Francesco De Gregori: “Vi spiego le mie canzoni strane”

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view post Posted on 8/2/2015, 11:18     +1   +1   -1
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Francesco De Gregori: “Ho scritto
canzoni strane. Adesso ve le spiego”





Anche ai tempi c'era chi discuteva sapientemente su chi fosse "Alice che guarda i gatti", se la "donna cannone" fosse mai davvero esistita o perché "l'uomo di passaggio mentre volava alto nel cielo di Napoli", rubava i soldi e i ricordi come fa il protagonista di Atlantide. Le canzoni di Francesco De Gregori sono sempre state così, misteriose e visionarie, così libere, stravaganti nelle suggestioni e nei significati invisibili da farti sentire, insieme al potere incantatore della sua voce, più verità della vita reale. Alice, Donna cannone, La leva calcistica della classe ' 6-8, Finestre rotte, Vai in Africa Celestino, Santa Lucia, Titanic, Viva l'Italia, Per le strade di Roma, Fiorellino ... Da poco le ricanta, riarrangiate e rinate e l'album, Vivavoce è andato così bene che dal 20 marzo da Roma inizierà un nuovo, lunghissimo tour: segno che De Gregori ha continuato a tenere in tensione quel filo che da quarant'anni, ventuno album, quindici live e dodici raccolte, lo lega al pubblico. Ma anche a se stesso.

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"Sarei matto se dicessi che quelle canzoni sono un capitolo chiuso. Le sento mie e ringrazio dio che alcune sono venute particolarmente bene. Se le ricanto è proprio perché volevo che non rimanessero lì, imbalsamate, ma che venisse fuori che sono contemporanee, che hanno un senso anche nel 2015", dice nella casa romana dove vive con la moglie Francesca, seduto accanto alla jack russell Maria Josè nel divano del salotto collegato senza porte né séparé allo studio dove tutto è al suo posto, il pianoforte, le chitarre, i tanti libri, le matite, i fogli di carta, la macchina per scrivere, il computer. Oggi ha sessantatré anni, è alto alto, magro magro, sempre la bella faccia ironica, diffidente che da giovane era bellissima come si vede nel libro Guarda che non sono io ( titolo anche di una canzone dell'album del 2012, Sulla strada) curato da Alessandro Arianti e Silvia Viglietti, tra le immagini di quando a vent'anni al Folk- studio di Roma cantava Alice e altre stranezze che mandavano in frantumi la canzonetta tradizionale e d'autore, parole senza tempo, senza anni, senza vezzi, sfuggite alle mode, al punto che ancora oggi non tutto si ricorda di De Gregori, qualcosa magari ha anche fatto storcere il naso, ma per tutti, vecchi e giovani, quando si tratta di citare una bella canzone c'è quasi sempre un'ardita emozione di De Gregori.

È qui che le scrive?

"Sì, ma non sono metodico, quello che tutte le mattine si mette al tavolo. Se ho già sei o sette canzoni e vedo il traguardo di un disco, allora sì, c'è un momento di lavoro più disciplinato, ma prima no. Certe cose mi vengono fuori, magari mentre sono a fare la spesa. Frasi, parole che poi segno nei quaderni e che riprendo se sono interessanti per una canzone. Mai cose troppo vecchie, perché rischiano di essere scritte con la testa di un altro. La visione della vita cambia. E le mie canzoni sono sempre state addosso alla mia vita. Ricordo benissimo quando scrissi La donna cannone , la casa, dove stava il pianoforte, il vociare dei figli piccoli... Ma dire poi in che rapporto tutto questo sta con quello che ho scritto, ci vorrebbe uno psicanalista".

Quel suo modo di scrivere i testi sono già "la canzone", o no?

"Non saprei. Non mi piace quando dicono che sono poesie. La poesia è ben altro e se leggi La donna cannone senza pensare alla musica, è una boiata pazzesca, non sta in piedi".



Ma come? Una delle sue canzoni più belle?
"Anche secondo me è tra le più belle, ma questo non vuol dire che il testo da solo regga. Tutti quegli accenti tronchi, "butterò questo enorme cuore... giuro che lo farò... nell'azzurro io volerò...". Nemmeno un bambino scrive così. È la musica che dà potenza e qui, devo dire, c'è una bella invenzione melodica, non banale. No, nemmeno degli autori più famosi si può leggere il testo come una cosa autonoma, nemmeno Bob Dylan che è tra quelli che amo di più".

È vero che quella canzone nacque da un articolo di giornale?
"Avevo letto in un trafiletto di un giornale locale che una "donna cannone", principale attrazione di un piccolo circo, era fuggita per amore. Mi aveva colpito soprattutto la disperazione del circo, ora ridotto in malaparata. Una storia un po' felliniana".

E Alice?
"Se non sei un po' strano non fai Alice non lo sa. Nel '73 non c'entrava niente con quello che c'era: Paoli, De André, Endrigo, che erano i miei riferimenti, quelli che mi avevano fatto capire che le canzoni possono essere un veicolo non solo di banalità".

Ha raccontato che l'aveva ispirata l'Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll.
"Sì, l'immagine di Alice che guarda i gatti appartiene a Carroll e alle illustrazioni di John Tenniel: quella bambina con gli occhi sgranati era stato il primo impatto visivo quando da piccolo lessi il libro. La verità è che venivo da un periodo in cui ero attratto da tutto ciò che nell'arte non seguiva un filo logico. Mi ero innamorato degli scrittori dadaisti, Tristan Tzara, la scrittura automatica, avevo letto Joyce, lo stream of consciousness , Freud e l'interpretazione dei sogni".



