret durante l’autunno del 1911, un periodo di intenso lavoro solitario in quanto Picasso era partito per Parigi all’inizio di settembre.


Una delle lettere al suo mercante Daniel-Henry Kahnweiler (datata 5 o 12 ottobre, citata in “Picasso and Braque. Pioneering Cubism”, New York, MoMA, 1989, p. 382) accenna brevemente a “una natura morta piuttosto grande in formato 50” che potrebbe essere nostra (fu riprodotta per la prima volta nel numero del 15 aprile 1912 della rivista Je sais tout).
Il rigoroso impianto geometrico, finemente disegnato, è messo in movimento dal “colore”, o almeno dalle vibrazioni luminose, in una gamma limitata ai grigi, agli ocra e ai bianchi, che lo sostituiscono. In alcuni punti, Braque usa una pennellata molto visibile per variare la texture: “Volevo fare della pennellata una forma di materia”, dirà. Il “gusto molto pronunciato”, per non dire la passione, di Braque per la materia lo porterà, qualche mese dopo, a esperimenti più estremi: scultura in carta, carta incollata, uso di sabbia, segatura, ecc... Ma nella pittura cristallina di una materia trasparente e preziosa che è “Le Guéridon”, si percepisce una qualità quasi esultante, un accento di entusiasmo che ritroviamo in una lettera di Braque a Daniel-Henry Kahnweiler, inviata da Céret il 1° novembre 1911: “Ho scoperto un bianco imperituro, un velluto sotto il pennello, ne abuso”.



view post Posted: 9/11/2023, 17:12     +16Odoardo Borrani - Una visita al mio studio - I Macchiaioli

A_visit_to_my_atelier_Odoardo_BorraniP

Odoardo Borrani
Una visita al mio studio
1873
olio su tela - 64,5 x 45cm.
Collezione privata


Un affastellarsi di quadri, suppellettili, gessi, oggetti di antiquariato, libri e soprammobili che ingloba quasi come se fosse parte dell’insieme, anche la figura della bella estimatrice in vista, giustifica pienamente lo spiritoso commento di Yorick, pseudonimo di Pietro Coccoluto Ferrigni (Livorno, 1836 - Firenze, 1895) scrittore, avvocato e patriota italiano, che si dilettava di critica d’arte, il quale, dinanzi al dipinto presentato all’Esposizione nazionale di Milano nel 1872 esclamava: “Ma con che entusiasmo andrei a liberare quella simpatica ed elegante Visitatrice dello studio del signor Borrani che, povera donna, è rimasta, non si sa come, prigioniera in mezzo a una montagna di accessori … Bella signora in fede mia, bel quadretto, bella e graziosa e fine pittura! Ma un’altra volta, Minotauro più indulgente, quando prende le belle donne nel labirinto del suo studio, lasci loro almeno la speranza di poterne uscire, dopo fatto… il ritratto”.


Un simile accumularsi di cose e di figure, senza che sia possibile stabilire una scala di valori fra loro, è indicativa dell’affanno spirituale con cui l’artista affrontava il mondo mutato all’indomani della crisi che coinvolse la società europea, una volta venuta meno la fiducia nella scienza, acuita in Toscana dalle disillusioni post risorgimentali. Al contrario di Signorini, Lega e a suo modo Fattori avevano adeguato il loro linguaggio alle inflessioni della poetica del Naturalismo, Odoardo Borrani reagì invece proponendo una pittura di straordinaria qualità per l’accuratezza della stesura e la luminosità cristallina.


Fra i dipinti raffigurati sono riconoscibili “Case rustiche” di Telemaco Signorini e “Il pescatore sull’Arno alla Casaccia” di Borrani stesso. Una luce straordinariamente limpida, in tutto simile a quella che distingue la veduta dell’Arno alla Casaccia, osservata con tanto interesse dalla visitatrice, si diffonde uniformemente nello studio, ma anziché suggerire un sentimento di serena contemplazione, esalta il senso di inquietante affollamento della stanza, a cui contribuisce in maniera determinante, l’impianto prospettico illusionisticamente strambato a causa della posizione del cavalletto, il cui asse longitudinale sembra identificarsi con lo spigolo netto della parete di fondo.


