"Uva di mare" - Derek Walcott, Parafrasi e commento

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view post Posted on 5/12/2014, 16:59     +3   +1   -1
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Sono così tanti a zoppicare che chi cammina dritto, pare in difetto!

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"Uva di mare"
Derek Walcott


da Isole, Adelphi 2009



Sea Grapes

That sail which leans on light,
tired of islands,
a schooner beating up the Caribbean

for home, could be Odysseus,
home-bound on the Aegean;
that father and husband's

longing, under gnarled sour grapes, is
like the adulterer hearing Nausicaa's name
in every gull's outcry.

This brings nobody peace. The ancient war
between obsession and responsibility
will never finish and has been the same

for the sea-wanderer or the one on shore
now wriggling on his sandals to walk home,
since Troy sighed its last flame,

and the blind giant's boulder heaved the trough
from whose groundswell the great hexameters come
to the conclusions of exhausted surf.

The classics can console. But not enough.

1976



Libri



Uva di mare

Quella vela che s'appoggia alla luce,
stanca di isole,
una goletta che bordeggia i Caraibi

verso casa, potrebbe essere Odisseo,
diretto a casa sull'Egeo;
quel paterno e coniugale

non veder l'ora, sotto nodosi aspri grappoli, è
come l'adultero che sente il nome di Nausicaa
in ogni strido di gabbiano.

Questo non porta pace a nessuno. L'antica guerra
tra ossessione e responsabilità
mai finirà ed è stata la stessa

per chi erra sul mare o per chi è sbarcato
e ora traffica coi sandali per andarsene a casa,
da che Troia esalò la sua ultima fiamma,

e il masso del gigante cieco sollevò il flutto
dalla cui onda lunga i grandi esametri arrivano
alle conclusioni della risacca esausta.

I classici possono consolare. Ma non abbastanza.




Libri




Dai Caraibi all'OdisseaSe c'è un trauma contro cui Walcott ha dovuto lottare per tutta la vita, è la propria origine geografica: Saint Lucia, nelle Piccole Antille, è solo uno dei grani di quella collana di isole che si inarca da Portorico fino alla costa sudamericana. Senza una vera identità culturale che non derivi dalla colonizzazione, passata di mano quattordici volte tra Francia e Inghilterra prima del definitivo dominio inglese (ancora oggi nello stemma conserva il giglio di Francia insieme alla rosa dei Tudor), selvatica e montuosa, dotata di un patois creolo senza ambizioni letterarie, rappresenta uno di quei luoghi da cui uno scrittore non può che emigrare; ma è anche l'eden da cui è duro staccarsi, la natura prima che Adamo la nominasse, la sinfonia d'acqua luce e colori che regala un imprinting indelebile tra rimpianto, tenerezza e complesso di inferiorità.

La luce, prima di tutto (Lucia è nome di luce, anche nel motto della loro bandiera oltre che in Dante); una luce così pastosa e solida che la vela inclinata sembra appoggiarvisi - stanca di peregrinare tra troppe isole. Si presuppone un tramonto, un navigante che rientra; i pescatori tornavano a sera, quando Walcott era piccolo, ed era un passaggio pericoloso tra gli scogli; "più ci si avvicinava a casa", scrive nel poema Omeros, "più crescevano le paure/e i pescatori lo temono proprio come Ulisse/ finché non vedono lampeggiare l'unico occhio del faro". La nostalgia (intesa alla greca come desiderio del "nòstos" cioè del ritorno) appartiene anche a lui, ogni volta che si trova all'estero per studiare o insegnare; l'archetipo mitico non può essere che Ulisse/Odisseo - e le isole caraibiche si duplicano nell'identità letteraria delle isole egee.

In tutta l'opera di Walcott agisce questo meccanismo di traduzione, o nobilitazione: ogni forma naturale, o persona, della sua isola senza storia viene paragonata a un elemento della grande cultura europea - i poemi omerici prima di tutto ma anche la Bibbia, e Dante e Shakespeare e la pittura del Rinascimento. E' una specie di esotismo all'incontrario, che attira in periferia le figure del Centro. Quel che lo affascina è l'impasto tra vitalità selvaggia e raffinatezza, tra l'Africa nera dei suoi antenati e la Grecia classica; il sangue vergine può rinforzare l'esausta Europa, mentre la maturità della cultura europea può educare le nature troppo semplici ("i nostri miti sono ignoranza, i loro letteratura").