Nelle canzoni contano molto le letture?
"Io sono un buon lettore. Avendo molti momenti morti nel mio lavoro ed essendo di una generazione non digitale, se sto molte ore in treno invece di smanettare, leggo. Ma detta così sembra che io sfogli solo Kafka, Melville e Proust. Invece devo gratitudine anche a Grisham, Stieg Larsson, Ken Follett e molta narrativa di genere. Comunque in quel momento ero patito per i dadaisti e trovavo corrispondenze tra quel modo di creare con il cinema che mi piaceva".

Che cinema?
" Blow up di Antonioni ma più di tutti Otto e mezzo di Fellini. Vidi quel film e alla fine dissi ho capito tutto. Ma perché? Avrei dovuto non capire niente per come era costruito, scritto, montato, per come cambiava il punto di vista dello spettatore e invece no. Quel film ha influenzato tutto il mio lavoro".

Più Fellini di Dylan?

"Anche Dylan aveva dietro un mondo artistico aperto a forme di sperimentazione narrativa. Penso a Faulkner di L'urlo e il furore . Ma lo shock di Fellini me lo porto ancora dentro, nessuno mi darà tutte le informazioni utili per la mia vita che mi ha dato Otto e mezzo . Credo di aver importato nel mondo della canzone quel modo di narrare".



Torniamo ad Alice.
"Non avevo nessuno che mi premesse, nessuno si aspettava che vendessi dischi. Ero libero di fare tutti i danni che volevo. E la canzone me la sono scritta esattamente come pensavo si dovesse scrivere una canzone. Avevo già una musica su cui io cantavo un testo finto inglese, una specie di grammelot, ci misi sopra quello che avevo scritto... Quando la portai a Vincenzo Micocci, allora direttore artistico della Rca, e al mio produttore Edoardo de Angelis, piacque anche a loro".

Ci sono personaggi e punti di vista diversi

"Il "Cesare perduto nella pioggia", è Cesare Pavese. Avevo letto tutto di lui, e nella biografia c'è questo episodio di quando una sera aspettò per una notte Costance Dowling, donna bellissima, ballerina che lo illuse e poi lo lasciò. Alice per me è una specie di sfinge che guarda il mondo senza nessi consequenziali. Non è nemmeno chiaro se è lei la narratrice o io che scrivo. Mentre il personaggio dello sposo ha qualcosa di sicuramente autobiografico. No, non perché volessi sposarmi, ma fuggire. Una fuga che era probabilmente dalla vita cui ero predestinato da studente universitario, fare l'insegnante come mia madre o il bibliotecario come mio padre. Ma forse fuggire anche dal mondo della musica per cui ero uno strano".

Che vuol dire essere strano?
"Che se mi dovessi guardare dal di fuori mi vedo sempre un po' a parte, un corpo affettuosamente estraneo al mondo musicale, forse per il fatto di aver frequentato poco la televisione, forse per la fama di antipatico, di snob e tante cose che mi hanno accompagnato, scambiando la riservatezza per antipatia... Sì, se dovessi uscire da me stesso e dire "allora De Gregori dove sta?", direi non sta propriamente dentro il circolo, nel mainstream, nemmeno oggi che vado a X-Factor. Non sono mai stato di moda. Ma questo mi ha permesso, quando si è detto che i cantautori erano fuori moda, di non esserlo io".



Però l'ha influenzata la moda. Basterebbe citare le collaborazioni negli anni con Dalla, De André, Zucchero, Fossati...
"Scrivo canzoni strane ma se incontro al bar Ivan Graziani non è che non siamo amici. E poi c'entra la Rca degli anni Settanta. Un posto pazzesco, non solo una casa discografica. Era una specie di castello medievale qui a Roma dove c'era tutto, le presse per la stampa dei dischi, gli uffici, gli studi, il campetto di pallone, la mensa, il bar dove passavano Rubinstein e Lou Reed. Lì ebbi il mio primo e unico incontro con Battisti, una rarità perché non si vedeva mai, era schivo, stava a Milano. Io pensavo che non sapesse nemmeno chi fossi e invece fu molto carino. C'erano Baglioni, Cocciante, Renato Zero, stavi insieme senza barriere culturali. Così alla fine non ti prendevi troppo sul serio. Cosa importante per me. Se la gente mi ferma per strada non mi dà fastidio, mi irrita se pensa di conoscermi dalle mie canzoni, o se considera una canzone come un vaticinio... È tutta fuffa. L'ho scritto anche in Guarda che non sono io in cui mi ritrovo parecchio".

Vuol dire che non scrive pensando a chi l'ascolta?

"Sì e no. Vorrei sempre che le mie cose piacessero, ma non scrivo per compiacere chi ascolta. Dopo Rimmel che fu un successo avrei potuto fare una seconda puntata, invece scrissi Bufalo Bill con echi, riverberi e un suono diverso. Ma questo ha fatto sì che anche il pubblico si rigenerasse. Una parte l'ho presa, una parte l'ho persa".

Le spiace?
"No. Anzi sono contento di vedere ai miei concerti ragazzi giovani. Ma come fanno a sapere che esisto, mi chiedo. Non vado in tv, non vado troppo in giro, non sono un habitué del web... Quanto a certi rimproveri, magari per arrangiamenti nuovi o per i nuovi testi, me li son sentiti fare proprio dai miei coetanei. Per loro De Gregori è sempre quello, diciamo fino a Titanic, fino a quando cioè loro hanno comprato dischi e ascoltato musica. Ciò che è arrivato dopo non conta, perché non è invecchiato con loro. Sono orgoglioso di essermi sempre contraddetto. Dopo Rimmel il mio posto nel pantheon della musica italiana ce l'avevo. Ma non mi è mai piaciuto che potesse finire così. Preferisco continuare a scrivere canzoni magari più brutte o di scarso successo, ma continuare a scrivere quello che ho in testa. Sempre meglio che cavalcare le onde del passato".



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