La situazione dispersiva che genera l’impossibilità a comprendere ciò che valga di più si fa struggente se si tiene conto che i quadri riprodotti del dipinto sono opere care all’artista, quasi ad affermare che la sua arte e quella degli amici che con lui avevano creduto alla “rivoluzione della macchia”, aveva perduto il suo valore. Da un tale stato di estremo sconforto, l’artista sarebbe uscito nel giro di poche stagioni, quando, ritrovata la fiducia nell’arte, riprese a dipingere assecondando la sua anima sentimentale.(M.@rt)




view post Posted: 9/11/2023, 12:23     +13THE CAT AT PLAY - Henriëtte Ronner-Knip - ARTISTICA




Henriëtte Ronner-Knip
Katje (Micio)
1896
Olio su tavola
27 x 40 cm
Haarlem, Teylers Museum



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Henriëtte Ronner-Knip
Il giovane artista
(The Young Artist)
1870 circa
Olio su tavola
24 x 32 cm
Collezione privata






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Henriëtte Ronner-Knip
Gattini che giocano
(Kittens playing)
Firmato e datato 'Henriette Ronner./97.'
1897
Olio su tela
113 x 85 cm
Collezione privata



Edited by Lottovolante - 9/11/2023, 16:48
view post Posted: 9/11/2023, 11:54     +5Lotta di gatti (Riña de gatos) - Goya


Ria-de-gatosP

Francisco de Goya y Lucientes
Lotta di gatti (Riña de gatos)
1786
olio su tela - 56,5 x 196,5 cm.
Museo Nacional del Prado,Madrid


Intorno al XVIII° secolo, Francisco Goya ritrae più volte il gatto: dietro un ancora fanciullo ma già crudele Don Manuel Osorio De Zuniga in cui tre gatti seguono la scena o come in questa tela nella quale due gatti dal pelo irto e dal dorso arcuato, si stagliano contro la luce delle nuvole, sbuffano e si affrontano in cima a un muro di mattoni in rovina.


L’arazzo che risultò da questa opera, fu uno di quelli che forse dovevano decorare la sala da pranzo dei principi delle Asturie (il futuro Carlo IV e sua moglie Maria Luisa de Parma) nel palazzo di El Pardo, commissionato nel 1786-1787. Per il suo formato stretto e allungato e per la prospettiva forzata dal basso verso l’alto, era destinato alla decorazione della persiana di una finestra, che formava una coppia con una scena di volo di uccelli, il cui cartone è andato perduto, noto solo dall’arazzo.


La serie doveva essere composta da tredici arazzi sul tema delle “Quattro Stagioni” e altre scene campestri, descritti come “Dipinti di soggetti scherzosi e piacevoli”. Gli arazzi non furono mai appesi nella loro destinazione finale a causa della morte di Carlo III nel dicembre 1788. Il Museo del Prado conserva undici cartoni e uno degli schizzi preparatori. (M.@rt)









view post Posted: 8/11/2023, 22:20     +15Antonio Puccinelli - La strage degli innocenti - I Macchiaioli



Antonio Puccinelli
Ritratto di Nerina Badioli
1866 - 1870 circa
olio su tela - 56 x 42,5 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma


Il dipinto ritrae Nerina Badioli, sorella della seconda moglie del pittore, Adelaide Badioli: il busto della giovane emerge con forza sullo sfondo neutro della tela, secondo un modello rimeditato sulla ritrattistica rinascimentale, della quale mantiene anche l’inquadratura. Impostato sul nero dei capelli, della toque (il copricapo femminile senza tesa), della veste, su cui risalta con valenza formale l’arancione della sciarpa, il quadro testimonia l’interesse del pittore per la ricerca figurativa dei macchiaioli, che lo porta ad usare la luce come mezzo di indagine analitica, per rendere nel dettaglio la realtà osservata. Appartenuta alla signora Margherita Ruffino Badioli, madre dell’effigiata, la tela passò ad Adelaide Badioli Puccinelli e, infine, ad un non specificato negoziante di Prato. La tela è stata attribuita al periodo 1866 -1870, in particolare al 1866, anno del matrimonio dell’artista con Adelaide Badioli, sulla base del confronto tra l’acconciatura della modella con quelle delle figure femminili nella celebre “Rotonda dei bagni Palmieri” di Giovanni Fattori. Tuttavia, pur accettando l’identificazione dell’effigiata in Nerina Badioli, è opportuno sottolineare che la stessa aveva nel 1866 circa undici anni, essendo nata il 25 dicembre del 1855: sarebbe dunque possibile, a giudicare dalle fattezze della giovane, una datazione di qualche anno più tarda, al 1870 circa. In quel periodo, Puccinelli si divideva tra Bologna, presso la cui Accademia aveva assunto la cattedra di pittura, e Firenze, residenza di Adelaide Badioli. Durante l'estate soggiornava nella campagna di Longino, nei pressi di Pistoia, dove avrebbe eseguito il ritratto in esame. Nell’esecuzione il pittore si allontana dagli schemi puristici adottati in opere di analogo soggetto come “Ritratto della nobildonna Morrocchi”, preferendo ad essi una pennellata più larga e veloce, affine alle ricerche coeve dei Macchiaioli. Tale immediatezza esecutiva sarebbe da attribuire ad un “momento di allegria familiare”, come testimonia la “giocosa spezzatura della firma come in due cognomi: A. PucciNelli”.