Un esempio di integrazione come piace a noi del Primo Mondo, che per questo nel 1992 gli abbiamo conferito il Nobel; un riconoscimento della nostra supremazia, sia pure con qualche perdonabile scatto d'orgoglio ("questo non è l'Egeo viola-uva,/ non c'è vino qui, né formaggio, le mandorle sono verdi,/ le uve di mare aspre, la lingua è quella degli schiavi"; "il progresso è la barzelletta sporca della Storia").

L'uva di mare (nome comune della Coccoloba uvifera) è un arbusto tropicale che dà bacche acidule di color rosso scuro, simili agli acini d'uva o alle olive. Perfetto esempio di condensazione: selvatico quanto basta ma anche allusivo di mediterraneità classica (gli olivi, appunto, e il "mare colore del vino" di omerica memoria). Sotto i suoi stenti grappoli l'anonimo padre e marito sente nell'onomatopeico grido dei gabbiani il nome di Nausicaa; la profondità dell'amore familiare non esclude l'avventura erotica, con forzatura libertina del casto episodio odisseico. Walcott in genere è poeta epico e visivo ma qui si avvicina alla psicologia drammatica e romanzesca: la guerra tra ossessione e responsabilità significa ammettere in se stessi una duplicità non sanabile - la duplicità è un altro tema di Walcott (nato gemello): due sono i picchi montani della sua isola, due le lingue che parla e usa nei testi, doppio il cammino di conoscenza che impone a se stesso ("ci sono due viaggi/ in ogni odissea, uno sulle acque agitate,/ l'altro accovacciato e immobile nel silenzio").

Il dissidio non ha soluzione se non poetica
: con un volo pindarico il pellegrino dei mari e l'umile pescatore caraibico sono ricondotti alla vicenda leggendaria, dall'incendio di Troia all'episodio di Polifemo - e dal masso che il gigante scaglia nasce un'onda (fatta di esametri, di cui uno viene mimato al v.17) che attraverso chilometri e secoli viene a spegnersi sulla battigia di Saint Lucia. Lìcultura e natura arrivano alla sola possibile conclusione: la cultura serve a temperare le ossessioni più crude ma la vita proporrà sempre nuove spine. L'isola di Saint Lucia è stata contesa storicamente come Elena lo fu a Troia; l'unico occhio di Polifemo è anche l'occhio del faro di cui si parla in Omeros ("il faro cieco/ si soffermò come un gigante, una nuvola di marmo nelle mani,/ per scagliare il suo macigno/.../ poi un pescatore negro alzò la vela di sacco/ e scandì il primo verso del nostro epico orizzonte"). Rete sotterranea di metafore, coerenze forse celate al loro stesso autore; che in un tessuto metrico libero ma fitto di echi ("name/same/flame" rimati in tre terzine successive, e anche "war/shore", poi le rime visive "home/come" "trough/enough", lamezza-rima "islands/husband's") sa chiudere intere una coscienza, un'antropologia, una storia. Fonte


Ascolta la poesia






Edited by Milea - 4/7/2021, 21:56
 
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Derek Walcott
Innamorato del mondo




wal_ape


Più il mondo diventa complesso, più cresce l'ossessione identitaria. Ci si aggrappa a tutto (l'etnia, la religione, il gruppo sociale d' appartenenza, un passato mitizzato) nel disperato tentativo di potersi rinserrare in un fortino che ci protegga dal tumultuoso incalzare dell'esistenza. È un processo diffuso su scala planetaria e dagli esiti spesso catastrofici, a cui si contrappone chi intraprende con coraggio la strada esattamente opposta. Come il poeta Derek Walcott, premio Nobel per la letteratura, nato nel 1930 a Saint Lucia, nei Caraibi. Membro della chiesa metodista in una comunità a maggioranza cattolica, Walcott è un meticcio dagli occhi verdi figlio di un funzionario statale: dunque "né abbastanza nero né abbastanza povero", scrive Stewart Brown in The Art of Derek Walcott (Seren Books), per ritrovarsi sic et simpliciter dalla parte dei reietti. Da bambino Derek parla il patois creolo, di derivazione francese, mentre a scuola viene educato in lingua inglese, conseguendo la laurea all'Università delle Indie Occidentali. In lui convivono, come recita un suo verso, qualcosa di "olandese, del negro e dell'inglese".