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Antonio Puccinelli
Ritratto di signora
1866 circa
olio su tela - 40 x 33 cm.
Pistoia, Museo Civico


Una luce limpida e diffusa indaga in modo analitico la fisionomia leggermente imbronciata della donna, messa in risalto dall’inquadratura molto ravvicinata, secondo un metodo consueto all’artista sin dalla fine degli anni Quaranta, ma aggiornato ora sullo stile pacato ed austero di Piagentina. In affinità con lo spirito dei macchiaioli, ritiratosi a dipingere nella solitudine della campagna, Antonio Puccinelli analizza con atteggiamento critico l’immagine della donna per darne una trasposizione rigorosamente formale, eppure in grado di esprimere i sentimenti. (M.@rt)

view post Posted: 8/11/2023, 12:21     +11Odoardo Borrani - Renaioli sul Mugnone - I Macchiaioli



Odoardo Borrani
Pagliai a Castiglioncello
1865 circa
olio su tavola - 12 x 36 cm.
Collezione privata


Una luce palpabile, intessuta d’oro, accende la visione pacata e solenne della campagna affacciata sul mare, dove le sagome dei pagliai sono elemento di meditata scansione spaziale, ma, nello stesso tempo, si rivestono di struggenti significati evocativi di una quiete e di una semplicità messe a repentaglio dalla modernità incombente, stato d’animo espresso ancora più chiaramente dalla figuretta in controluce dell’uomo di città, incantato dinanzi alla maestosità del tramonto sul mare.




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Odoardo Borrani
Case di Pannocchio a Castiglioncello. Paesaggio
1862 circa
olio su tela - 12 x 36,3 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


Nei primissimi anni sessanta Borrani continuò a sperimentare la pittura di macchia a Montelupo e a San Marcello Pistoiese in compagnia di Sernesi. Con quest'ultimo, Signorini e Lega, fu tra i primissimi frequentatori della tenuta di Diego Martelli a Castiglioncello nonché tra i più arditi sperimentatori delle possibilità della nuova pittura, realizzando tavolette, dal tipico formato stretto e lungo, contraddistinte da un inconsueto taglio fotografico e dalla giustapposizione di tarsie cromatiche luminosissime. Il dipinto in esame offre un esempio della felice stagione di Castiglioncello di Borrani, caratterizzata da una specifica attenzione alla luce che si addensa sul tetto, sul prato e tra le foglie. Il piccolo edificio colonico raffigurato, che si trovava nei pressi del podere Martelli, fu in anni successivi abitato dalla famiglia Pannocchio, il che lascia supporre che il titolo sia stato attribuito soltanto dopo l’esecuzione.







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Odoardo Borrani
Case e marina a Castiglioncello
1862 circa
olio su tela - 16,5 x 51 cm.
Collezione privata


Nell’orto, in pendio verso il mare, una contadina sosta, interrompendo il lavoro quotidiano, abbagliata dalla luce pura della bella mattina di sole. La vista spazia sull’ampio paesaggio e coglie la varietà delle colture, lo svettare delle canne flessibili, il rosso della cresta di un gallo e di qualche papavero, per poi vagare sulla distesa del mare, intravista oltre il verde cupo del folto dei lecci e sulla vastità del cielo che, all’orizzonte, trattiene i riflessi d’azzurro dell’acqua. Eseguito nella sua prima estate a Castiglioncello ospite di Diego Martelli, Odoardo Borrani affascinato dalla grandiosità incontaminata della natura del luogo, creò una serie di opere tutte intonate a un medesimo tema, che nel loro insieme costituiscono una sorta di pendant ideale con uno dei capolavori ideati in quella stagione “Orto a Castiglioncello”.

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Odoardo Borrani
Fiori per la Madonna
1867
olio su tavola - 49,4 x 31 cm.
Collezione privata



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Odoardo Borrani
Ponte alle Grazie
1881 circa
olio su tela - 20 x 40 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma


Caratteristico esempio delle vedute cittadine tipiche delle opere degli artisti dell’originario gruppo macchiaiolo, “Il ponte alle Grazie” (distrutto nella Seconda Guerra Mondiale) si configura come uno studio sull’atmosfera grigia ed invernale, volto a catturare le vibrazioni del cielo uggioso e del selciato bagnato, attraverso l’uso di cromie grigie e di pennellate vibranti, che caricano di sapore melanconico la scena, carattere accentuato dalla presenza della solitaria figura al centro. Lo studio delle cromie basse e argentine tipiche delle giornate di pioggia, inoltre, rappresentano un terreno di frequentazione comune negli artisti degli anni ottanta del secolo (un modello potrebbe essere il Signorini di Settignano), accompagnato anche da una attenzione nei confronti di alcuni angoli cittadini che andavano scomparendo con l’avanzare della città moderna. L’opera è databile tra il 1880 e il 1881, anno in cui fu presentata alla Mostra della Società di Incoraggiamento delle Belle Arti di Firenze, mentre l’anno successivo fu esposta a Torino alla Promotrice di Belle Arti. (M.@rt)



Edited by Milea - 17/11/2023, 15:57
view post Posted: 7/11/2023, 17:50     +15Odoardo Borrani - Renaioli sul Mugnone - I Macchiaioli

Borrani-renaioli-sul-MugnoneP

Odoardo Borrani (Pisa, 1833 - Firenze, 1905)
Renaioli sul Mugnone
1880
olio su tela - 141 x 112cm.
Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Figlio di un pittore paesista, trasferitosi a Firenze nel 1840, è avviato all’arte dal padre e, dal 1849, si perfeziona prima sotto la guida del pittore e restauratore di Gaetano Bianchi; nel 1853 si iscrive all’Accademia di Belle Arti, esercitandosi nella pittura di storia con forti rimandi al Trecento e Quattrocento fiorentino. Quello stesso anno conosce Telemaco Signorini e Vincenzo Cabianca, insieme ai quali si esercita nei primi esempi della pittura dal vero nelle campagne attorno a Firenze e si avvicina all’ambiente macchiaiolo gravitante attorno al Caffè Michelangiolo. Dal 1857 esegue soggetti di vita contemporanea, ma soprattutto si impegna a rinnovare il quadro di genere storico indirizzandolo alla maniera dei bozzetti, sull’esempio di Saverio Altamura.

Nel 1859 partecipa come volontario, insieme a Telemaco Signorini, Diego Martelli e altri artisti del Caffè Michelangiolo, alla seconda guerra d’Indipendenza; il primo dei suoi tre taccuini di viaggio documenta lo slancio patriottico di quegli anni. Ritornato dalla guerra, nel 1860 continua la sua ricerca dal vero nel Valdarno fiorentino (Montelupo), con Cristiano Banti, Cabianca, Stanislao Pointeau e Telemaco Signorini, per sperimentare con intenti scientifici gli effetti luminosi all’aria aperta.

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Odoardo Borrani
Alture
1861
olio su tavola - 14 x 46 cm.
Galleria Nazionale d’arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Nella luce cristallina, il paesaggio si dipana fino all’orizzonte, dove i profili dei monti si definiscono sul cielo terso. Nell’ora meridiana, i pochi alberi e cespugli proiettano le loro ombre sui pascoli ingialliti dal sole di luglio. Il dipinto è esemplare delle ricerche figurative svolte con Raffaello Sernesi a San Marcello Pistoiese durante l’estate del 1861, in una straordinaria affinità d’intenti tesa a evolvere dalla maniera per risentite scansioni cromatiche, fino ad allora tipica dei Macchiaioli, verso composizioni più pacate e solenni esaltate dalla limpidezza dei toni luminosi.

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Nel 1861, a San Marcello Pistoiese, in compagnia di Raffaello Sernesi, dipinge una serie di paesaggi di un nitore cristallino, soffusi di un tono solenne e pacato, due dei quali vengono esposti nel settembre dello stesso anno alla Prima Esposizione Nazionale insieme a Il 26 aprile del 1859, un quadro che risolve nella quiete domestica della scena l’entusiasmo risorgimentale. Da allora si dedica ai temi cari alla cultura macchiaiola, fondati su un rigoroso impianto disegnativo e sulla resa tersa della luce: quadri che raffigurano scene domestiche o paesaggi di periferia, come la tante vedute del greto del Mugnone, solitarie o popolate da persone semplici come lavandaie, renaioli, pescatori; composizioni soffuse di nostalgie per un mondo che sta cambiando, ma sostenute dalla bellezza della forma, che raggiunge qualità elette quando l’artista lascia il centro di Firenze per Piagentina, dove lavora con armoniosa dimestichezza con Silvestro Lega e Telemaco Signorini.