wal_poeta

Santa Lucia

Insomma, è figlio a pieno titolo di un'isola dove si incrociano mondo latino, anglosassone, amerindio, afroamericano. Che fatica! Ma anche quale grande, irripetibile occasione per chi scrive poesia immerso in un ambiente dove tutti sono in qualche modo "stranieri": i discendenti degli schiavi così come i discendenti dei padroni. E dove taglialegna, pescatori e camionisti sono altrettanti frammenti dell'Africa, "ma ormai plasmati, temprati, radicati nella vita dell'isola, analfabeti nel modo in cui sono analfabete le foglie; non leggono ma sono lì per essere letti, e se vengono letti nel modo giusto creano la propria letteratura". Perché anche questo è il Nuovo Mondo, un mondo in attesa di una nuova lingua. Di una nuova poesia figlia di un inedito puzzle, capace di mettere assieme le mille tessere di mille storie disperse e frantumate. Comporre quel puzzle, però, è esercizio lungo e faticoso. A molti risulta più facile imboccare la demagogica scorciatoia del black is beautiful, contraltare ideale della sdegnata posizione di un inacidito Naipaul, che nega qualunque chance di riscatto culturale alla gente caraibica.
Quanto a Walcott, lui sceglie la strada più impervia, ma anche la più fertile: "Sono nessuno o sono una nazione", scriverà in un famoso verso.

E la sua scintillante attività drammaturgica, poetica e saggistica, di cui La voce del crepuscolo (Adelphi) rappresenta una sorta di ideale summa, sta a dimostrare la bontà di quella scelta. Il poeta vi si raffigura come una gazza che becchetta curiosa tutto ciò che trova a terra. Superata di slancio la schizofrenia originaria, egli ora è in grado di metabolizzare qualunque alimento. E dunque di pescare dagli autori più diversi. Non soltanto dai grandi dell'antichità, ma anche da poeti a lui più prossimi. Come Philip Larkin, "il maestro dell'ordinario", che ha fatto della Mediocrità la sua musa ideale. O Ted Hughes, che spogliato dalla logora immagine di "generale Patton della poesia moderna", si rivela capace con versi duri e luminosi di costringerci "a uscire con il cattivo tempo, mal equipaggiati".

Per finire con l'amico Josif Brodskij, che non puntando le sue fiches sulla biografia di esule, ha finito per rendere anonimo il suo ego - ed è "questo a renderlo classico". Brodskij ricambierà la stima affermando che Walcott è il miglior poeta in lingua inglese del nostro tempo. Un artista che "parte dalla -e opera nella- convinzione che il linguaggio è qualcosa che supera in grandezza i propri padroni e i propri servitori, e che la poesia, essendo la suprema versione del linguaggio, è perciò uno strumento di arricchimento personale per gli uni e per gli altri: cioè, che è un modo per conquistare un'identità che scavalca i confini di classe, razza o ego <...&. E questo è anche un buon programma di rinnovamento sociale, il migliore che ci sia". Così "il mulatto dello stile", che canta l'Oceano senza fine e un crepuscolo anch' esso senza fine, capace di tramutare in visione metafisica tanto la miseria delle baracche di lamiera quanto la rorida natura tropicale, ci indica dalla periferia del pianeta una strada che vale anche per noi, abitanti di quel presupposto centro che ormai "non tiene più". Se riesce nel suo intento, è perché anche di fronte ai peggiori cataclismi della Storia, per il poeta "è sempre mattina". Perché "il destino della poesia, malgrado la Storia, è innamorarsi del mondo".

E anche quando, come accade a un certo punto de La goletta "Flight", il protagonista si trova stretto tra un uomo bianco che gli "incatena le mani" appellandosi alla Storia e "gli altri che non mi giudicavano nero abbastanza per il loro orgoglio", sa comunque a cosa appellarsi: "Ora non avevo altra nazione che l'immaginazione". In fondo, a questo serve la poesia. A traghettarci sempre altrove. Più avanti, in mare aperto. Fonte


 
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