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Odoardo Borrani
Castiglioncello. Paesaggio con alberi
1865
olio su tela - 12,7 x 29,6 cm.
Galleria Nazionale d’arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze


Con una disposizione rivolta alla resa più pacata e solenne degli effetti, Borrani esegue nell’estate del 1865 a Castiglioncello, una veduta ampia della campagna che circonda le case di Diego Martelli, a cui la tavoletta è dedicata, con le agavi addossate al muro di cinta. La vastità del cielo suggerisce il campo lunghissimo della visione, incentrata sulla macchia ombrosa del leggio marino raffigurato nel piano intermedio.

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Nel 1865 con Raffaello Sernesi, Silvestro Lega e Giuseppe Abbati dà origine al gruppo conosciuto come Scuola di Pergentina (o Piagentina), che rappresenta il secondo momento della svolta macchiaiola. Come scrive Adriano Cecioni “comincia il più bel periodo della vita artistica del Borrani... egli prende una casetta in campagna, fuori dalla porta alla Croce di Firenze, dove rimane fisso per il corso di otto anni, lontano da ogni distrazione, tutto raccolto negli studi dell’arte”.

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Odoardo Borrani
L’orto di Diego a Castiglioncello
1864
olio su tavola - 18 x 50 cm.
Collezione privata


Il quadro fa parte di una serie di cinque che raffiguravano da vari punti di vista la casa di Martelli e gli annessi agricoli, dipinti con nitidezza luministica e con una sonorità cromatica eccezionali. La luce abbagliante del sole di una mattina d’estate fa risaltare sull’azzurro intenso del cielo i muri bianchi delle case in riva al mare. La recinzione dell’orto preclude la visione del promontorio e scandisce lo spazio secondo un rigore formale estraneo ad ogni inflessione narrativa; ma la silhouette dell’uomo col cappello di paglia e le canne intrecciate a sorreggere le verdure, suggeriscono come l’artista partecipi emotivamente di quella solare felicità, che traspone in forme di asciuttezza plastica, nitidamente scandite dalla luce.

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In estate è spesso ospite di Diego Martelli a Castiglioncello, dove incontra Giuseppe Abbati, Raffaello Sernesi e nel 1867 Giovanni Fattori. Nel 1870 espone a Parma “Il richiamo del contingente”, un dipinto che conclude l’esperienza di Piagentina.

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Odoardo Borrani
Il richiamo del contingente
1869
olio su tela - 123 x 183 cm.
Ente Cassa di Risparmio di Firenze





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Nel 1875 apre una galleria d’arte nel Palazzo Spini Feroni insieme a Silvestro Lega, ma senza successo. Dal 1880 in poi entra in una fase di declino artistico, caratterizzato anche dalla separazione dalla moglie Carlotta Meini e dalla morte del figlio Ugo. A seguito del fallimento della galleria d’arte, vive in modeste condizioni economiche; apre una scuola di pittura e convegni di artisti nel proprio studio, chiamato “Piccolo Pitti”, e negli anni della vecchiaia lavora come decoratore per la manifattura Ginori di Doccia, una delle più prestigiose manifatture di porcellana europea e collabora come incisore per l’“Illustrazione Italiana”. Si risposa in seconde nozze con Giovanna Santucci, levatrice vedova e madre di cinque figli, che scompare nel 1905, pochi mesi prima della morte della morte dell’artista, presso la sua casa di Pian dei Giullari il 14 settembre 1905.


Il dipinto “Renaioli sul Mugnone” rappresenta la maturità artistica di Odoardo Borrani, caratterizzata da lunghi studi grafici propedeutici alla realizzazione del dipinto e non totalmente en plein air come si potrebbe pensare. Il rimpianto per la Firenze della sua giovinezza, alterata dal progresso e da innovazioni urbanistiche, quali l’abbattimento delle mura, ha ispirato a Borrani questo quadro, esemplificativo di come egli, fino alla fine, non abbandoni i temi semplici e le luci terse a lui cari da sempre, caricandoli semmai di sentimentalismo. Nell’immagine due renaioli, di cui uno giovanissimo, si apprestano ad iniziare il quotidiano lavoro lungo le rive del Mugnone. La luce cristallina delinea con ombre nette la superficie delle pietre; sullo sfondo, dietro le colorate chiome di alberi e cespugli, si intravedono alcuni casolari. Anche l’acqua, con il suo lento scorrere, sembra scandire il tempo. (M.@rt)






Edited by Milea - 17/11/2023, 15:45
view post Posted: 7/11/2023, 17:12     +4Francesco Saverio Altamura - I funerali di Buondelmonte - I Macchiaioli




Francesco Saverio Altamura
La Madonna dei fiori
1897
olio su tela - 103 x 63 cm.
Foggia, Museo Civico


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Francesco Saverio Altamura
Dopo la lettura
1877 - 1878 circa
olio su tela – 110 x 78 cm.
Foggia, Museo Civico


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Francesco Saverio Altamura
Chirone centauro canta la liberazione di Prometeo
1889
olio su tela - 105 x 210 cm.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


Il centauro Chirone è rappresentato, con la lira in mano, sulla riva di un mare popolato di Nereidi festanti; all'estrema sinistra del dipinto, incatenato ad una rupe, è raffigurato Prometeo.

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Francesco Saverio Altamura
Portico di villa toscana
1861 circa
olio su tela - 23 x 27 cm.
Collezione privata


Uno studio di paese che si sofferma a descrivere un’immagine tipicamente toscana: il muro di cinta di una tenuta agricola, interrotto dal portale della tettoia di tegole rosse. Oltre lo sguardo vaga sulle colline che chiudono l’orizzonte stagliandosi su un cielo limpido. La luce nitida individua alcuni particolari, così da infondere toni evocativi alla scena: il cane accucciato ma vigile sul primo piano, i rami fronzuti dell’albero, le sagome dei cipressi sui dossi. Il medesimo tema fu studiato da Cristiano Banti e Serafino de Tivoli, a conferma di una consuetudine tipica dei macchiaioli, di recarsi in compagnia nei dintorni della città per prendere appunti dal vero “en plein air”.

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Francesco Saverio Altamura
La prima bandiera italiana portata in Firenze nel 1859
1859
olio su tela - 51 x 75 cm.
Museo Nazionale del Risorgimento, Torino


Un’atmosfera trasognata ed evocativa avvolge il giovinetto che in una mattina di primavera passeggia sulle colline di San Miniato, recando sulla spalla il tricolore. La luce limpida e ferma, unita alla pacata intonazione cromatica, accentua il carattere intimo e per nulla enfatico di questa interpretazione del tema patriottico, suggerito quasi certamente dalla partenza da Firenze del granduca Leopoldo II di Lorena, nell’aprile del 1859. La visione solenne della basilica e del convento di San Miniato al Monte, che si staglia netta secondo un meditato rapporto di luci e ombre sul cielo, è indicativa dell’importanza delle ricerche del pittore per l’evoluzione della “macchia”.

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Francesco Saverio Altamura
Il lavoro
1869
olio su tela - 77 x 123 cm.
Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli


La luce ferma definisce con nitidezza l’ampio paesaggio, nel quale un giovane spaccapietre si riposa da duro lavoro appoggiandosi ad una lastra imponente. I suoi abiti senza precise connotazioni tecniche, ma evocativi di un tempo antico, e la quiete della campagna circostante, con poche ville sparse, suggeriscono un sentimento di rimpianto per un mondo che andava scomparendo, travolto dal progresso. Il tema sembra ancora ispirato dalle fantasie evocative che Firenze aveva suscitato nella mente del pittore, che l’artista abbandonò la città divenuta capitale d’Italia, poiché non ne sopportava la nuova mentalità frenetica e i cambiamenti urbanistici in atto.




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Francesco Saverio Altamura
A Sorrento
1875
olio su tela -30.6 x 55 cm.
Napoli, Amministrazione Provinciale presso Pio Monte della Misericordia



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« (…) Era Altamura una bella
figura di artista meridionale,
barba folta e folti capelli castagno
scuro, faccia quadrata, leonina,
bello lo sguardo cogitabondo, e il
sorriso. Parlava…come di chi
sappia molto più di quello che dica (…) ».

Diego Martelli, 1895




Francesco Saverio Altamura
Autoritratto
1870
olio su tela - 106 x 62 cm.
Foggia, Museo Civico



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